CAPITOLO
II:
UN
ODIO RADICATO
Ciò
in cui Yoel si tuffò non fu un sonno senza sogni,
bensì i ricordi più dolorosi che erano
indelebilmente segnati nella sua memoria.
Ogni
volta che stava male le affioravano alla mente come monito e sprone per
non mollare, rialzarsi e ritrovare le forze di non mollare.
Non
si sarebbe mai data per vinta, finché la sua memoria avrebbe
ricordato il suo passato e quegli eventi dolorosi che
l’avevano innegabilmente segnata.
Suo
padre era un esploratore di mare, faceva molti viaggi per poi tornare
con nuovi tesori o scoperte stravaganti.
Quel
frutto glielo portò lui in uno di quelle incursioni marine
al largo dell’oceano.
Lei
era la figlia di mezzo, stava fra due fratelli maggiori e due sorelle
minori, non sarebbe dovuto spettare a lei l’assaggio di
quella cosa e in linea di logica nemmeno a nessun altro se non al padre
stesso. Lui sapeva che cos’era, in quanto esploratore
conosceva molte nozioni però aveva spiegato che non
l’aveva mai visto dal vivo.
Prima
che lui potesse parlarne oltre, lei veloce come un anguilla e monella
come pochi, l’aveva addentato incuriosita di sapere che
sapore avesse quella roba strana e buffa. Alla fine non ne era stata
molto impressionata, aveva fatto peggio il padre che allargandole la
bocca per guardare dentro agitato, l’aveva quasi fatta
vomitare.
Solo
dopo una serie di rimproveri aveva capito che si trattava di un Frutto
del Diavolo e che mangiandolo si acquisivano capacità
innaturali e che si perdeva la capacità di nuotare.
Non
le era parsa una tragedia, lì per lì, ed anzi si
era eccitata una volta capito i poteri che aveva preso.
Poter
trasformare il suo corpo nella materia che toccava era fantastico,
specie quando aveva cominciato a controllarlo un po’ meglio
senza trasformarsi in tutto ciò che toccava. Aveva imparato
a mutare solo concentrandosi e gridando la parola
‘mat-mat’, il nome del suo frutto, mentre toccava
qualcosa.
Però
la curiosità di sapere cosa sarebbe successo se ci avesse
provato con qualche cosa di immateriale, era rimasta grande in lei.
Non
si era mai pentita di quella bambinata ed era comunque stata presto
perdonata a patto che non si avvicinasse mai al mare.
La
sua famiglia era unita e numerosa, non si perdeva dietro ad
arrabbiature e rimproveri vari, ecco perché Yoel ne
combinava sempre tante.
Era
una personcina indomabile.
Quel
giorno, però, segnò la fine della sua vita felice
e spensierata.
Non
capì, non capì mai veramente come fu possibile e
nemmeno il perché, capì solo che quei
bombardamenti non erano la guerra ma solo dei pirati.
Capì
per la prima volta che ‘pirati’ erano sinonimo di
morte.
Nessuno
si prese mai la briga di spiegarle perché sconosciuti con un
teschio sulla loro bandiera nera potevano attaccare qualsiasi villaggio
radendolo al suolo.
Però
arrivarono facendo una gran confusione, gridando cose incomprensibili e
mettendosi a razziare e saccheggiare, bruciando ogni posto che
prosciugavano. Pareva lo facessero per puro divertimento, senza il
minimo riguardo per le persone che venivano ferite o addirittura uccise.
Non
potevano essere umani.
Yoel
si disse che i pirati non erano uomini.
Se
lo disse poco prima che anche la propria casa venisse presa
d’assalto.
Quella
notte sembrava che fosse arrivata la fine del mondo.
Le
fiamme bruciavano la gran parte delle cose, mentre il resto veniva
distrutto ugualmente da quel numero spropositato di gente disgustosa.
Erano
dei diavoli, non potevano essere che questo.
La
sua famiglia non venne risparmiata e lei, reagendo piena di rabbia,
odio e disperazione, usò per la prima volta i suoi nuovi
poteri con dissennatezza per attaccare qualcuno. Lo fece con la seria
intenzione di restituire loro ogni cosa.
Ecco
perché aprì i palmi verso l’alto in
segno d’accoglienza all’aria che la circondava.
Quando
la sua bocca pronunciò le due parole d’accesso
alla trasformazione, il proprio corpo venne istantaneamente reso
inconsistente. Al suo posto ci fu solo un turbine violento
d’aria che rimase piccolo quanto lei. I pirati che
assistettero alla scena rimasero sbalorditi.
Lei
ERA il vento.
A
bocca aperta compresero che aveva mangiato un Frutto del Diavolo e per
quanto bambina fosse, sembrava abbastanza infuriata da utilizzare quel
potere in modo sconsiderato e pericoloso. Fu solo un pensiero fugace,
non riuscirono a tradurre in azione l’avvertimento urlato a
gran voce ai rispettivi compagni.
Non
ci riuscirono perché quella piccola tromba d’aria
si trasformò in una tempesta vera e propria che, con una
notevole potenza dovuta alla sua ira, si scagliò sui pirati
che avevano osato colpire la propria casa e la propria famiglia.
Però
fu un attimo di completa confusione.
Non
comprese esattamente cosa accadde. Agì solo
d’istinto.
Quando
cercò di tornare normale, vide che non sarebbe potuto
accadere come tutte le altre volte.
