CAPITOLO VIII:
DALL’INFERNO AL
PARADISO
“Ottenere quel
che per una vita gli era stato negato.
La
pace, la serenità, la felicità, l’amore.
Essere
accettato da qualcuno e non abbandonato.“
/ Memories – Within
Temptation /
- 1 –
Quando il mondo
decide di crollarti addosso non ti avvisa.
Crolla e basta.
Un giorno ti
svegli e vedi che tutto ciò che conoscevi è
cambiato, assisti alla fine della tua normalità, della tua
felicità, della tua vita e non puoi fare nulla per evitarlo.
Nulla.
Solo stare
lì e guardare che tutto muta.
Quando Michele
quel giorno aprì gli occhi si trovò semplicemente
da solo.
Tutto
lì.
Da solo.
Da che aveva
avuto dei genitori a che di loro non v’era più
stata traccia.
Si era detto a
lungo che non poteva essere così, che anche se quella
mattina loro non c’erano non significava nulla. Anche se era
piccolo si era imposto di non andare nel panico e di aspettarli a casa,
da bravo, senza uscire.
Si era obbligato
a rimanere lì e non cercarli. Del resto non poteva fare
molto, non aveva nonni o altri parenti, solo mamma e papà.
Però
lì fra le mura di casa era rimasto per molto tempo senza
ottenere nulla.
Seduto davanti
alla porta d’entrata l’aveva vista rimanere chiusa
per ore, poi giorni.
Aveva perso la
cognizione del tempo limitandosi a mangiare quando aveva avuto bisogno
finché di cibo lì dentro ce n’era
stato, a fare i soliti bisogni e poi a tornare lì seduto ad
attendere che tornassero.
Non poteva
capire da solo che non sarebbero più rientrati.
Era davvero
troppo piccolo per capire il significato della parola abbandono e
l’illusione che prima o poi venissero a prenderlo era la sua
unica ancora, tutto ciò che gli passava per la testa.
Nessuna altra opzione.
Solo quella.
E poi aveva
cominciato a puzzare perché non sapeva che anche da soli
bisognava lavarsi lo stesso.
Aveva cominciato
ad avere fame perché il cibo era finito e non sapeva che
bisognava comprarlo.
Aveva cominciato
a pensare.
E se non
sarebbero davvero più tornati?
Per lui il tempo
non esisteva, a quell’età non lo percepisci e la
sua indole forte gli aveva permesso di non avere paura a stare solo.
Era successo
molte altre volte che per lavoro l’avevano lasciato senza
nessuno, ma poi erano sempre tornati.
Forse era un
lavoro più lungo quella volta… eppure non
riapparivano.
Quando si
insinuò l’ipotesi che forse non sarebbero
più tornati, la sua mente di bimbo fece il suo dovere
insinuandogli quella paura fine e strisciante che lentamente si
trasformò in panico ed in seguito in chiusura totale.
Una chiusura che
lo obbligò a catapultarsi in un altro mondo tutto suo, dove
in realtà i suoi erano lì dentro con lui e
semplicemente stavano dormendo.
Quando si chiuse
in quell’illusione stendendosi nel letto dei suoi genitori,
credendo di averli ancora lì a coccolarlo, aveva
semplicemente perso i sensi disidratato e denutrito.
A trovarlo era
stato il portiere di casa su richiesta della maestra che, preoccupata
per l’assenza prolungata del piccolo Michele, era andata a
trovarlo a casa fino a riuscire ad entrare.
L’avevano
trovato lì steso nel letto, dimagrito, sporco, privo di
sensi, in uno stato pietoso, già sulla via della morte.
Una via che
aveva cominciato a percorrere chiuso in quel sogno in cui non era stato
abbandonato.
Solo in seguito,
una volta cresciuto un po’ di più, aveva saputo
che i suoi genitori non erano morti ma se ne erano semplicemente andati
poiché non avevano più potuto mantenerlo, andati
in fallimento. Forse si erano a loro volta divisi.
Non si erano
più fatti trovare e lui era stato affidato agli assistenti
sociali che non riuscendo a darlo in adozione, l’avevano
messo in istituto.
- 2 –
Il quartiere in
cui era cresciuto una volta ristabilita la sua salute e il suo ormai
labile stato mentale, non era dei migliori, circondato da tanti ragazzi
come lui pieni di problemi e con dei caratteracci ribelli ed
ingestibili.
Lui non era
né ribelle né ingestibile.
Solo troppo
chiuso.
Così
chiuso che tutti preferivano prenderlo in giro piuttosto che farci
amicizia.
I primi tempi
aveva sopportato ancora mentalmente instabile, sulla via
dell’autismo, in seguito però, dopo gli ennesimi
scherzi cattivi come essere rinchiuso in armadi o essere finito con la
testa nel water, qualcosa era scattato in lui e sempre mantenendo quei
suoi modi di fare strani e assonnati, senza sognare di parlare o
gridare, cominciò a reagire.
