CAPITOLO
21:
LAGO
DI LACRIME
/Hai
raccolto i miei dubbi, hai raccolto le mie paure
Mi
hai guidato attraverso questo lago di lacrime/
-
L’ame Immortalle -
"Io
non ho mai capito nulla... nulla. Mentre lui è come se fosse
vecchio confronto a me.
Non
si fermano dannazione. Queste lacrime non si fermano più.
Che figura di merda, si perché l'unico con cui non mi
importa fare figure di merda è Alexander, che mi abbraccia
in questo modo inaspettato, caldo.
Non
riesco a pensare più, mi abbandono semplicemente. Quando ho
sentito pronunciare quelle parole ho sentito immediatamente un vuoto.
Qualcosa di irrecuperabile mi mancava.
Una
madre.
Mi
manca tutt'ora.
Io
non la saluterò mai ed ora che ci ripenso premo ancor di
più il volto contro il suo petto.
Singhiozzo.
Merda,
sto piangendo come una bambina, ma da quanto tempo è che non
mi permettevo più di farlo? Non ricordo nemmeno quando ho
pianto.
Ora
mi sento bruciare. Mi riconosco umana ed ho bisogno di cose terrene,
una madre, una famiglia, un uomo, un passato ed un futuro... eppure ora
voglio solo essere stretta ancora a lui.
-
Ti prego, non lasciarmi... -
Che
frase stupida... "
Mormorò
solo questo senza capirne il motivo. Stava crollando in tutta la sua
umanità, femminilità e fragilità,
tutto ciò che aveva sempre celato per anni e anni,
trattenuto con tutte le sue forze, ignorato, insultato, calpestato.
Le
mani fra i suoi capelli legati.
Basta.
Il
petto che si alzava e abbassava regolarmente.
Basta.
I
battiti tranquilli.
Basta.
Il
calore corporeo.
Basta.
Le
braccia forti che la circondavano.
Basta.
Voleva
smettere con tutta quella sceneggiata inutile, lei le aveva sempre
detestate.
Voleva
mostrarsi per quel che era, una donna, e non vergognarsene mai, non
averne più paura poiché ora poteva affidarsi a
qualcuno che non avrebbe permesso le accadesse qualcos'altro di male.
Voleva
fidarsi e affidarsi ad Alexander e lui soltanto.
Voleva
piangere.
Piangere
e basta.
Lui
la cingeva nascondendole il volto agli altri presenti che osservavano
senza capire, pensando che fosse dispiaciuta per la perdita della
signora.
Le
mani di lei strette a pugno sulla schiena forte e rassicurante.
Finalmente
non cercò più di trattenersi ma liberò
totalmente il suo dolore, singhiozzando convulsamente. Pianse
disperatamente e rumorosamente, senza rendersi conto della sua voce
spezzata che quasi gridava parole incomprensibili, gridava un dolore
estraneo a tutti. Piangeva come solo i bambini facevano quando erano
dilaniati da qualcosa di ingiusto e totale.
Fece
impressione ad Alexander che la conosceva ormai bene, non seppe far
altro che starle accanto in quel modo fisico, silenzioso e lo sguardo
penetrante, sinceramente dispiaciuto.
Giorno
di cambiamenti profondi.
Avrebbe
voluto piangere anche lui, ma le sue lacrime non c’erano
più da molti anni, gli si erano totalmente asciugate da
piccolo e non ne aveva più versate.
Sentì
un indistinto senso di tristezza per sé stesso e invidia per
Alexis.
In
seguito non sapendo esattamente come fare per aiutarla, fece l'unica
cosa che gli venne in mente. La portò distante da
lì, via, lontano da occhi sconosciuti, da impiccioni
fastidiosi ed estranei curiosi. Era un posto che aveva trovato appena
venuto in America; la clinica della madre non era in città
ma piuttosto fuori e da quelle parti si ergevano delle montagne, era
molto fuori mano e Alexander aveva trovato una radura con un fiume che
sfociava in un laghetto. Un bel posto che lasciava la pace a forza.
La
portò lì, sperando che potesse aiutarla anche lei.
Il
sole batteva ancora nonostante il pomeriggio inoltrato. Non c'era caldo
ma nemmeno freddo.
Si
stava bene.
Il
ragazzo lasciò indietro Alexis, arrivò alla riva
del lago, si tolse scarpe e calzetti, si arrotolò i jeans ai
polpacci e incurante della temperatura entrò nell'acqua.
Era
veramente molto fredda ma lui stoicamente resistette e non fece alcun
cenno, rimase impassibile, lo faceva spesso… si procurava
dolore fisico per provare la sua resistenza al freddo o al caldo e la
sua soglia era molto alta.
Si
bagnò le mani, il viso e un po' i capelli risistemandoli
all'indietro, nella sua versione formale da relazioni pubbliche.
Qualche ciocca gli cadde ugualmente sulla fronte, non v'era gel, per
cui sarebbe durato poco l'effetto.
