CAPITOLO VIII:

GUARDARSI DENTRO

 

"L'aria fredda che mi batte sul viso mentre corro per le vie del mio quartiere, non mi aiuta a rinfrescarmi le idee... così come la fatica non mi distrae affatto.

Dannazione.

Da quando ho discusso con Sendoh non ci parliamo più. Bè, in realtà discusso non è il termine adatto. Con lui non si riesce a litigare nemmeno volendo con tutte le proprie forze.

Non ha proprio voluto parlarne facendomi capire che è come dico io!

Mi ha deluso oltre che infastidito.

Essere un ripiego è proprio quello che più mi brucia, di questa storia.

Preferivo litigare e magari arrivare alle mani, ma questo silenzio, questo non chiarirci per sua volontà, mi pesa davvero molto. Significa tutto e niente.

Non lo sopporto.

Prima mi accende a quel modo ed ora che sogni di farmelo coprendolo di cioccolato fuso, mi pianta in asso senza una parole!

Perché cazzo non mi ha smentito?

Volevo mi convincesse  che non era come dicevo. Porco cane!

Ora devo fare a meno di quel bel culo da bronzo di riace, del suo corpo da dio greco e di quel viso malizioso. Mi ha lasciato con una voglia matta di possederlo!

Però non sopporterei mai l'idea di stare con uno per cui sono solo un ripiego. Fossi un passatempo potrei sopportarlo, lo ripagherei con lo stesso trattamento, ma così no.

Un ripiego, una seconda scelta.

Io!

Hisashi Mitsui!

Scherziamo?!

Come se non potessi avere di meglio!

Posso fare a meno di lui!

Che vada al diavolo, visto che non vuole imparare a condividere ed essere più chiaro.

Se solo avesse avuto il coraggio di parlare...

Merda!

Ma con me ha chiuso!

Solo che... perché diavolo deve essere così dannatamente eccitante?

Cazzo"

 

Era da un numero di giorni considerevole che Sendoh e Mitsui non si parlavano per nulla. Era come se l'uno non esistesse più per l'altro.

Sendoh non voleva mettersi a discutere con Mitsui per il semplice fatto che nemmeno lui sapeva di preciso cosa rispondergli, qual era la verità.

Alla fin fine non era forse così?

Se Sakuragi e Rukawa non fossero 'usciti' dalla 'piazza', lui non si sarebbe mai messo a correre dietro a Mitsui. Non si sarebbe probabilmente nemmeno accorto di lui. Non seriamente.

Non come aveva fatto per Hanamichi.

E gli bruciava l'idea di essere davvero quel genere di persona che era stato accusato.

Un bastardo, uno stronzo approfittatore ipocrita.

Non si era mai considerato tale, bensì solo uno che si annoiava facilmente e che come diversivo si buttava in cose alternative, dal suo punto di vista, ma comunque innocenti.

Però visto così non era altro che un approfittatore come tanti, senza sentimenti e senza rispetto per gli altri.

Fare i conti con la propria coscienza, improvvisamente, era diventato difficile.

Ognuno fermo sul proprio silenzio, non si sarebbero mai più parlati se quella sera non ci fosse stato il compleanno di Hanamichi.

non avrebbero avuto scelta.

L'occasione era decisamente un evento a cui nessuno avrebbe potuto mancare, nemmeno lui.

Così accadde l'inevitabile.

Un inevitabile leggermente guidato e voluto da certi elementi che gli affari propri non sapevano assolutamente cosa fossero!

 

La casa di Hanamichi invasa da un sacco di gente fra cui diversi sconosciuti che avevano solo sentito che il festeggiato era il famoso rossino, esplodeva di un atmosfera gioiosa e piena di confusione destinata ad un crescendo sempre più folle e scatenato, dettato dagli altrettanto folli e scatenati amici fedeli del proprietario di casa.

Quando avevano visto presente alla leggendaria festa nientemeno che il glaciale Rukawa per poco tutti i presenti non si erano sentiti male, ma per sua fortuna presente non c'era nemmeno una ragazza a parte Ayako e la solita Haruko che, nemmeno a dirlo, appena l'aveva visto era finita in un altro mondo senza capire più nulla.