Il suo limite di
sopportazione forse era arrivato al massimo o forse il viaggio nel suo
mondo d’illusione poteva considerarsi concluso. Non si
capì di preciso cosa gli successe, probabilmente fu merito
dei brutti scherzi a cui era soggetto, ma pur rimanendo chiuso e di un
altro mondo aveva tirato fuori le palle e si era messo a ricambiare
tutte le offese ed i torti subiti.
Tutti.
Aveva smesso di
subire e basta.
In silenzio, con
astuzia e forza, rafforzando il proprio corpo con pasti completi e
buttandosi a capofitto nello sport, aveva lentamente ‘messo a
posto’ tutti i nemici dell’istituto.
Tutti.
Con decisione e
altrettanta cattiveria, dimenticando la pietà e
sotterrandola per sempre.
Freddo e
programmato aveva sistemato tutti i bulli del posto costruendosi una
nuova fama. La fama di chi non andava toccato nemmeno con mezza parola.
La fama di uno
pericoloso che non si faceva scrupoli a picchiare e che ci andava
pesante.
Uno che non
parlava mai ma che agiva e di brutto.
I tatuaggi e il
piercing sulla parte superiore dell’orecchio, così
come i tagli di capelli stravaganti accompagnati da abbigliamenti
singolari, erano stata una sua scelta, una sorta di messa in chiaro che
bisognava girargli davvero alla larga.
Era un teppista
solitario che non voleva compagnia e soprattutto desiderava essere
lasciato in pace.
Che se qualcuno
gli pestava un piede finiva in ospedale con qualcosa di rotto.
L’altezza
giocò a suo favore così come la robustezza intesa
come forza fisica.
Però
arrivò il momento dell’ulteriore crescita.
Dell’ulteriore
cambiamento.
Dell’ulteriore
salto verso il buio.
Il vuoto, la
mancanza, la consapevolezza dell’abbandono, il disprezzo, la
solitudine, il dolore interiore, l’indifferenza totale al
mondo, la ricerca di una pace irraggiungibile… questo e
molto altro lo portarono a cercare di nuovo quello stato che da bambino
gli aveva permesso di stare bene.
Quando si era
chiuso in un altro mondo illudendosi che tutto andasse bene.
Voleva tornare
in quello stato ma da solo non ci sarebbe mai riuscito, ormai, visto
che era troppo grande.
Così
capì che doveva cercare un aiuto.
Un aiuto che
arrivò con la droga.
Michele credette
davvero di aver trovato il mezzo giusto per illudersi che tutto andasse
bene, di non provare più quei sentimenti devastanti.
Si illuse e ci
andò pesante con ogni tipo di stupefacente fino a che tutti
i lavori che faceva non gli bastarono per pagarsela e semplicemente si
mise nei guai.
I guai
più seri della sua vita.
Toccando il
fondo, riducendosi ad uno straccio bisognoso di una dose,
arrivò a supplicare chi poteva rifornirlo, bastardi privi di
scrupoli il cui problema non era che Michele si stava uccidendo ma che
non poteva pagarli.
Niente soldi,
niente droga e non solo.
La loro politica
era che certi clienti bisognava perderli piuttosto che mantenerli per
non essere mandati in rovina per colpa del loro non controllo.
Michele ormai
era bruciato e non avrebbero più potuto ricavare nulla.
Bisognava
toglierselo di torno, spingerlo a non tornare più, a sparire
definitivamente.
Così
organizzarono un incursione e circondandolo una sera in uno dei tanti
luoghi solitari del quartiere, lo picchiarono a sangue tagliandogli via
di netto la parte superiore dell’orecchio con il piercing,
prendendosi del tutto l’orecchino, e spaccandogli la parte
laterale della testa con una spranga di ferro.
Ebbene
lì, fra il dolore fisico lancinante e folle e quello per
l’astinenza dalla droga, fra la disperazione totale e
schiacciante e il proprio sangue che usciva a fiumi, riuscì
a tornare in quello stato catatonico.
In
quell’illusione in cui non sentiva più niente del
mondo reale ma si illudeva che andasse tutto bene.
Pensando di
stare bene cadde in coma per diverso tempo e nemmeno le cure che gli
esercitarono nel giro di subito grazie ai soccorsi di alcuni estranei
passati di lì per caso, ebbero effetto.
Poterono
salvargli la testa ricucendo tutte le parti lese, lo disintossicarono e
lo risanarono completamente nel fisico ma il suo risveglio fu tardivo.
Era come se non
voleva riaprire gli occhi.
Come se
insistesse da solo per rimanere in coma, in quel mondo fatto di sogni
fasulli dove poteva far finta di vivere una gran bella vita.
Lì,
in quella finzione, rimase per settimane fino a che, inspiegabilmente,
riaprì gli occhi tornando al mondo.
Al duro e
crudele mondo.
- 3 –
Cosa gli permise
di riaprire gli occhi in realtà nemmeno lui
l’avrebbe mai saputo.
Non avrebbe mai
ricordato lo strano sogno durante il coma.
L’ultimo
che fece.
