CAPITOLO II:
RITORNO A CASA
/
To build at home – The Cinematic Orchestra /
“E’ stato atroce.
È questa la verità.
Ci ho scherzato su molto buttandola sul ridere per
sdrammatizzare, ma la verità è ben altra.
Anche se sembrava facessi la solita scena ogni
volta che parlavo con Gibbs quello era solo il mio modo per non farlo
preoccupare troppo per me ma tanto lui mi conosce, ha sempre saputo
quanto dura fosse stare relegato laggiù.
Eppure l’ho presa come una punizione
più che giusta.
Ero convinto che anche lui non volesse
più saperne di me, che mi considerasse il colpevole per la
morte di Jenny.
Ho pensato che tutti lo credessero ed in
realtà ero l’unico ad esserne convinto.
Né Gibbs, né il nuovo
direttore, né Ziva, né nessun’altro.
Non ne ho mai parlato con nessuno, non ho mai
voluto sapere dagli altri cosa pensassero dell’accaduto
perché ero sicuro che mi considerassero colpevole e in cuor
mio sapevo che avevano ragione, però le cose stavano in un
altro modo e prima che potessi ammetterlo ho iniziato a bere.
Non so come ci sono finito con quelle bottiglie
d’alcolico in mano tutte le volte che ero solo e ripensavo a
Los Angeles e a Jenny, forse sapevo che Gibbs aveva sempre annegato i
suoi dolorosi ricordi nel bourbon e pensavo potesse funzionare anche
per me.
Forse, dopo tutto, ho pensato a lui anche mentre mi
distruggevo.
Solo Ziva sapeva che bevevo perché mi
aveva beccato. Non l’ho mai detto a Gibbs e prima che potesse
accorgersi del mio stato d’animo ero già su quella
maledetta nave, sulla portaerei. Anche se probabilmente mi illudo che
lui non si sia mai accorto di nulla.
All’inizio è stato atroce e
anche se col tempo ho diminuito l’alcool che mi scolavo in
solitudine, nessun dolore o senso di colpa si è mai
alleviato in me e la mia permanenza là sotto non
è mai stata abbastanza sopportabile, anzi.
Sentivo Gibbs ed ogni tanto riuscivo anche a
vederlo in video conferenza ma non è mai stato abbastanza.
Mi sforzavo di fare l’idiota per non fargli capire quanto
male stessi consapevole comunque che lui sapeva lo stesso tutto. Lui ha
sempre saputo tutto di me.
Chiudevo gli occhi e gli eventi di quei giorni a
Los Angeles mi ritornavano vividi e prepotenti, non riuscivo a
dimenticare. In quei sogni le cose finivano sempre diversamente.
Con io che non mollavo Jenny e che riuscivo a
salvarla.
La colpa mi ha divorato e credendo che tutti mi
vedessero in quel modo mi sono nascosto dietro una banale scusa.
Ero solo io che mi vedevo così, che mi
sentivo colpevole.
Poi il tempo è passato e le cose si sono
un po’ attutite, affievolite da sole… lentamente
la mancanza di Gibbs ha cominciato a superare il dolore per Jenny e
lentamente ho cominciato ad aspettare ardentemente il momento del mio
ritorno a casa, di poterlo toccare di nuovo, baciare, sentire
concretamente… lentamente è stato proprio lui la
mia salvezza, lui e ciò che provavo per lui.
Però mi sentirò per sempre in
colpa per Jenny ed anche se ora non mi serve più bere per
sopportare il pensiero e probabilmente non ne parlerò mai
con nessuno, questa cosa non cambierà mai.
Eppure per rivedere Gibbs, per poter tornare a quei
giorni felici con lui, mi sono dato da fare, mi sono rimboccato le
maniche e sono tornato in superficie.
Ma ho ripreso a respirare a pieni polmoni solo
quando l’ho rivisto davanti a me al porto e poi in nave.
Ho respirato di nuovo e aria non mi è
mai parsa più pulita e rigenerante.
