CAPITOLO 20:
IL TEMPO SCORRE VIA


/Seppellirlo
Non voglio che tu lo seppellisca
Non voglio che tu lo soffochi
Non voglio che tu lo uccida
Succhierai da me la vita/

- Muse -


- Non ho mai pensato che tu fossi mio fratello... o che potessi rimpiazzarlo con te.-
Fu questa la conclusione d'Alexander dopo il racconto di sé stesso. Un racconto fatto a modo proprio a dire il vero.
Alexis non replicò, del resto cosa avrebbe dovuto dire?
Tuttavia, che potesse essere così come diceva lui, l'aveva pensato. Se l’aveva tenuto solo per rimpiazzare suo fratello?
- Anzi, ad essere sincero sì. All'inizio, la prima volta che ti ho tirato dentro... ho pensato che tu potessi benissimo essere Yu. Poi però fisicamente proprio non ci somigliavi. Fu l'età a fregarmi. Ho visto che eri del suo stesso anno di nascita, secondo quanto mi avevi detto. È stato naturale per me pensare a lui. -
Un flash.
Ricordò quella sera in cui lui aveva scoperto che lei era una donna, la furia che l'aveva pervaso... tutto quello che aveva rotto per non metterle le mani addosso.
Aveva creduto che sarebbe finita male. L'aveva pensato realmente.
Tutto si spiegava. Sicuramente se l'era presa così perché ogni cosa andava a rotoli, in un certo senso.
- E poi ho rovinato tutto essendo femmina! -
Amara e scontenta, delusa in un certo senso di non aver risposto alle sue aspettative eppure allo stesso tempo infastidita dalla situazione che si era creata, dall'idea di aver rappresentato un rimpiazzo o una redenzione per la sua anima.
Lui si accese un'altra sigaretta e abbassò il finestrino, l'aria cominciò nuovamente a battergli contro il volto e i capelli scompigliati del tutto ricadevano disordinati sulla fronte, gli occhi a tratti nascosti dalle nere ciocche, a tratti liberi e penetranti verso la strada davanti a sé.
- Mah... femmina o no mi giustificavo in quel modo ugualmente. Raccogliere in casa uno qualunque dalla strada, per quanti problemi presentasse, non era mai stato da me. Con te l'ho fatto e DOVEVO spiegarmelo in quella maniera. Mi ripetevo inconsciamente, egoistico: "per Yu" -
Alexander scoprì un'insolita loquacità, non si trovava per niente bene a parlare tanto ma glielo doveva, in fin dei conti.
- E’ ancora così? -
La domanda ovvia arrivò a bruciapelo e nonostante se l'aspettasse, inizialmente rimase senza parole, ci dovette pensare bene.
La risposta sarebbe stata:
'No, non lo è più, perché mi sono innamorato di te e farò di tutto per non lasciarti andare via!'
Ma non l'avrebbe detto. Non ancora, non in quel modo, non ad un'Alexis con tutti quei problemi.
"Chi lo può decidere quando sarebbe pronta?"
Domanda che ignorò.
- No... ormai non lo penso più. -
Rispose serafico sperando che non chiedesse spiegazioni, ma conoscendola...
- Niente pena, allora... ok. -
- Non si trattava di pena ma di patetico senso di colpa nei confronti di una creatura che aveva passato e ne starà passando ancora molte! E d'egoismo. In ogni caso ora è diverso perché ho appreso da un bel po' che non posso certo cavarmela salvando dalla strada un ragazzino con la sua stessa età... di qualunque sesso esso sia! -
Dimostrò una maturità che a guardarlo nessuno gli avrebbe affiancato.
Di rimando Alexis rispose schietta, molto presa dal discorso:
- Certo che no, è stupido! -
Lui rimase ugualmente un attimo interdetto per la genuinità, ormai c'era abituato ma fino ad un certo punto. Faceva sempre effetto sentirsi dire certe cose in quel modo.
- Quindi? Perché ora mi tieni con te? -
Sapeva che glielo avrebbe chiesto, la conosceva veramente.
Ebbe un sorriso impercettibile che solo una che sapeva a memoria ogni più insignificante espressione ed inclinazione del suo volto, avrebbe potuto cogliere. Alexis la colse ma non v'indagò.
