CAPITOLO VIII:
CURARE LE FERITE

/What a day – Greg Laswell/
Non avrei voluto che finisse così. Dannazione, non avrei proprio voluto.
Cosa sta succedendo intorno a me?
Di volta in volta le cose sembrano mettersi sempre peggio per qualcuno di quelli che mi circonda, mi aspetto una disgrazia ogni giorno. Questo periodo degenerativo è iniziato da quando Leon ha disfatto la mia squadra. Pensavo che con il loro reintegro tutto sarebbe tornato nella norma, per quanto la vita qua lo sia. Invece non sono ancora riuscito a tirare il fiato. C’è sempre qualcosa. Sempre.
I miei amici di vecchia data di cui mi fidavo ciecamente diventano degli assassini e mi usano per coprire tutto, rivedo mio padre dopo anni che non gli parlavo, mi ritrovo preda di un serial killer psicopatico narcisista, un agente di quelli che avevo raccomandato viene fuori che era una spia ed invece poi scopro che non è lui ma un’altra al nostro interno con cui fra l’altro sono stato molto a contatto e che lui è morto innocentemente. Come se non bastasse per farla venire allo scoperto mi ritrovo ad usare il mio uomo con cui litigo.
Ed oggi.
Oggi sono arrivato al culmine.
Quando abbiamo risolto la faccenda della spia.
Che era Lee ormai era per me una certezza, ma dannazione… che in realtà fosse lei stessa una vittima di un bastardo che la ricattava tenendo sua sorella minore in ostaggio e facendole fare quello che sto pezzo di merda voleva… bè, questo di gran lunga ha superato la mia aspettativa.
Soprattutto, però, non avrei voluto assolutamente che finisse così.
Non volevo.
Se solo avessi lontanamente immaginato come stavano realmente le cose avrei agito diversamente, avrei potuto fare di meglio che lasciare una bambina orfana e sola!
Invece non solo ho permesso che questa storia finisse male, ma sono stato io stesso a metterci quella fine maledetta!
Io, quando su quell’autobus su cui quel pezzo di merda si era rifugiato prendendo Lee e minacciando di ucciderla davanti ai miei occhi, dopo che mi aveva sparato ferendomi al dito con cui premo il grilletto e al sopracciglio.
Io che non vedendoci più bene ho semplicemente fatto quel che lei mi faceva capire era l’unica via.
Ma come posso dire con certezza che non c’era altro da fare?
Qualcos'altro di meglio che sparare a lui attraverso lei mentre lo teneva fermo nell’ultimo disperato tentativo di porre finalmente fine a questa terribile storia.
E l’ho fatto.
Come lei mi chiedeva. Consapevole che non c’era altra alternativa.
Ma è vero che non c’era?
Potevo lasciarlo andare, Tony aveva trovato e salvato la bambina, non poteva fare più nulla.
Ma forse avrebbe ucciso lui stesso Lee una volta che non le sarebbe servita. E quel bastardo non avrebbe pagato per il suo crimine.
Però non mi consola. Non mi soddisfa.
Non mi aiuta, questo pensiero.
Le ho sparato. L’ho uccisa. Con lei se ne è andato quel maledetto.
E una bambina è orfana dell’unica persone che si prendeva cura di lei.
Glielo ho dovuto dire io stesso, parlarle di tutto quello che era successo. È stato allucinante.
Non si regge a certe cose.
È stato il colpo di grazia.
Ora quel che vorrei fare è di nuovo mollare tutto. Di nuovo. Per l’ennesima volta. Sparire lontano dal mondo cosiddetto civilizzato, andare in un posto dove non so niente di niente e portarmi dietro solo Tony.
Non si regge sempre. Non c’è sempre un modo per superare alcuni momenti.
Io ora sono al capolinea.
Non ce la faccio più.
Ora davvero non ce la faccio.
Perché lei non doveva pagare, non doveva sacrificarsi.
Se io stavo bene e non ero ferito forse potevo piazzargli una pallottola di precisione in fronte come sono sempre stato capace, ma lì non lo ero, non ci riuscivo, ero ferito, non vedevo bene.
Ma di minuto in minuto, qua, steso nel mio letto, da solo al buio sotto le coperte, non mi capacito di tutto quello che sto rivivendo a ripetizione. Come se vedendomelo così tanto potessi rendermi conto che le cose sono andate diversamente.
Non voglio nulla.
Nemmeno sfogarmi come faccio di solito.
Nulla.
Voglio solo che questo terribile senso che mi schiaccia a cui non so dare un nome, se ne vada.
Voglio non dover più fare cose simili.