Per la prima volta il pensiero di Jenny non mi ha
divorato l’anima.
Ziva mi ha subito chiesto se bevevo ancora e con
sincerità le ho risposto che non lo facevo più
come l’inizio… certo in alcuni momenti
particolarmente duri, quando torno a sognarla in maniera più
vivida di sempre, non riesco a farne a meno ma non mi riduco
più come agli inizi.
Quest’esperienza mi ha rafforzato
davvero, mi ha fatto maturare brutalmente e crescere e spero che una
cosa simile io non debba mai più passarla.
Però una cosa la so con certezza.
Seguirò come un mastino tutte le mie
intuizioni, tutto ciò che non mi convince, non fidandomi di
nemmeno mezzo estraneo, insistendo per sapere anche la minima tacca che
non mi quadra.
Non lascerò più che le cose
mi sfuggano dalle mani se posso fare qualcosa per evitarlo.
Non succederà più.
Anche se sono quasi morto, oggi, quando ho dovuto
lasciare che Gibbs facesse una delle sue cose avventate rischiando la
vita, tanto per cambiare.
La consapevolezza che lui non era me e che se la
cavava sempre molto bene da solo, salvo qualche rara eccezione in cui
sono stato incredibilmente io a salvarlo, non mi ha aiutato molto ma ho
fatto violenza su me stesso e non ho fatto ciò che avrei
voluto.
Lui era su quell’aereo pronto al decollo
insieme al pilota minacciato dalla pistola e dall’impostore
criminale e assassino. Quando questo ha detto di decollare e far
partire l’aereo per scappare, sapevo bene che Gibbs non
l’aveva assecondato perché era impazzito ma
lì per lì non mi è venuto in mente
nulla di giustificabile per una tale uscita folle.
Però quando il comandante accanto a me,
nella sala dei comandi, ha detto che non avrebbe mai autorizzato la
partenza dell’aereo io ho fatto quella famosa violenza su me
stesso dicendo invece di farlo.
Lui mi ha detto che aveva un suo uomo là
dentro ed io contraendo la mascella e tirando ogni muscolo del corpo
per trattenermi dal correre là sopra da Gibbs, ho sibilato
serio e deciso con un tono che non ha assolutamente ammesso repliche
che ce l’avevo anche io, l’uomo là
sopra, e che aveva detto di far partire quel dannato aereo!
Con lui dentro.
Rischiando, tanto per cambiare, visto che era sotto
tiro da quel criminale.
La paura di perderlo dopo averlo appena ritrovato
mi ha divorato e quasi spento il cervello, non ho capito nulla, non
sono arrivato alla stessa idea a cui era arrivato Gibbs, non riuscivo a
ragionare da agente. In quel momento ero solo il suo fidanzato.
Mi sono aggrappato alla fiducia che avevo per lui.
Una fiducia ceca.
Non sapevo cosa aveva in testa ed anche se
apparentemente sarebbe potuto morire l’ho lasciato fare
assecondandolo.
Lui sapeva cosa faceva.
Sarebbe tornato da me, di nuovo.
Quando poi si è tutto sistemato ed
è tornato giù con l’assassino nelle sue
mani mi è parso così chiaro, il suo piano
improvvisato, che mi sono detto che era la cosa più ovvia
del mondo. Però prima avevo pensato ben altro!
E poi mi ha detto che sarei tornato a casa con lui.
Non ha fatto particolari espressioni di gioia e
nemmeno un gesto di contentezza per la cosa, però io so
quanto lo fosse.
Lì per lì mi è
parso di aver capito male, pensavo mi prendessero in giro ma poi ho
compreso che era vero.
Era vero.
Dopo tutti quei mesi tornavo a casa.
A casa.
Non ci potevo credere eppure era così!
Credo che è stato esattamente in quel
momento, mentre correvo per i corridoi della nave a prendere i miei
bagagli, urlando come un matto, che il dolore per Jenny se ne
è andato.
È stato lì che l’ho
chiuso per bene dentro di me.
Molto bene.