Quando Hanamichi aveva capito che quelle facce erano sempre state per quello che un tempo era il suo rivale ed ora il suo fidanzato, aveva sentito di nuovo quel famoso moto di fastidio profondo montargli dentro pericoloso ed aveva così capito che quella gelosia che c'era sempre stata, l'aveva interpretata male sin dal primo momento.

Però qualunque fossero le mire di quella ragazza e simpatica o antipatica che fosse, a lei Hanamichi doveva molto poiché era servita per spingerlo ad entrare al club.

Rukawa nonostante ne fosse pienamente consapevole, non intendeva mostrare nemmeno un minimo segno di gratitudine verso la fanciulla svenevolmente fastidiosa ed innamorata. Non avrebbe mai potuto calcolarla nemmeno con tutto il suo impegno. Per lui una nullità era e una nullità sarebbe sempre stata.

Tutto ciò che meritava la sua attenzione ormai l'aveva: il basket e Sakuragi.

Stop.

Il resto non esisteva più!

Tutti i presenti si chiesero come mai proprio Rukawa fosse presente, ma appena l'incosciente armata Sakuragi arrivò portando gli alcolici, cosa proibita per dei minorenni, tutti si dimenticarono ben presto dell'anomalia in corso dedicandosi a divertimenti più interessanti e degni di nota!

Ed ecco che fra la musica giusta e le bevande altrettanto giuste, la festa storica del rossino prese forma diventando ciò che era destinata sin dall'inizio a diventare: materia di leggenda!

I motivi per questo appellativo furono molti ma ciò che catturò principalmente l'attenzione di Sendoh fu, ovviamente, Mitsui.

Un Mitsui decisamente fuori dai ranghi, o meglio più fuori di quanto non l'avesse mai visto al club!

Finché per Hisashi si trattava di presenziare senza sopportare la presenza di una certa persona con cui non parlava da molto, era una cosa, ma quando costui fece il suo ritardatario ingresso, per lui fu la fine.

Anzi, per la sua coscienza dal momento che fu quella a sfuggirgli di mano dopo la quinta birra.

Quella segnò solo l'inizio della fine, il degenerare completo arrivò con ciò che bevve dopo.

Da mangiare ce n'era eccome ma appena i suoi occhi notarono la bella presenza di quel ragazzo che per giorni era stato il centro dei suoi pensieri e delle sue ossessioni, specie notturne, lo stomaco gli si chiuse a doppia mandata senza pietà impedendogli di ingurgitare qualunque cosa!

Tutto ciò che riuscì a buttare giù dalla bocca fu birra e qualunque altra cosa odorasse di alcool.

A quell'età non si può certo essere dei gran bevitori, nonostante la vita dissoluta che aveva fatto per quei due anni di assenza dal basket, non era uno che alzava il gomito ogni sera e che poteva permetterselo poiché reggeva come un adulto.

Aveva 17 anni, certo, ma la capacità di bere certe cose avrebbe dovuto ancora svilupparla.

Comunque il suo problema fu il tasso di agitazione che gli salì dentro vedendo la persona di cui non riusciva più a smettere di pensare.

Quella sera, poi, che non era né con la divisa scolastica né con quella degli allenamenti, era ancora più bello del solito.

I capelli neri li teneva al solito modo ma gli abiti 'borghesi' che indossava gli donavano incredibilmente.

Non gli staccò gli occhi di dosso un istante, incapace di ignorarlo come lui invece riuscì a fare con enorme tranquillità. E gli bruciò, oh se gli bruciò.

Lo vide scherzare e ridere spensierato con Hanamichi e Kaede e ne fu geloso, ma non solo.

Lui era come sempre.

Ironico, malizioso, sornione, gentile, interessato. Parlava con tutti, aveva una parola per chiunque gli rivolgesse la parola e sembrava davvero conoscere e apprezzare tutti. E le persone presenti non erano certo poche.

