CAPITOLO IV:
UNA LUNGA NOTTE

/Never think – Robert Pattinson/
Leggo il nome sul campanello accanto al cancello della casa che ho davanti e sto fermo senza alzare il dito e suonare. Non sapevo dove andare e cosa fare, ma mi è venuto spontaneo venire qua, non ci ho nemmeno pensato. Le mie gambe si sono mosse da sole ed ora sto qua ad aspettare che mi venga una buona scusa per giustificare al senpai la mia presenza qua. Cosa gli dico, quando mi apre? Cosa gli chiedo?
Non voglio tornare a casa, vedere i miei genitori e sentirli preoccuparsi per me e per questo mio stato fuori dalla mia solita norma.
Non sono mai così, sono sempre allegro, sorridente e scherzoso. Arrivo a casa facendo un gran baccano e mi metto subito a mangiare... ora tornerei e che farei?
Mi chiuderei in camera, poi mia madre verrebbe a chiedermi che mi succede ed io sarei sgarbato e non saprei cosa dirgli.
Non posso dirgli che col ragazzo che mi piace va male... non sa nemmeno che sono gay!
Bè, in realtà mi piacciono anche le ragazze...
Comunque non posso dirle nulla.
Ogni volta che il mio umore è nero per qualche motivo, spontaneamente me ne vado a zonzo per la città ed evito casa mia, magari vado a giocare a tennis da strada ma non torno mai a casa.
Questa è una di quelle volte però ormai è sera, è ora di cena ed io ho lo stomaco vuoto... non ho fame, ho un mattone dentro, però qualcosa devo fare e allora suono il campanello una volta per tutte, mi verrà qualcosa da dire!
Poco dopo dal citofono la sua voce familiare e gentile mi risponde chiedendomi chi sono ed io parlo dopo un attimo di esitazione, dicendo il mio nome.
Allora con stupore mi saluta e mi dice di entrare, infatti il cancello si apre insieme alla porta di casa.
Mi accoglie la sua figura alta e snella insieme ad un sorriso cordiale che però non tradisce la muta domanda su cosa io ci faccia qui a quest'ora...
- E' successo qualcosa? - Appena mi guarda con più attenzione, davanti a lui, lo capisce subito. Così mi fa sgusciare in casa e mentre aspetto a togliermi le scarpe guardo a terra.
Come mi sento a pezzi!
- In realtà si... - Mormoro col tono tipicamente scoraggiato.
- Ti va di parlarne? - Il mio silenzio gli fa capire che al momento non ci riesco, ma il problema è che non so come impostare il discorso, cosa dirgli di preciso, come spiegargli tutto quello che è accaduto fra me e Ryoma. Non è mica tanto facile... non mi ha scaricato, non stavamo nemmeno insieme, però per ora non vuole stare con me perché non sa cosa vuole e cosa prova; io sono sicuro che sia innamorato del capitano e lui di rimando si è anche arrabbiato con me.
No, non è decisamente facile da spiegare... come la prenderebbe il senapi?
Penso che fra tutti sia il più indicato, in fondo è chiaro come il cielo che sta con Kikumaru... non ci sono dubbi, insomma.
- Vieni, intanto accomodati, hai cenato? Noi stavamo per farlo... dico ai miei di aggiungere un posto, non ci sono problemi... - è ancora molto gentile e dolce, ha un aria così matura e sicura che gli invidio. Io sono tutto l'opposto, come ci si può innamorare di me? Io faccio scappare le persone!
- Non ho molta fame e poi non voglio disturbare... solo che... - Mi interrompo rendendomi conto che non voglio che mi mandi via e che ho bisogno di lui, di parlargli, di ascoltarlo; così mi faccio forza e con maggior fermezza alzo lo sguardo su di lui, finalmente incrocio i suoi occhi che non hanno mai smesso di guardarmi e parlo: - Senpai Oishi, ho bisogno di parlare con qualcuno. -
Il suo sorriso si allarga ed è caldo:
- Ma certo, vieni, andiamo in camera mia. - Allarga un braccio in direzione della sala accanto all'ingresso in cui siamo e poi il corridoio.
- Ma no, tu mangia pure, io aspetto, non voglio... -
- Non fare storie, Momo. Vieni e basta. Va benissimo così, davvero. -
Così annuisco e una volta scalzo mi avvio verso la direzione che ha indicato. I suoi sono in cucina e con un inchino di saluto e di scuse proseguo verso quella che mi dice essere la sua camera. Una volta dentro mi invita a sedermi da qualche parte ed io mi accomodo sulla sedia davanti alla scrivania, in punta, con ogni parte di me teso e pronto a scappare, ogni cosa di me trapela nervosismo a partire dalle mani che mi torco per finire con il labbro inferiore che mi mordicchio.