Non gli sarebbe
mai tornata alla memoria quella ragazza di cui non aveva mai visto il
volto ma solo il colore biondo dei lunghi capelli.
Non si sarebbe
mai reso conto dei sentimenti che aveva provato mentre si vedeva in sua
compagnia vivere serenamente, amandola ed essendo amato.
Non avrebbe mai
compreso che quel sogno altri non era stato che la speranza del suo
futuro, un futuro che poteva prospettarsi finalmente sereno.
Un futuro con
una ragazza, un amore e la pace.
Un futuro di
paradiso.
Quando si rimise
completamente non era più tossicodipendente e grazie al
fatto di essere maggiorenne fu aiutato dall’istituto a
trovare un lavoro per potersene andare via per conto suo.
Con
caparbietà, serietà e maturità ce la
fece.
Risalì
dal suo tunnel ma poté farlo davvero solo fino a
metà.
Nonostante
facesse esperienze con diverse ragazze ed il lavoro, anche se duro, gli
permetteva di essere indipendente lontano dal suo luogo di crescita,
aveva la consapevolezza di non essere completo.
Qualcosa gli
mancava lo stesso e non era idiota.
Capiva bene di
cosa si trattava.
Anche se era
risalito quasi del tutto, l’unica cosa che con le sue forze
non aveva potuto costruirsi era l’amore.
L’amore
in generale ma soprattutto quello di una donna.
Quella ragazza
che aveva visto nel coma e che non aveva mai ricordato davvero, di cui
aveva solo una vaga sensazione.
Lentamente era
cambiato di nuovo, era maturato, era guarito fisicamente anche se certe
cose non riusciva più a farle, era sì silenzioso
e sulle sue ma comunque più socievole di fondo,
più aperto alle novità e all’esterno.
La corazza
l’aveva sempre mantenuta, per lui sarebbe stato quasi
impossibile buttarla, e anche per il suo aspetto non convenzionale e
non da modello non aveva potuto trovare la persona che cercava, ma
l’attesa non l’aveva mai ucciso.
Si era detto che
prima o poi l’avrebbe trovata e sarebbe stata
l’unica a non fermarsi alle apparenze, a non spaventarsi per
il suo aspetto da teppista e non da dio greco, a voler andargli dentro
e cercare il suo animo, a riuscire a prendersi i suoi sentimenti e a
spingerlo in quello stato di benessere che per raggiungerlo, in
passato, aveva dovuto chiudersi o drogarsi.
Quel che il coma
per lui significò non fu nulla di razionale, non se lo
spiegò mai perché dopo il suo risveglio si
sentì pronto per cambiare e prendere in mano la sua vita
facendo quel salto decisivo e sorprendente.
Però
aver fatto ancora una volta tutto da solo l’aveva segnato e
stancato facendogli desiderare solo una cosa.
Ottenere quel
che per una vita gli era stato negato.
La pace, la
serenità, la felicità, l’amore.
Essere accettato
da qualcuno e non abbandonato.
Non
più.
Il desiderio
potente di arrivare a quello gli aveva permesso di diventare quel
Michele particolare ed indefinito che Astrid poi aveva incontrato senza
mai riuscire ad inquadrarlo.
Era chiuso
oppure aperto?
Era silenzioso
oppure uno che parlava?
Era pericoloso
oppure sicuro?
Era spaventoso
oppure protettivo?
Cos’era?
Se lo sarebbe
chiesto a lungo, la ragazza, senza ottenere nel giro di poco tempo una
risposta, ma non avrebbe smesso di cercare in lui quella parte che gli
mancava da vedere.
Quando lui
incontrò Astrid gli parve come di ricordare quella specie di
sogno dimenticato, quello che durante il coma gli aveva permesso di
tornare in vita e di cambiare.
Si era sempre
detto che vedere la morte in faccia poteva far fare quello ed altro ma
quando l’aveva incontrata non aveva visto una ragazza carina
ed interessante bensì una che lo guardava in
profondità cercando di capire COSA in lui
l’attirasse a quel modo inspiegabile.
Aveva capito che
si era trattato di quello e quando aveva accettato il dialogo con lui
aveva compreso che non poteva trattarsi che di lei.
Quella persona
che aveva cercato a lungo inconsciamente o meno, che senza saperlo gli
aveva permesso di svegliarsi e tornare alla vita.
Di attimo in
attimo, ogni volta che il rapporto con lei procedeva alimentandosi e
approfondendosi, a lui pareva di camminare via via sempre
più in alto.
Come se fosse
possibile volare.
La certezza di
poterlo fare, però, arrivò quando
l’aveva vista a casa sua fragile, smarrita e bisognosa di
qualcuno che volesse lei e non ciò che appariva.
E rendendosi
conto che erano davvero uguali con gli stessi bisogni e le stesse
frustrazioni, si erano uniti dando vita a quello che anni addietro era
solo stato un sogno vago e confuso, una sorta di speranza.
Lì
per lui fu il completamento del suo viaggio.
Dall’Inferno
al Paradiso.
Non seppe
davvero come riuscì a trattenere le lacrime.