Quella musica movimentata e a tratti sexy, poi, non lo aiutava per nulla. Glielo mostrava con occhi tutt'altro che angelici e man mano che il tasso d'alcool saliva nel suo sangue, continuava a capirci sempre meno. Lo vedeva di volta in volta con una carica erotica sempre maggiore e forse complici furono quei jeans stretti che evidenziavano davvero molto le gambe ed il fondoschiena, un fondoschiena ben modellato grazie allo sport che praticava. Anche la maglia bianca era sottile e attillata, lasciava poco all'immaginazione e dava sfoggio del fisico asciutto e invitante che si ritrovava.

Perché quando parlava e sorrideva il suo viso appariva ancor più seducente e malizioso del solito?

Lo guardava e non si perdeva un solo particolare appoggiato in un angolo, lontano dalla massa che si agitava, parlava e faceva casino a più non posso.

Le sue considerazione vorticavano nella sua mente senza lasciarlo un istante in pace ed insieme al tasso alcolico ed ai pensieri rivolti a Sendoh, ad aumentare fu soprattutto il suo desiderio.

Ogni tanto qualcuno del club di basket gli si avvicinava ma così come arrivava, poi scappava a gambe levate capendo che quella sera Mitsui non era in vena.

Grugniva qualcosa di sgarbato e brusco e appena si ritrovava solo, tornava a puntare la sua attenzione sul suo unico soggetto di interesse che, sempre in apparenza, sembrava non calcolarlo nemmeno per sbaglio.

Non si erano salutati e forse Akira non l'aveva proprio visto, del resto non aveva fatto nulla per attirare la sua attenzione.

Nessuna sceneggiata rivolta al protagonista della festa, nessuna frase gentile, nessuno scherzo, nessuna complicità. Nulla di nulla.

Amalgamato con il mobilio di quel piccolo ma stranamente capiente appartamento, Mitsui sembrava non esistere se non negli sguardi penetranti e contorti che lanciava insistentemente a Sendoh. Quando però il suo limite fu di gran lunga superato, la fase: 'statemi lontano che mordo', fu surclassata da quella: 'venite che devo mordere!'

Non ce la faceva davvero più, o si sfogava in qualche modo o sarebbe morto. La sensazione che provava era esattamente quella.

Di esplodere se non si sarebbe sfogato fisicamente in qualche modo e così facendo, sempre continuando a tormentarsi con la figura apparentemente indifferente e rilassata nonché addirittura felice di Sendoh, fece quello che per due anni gli riuscì meglio: attaccò briga col primo che gli capitò sotto mano!

Quando senza nemmeno averlo provocato, finì per picchiare quel povero sventurato che non aveva ben capito perché era finito sotto i pugni micidiali di quel ragazzo così ubriaco e scontroso, finalmente lo sguardo di Sendoh si posò su di lui e quando lo notò il peggio arrivò solo in quel momento.

Quegli occhi scuri ed enigmatici che dicevano tutto e niente lo guardarono con iniziale stupore ed in seguito con ciò che sembrava proprio pietà.

No, non poteva sopportarlo.

Lui lo trattava come una pezza da piedi e poi quando veniva scoperto invece che abbassare la cresta e scusarsi o almeno giustificarsi, veniva anche a fare il superiore con lui?

Quel lampo che lesse nel suo sguardo non gli piacque e la nebbia si impadronì del tutto di lui, senza possibilità di ritorno alla lucidità.

Eppure, sicuramente, il problema fu proprio quella nebbia che gli impedì di interpretare normalmente quel guizzo che aveva attraversato lo sguardo liquido di Sendoh.

Rimase fermo immobile a guardarlo ridotto in modo evidentemente pietoso sotto il chiaro e deleterio effetto dell'alcool e mentre smetteva di picchiare quel ragazzo e ricambiava il suo sguardo profondamente colpito dallo stato in cui era, Mitsui mutò diventando una specie di belva inafferrabile e senza pensarci su un solo istante si fiondò su di lui afferrandolo per il colletto della maglia e spingendolo si appoggiò completamente a lui perdendo l'equilibrio. L'espressione rabbiosa fece intendere a tutti che in realtà ce l'aveva proprio con lui e per chi era stato loro intorno in quegli ultimi giorni non fu una novità.