Non è da me essere così ansioso, sono sempre molto sicuro di me, so sempre cosa dire e come... ma ora mi sembra di essere un altro.
Oishi si siede sul letto verso di me, non siamo distanziati poi molto, è una camera dalle medie dimensioni molto in ordine e luminosa.
- Allora, che ti succede? - Vedendo il mio nervoso cerca di spingermi alla confidenza, bè lui è un tipo che ispira molta fiducia, più volte mi è capitato di parlare con lui ed è sempre stato molto utile. Mi segue molto e da come mi allena mi fa capire che crede parecchio in me e nelle mie capacità, ed io lo so benissimo.
Sospiro, così passandomi le mani sul viso appoggio i gomiti sulle ginocchia e il mento ai palmi, infine mi decido con un aria che sento smarrita e non da me:
- Mi sto innamorando di Ryoma. - Non ci sono molti modi per dirlo, in fondo, e lui conosce i miei. Non si aspetterebbe troppi giri di parole. Non fa una piega, non spegne la sua espressione dolce e aperta al dialogo, quel lieve sorriso di fiducia, quindi aspetta che prosegua perché lui sa che c'è dell'altro. - Lui è ancora addormentato in quel senso, volevo aspettare che crescesse un po', però non ce l'ho fatta e senza ragionare l'ho baciato, quindi mi sono dichiarato e gli ho anche chiesto brutalmente cosa provasse per me, dicendo chiaramente che penso che lui sia innamorato del capitano Tezuka. Ed ora, dopo che ho litigato con lui, so di aver sbagliato tutto e di averlo perso... - Smetto di parlare stupendomi di averlo fatto più facilmente di quanto avessi immaginato, così mi trovo a trattenere il fiato, alzare appena il viso dalle mie mani e a guardare il senpai che mi ricambia senza alcuno schifo nello sguardo.
Cosa pensa?
Come l'ha presa?
Con una tensione crescente che va alla bocca del mio stomaco contorcendomelo, lo fisso diretto ed ansioso di sentire cosa ha da dirmi.
Lui sa che io mi aspetto qualcosa anche se non ho fatto nessuna domanda esplicita, così dopo aver riflettuto un po' ed essersi assicurato che io non voglia dire altro, interviene con la sua tipica calma adulta.
- Bè, te ne sei accorto anche tu... hai avuto troppa fretta. Non era ancora pronto per una cosa simile... - Ed è ora, mentre continua a parlare, che io mi rendo conto che il sollievo maggiore non sono per le sue parole, né per il tono ma solo per il fatto che non sia orripilato da me, che gli sembri normale la confessione che ho fatto, che vada bene. - Però ora che è successo devi dargli tempo. Per me non è perso nulla e per cominciare sono sicuro che non sia innamorato di Tezuka, l'ammira molto, lo rispetta, lo tiene molto in considerazione, cosa rara per lui, ma non ne è innamorato. Deve solo far luce in sé stesso, però tu non devi fargli pressione. - Si appoggia con le mani dietro di sé, al letto, quindi accavalla le gambe e aspetta che io risponda in qualche modo. È sereno, è molto sereno, come se ricordasse qualcosa che è accaduto a lui poco tempo fa, molto simile a questo. Mi conosce bene, sa come sono fatto e cosa vorrei fare, che gli metterei ancora più pressione ma al tempo stesso mi capisce, mi capisce profondamente, non mi giudica e non mi accusa. Mi accetta e mi consiglia cercando di placarmi e tranquillizzarmi.
Così mi decido a parlare ancora, esprimendo l'ultimo dubbio, il più grande in fondo:
- Cosa dovrei fare, ora? - Sentire che per lui nulla è perso e che a Ryoma non piace il capitano in quel senso, mi dà molto sollievo, mi ha aperto un po' l'animo, mi sento un pochino più leggero ma non è ancora sufficiente. La parte più dura dovrò farla io, domani, davanti a lui.
Perché un chiarimento finale ci sarà di sicuro e sarà inevitabile poiché giusto.