Voglio non averla dovuta fare stasera.
Voglio che tutto si cancelli e che la mia vita la smetta di darmi continuamente botte.
Non ne posso più.
Basta.
Non doveva andare così.
Non doveva.
Ma nel buio e nel silenzio in cui sono immerso da non so quanto ormai, sento il fruscio delle lenzuola che si aprono e il materasso che si abbassa accanto a me.
Poi subito dopo due mani che mi toccano, una si infila sotto il fianco, poiché sono steso di lato, l’altra sopra. Scivolano sul davanti, attraverso la tuta che ho addosso e in un attimo aderisce il corpo al mio. Sento la mia schiena contro il suo petto, i nostri bacini a contatto e le gambe che intreccia alle mie.
Lui è leggermente più freddo di me ma si scalda subito.
Il suo respiro è regolare e mi solletica la nuca.
Non parla.
Non dice niente ma mi abbraccia da dietro, stendendosi in questo modo, facendosi solo sentire senza il minimo timore, senza grandi pretese di saper dire o fare la cosa giusta.
Non fa nulla di speciale.
Sta solo qua con me.
C’è.
Non mi lascia solo.
Ascolta il mio silenzio, non mi forza, non mi riempie di insulse e fastidiose parole.
Ed è solo ora con Tony qua contro di me che capisco che in tutta la merda di questi giorni, che ha raggiunto il culmine stasera, lui è sempre stato l’unica nota positiva. L’unica cosa che posso sopportare.
Perché anche se spesso mi dà sui nervi, ne combina un sacco, sbaglia, esagera, mi esaspera, nei momenti in cui sono io ad avere bisogno, lui semplicemente c’è e sa cosa deve fare.
Sa essere quel sé stesso di cui si vergogna perché in realtà non gli pare di fare nulla di speciale perché non fa nulla.
Eppure la verità è che fa molto, in quei casi.
Fa capire concretamente che ha capito di cosa gli altri hanno bisogno.
Non potrei volere altri che lui qua ora con me.
Appoggio le mie mani sulle sue, le prendo e stringo con bisogno, facendogli capire che voglio che mi tenga qua, che stia ancora con me, che non mi lasci, che mi ricordi perché devo rimanere.
Allora lui rafforza la presa ed anche se mi fa davvero strano sentirlo consolarmi nonostante di norma è il contrario, sto qua e mi lascio fare.
Allora lui con le labbra sulla mia bocca mi parla in un sussurro.
- Ti amo. – Parrebbe quasi fuori luogo questa sua uscita se non fosse che io so perché l’ha detto infatti trattengo il fiato: - ti amerei anche se diventassi un criminale. Saprei che lo faresti per un motivo giusto ed anche se io non lo sapessi, mi andrebbe bene lo stesso, crederei in te e ti amerei comunque. Non ti disferai mai di me. – Suonerebbe quasi come una minaccia se non fosse che è tutto quello che mi serviva di sentire.
Ancora per un po’ riuscirò ad andare avanti.
Poi alla prossima forse tornerò a fermarmi e a cercare di nuovo un motivo per proseguire e so che lui sarà ancora là a ricordarmelo.
Va bene.
Il mio respiro trema mentre chiudo gli occhi e finalmente le immagini della morte di Lee davanti ai miei occhi non arrivano a torturarmi. Ma solo lui. Lui e quando è tornato da me dopo tutti quei mesi che siamo stati lontani.
Il mio cuore comincia a placarsi un po’.
- Dormi. Ti curo io le ferite questa volta. – Conclude così lasciandomi un leggero bacio sotto l’orecchio.
Forse nulla di tutto questo è da noi, lui così dolce, io così remissivo e passivo, così bisognoso di calore, di un ancora di salvezza.
Però non me ne potrebbe fregare di meno. Questa volta è questo quello di cui ho bisogno.
È l’unica cosa buona della mia vita.
Nei momenti di crisi quel che ti tiene su sono i sentimenti e nient’altro. Persino per degli uomini virili e maschili come noi, vale questa legge. Quando sei dentro alla merda che ti fa voler solo mollare tutto, non te ne frega un cazzo di quanto diverso sei.
Vuoi solo stare bene.
E chi ti ama, chi tu ami, è l’unico in grado di aiutarti.
L’unico.
È così contro di lui, senza dire una sola parola, che finalmente mi lascio prendere dal sonno e mi addormento.
Ascoltando solo il silenzio e i battiti del suo cuore che dal suo petto contro la mia schiena si trasmettono impercettibili ma chiari al tempo stesso.
Qualunque cosa farò non sarò mai solo.
Questa è una certezza. “