Prima che altri potessero intervenire, Mitsui riuscì a biascicare in un ringhio pieno di ira e confusione:

- E allora la finisci di prenderti gioco di me? - L'obiettivo era colpirlo ma con i sensi completamente annebbiati e la testa che gli girava a quei livelli, tutto ciò che riuscì a fare fu solo questo.

Spingerlo, aggrapparsi a lui ed alla sua maglia che per poco non strappò e guardarlo fisso negli occhi così vicino da poter quasi baciarlo.

L'idea di farlo lo sfiorò e per un momento non tornò lucido, il sangue pompò veloce nelle vene ed il cuore batté impazzito nel petto. Lo desiderava come non mai e l'alcool non lo aiutò per nulla, gli gettò la testa dentro ad una batteria che suonava forte ed instancabile. Gli sembrò di impazzire e mentre faticava a stare retto sulle proprie gambe e a non cadere per terra come una pera matura, sentì che le mani di Sendoh andarono a sorreggerlo tenendolo istintivamente per la vita.

Quel contatto che parve addirittura premuroso lo turbò profondamente e lo scosse al punto da dargli la forza di allontanarsi. Si staccò e barcollando paurosamente gli tolse rabbioso le mani da sé. La stanza girava vorticosamente e gli sembrava che tutti ballassero intorno a lui, ma in realtà a non riuscire a stare fermo era solo lui.

Si guardarono uno pieno di odio e disprezzo mentre l'altro stupito e inebetito. Lì per lì Sendoh non seppe davvero che fare e non fece nulla. Fermo immobile davanti al compagno, rifiutato in modo cristallino, si sentì bruciare. Bruciare tanto che il nodo che dall'inizio della serata era rimasto sulla sua bocca dello stomaco impedendogli di ingurgitare qualunque cosa, ora era salito alla gola e da lì sembrava si dirigesse agli occhi.

Perchè lo feriva tanto sapere che lui lo credeva un falso ipocrita che si prendeva gioco di lui?

Non era forse vero?

Perché non gli piaceva l'idea?

Perché vedere il suo disprezzo lo spiazzava e lo feriva così?

Anche se Sendoh normalmente era uno che sapeva sempre reagire al volo nel modo giusto, acquietando qualsiasi acqua, quella volta si trovò immobile, spiazzato, incapace di dire, fare e pensare qualunque cosa. Solo si sentiva interiormente male a vederlo reagire così contro di lui.

Però dal di fuori cosa sembrava?

Non si rese conto che il problema era cresciuto così tanto proprio grazie alla sua capacità di controllo di sé stesso.

Qualunque cosa succedeva non si sbilanciava mai, riusciva sempre a non agitarsi e a rimanere calmo, non esternava mai nessuno dei suoi tempestosi sentimenti, ammesso che ne provasse.

Ma come quella sera non ci si era mai sentito e quando l'aveva visto in quello stato proprio a causa sua, non solo si era sentito in colpa ma il dolore era quasi esploso.

Avrebbe solo voluto abbracciarlo e dirgli che non era come pensava, che non l'aveva capito e che non si era capito lui stesso ma che ora non pensava ad altri che a lui, che gli dispiaceva essere stato così meschino ma che era cambiato. Tutto era cambiato, lui per primo.

Avrebbe voluto dirgli questo ed altro ma nemmeno una sillaba uscì dalla sua gola atrofizzata e fu stranamente proprio Rukawa il primo fra tutti a reagire. Quello più vicino.

Sakuragi era rimasto senza parole a guardare l'amico ridotto in quelle condizioni, però il moro soprannominato volpino aveva subito preso Mitsui per il braccio e l'aveva scortato con forza e decisione fuori casa, lontano da tutti gli occhi curiosi e morbosi degli invitati.