Il
sole iniziò a calare e sicuramente presto avrebbero
assistito ad un tramonto spettacolare.
Alexis
ripensava allo strano ed assurdo pianto a quel punto della sua vita,
dove tutto finalmente girava. Aveva pianto per la morte della mamma
altrui. Stupido. Ogni lacrima, per lei, era inutile e stupida.
Anche
se effettivamente aveva pianto per le madri in generale, o forse per la
sua che non aveva mai ricevuto una sua lacrima poiché non la
ricordava più.
Aveva
pianto per tante cose represse ma non le avrebbe mai volute elencare e
ammettere, nemmeno a sé stessa.
La
testardaggine era molto acuta.
Gli
occhi le bruciavano e gli zigomi erano gonfi e rossi.
-
Dai vieni qua che ti fa bene... -
Disse
Alex.
Lei
non ne era molto convinta ma lo raggiunse lo stesso titubante e a passi
molto lenti. Appena mise i piedi nell'acqua brividi umanamente gelidi
la percorsero e d'istinto uscì imprecando, così
fu lui a muovere dei passi e tirarla dentro.
Lei
voleva andarsene infatti gridava di lasciarla:
-
DEBOSCIATO, MOLLAMI, NON SONO DELL'UMORE ADATTO PER CONGELARMI! IL TUO
CUORE DI GHIACCIO CI STA BENE A QUESTA TEMPERATURA. IO NO! -
Non
pensava veramente quel che diceva. Faceva finta che tutto andasse di
nuovo bene per rimediare alla figuraccia fatta.
Lui
la tenne saldo e senza fare espressioni sadicamente divertite, rimase
serio. Non la voltò, ma la lasciò. Lei non
uscì.
Rimasero
così fermi per un po', lasso di tempo in cui lui perse la
sensibilità ai piedi, movendo qualche passo sarebbe caduto
lungo disteso nell'acqua.
Una
volta che si perde sensibilità o impazzisci o non ci fai
più caso. Quando sei a quel punto tanto vale che rimani per
quanto vuoi, dopo ne pagherai le conseguenze ma Alexander non ci
pensava mai a quelle.
Lui
posò gli occhi grigi da felino sulla schiena di lei, ferma e
rigida dove i capelli ancora legati, un po' sfatti, resistevano. Senza
spiegarselo glieli sciolse, lentamente caddero lunghi fino al sedere,
lisci e meravigliosi, seta nera.
Erano
veramente splendidi.
Se
ne riempì lo sguardo, infine parlò adagio:
-
Non mascherarti più. Non vergognarti di ciò che
sei, non averne paura. Fai quello che ti senti. Sei libera, Alexis. -
Le
bruciavano, gli occhi le bruciavano ancora, di nuovo. Dannati e
prepotenti egoistici organi della vista!
Questo
l'aiutò a dimenticare i piedi che gridavano vendetta.
Altre
lacrime volevano uscire, chiedevano un attenzione nuova. Che diavolo le
prendeva ora?
Forse
aveva centrato in pieno la questione, l'aveva fatto in modo
così maledettamente diretto e semplice da impressionare.
Le
fecero male gli occhi ma non volle piangere ancora. Fu un istinto.
Di
scatto si abbassò e violentemente immerse il volto
nell'acqua. Riemerse subito e si mise a gridare forte.
Non
si capì bene da dove venisse quell'urlo, se da un Alexis
bambina, da una adulta, da una costretta a nascondersi, da una
costretta a mostrarsi falsamente... però venne fuori.
Forse
era un urlo di disperazione e sfogo...
E
le gocce le correvano sul viso ovale erano del torrente o lacrime?
Non
si seppe mai solo che quando smise di urlare si voltò,
guardò diretta Alexander e lo lasciò senza parole.
Sorrideva.
Sorrideva
veramente come sicuramente mai era ancora riuscita a fare.
Libera.
La
donna che era.
Si
era accettata definitivamente. Si sentiva talmente bene, rilassata e
sollevata da sorridere, da non resistere all'istinto di farlo.
In
seguito, però, dopo quegli attimi di benessere
tornò così violentemente in sé che si
rese conto del gelo che attanagliava i suoi piedi pungendole
addirittura l'osso, così corse subito fuori dal lago
imprecando come uno scaricatore di porto, poco fine e femminile. Del
resto certe cose erano innate in lei, ragazza o no!
Si
mise a saltellare stringendosi i piedi, poi cadde seduta a terra e
lì vi rimase con aria buffa. Tutta un'altra persona.
La
pagina era voltata.
Alex
osservandola scosse la testa. Era ancor più bella se
possibile.
-
Ma sei proprio fraida! -
Suggellarono
il patto, sarebbe rimasto tutto fra loro.
Da
ora sarebbe iniziato un nuovo periodo più interessante.
La
sera era calata nella valle deserta e i tipici rumori
notturni si levavano creando un atmosfera altrettanto suggestiva.