- Per me domani dovresti andare da lui, scusarti della fretta che gli hai messo e con calma dirgli che gli darai tutto il tempo che gli serve per capirsi. - Si ferma un attimo, continua a scrutare ogni inclinazione del mio viso che lentamente si distende anche se rimane con un fondo di tristezza e sofferenza, mi drizzo sulla sedia, mi appoggio allo schienale e riprendendo a torcermi le dita comincio a dondolare le gambe. Sono ancora nervoso, ma meno di prima.
Merito del senpai.
- Per uno che pensava solo al tennis e che sentimentalmente era più indietro di quelli della sua età, la situazione in cui l'hai brutalmente messo è molto difficile. Ha solo bisogno di tempo, tutto qua. Vedrai che andrà tutto bene. -
Mi sembra di essere il suo fratello minore, un fratello a cui vuole molto bene e cerca sempre di proteggere e correggere. Non mi lascerà mai perdere, anche se sbaglierò sarà sempre lì, pronto ad indicarmi l'errore e poi la strada migliore da prendere dopo.
Sapevo che avevo fatto bene a venire qua.
Del resto quando agisco senza pensare, anche se a volte non sembra, le cose vanno sempre bene.
Devo solo aspettare che le azioni affrettate con Ryoma diano il loro frutto.
Lo daranno.
Devo crederci.
Assolutamente.
Non c'è scelta.
Sarà così.
L'ha detto anche Oishi e lui non si sbaglia mai!
Sospiro di nuovo e questa volta con ancora un po' più di leggerezza, quindi fermo mani e gambe e tornando lo sfacciato di sempre chiedo:
- Posso fermarmi a dormire qua? Sai, se torno a casa con questo umore mia mamma mi tormenta e certe cose non posso dirgliele... -
Lui sorride con un fondo di divertimento, quindi si alza e mi tira il telefono:
- Avvertila, però... e poi vieni di là a mangiare! -
Non è un ordine ma ‘5mmeno qualcosa su cui si può discutere, così rispondendogli con un altro sorriso, non in piena forma ma pur sempre un sorriso è, prendo il telefono che mi ha tirato e alzando la mano nel segno militare di saluto, dico squillante:
- Sissignore! -
Lui ridacchia scuotendo il capo, quindi esce e mi lascia solo per la telefonata.
Guardo la porta che si è richiusa e torno serio e pensieroso. Chissà se è come ha detto lui.
Io devo crederci perché altrimenti domani non riuscirò di certo ad andare da Ryoma a dirgli tutte quelle cose.
Sarà così.
Andrà tutto bene.
Devo crederci. “

/I cought myself – Paramore/
Mi ha piantato qua, in asso, di nuovo, per l’ennesima volta, dopo avermi tirato la patata bollente. Ed io ora secondo lui che dovrei fare?
Dannazione!
Quando fa così ho la grandissima tentazione di andare là e prenderlo a racchettate!
Stringo convulsamente il borsone con la racchetta da tennis che sto reggendo sulla mia spalla, contraggo i muscoli del mio viso mostrando un espressione liberamente irosa, quindi stringo le labbra in segno stizzito e assottigliando gli occhi nella direzione in cui è sparito mi volto e vado via diretto in quella opposta.
Via, lontano da lui o davvero gli tiro il Twist Serve più potente che abbia mai fatto!
Perché io riesco a perdere così facilmente la mia pazienza e a seccarmi fino a questo punto?
Devo imparare a lasciar perdere, porca miseria!
No, io devo sempre rispondere ad ogni provocazione, nessuno con me la passa liscia, però affronto la situazione a modo mio, punto laddove so di essere forte.
Qua… qua dove devo puntare?
Non posso risolverla con una partita di tennis… oh, come lo vorrei, però…
Dopo una miriade di sbuffi mi ritrovo in centro città avvolto nel buio della sera.
A casa mi daranno per disperso e onestamente non me ne frega molto.
Non ci penso minimamente a tornare là, con mio padre che mi scasserà, vorrà giocare, mi farà il terzo grado, mi romperà le scatole, mi prenderà in giro, non mi lascerà in pace… no, non ci torno!
Me ne starò qua finché non mi passa, anche tutta la notte se serve, non me ne importa!
È tutta colpa di Momo, poteva aspettare, perché non ha accettato la mia richiesta?
Che mai gli avrò detto, poi?
Gli ho chiesto tempo, non era una cosa ragionevole?
Ma che vada a quel paese, anche lui!
- Ehi, piccoletto… che ci fai qui tutto solo a quest’ora? Hai perso la strada di casa? – Una voce sbruffona e sconosciuta mi raggiunge subito dietro di me facendomi voltare già con un espressione irritata, non è serata per nessuno, giratemi alla larga!