- Prendi del ghiaccio. - Aveva mormorato al volo al moroso. Hanamichi era corso in cucina senza farselo ripetere e dopo pochi secondi era fuori con Rukawa a consegnargli il ghiaccio e a guardarlo metterglielo sulla fronte, la testa appoggiata forzatamente all'indietro contro il muro e lui stesso seduto a terra.

Era bello avere degli amici.

L'avrebbe pensato con calore, Mitsui, se non fosse stato così perso in un altro mondo, un mondo dove l'unico abitante era Sendoh.

Da quando era diventato così fortemente la sua unica ossessione?

Come aveva fatto?

Solo perché gli aveva acceso degli istinti sessuali da panico?

O forse perché era un enigma che nessuno era mai riuscito a risolvere?

Perché Akira Sendoh gli era entrato così dentro in profondità fino a ridurlo in quelle condizioni?

Mentre ad occhi chiusi, seduto a terra, con la testa appoggiata all'indietro ed il ghiaccio sulla fronte cercava di fermare il mondo, anche i rumori gli arrivarono ovattati.

I suoni della festa si affievolirono ed ogni altra sensazione esterna scemò regalandogli solo il caos completo.

Avrebbe voluto stare meglio ma tutto sommato non stava davvero male. Non al punto da vomitare o da addormentarsi.

Era sospeso in una via di mezzo fra la realtà e l'irrealtà. Non ricordava l'odio ed il dolore che aveva provato per tutta la serata, ricordava solo che voleva visceralmente una persona nello specifico e sentiva che era lì vicino a lui.

Gli sarebbe bastato allungare una mano per toccarlo.

Nella confusione sentì questo e seguendo il suo istinto illogico lo fece.

Quando la sua mano traballante fu a mezz'aria, senza che lui la guidasse in alcun modo, si posò su qualcuno lì davanti a lui.

Qualcuno accucciato che l'osservava silenzioso e assorto.

E lì, in quello stato sospeso ed indefinito in cui ogni sentimento isterico e di orgoglio era lontano, capì di chi si trattò.

Quei brividi al solo tocco leggero glieli aveva dati solo una persona, in vita sua.

Allora gli parve così chiaro.

Si stava semplicemente innamorando di Sendoh, per assurdo ed incredibile che fosse, magari anche sbagliato. Tanto quel sentimento cresceva affermandosi in lui, tanto più il dolore per non essere ricambiato al suo stesso modo aumentava.

Ma ora era lì davanti a lui, silenzioso, non lo accusava, non faceva nulla, non lo allontanava, non faceva niente.

Stava solo lì davanti a lui mentre si diceva a sé stesso che era accaduto l'incredibile per uno orgoglioso e problematico come lui.

Quando lo capì con l'onestà più disarmante, un onestà che si può provare e mostrare solo quando la coscienza viene incatenata per lasciare spazio alla parte più incontrollata di sé stessi, non ricordò più perché doveva avercela con lui.

Fece quindi cadere a terra il ghiaccio dalla fronte, alzò lentamente la testa che aumentò i giramenti vorticosi e ignorandoli si aggrappò con tutte e due le mani sul collo della sua maglia, mettendo quanta più forza riuscì in quelle condizioni lo tirò a sé e andandogli barcollante incontro si scontrò con le sue labbra, trovandole con quanta più concentrazione riuscì a metterci.

Aprì gli occhi il necessario per vederle e non mancarle, quindi quando le ebbe sulle sue, li richiuse e con un profondo sospiro di sollievo e benessere si abbandonò al bacio che finalmente riuscì a strappargli dopo averlo tanto sognato.

Sendoh non si era comportato bene con lui ed aveva mille motivazioni per volerlo dimenticare, eppure dopo tanto tormento non riusciva a far altro che arrendersi ai propri sentimenti che in modo singolare e shockante erano usciti. Violentemente.

Ora stava divinamente.

Lì, così, contro la sua bocca, immerso in essa a cercare e trovare confuso la sua lingua, giocare con essa pieno di desiderio, ricordando quanto l'aveva voluto senza imporsi di prenderselo. Lì, insomma, si sentì solamente bene, così bene che non si era mai sentito meglio.