So che non l’ho cancellato
perché una cosa simile non si cancella, ma ero di nuovo
felice.
Stavo tornando a casa con la persona che amavo.
Non potevo desiderare altro.
In quell’istante non l’ho
desiderato ed onestamente ora penso che sia questo che conta.
Avere chi ami accanto qualunque cosa succeda, sia
che tu passi l’inferno sia che sia un periodo sereno.
Qualunque sia la decisione che ci si trova a
prendere.
Conta avere un posto in cui tornare ed una persona
sempre vicina che ti sostiene comunque.
Io ce l’ho ma me ne sono reso conto solo
quando è tornato a prendermi, dopo tutto quel tempo passato
a scervellarmi sul perché ci mettesse tanto.
Ammetto che le ho pensate tutte, anche che non
volesse più saperne di me nonostante alla mia partenza mi
avesse detto di non fare l’idiota.
Si, perché quando stavo per salire sulla
portaerei gli ho detto che se mi avesse lasciato non l’avrei
biasimato.
Mi ha dato uno dei suoi scappellotti in testa con
il consueto insulto burbero. Poi ha aggiunto che certe cose non dovevo
nemmeno pensarle.
Mi ha convinto.
Perché quando lui parla in quel modo con
uno sguardo così serio non si può fare a meno di
credergli ciecamente.
Però ho vacillato, sono umano.
Ora non lo farò più
perché è tornato a prendermi proprio come mi
aveva promesso.
E sono in macchina con lui che mi accompagna a casa
nostra.
Ne ha viste molte, quella costruzione, da quando
siamo venuti a viverci insieme.
Il nostro primo incontro, quando abbiamo convissuto
di nuovo e poi ancora quando ci siamo messi insieme. Si pensava potesse
essere finita lì, che ormai si potesse respirare ed invece
no. Ha visto quando mi ha lasciato senza rendersene conto, quando
abbiamo litigato, quando ci siamo riappacificati, quando abbiano
litigato di nuovo lasciandoci per quella famosa missione segreta,
ovvero Jeanne, ed infine quando siamo tornati insieme
l’ennesima volta, dopo che ha creduto di avermi perso in
quell’esplosione.
Ora sono via da mesi ma io e Gibbs non ci siamo mai
lasciati e spero non succederà più, né
fisicamente né personalmente.
Questa nostra casa tornerà di nuovo ad
ospitarci insieme e spero che potrà assistere solo a momenti
distesi e sereni.
Momenti felici.
Ma quel che conta è che siamo arrivati,
ci siamo, e con una strana emozione crescente scendo
dall’auto osservandola in silenzio con un’aria
assorta.
Non dico nulla, scarico i miei bagagli e aspetto a
camminare.
Lui mi sta a fianco, mi lascia i miei tempi,
capisce che sto rivivendo tutti i momenti particolari della nostra
relazione, momenti vissuti qua dentro, in un modo o
nell’altro.
Capisce che mi sto emozionando a rimetterci piede
dopo così tanto tempo di assenza.
Non pensavo mi sarebbe successo, onestamente, ma
ora ci sono e pochi metri mi separano.
Un tale sentimento per una costruzione non sarebbe
spiegabile se dietro non ci fossero tutti i momenti importanti della
mia relazione con la persona che amo.
Non sono mai stato così sentimentale e
romantico ma quando ci si innamora si cambia, è vero, non
è una frase fatta.
Si danno importanza a molte cose che prima si
consideravano insulse.
Io ora non voglio mai più andarmene da
qua.
Mai più.
Finalmente, con questa promessa muta negli occhi,
muovo i passi annullando lentamente la distanza
dall’abitazione, seguito da Gibbs che poi
all’ultimo mi supera e apre la porta.
Varca la soglia prima di me e poi lo faccio io, mi
fermo di nuovo all’ingresso, mi guardo attorno mentre lui
accende la luce ed ogni mobile nell’oscurità viene
illuminato.
Tutto come quando me ne sono andato.
Tutto come allora.
Non è cambiato niente.