Stringo di nuovo la cinghia del borsone con tutto il necessario per il tennis. Racchetta e pallina sono a portata di mano, non ci metto nulla a sistemare chiunque.
E forse non è male sfogarmi con qualche idiota!
È molto più alto di me ed anche grosso ma a farmi esitare un istante non è questo bensì il fatto che come lui, a circondarmi, ce ne siano altri quattro!
Che palle!
Incupisco la mia espressione senza mostrare il minimo segno di paura, quindi questi seccatori non mollano, pensano di potersi divertire un po’ e mi si avvicinano ulteriormente ridacchiando:
- Guarda guarda… il moccioso non ha paura! Bisogna spiegargli due cosette su come va il mondo ad un certo orario… che ne dite ragazzi? - Gli altri pecoroni sghignazzano spalleggiandosi come dei menomati mentali; no, non sono in vena. Non sopporto normalmente nessuno, figurarsi ora.
Non parlo, non proferisco parola, non è da me, non parlo quasi mai in questi casi. Preferisco agire.
Quindi apro la cerniera del borsone che ho in spalla e appena prendo in mano la pallina realizzo che sono troppo vicini, così stringendola fra le dita volto loro le spalle e li ignoro andandomene come se nulla fosse.
Sicuramente mi verranno dietro e non accetteranno questo atteggiamento ma allora io sarò alla giusta distanza per fare liberamente quel che voglio.
Facendo finta di avere Momo davanti a me, naturalmente.
Questo è il mio piano architettato velocissimamente senza un particolare approfondimento, ho la mente prevalentemente ottenebrata dalla rabbia per quell’idiota là quindi non ragiono molto, lo ammetto.
Sono completamente proteso verso di lui e quel che mi ha detto.
E fatto.
Però proprio quando ho mosso qualche passo vengo smentito dalla presa ferrea sul mio braccio, dunque mi chiamano: - Ehi, non abbiamo mica finito! – e mi strattonano girandomi di nuovo verso di loro. Lascio andare la pallina ma non muovo un muscolo, rimango con le mani lungo i fianchi ed un espressione irritata e cupa che dice tutto. Non sono molto socievole di natura, ora men che meno.
Il punto è che dovrei fare qualcosa, avere paura, dire una cosa sensata almeno… ma non mi esce nulla ed anzi rimango con questo atteggiamento strafottente.
- Questo non ci piace, lo sai? – Ringhia un altro mentre mi circondano. Paura… rispetto alla situazione in cui mi ha cacciato Momo, questa è una barzelletta!
Ho problemi ben più grandi, ora!
Non mi abbasso nemmeno a dire di lasciarmi in pace.
Sono insetti e dal mio sguardo capiscono ciò che penso infatti quello che mi tiene alza l’altra mano serrata a pugno pronto per colpirmi ma con piacere noto che non si infrange con il mio viso.
Momo?
Con una certa fretta e ansia mi trovo a spostare gli occhi sulla causa del suo arresto e noto chi non mi sarei mai e poi mai aspettato di incontrare proprio ora.
Il capitano Tezuka!
E la delusione si impadronisc di me.
Con un aria estremamente severa ma sempre sul gelido andante, tiene il polso del ragazzo e osservandolo dall’alto della sua statura, lo supera di qualche centimetro, gli intima di lasciarmi in pace e di andarsene.
Non fa altro, nessuna minaccia. Non ascolto nemmeno bene le parole esatte che usa visto che la confusione mi attanaglia proprio ora.
Perché dovevo incontrare proprio lui e proprio in questo stato d’animo terribile?
Preferivo i teppisti!
In un istante questi si dileguano lasciandomi da solo con lui che mi fissa sempre dall’alto della sua statura e sempre come se avesse davanti uno sbaglio della natura, ma magari questa è solo una mia impressione visto quanto ho pensato a lui in queste ultime ore per colpa di Momo.
Sospiro contrariato ricomponendomi, quindi distolgo lo sguardo dal suo che è molto diretto e penetrante ed io più nervoso di prima mi mordicchio il labbro e apro e chiudo le dita.
Da cosa deriva questo stato d’animo, ora?
- Che ci fai qua a quest’ora? Dovresti essere a casa… - In qualità di capitano è normale questa domanda, specie dopo che mi ha salvato da un pestaggio assicurato!
Che problema ho, ora?
È lui?
O piuttosto è perché è lui e non qualcun altro?
Che io in realtà sperassi in un intervento di Momo, come di solito succede?