- Ormai te l'ho promesso... abbiamo fatto il patto, ricordi? Non posso cacciarti così su due piedi, sarebbe stupido anche quello, no? Io faccio carognate ma non stupidaggini! E poi... -
S'interruppe. Come continuare? Lui odiava quei discorsi.
- Poi? -
Invece a lei interessavano molto!
- Poi... non ho motivo per mandarti via. Siamo una bella coppia! -
Questa frase la fece arrossire leggermente, non abituata a sentirsi dire certe cose, si calò il cappello con la visiera larga sul volto e si girò verso il finestrino zittendosi di colpo.
"Così imparo a chiedere certe cose! Stupida!"
Il discorso si concluse lì. Per lui fu un sollievo parlare di questo e non di lui, di suo padre, di sua madre o di suo fratello.
Lo aveva già fatto troppo raccontando il suo passato.
Ora voleva solo cancellarlo e seppellendo sua madre magari ci sarebbe riuscito.
Magari... o forse no. Forse avrebbe solo capito che il passato non si sotterra, anzi, si accetta.
Capiva che aveva bisogno di un collegamento valido e giusto con la sua vita rinnegata. Quel collegamento era Yu e lui ne aveva bisogno, un bisogno disperato. Rivederlo, riabbracciarlo, essere quel fratello che lui per primo gli aveva negato.
Più di tutto aveva la necessità di riconciliarsi con il vecchio sé stesso, quello che si era incolpato di tutto accettando quel che aveva sempre odiato, prendendosi cura di un fratello non voluto.
Ora come ora, però, voleva solo sotterrare il suo passato.
Salutarlo, ringraziarlo per avergli dato quel poco che era riuscito a dargli e farlo riposare in pace mettendolo via.

Quando la vide stesa in quel lettino metallico con la camicia da notte bianca, non successe nulla di particolare.
Fissò la madre per un lungo momento, silenzioso e assorto.
Ricordava momenti felici e dolorosi passati con lei.
Come quando da bambino, prima che nascesse Yu, erano una famiglia molto felice. Il padre era sempre via per lavoro, non specificava che cosa facesse, aveva un'attività sua. Lui e la madre stavano soli per molte ore e si coccolavano.
Lei aveva un carattere ribelle e focoso ma in intimità sapeva essere una persona molto dolce solo che se ne vergognava, quindi cercava di non farsi vedere in pubblico.
Ci teneva alla sua immagine di dura.
Sembrava forte ed incrollabile.
Aveva la classica storia alla Cenerentola. Povera e maltrattata dai genitori, era arrivato il principe azzurro ricco, potente e bello a salvarla. Aveva fatto di lei la regina, una splendida regina.
Attualmente le cose sembravano ripetersi in modo talmente curioso da chiedersi come sarebbe finita 'questa' storia alla Cenerentola.
La precedente, quella dei genitori, si sapeva benissimo la fine tragica che aveva fatto.
Il padre era un tipo misterioso eppure affascinante da impazzire, tenebroso e sensuale. Una specie di Diavolo tentatore.
Capace di sedurre chiunque. Otteneva tutto quello che voleva, con ogni mezzo.
Per il piccolo Alexander i genitori erano degli Dèi.
Perfetti, splendidi, i migliori, incrollabili.
Adorava il modo risoluto e fascinoso con cui il padre riusciva in ogni cosa, amava il fuoco e la passione della madre.
Amava le coccole segrete che gli faceva lei e gli insegnamenti che gli dava lui.
Si era sentito un principe viziato e amato.
Amato veramente.
Era stata una botta terribile per lui. Non la nascita di Yu del quale era stato gelosissimo, nemmeno tanto la violenza e il rapimento del fratellino piccolo.
La botta per lui era stato vedere i suoi Dèi immortali ed eterni, crollare repentinamente e totalmente fino a coprirsi di fango. Vedere il padre scappare e venire ucciso, la madre, quella donna forte e passionale, quella persona che nulla l'abbatteva, perdere la ragione lentamente ma inesorabilmente.
Depressione bipolare.
Era stato questo a dargli la mazzata.