È qua che sorrido commosso con gli occhi
stupidamente lucidi.
La mia vita mi stava aspettando qua ed ora che sono
tornato da lei non mi resta che riprendere a viverla.
Ed allora facciamolo davvero.
Diamo l’inizio, per l’ennesima
volta, a questa mia vita.
A questo punto trattenendo il fiato mi giro verso
Gibbs a poca distanza da me, allungo tremante una mano e con debolezza
l’afferro, altrettanto delicatamente, assaporando ogni gesto
che sto compiendo qua dentro, luogo di mille meravigliosi ed importanti
ricordi, l’attiro a me ma forse sono io che lo raggiungo. Lui
sta fermo, non si ribella e nemmeno mi respinge. Non fa nulla.
Mi osserva intensamente.
I miei battiti sono inizialmente sospesi ma poi
quando lo tocco e l’ho davanti a me circondato dalla nostra
casa, cominciano ad andare veloci, come se volessero uscirmi dalla
gola.
Così il caos mi invade mentre quel nodo
che cercavo di trattenere sale vertiginosamente puntando i miei occhi
nei suoi di quel colore che a volte sembra il mare altre un cielo in
tempesta.
Così limpido, ora.
Così lucido.
Ce l’ho finalmente di fronte, lo posso
guardare come voglio senza mascherare nessuna emozione, lo sto
toccando… e nel farlo le mani salgono sulle braccia e poi
sulle spalle per finire sul collo e ai lati del suo viso.
La sua pelle sotto i miei polpastrelli.
È caldo, morbido.
Come l’avevo lasciato.
Non si muove, lascia che faccia tutto io come mi
sento.
Pensavo di poter resistere di più ma in
fondo mi sono trattenuto abbastanza.
Vederlo di nuovo e non poterlo toccare come
volevo… oh, quanto volevo farlo… quanto
volevo… e senza più ragionare, con gli occhi che
mi bruciano e quel nodo che esce bagnandomi le guance, annullo la
distanza appoggiandomi col corpo sul suo, unendo le nostre labbra che
finalmente, dopo tanta astinenza e sofferenza, vengono inumidite dalle
nostre lingue che cercandosi subito come fosse un bisogno impellente,
si trovano e non si staccano più allacciandosi,
intrecciandosi e prendendosi in una fusione di bocche che cresce
diventando sempre più frenetica.
Un bacio che sa di salato.
Di lacrime.
Non pensavo che mi sarei messo a piangere come un
bambino nel riaverlo di nuovo però sta succedendo.
È qua con me, lo posso toccare, baciare
ed ora abbracciare… abbracciare.
Cosa che faccio scivolando con le braccia sotto le
sue come a cercare quella protezione che mi era mancata, qualcosa di
cui non dovrei aver bisogno ma che ora voglio.
Lui allora mi circonda forte e sicuro senza
lasciare un minimo spiraglio fra noi, premendomi totalmente a
sé, perdendoci in questo bacio che ci toglie il respiro e la
ragione e ci fa scordare tutti questi mesi di lontananza.
Ci eravamo mancati.
Da morire.
E non c’è nessun imbarazzo,
nessun ricordo doloroso, nessuna mancanza a rovinare questo nostro
momento.
Ora che ci siamo ritrovati guai a chi ci separa di
nuovo.
Non è possibile stare male come siamo
stati fino a pochi giorni fa.
Non è possibile.
Ma ora non conta nulla.
Ora siamo qua e non serve sforzarsi e trattenersi,
ora possiamo lasciarci andare e nel farlo sento il bisogno di premermi
contro la sua pelle, di più.
Il suo corpo completamente sul mio, i suoi battiti
contro i miei, il suo profumo, il suo sapore, voglio tutto di lui e lo
voglio ora, dopo che tutto questo tempo ci ha divisi.
Tempo e spazio.
Ora nulla ci deve essere d’intralcio.
Lo voglio ora.
E voglio tutto.
Allora senza pensare più scivolo con le
mani sul davanti e comincio a slacciargli svelto la camicia.