Non avrebbe potuto voler altro che quello.

Assolutamente.

Quando Sendoh era uscito titubante seguendo Rukawa e Sakuragi che si occupavano di Mitsui, si era costantemente chiesto quale fosse il suo ruolo in tutta quella storia, cosa avrebbe dovuto fare.

Era la causa del suo bere, del suo ridursi in quello stato, la causa del suo dolore. Logicamente avrebbe solo dovuto andarsene e lasciarlo in pace. Si sentiva in colpa. Per la prima volta in vita sua, Akira Sendoh si sentiva in colpa vedendo come aveva ridotto una persona a cui, senza rendersene conto, teneva molto. O forse se ne era reso conto ma non era riuscito ad ammetterlo chiaramente a sé stesso oppure a dimostrarlo in modo normale.

Lì su due piedi non seppe approfondire bene un analisi di sé stesso e delle sue azioni a cui era scappato a lungo.

Non aveva mai voluto guardarsi seriamente dentro ed ora qualcun altro ne pagava le conseguenze, qualcuno che non avrebbe mai voluto far soffrire così tanto.

Eppure credere di non essere stato così importante per lui non era davvero una giustificazione.

Solo guardandolo così si era reso conto di tutto ed aprendo gli occhi aveva seguito l'istinto ed il desiderio di andare da lui e rimediare in qualche modo.

Quando era uscito gli altri due compagni ed ormai amici si erano silenziosamente allontanati. Bè, Rukawa silenzioso, Sakuragi forzatamente zittito.

Una volta lì da solo l'aveva guardato e con la testa completamente vuota si era accucciato davanti a lui cercando di non fare rumore, l'aveva guardato e guardato a lungo senza staccargli gli occhi di dosso, aveva studiato il suo viso sudato e stralunato, gli occhi chiusi, quella bellezza selvatica, i capelli corti e neri spettinati che sfuggivano dal suo controllo, il ghiaccio sulla fronte, le mani abbandonate sulle ginocchia piegate. Era bello, ma non quella bellezza canonica notata per forza da tutti. Era bello perché per lui lo era.

Era lui che lo vedeva così.

Non poté che essere onesto con sé stesso e lasciando la propria testa ammetterlo, si accorse che la mano di Mitsui aveva iniziato debolmente a muoversi.

Come mai?

Che l'avesse sentito arrivare?

No, era stato silenzioso, non poteva essere...

Però...

Però mentre si diceva che semplicemente si era innamorato e che finalmente era successo anche a lui, anche se era iniziato per divertimento, si era lasciato toccare da quelle dita incerte e si era sentito rinascere.

I brividi l'attraversarono e dimenticando tutto il resto che sparì immediatamente, se ne fregò altamente del posto, della situazione e dello stato poco lucido di Mitsui. Quando lo sentì attirarlo a sé e lo vide alzare la testa e socchiudere gli occhi per guardare le sue labbra e mirare ad esse, si lasciò fare senza opporre la minima resistenza.

Semplicemente si lasciò andare come forse non aveva mai davvero fatto in vita sua, non in modo così disarmante.

In quel momento Mitsui non era più ubriaco, non avevano mai litigato, non c'era mai stato nulla che non andava, non si era mai sentito costretto a guardarsi dentro. In quel momento tutto parve essere sempre andato bene e l'attimo perfetto.

Così lasciò che le sue labbra si premessero sulle proprie, quindi le aprì lentamente e sempre lentamente gli andò incontro con la lingua trovandolo e carezzandolo dolcemente, languido, con desiderio.

Capì di averlo voluto come non aveva mai voluto altro in vita sua e con quel nodo che gli andò fino sugli occhi che gli bruciarono, approfondì il bacio posandogli le mani ai lati del viso, fermando il suo tremore e ricevendo tutto quel che gli arrivò.

Accettandolo a piene mani.

Quali fossero state le conseguenze non gli importò assolutamente, avrebbe preso tutto pur di stare così bene. Quell'attimo era valso ogni cosa, persino il viaggio tormentato in sé stesso.