Ma prima di quel momento c'erano stati attimi felici e non li avrebbe dimenticati.
Non avrebbe scordato, in ogni modo, nemmeno quelli terribili che erano venuti dopo.
Il risveglio di giorno per giorno, aprire sempre gli occhi, scoprire d'essere ancora al mondo e chiedersi il motivo, sperare di chiuderli per sempre senza avere il coraggio di porre fine alle proprie sofferenze da solo.
L'angoscia di quando si alzava la mattina.
Un'agonia continua.
Eppure li amava ancora.
Anche se i suoi miti erano crollati, anche se lui era cresciuto sulla loro scia per somigliargli quanto più possibile.
Poteva immaginarsi come si erano conosciuti.
Sicuramente lui era stato attratto subito da lei, ma lei era stato uno spirito libero e l'aveva respinto. Lui, però, era stato uno che otteneva sempre tutto quel che voleva. E aveva voluto lei.
Quindi poi col suo fascino, col suo seducente modo di fare e la determinazione era riuscito a catturarla, l'aveva tirata su dalla strada ed una sera finalmente si era concessa alla sensualità di quell'uomo misterioso e splendido.
Era uno snob ma ormai era caduta nella sua rete.
Chi poteva dire se era stato un bene per lei oppure la sua rovina?
Da quell'unione giusta o sbagliata che fosse era nato Alexander... una persona che aveva sofferto e maledetto l'esistenza, Dio, ogni persona vivente, ma che era degno di stare al mondo, si era ripreso da solo e al presente poteva quasi ringraziare di essere vivo.
Gli piaceva immaginare come quelle due persone magnifiche si erano unite.
Varie versioni aleggiavano nella sua testa, ma tutte una più affascinanti dell'altra.
La bellezza di quel fuoco che si erano trasmessi l'un l'altro.
Alla fine rimaneva il motto di una folle che era diventato un desiderio muto, avveratosi insperabilmente.
Se sotto il cielo c'era qualcosa di speciale, sarebbe passato, alla fine.
Prima o poi.

Alexis guardò la donna. Aveva un volto felino, lineamenti tipici da zingara, probabilmente ne aveva qualche origine. Aveva un'espressione distesa e un'aria sciupata. Osservando potevano trapelare tutti i segni di sofferenza che aveva patito quella persona.
"Ma ora sta bene, si vede dall'espressione rilassata. Invidiabile, in un certo senso.
Come si fa ad avere paura di morire? È una sciocchezza... ci si libera dal dolore della vita. Chi se ne frega se poi si va nel nulla? Nel nulla in ogni caso non senti un tubo ed è sempre meglio che nuotare in questo stagno... anno dopo anno abbiamo solo imparato che siamo dei piccoli pesci sperduti che tentano di non annegare.
Sono riflessioni un po' banali, forse, ma siccome non la conoscevo sono le uniche che posso fare."
Dal di fuori sembrava cinica, in realtà cercava del sentimentalismo che non aveva o non pensava di avere.
Notò alla prima occhiata la somiglianza fra madre e figlio, era impressionante. Fatta eccezione per i capelli che lei li aveva rossi, ormai quasi bianchi, e lui neri.
Si soffermò sulle ciocche che libere si spargevano per il cuscino e le lenzuola del letto, cadevano poi giù, pendendo verso il pavimento, sfiorandolo. Come una provocazione, come una sofferenza per il terreno che ancora non poteva toccarli.
"Presto li toccheranno comunque... ed io, i miei... i miei li vorrei liberare come i suoi. Ma sono troppo codarda per mostrare quello che sono!"
Alexander dopo essersi lasciato invadere dalla solita ondata di ricordi legati alla madre, tornò in sé e si controllò, com'era nel suo stile.
Sentiva il bisogno di parlarle pensando fermamente che lo sentisse, in fondo glielo doveva.
Ora lo capiva, finalmente. Non l'avrebbe guardato con occhi interrogativi e assenti, non gli avrebbe risposto con un sorriso, una carezza e poi una frase che non c'entrava nulla.
L'avrebbe ascoltato, capito e in silenzio accettato.
Più di tutti aveva delle cose importanti da dirle.