Bè, mi sembra ovvio, ormai...
Arriva nei momenti giusti e mi salva da quelli con cui non me la caverei col tennis perché non ne capiscono nulla oppure perché sono sprovvisto di pallina e racchetta.
Ma che ne so, in fondo… ora so solo che sto male, che sono nervoso, che non mi piace questa situazione e che sto davanti a Tezuka che aspetta una spiegazione che non so dargli.
Anzi.
Non voglio dargli.
- Perché non sei a casa? –
Ripete con un pizzico di impazienza in più di prima.
Se mi piacesse lui come dice Momo sarebbe così facile, ma come lo capisco?
Come si capisce chi mi piace?
Basta che il mio corpo abbia inspiegabili accelerazioni, come è avvenuto prima con Momo, per un istante?
Mi sembra una cavolata, mi sembrano cose così stupide…
- Non sono dell’umore per andarci! – Rispondo con sincerità senza pensarci troppo.
Non nascondo mai ciò che penso, non sarebbe da me in fondo.
Non mi vergogno di nulla di quel che mi succede.
Anche se ho qualche problema coi miei sentimenti!
- No? – Mi chiede con una punta di scetticismo.
Non lo sto guardando in faccia ma so che avrà alzato impaziente il sopracciglio e si aspetterà qualche parola in più.
- No! Io… - A questo punto forse è meglio dirgli qualcos’altro… e perché? Perché dovrei? Chi è lui per prendersi qualche spiegazione? È solo il mio capitano di tennis ma ora non siamo a scuola o al club… perché dovrei dirglielo? Dirgli cosa, poi? Io non mi confido mai con nessuno, sono sempre fatti miei… - … ho litigato con Momo e… - Che diavolo sto facendo? Perché parlo così piano, esito così tanto e non oso guardarlo negli occhi?
Anzi… perché la mia voce… - … non posso reggere anche mio padre… - trema…?
La mia voce trema?
Non mi è mai successo.
Cos’è questa sensazione terribile che mi opprime dentro e cresce e sale sempre più?
Sembra voglia arrivare fino agli occhi e se esce cosa succede?
Cosa sarà, allora?
È voglia di piangere?
È questa?
Non l’ho mai provata, non lo so… ma se è questa è terribile ed insopportabile, umiliante…
Dio, come si resiste?
- Vieni, casa mia non è lontana. – Non dice altro, non mi offre nulla, solo mi dice di andare a casa sua. Di andare con lui a casa sua.
Se Momo avesse ragione dovrei sentirmi al settimo cielo, felice, essere contento di seguirlo, di stare con lui da solo, è stato lui a dirmelo, lui che non vuole lasciarmi solo.
Lui che ha capito il mio umore nero.
Appunto, è lui ad aiutarmi anche se con un semplice gesto come offrirmi rifugio invece che rispedirmi a casa a calci in culo.
Lui.
Lui che mi ha salvato e difeso, che ha risolto la mia situazione e che ora sta con me.
Non Momo.
A questo punto, mentre lo seguo avviarsi a passo normale verso casa sua, sento il mio mento ed il mio labbro tremare leggermente, così come il mio respiro.
Non ho mai guardato così tanto in basso come ora. Quando cammino guardo sempre in alto, sto dritto e non abbasso mai gli occhi.
Ora mi sento così pesante e strascicato…
Così a pezzi.
Così stanco.
Nemmeno la rabbia di prima, c’è più.
È tutto sparito così.
Non mi servirà fargli nessuna domanda, chiedergli nessuna opinione.
Non mi servirà.
Solo passerò la notte in un posto in cui sarò lasciato in pace e domani andrò da Momo a dirgli… dirgli che… che cosa gli dirò, quando lo vedrò?
Che farò?
Mi sentirò meglio?
Peggio?
Magari gli dirò quello che vorrei dirgli ora… ovvero che avrei voluto fosse stato lui ad aiutarmi e a seguirmi.
Che non mi avesse piantato in asso e che non si fosse arrabbiato con me.
L’ho ferito?
Si è stufato di me e del mio letargo sentimentale?
È finita ancora prima di iniziare?
Oh, come contano ora queste cose… ora che ho realizzato che se ne è andato e non è tornato indietro, mi ha piantato.
È arrabbiato con me.
Conta così tanto, ora, che lui sia arrabbiato con me?
Così tanto?
Vorrei solo che fosse lui, qua, ora, al posto del capitano Tezuka.
Vorrei solo questo… “