Credevo che avremmo parlato, che non ci saremmo
riusciti a scioglierci subito, che sarebbe successo qualcosa ad
impedirci di lasciarci andare così ma una volta che scatta
la scintilla e riassaggi non puoi interromperti, vai avanti spedito e
quando coi palmi gli accompagno l’indumento lungo le braccia
per farglielo cadere a terra, lui ha già fatto fare la
stessa fine alla mia.
Quando me l’ha slacciata?
Ero così preso da lui che non me ne sono
accorto ma non ha importanza, va bene così.
Benissimo.
Una volta che i nostri toraci sono liberi mi
accoccolo contro di lui staccando la bocca dalla sua e ansimando
appoggio la fronte nell’incavo del suo collo, mentre mi
avvolge dolcemente e protettivo come se mi inglobasse a sé.
Mi carezza la schiena trasmettendomi mille brividi
piacevoli e cercando di domare le mie lacrime, cosa che non riesco,
prendendomi di nuovo il viso fra le sue mani me lo alza, mi scruta
intensamente e leggendomi dentro, guardando con attenzione il corso
delle mie lacrime che escono dai miei occhi azzurri e si perdono sulla
bocca o sul mento, sa perché piango e non mi dice nulla.
Lo amo anche per questo.
Perché non mi tortura facendomi dire
cose che a fatica riesco a pensare.
Lui sa già e quando le parole non
servono puoi solo capire quanto quella persona, per te, sia perfetta.
E lui lo è.
Dopo di che, lento e delicato porta le labbra
subito sotto il mio occhio e comincia a seguire la scia di una lacrima
fino a berla, una volta arrivata all’angolo della mia bocca.
La testa comincia a girarmi e non posso
più dare un nome a queste sensazioni meravigliose che sento,
mi trasportano potenti altrove, insieme a lui.
Così mi aggrappo alla sua schiena
premendomi ulteriormente contro di lui che, con calma e pacatezza, mi
conduce al divano fino a farmi sedere conscio che non riesco
più a reggermi in piedi.
Mi sembra di tornare indietro alla prima volta in
cui abbiamo fatto l’amore.
Prima di allora avevamo fatto sesso, tante volte ed
è stata a sua volta come se fosse la prima in assoluto, come
se non l’avessi mai fatto con nessuno.
Questa è la stessa sensazione pura e
nuova.
Con premurosità continua a coprirmi di
piccoli baci assaggiando il resto del mio viso, scendendo poi sul collo
e quindi sul petto. Si sofferma sui capezzoli mentre con le dita
slaccia i miei jeans. Vorrei fare altrettanto con lui, reagire, non
essere così passivo. Non lo sono mai stato, in fondo. Cosa
mi prende?
Però non riesco a farne a
meno… di… rimanere completamente nelle sue
mani… lasciarmi fare da lui ogni cosa desideri…
per essere unicamente suo.
E mentre sono qua steso sotto di lui ci ritroviamo
entrambi nudi in poco tempo, ma forse è più di
quel che pensi.
Questo mio affidarmi totalmente a lui gli piace, lo
sento chiaramente mentre aumenta le carezze intime, mentre con le dita
arriva nella mia parte intima e poi ad esse aggiunge la sua bocca,
mentre mi prepara per la penetrazione, mentre cura le mie ferite del
passato, della lontananza, dei sensi di colpa… mentre
scaccia i mostri che i miei incubi hanno generato.
Il piacere mi invade in ogni particella facendomi
gemere sempre più rumorosamente, contorcere sotto di lui e
allargare le gambe per chiedere chiaramente di più. L'attiro
a me affinché non si stacchi ed anche se vorrei assaggiarlo
un po’ anche io, le forze mi si sono prosciugate, non ne ho
più, riesco solo a stare qua dandomi profondamente a lui.
Non arriva a far altro che questo eppure
l’eccitazione che mi strofina contro, l’attenzione
con cui si occupa del mio corpo, la premura che ci mette nel prepararmi
e procurarmi piacere… tutti questi particolari mi fanno
capire che gli piace questo nuovo modo di fare l’amore.