Sussurrò a voce tenue, seriosa e indecifrabilmente serena. Rispettosa ma al contempo piena d'affetto. Un affetto suo, personale.
- Eravamo solo una banda di perdenti. La differenza è che io ho trovato nello schifo la mia carta vincente e tu ci hai trovato solo la pazzia. Ma avevi ragione. Alla fine qualcosa di speciale passa da tutti. Io ho trovato la musica e una persona. Tu la pace nella morte. -
Stette ancora un po' in silenzio. Si sentivano le lancette dei secondi di un orologio appeso al muro, i ticchettii rimbombavano sottili e fastidiosi, dettavano il suono del silenzio. Ogni singola parola pronunciata dal ragazzo pesava come un macigno e tutti, anche chi non li conosceva e faceva il proprio lavoro, ascoltavano presi provando ad immaginare il motivo d'ogni frase.
Ad Alexis vennero i brividi quando concluse:
- Mi mancheranno dopo tutto i tuoi abbracci vuoto, i tuoi sguardi svaniti, i tuoi sorrisi a qualcosa che non era presente. Il tuo mondo pieno di bellezza. Eri irraggiungibile in vita ma ora finalmente non lo sei più, è bello averti così vicina. -
La mora si trovò a trattenere il respiro contro volontà, se glielo avessero fatto notare non se ne sarebbe nemmeno resa conto. Non avrebbe mai voluto ammetterlo ma era coinvolta.
 Lei non l'avrebbe mai vissuto un momento simile.
Non avrebbe mai potuto dire addio a sua madre.
Lei non aveva una madre.
- Ciao mamma... -
Terminò con una carezza e un tenero bacio sulla fronte, come se fosse una bambina coricata nel letto nell'attesa di addormentarsi.
Era diverso, come un alieno. Un Alexander mai visto. Non freddo, non essenziale, non antipatico e nemmeno stronzo. Era dolce... era... un figlio.
Impossibile decifrare esattamente il cuore di Alexis, ma sentì bruciarsi gli occhi e una vampata le invase il viso mandandolo in fiamme, sentì un nodo alla gola formarsi e ingrandirsi secondo dopo secondo.
Il petto cominciò a fargli male, inspiegabilmente. Non per un mal di cuore, non per una malattia cardiaca. Per un dolore che aveva sempre represso e controllato.
Si morse il labbro inferiore, non respirava ancora; che le prendeva? Sentiva una mancanza concreta. Le mancava la madre.
Assurdo, lei non aveva mai avuto una madre, che senso aveva sentirne la mancanza?
Era schiacciata da sentimenti sconosciuti e troppo forti per lei.
Alexander si voltò per uscire dalla stanza e la vide.
Non capì che stava accadendo ma gli fece più impressione della madre morta.
Fece un passo avanti, poi un altro avvicinandosi ulteriormente a lei, allungò una mano posandola sulla guancia liscia e... bagnata.
Si, quelle che rigavano la pelle candida erano lacrime.
Alexis stava piangendo.
Spalancò gli occhi e non capì più nulla, si limitò a seguire il suo istinto: veloce e impensato l'abbracciò. Forte, con foga, quasi, e al contempo un vago sentore di delicatezza, come se stringesse l'essere più fragile e prezioso insieme.
La ragazza sentì il cappello caderle, lo stupore invaderla, le lacrime bloccarsi momentaneamente per poi riprendere il loro sfogo.
Confusa realizzò di star piangendo.
Lei che piangeva. Non aveva mai pianto. Come poteva?
Sentiva il sapore salato invaderle la gola e conscia di non farcela più si aggrappò con forza e quasi violenza a lui.
Lo strinse in modo disperato, i singhiozzi le scuotevano le spalle.
Un fugace pensiero si materializzò nelle loro menti per non cadere in quel vortice che si era creato.
Era venuta per aiutare lui ed invece era lui che aiutava lei.
"Che razza di vita ho vissuto fin'ora? Che vita vivrò da ora?
Alla fine dei miei giorni a chi dirò addio?
Cazzo... l'unica persona cui lo direi l'ho conosciuta solo qualche mese fa! Che brutto... sono sola... "