L'aria era diventata più fresca e umida.
I
due ragazzi sedevano poco distanti dal fiume, stesi in uno spiazzo
erboso fra sassi ed insetti.
Nessuno
era schizzinoso, anzi.
Era
da circa due ore che parlavano guardando il cielo cambiare
repentinamente colore, dall'azzurro al tramonto al crepuscolo ed infine
la notte. Sembravano non avere la minima intenzione di tornare a casa,
tanto meno di mangiare, era solo un posto dimenticato da tutti dove
poter stare soli e bene.
Non
sapevano cosa dire, erano persone fondamentalmente silenziose, abituate
alla solitudine, così quando si trattava di parlare facevano
scena muta.
Ad
ogni modo stavano bene.
Persi
nei propri pensieri, considerazioni e riflessioni, Alex e Alex, zitti,
guardavano in alto stesi sul terreno. Era così
buio che a stento si distinguevano, non si poteva dire che si vedevano
bene, il fresco, poi, era sempre più accentuato,
però loro ostinati rimanevano in quel posto.
-
Hai freddo? -
Disse
tutto d'un tratto lui. Lei presa alla sprovvista rispose sinceramente:
-
Si, un po', ma sto bene qua... -
Non
voleva andarsene. Sarebbe rimasta anni lì, sola con lui, in
pace con sé stessa.
Per
cui il suo gesto la sorprese solo un attimo, inconsciamente ci aveva
sperato ma aveva preferito l'ingenuità di non crederci.
Fu
il completamento di quel momento perfetto.
Alexander
le mise un braccio intorno alle spalle, creando un contatto innocente
coi corpi.
L'intento
di provocare calore riuscì in pieno, sorvolando sul vero
motivo!
Non
lo respinse, fece un sorrisino accennato e nascosto, si
accoccolò al suo fianco sentendo le linee muscolose e sicure
del suo fisico.
-
Meglio? -
Magnetico.
-
E’ perfetto. -
Non
capendo esattamente a cosa si riferisse.
-
Vorrei solo non finisse mai... - aggiunse a fior di labbra.
Era
leggera, poteva volare per la prima volta in vita sua. Qualcosa di solo
loro, esclusivo e personale, eterno ed irriducibile.
Finalmente
il mondo girava.
Posò
la mano lieve su quella di lui che cadeva sulla spalla, la prese
timidamente eppure naturale.
Avrebbe
potuto baciarlo senza imbarazzarsene ma sarebbe stato superfluo, in
più.
Anche
se evitò di guardarlo in quell'ulteriore contatto di mani.
-
Torniamo? -
-
Si... -
Prima
di andare ognuno nella propria stanza lui passò da lei per
vedere come stava, la vide rilassata e serena.
-
Mi dispiace, sembro io quella che ha subito un lutto. Ti ho tolto la
scena, cantante! -
Disse
seguendo la linea di un suo pensiero facilmente intuibile.
Alexander
rimase un po' colpito ma non lo diede eccessivamente a vedere, si
riprese subito. Ragionò di rimando che non aveva avuto tempo
di dispiacersi o stare veramente male, anche se non ne aveva avuto vero
motivo. Qualcuno che aveva sofferto moltissimo ora stava bene.
Perché dispiacersi?
-
Non fa nulla, non avevo nulla per cui provare dolore. Per me la morte
non è privazione, è una tappa. Ora lei mi
è più vicina di prima, sta meglio... e poi... -
Aveva
uno sguardo serio e ipnotizzante, l’osservò
puntando gli occhi azzurri in quelli grigi e ne rimase affascinata una
volta di più.
-
E poi? -
Erano
parole molto belle e lei le assorbiva tutte.
-
... e poi la scena è stata, è e sarà
SEMPRE MIA! -
Alexis
pensando di ascoltare una perla di saggezza, quando realizzò
che così non era si arrabbiò e sbottò
donando un gentile calcio negli stinchi:
-
SCEMO! IO ERO SERIA! -
Alexander
massaggiandosi la gamba rimase imperturbabile:
-
Anche io! -
Una
serie di insulti fece capire che era veramente tutto a posto, tornato
come prima, anzi meglio.
Lui
a questo punto accennò una specie di sorriso che nemmeno con
la buona volontà fu capace di far arrivare agli occhi, ma
l'idea c'era.
-
Bentornata... o forse è meglio ben arrivata! -
Così
dicendo le diede un bacio sulla fronte, casto e fuggevole. Alexis
rimase di stucco a bocca aperta già pronta per insultarlo,
si bloccò colpita dal gesto inaspettato, sgranò
gli occhi grandi e chiari che spiccavano fra i capelli neri ora sciolti.
Lui
non attese altro ed enigmaticamente se ne andò in camera
lasciando lì a tenersi la fronte, con il volto di mille
colori ed un pensiero confuso:
"Don
Giovanni del cavolo!"