Mi prende, mi cura, si occupa di me con delicatezza
e completezza, dolcezza addirittura… entrambi non siamo noi
stessi, in questo momento, ma non ha importanza.
È semplicemente meraviglioso e quando mi
sento allo stremo, stralunato e pietoso, quando sento di non farcela
più e di volerlo assolutamente dentro, prendo il suo viso
fra le mani e lo tiro su, quindi lo guardo da vicino con occhi
annebbiati e con voce roca e respiro affannato finalmente mi decido a
parlargli:
- Entra, ti prego… vieni…
prendimi… -
Anche se non è un discorso molto
connesso lui penso non può essere più
d’accordo di così, quindi con
un’emozione sempre più visibile nello sguardo posa
di nuovo le labbra sulle mie baciandomi delicatamente, succhiandomi poi
il labbro e tornando a coprirmi di piccoli baci laddove ho ancora il
sapore delle lacrime che ora non scendono più.
E realizzando che è riuscito a
fermarmele, scivola in me dolcemente aspettando che mi abitui, pensando
che dopo tutto questo tempo di astinenza mi farà di nuovo
male.
Eppure quale dolore mi impedirebbe di provare
questo piacere così totalizzante?
Questo desiderio di avere di più, di
sentirlo ancora e andare oltre?
Ogni ricordo d’inferno scappa via, non ho
più memoria di quando stavo male, di quando bevevo, di
quando pensavo di non farcela… non ho memoria di
nulla… è tutto annientato e anche se forse
è solo un momento e poi tutto tornerà, per ora
voglio lasciarmi cullare da questa sensazione di oblio in cui conta
solo quel che sto sentendo.
Questo sentimento, questo amore pieno e forte,
queste sue braccia che mi avvolgono, le mie gambe che lo cingono alla
vita per permettergli di fondersi a me meglio, la sua bocca ancora
sulla mia, i respiri che si mescolano, la pelle imperlata che fonde
sapori simili… noi, ancora una volta, dopo tanto tempo, di
nuovo insieme in un'unica cosa che ci muoviamo, entrando ed uscendo,
andando sempre più in profondità, stringendosi,
serrandoci, prendendoci, avendoci ancora e chiedendo di più.
Ancora di più.
Per poter continuare a salire questa scalata e
vederci anche se abbiamo gli occhi chiusi e impazziamo dal piacere e
dall’emozione che esplode.
È tutto perfetto, non voglio
altro… ho tutto ciò che potrei
desiderare…
È qua che raggiungiamo insieme
l’orgasmo inarcandoci l’uno contro
l’altro, colpiti da un ondata che ci fa tremare accaldati e
ci toglie le forze completamente anche se prima di crollare rimaniamo
un lungo istante fermi immobili cercando di catturare questo istante e
tutto ciò che proviamo. Cerchiamo di possederlo ancora un
po’.
Poi si lascia andare su di me, nascondendo il viso
contro il mio collo, ed io lo abbraccio delicatamente accogliendolo
ancora tutto fremente e pulsante.
Davvero non potrei volere di più.
Sono di nuovo felice.
- Ti amo, Jethro… grazie per non avermi
lasciato perdere… - Un qualcosa che ricordo di avergli detto
più di una volta a cui è bello non rinunciare di
dirla o sentirla.
Non lo vedo ma sono certo che questo lieve
movimento dei suoi muscoli facciali è per un sorriso appena
accennato.
- Ti amo anche io… - non lo dice quasi
mai, spesso me lo fa capire a modo suo o magari dice qualcosa di
simile, ma quando lo pronuncia interamente mi fa impazzire ogni volta
facendomi capire quanto in effetti io sia speciale per lui.
Davvero tanto in effetti.
Allora anche le mie labbra si piegano in un sorriso
leggero e soddisfatto.
Ora si può ricominciare a vivere.
- Mi sei mancato... - “