Per
un attimo ebbe paura di disperdersi totalmente nell’aria
senza fare più ritorno in sé, costretta a vagare
per l’eternità nel cielo, girovagando per il mondo
in cerca delle altre sue parti.
Però
con la disperazione della paura che la divorò,
trovò una forza di volontà che in una bambina non
sarebbe stato normale trovare.
Quella
volontà mentale che le salvò la vita facendo
sì che il suo corpo, dopo aver scagliato lontano e
spaventati i pirati assalitori, si ricomponesse.
Però
nel momento in cui comprese di essere tornata in sé, svenne
immediatamente priva di forze per la grande ed impegnativa prova appena
eseguita.
Quando
riaprì gli occhi si accorse di vedere solo da un occhio e di
non sentire da entrambe le orecchie, quindi toccandosi si rese conto di
avere una profonda cicatrice sul volto e di non avere più
l’orecchio sinistro. Non sentiva dolore, era solo molto
stanca. Capì che non si sarebbe mai dovuta trasformare in
qualcosa di immateriale, ma il momento dello stordimento fu superato
quando si guardò intorno vedendo per lo più morte
e desolazione intorno a sé.
Trovò
i suoi genitori morti come anche i suoi fratelli e le sue sorelle,
trovò la propria casa bruciata come tante altre intorno a
sé, trovò che ormai anche se li aveva mandati
via, era stato comunque troppo tardi.
Trovò
solo sé stessa in mezzo ad uno spettacolo raccapricciante.
E
il desiderio di morire la pervase avvolgendola a lungo mentre cercando
di spegnersi per la fame, senza fare assolutamente nulla, invocava la
morte.
A
salvarla dal buio in cui la sua mente disperata si era ritrovata,
arrivò un bambino poco più grande di lei, aveva i
capelli rossi che gli coprivano abbastanza ordinatamente la fronte, le
orecchie ed il collo. Degli occhialini in plastica da esploratore
facevano sfoggio di sé al collo e l’aria
bruciacchiata denotava che anche lui se l’era vista male, in
quella disgrazia.
Le
si avvicinò chiedendole se stesse bene e lei non rispose.
Quindi si presentò dicendo di chiamarsi Nail ma al suo
ostinato silenzio si sedette con lei intenzionato a non lasciarla sola
finché non si sarebbe decisa a parlargli e a reagire.
Passarono in quel modo molto tempo, tempo in cui lei si era chiesta
come mai lui facesse così per lei e, non trovando risposta,
si trovò a chiederglielo con la propria voce che non usciva
da molto. Nail, allora, rispose lieto di sentirla parlare. Le disse che
erano uguali e che anche altri bambini erano rimasti soli come loro e
che di lui poteva fidarsi. Le disse che non doveva arrendersi e che
voleva aiutarla per creare una nuova famiglia con cui andare avanti e
lottare. Che da solo non ci sarebbe riuscito ma con tutti coloro che
avevano subito la sua stessa tragedia, la forza di vivere e andare
avanti l’avrebbe trovata. Quando menzionò la
memoria delle loro famiglie scomparse, allora lei si riscosse e come se
avesse detto le parole giuste, Yoel si trovò a sciogliersi
in un pianto disperato pieno di dolore, aggrappata a lui che
inspiegabilmente l’abbracciava sorridendo dolce.
Quello
fu solo l’inizio della sua nuova vita, una vita che in
seguito, crescendo con tanti altri orfani, l’avrebbe portata
a diventare un tipo selvatico e mascolino, a diventare forte come tutti
gli altri suoi amici, a ricostruire la città distrutta
insieme ad altri superstiti dell’assalto, ma soprattutto ad
odiare con tutta sé stessa i pirati, cacciandoli ogni
qualvolta che qualcuno attraccava alla loro isola.
Si
erano fatti un nome nella loro zona ed ormai erano conosciuti come la
banda anti pirati.
Erano
davvero rinati ma se si fossero separati non sarebbero sopravvissuti a
lungo, la loro forza più grande non era tanto
l’odio per quella categoria secondo loro immonda di persone,
quanto l’unione solida e profonda che li legava.
Con
calma, finalmente, quelle immagini dolorose andarono via ridonandole la
forza ed il coraggio di tornare alla vita e riprendere da dove si era
interrotta.
Non
si sarebbe mai arresa, per la sua famiglia e per i suoi amici.
Già…
i suoi amici!
A
quel pensiero spalancò i suoi occhi che come di consueto le
ridonarono la vista solo da uno di essi. Ormai era abituata ed aveva
comunque acuito tutti gli altri sensi.
Una
fitta di mal di testa la bloccò dall’alzarsi
improvvisamente e tenendosi la fronte dove la frangia nera si
spettinava ulteriormente, tornò a sentire la consistenza del
proprio corpo.
Oltre
alla testa provava un forte dolore al fianco ma a forze stava
decisamente meglio rispetto a quando si era svegliata prima.
I
suoi amici erano in pericolo, doveva sbrigarsi a riprendersi.
Di
nuovo quel pensiero la spronò a guardarsi attorno per darsi
da fare subito, però la debolezza per il digiuno e i
medicinali le permisero solo di alzarsi a sedere lentamente.
Aveva
fame.
Una
fame mostruosa.
Si
sentiva intontita ma comunque affamata.
Si
sarebbe ripresa presto. Dedusse questo.
Aprì
la bocca impastata per parlare e chiamare qualcuno, quindi
cercò di mettere a fuoco l’ambiente circostante.
Era in una stanza ma non le pareva di conoscerla.
Eppure
quando si era svegliata, prima, era ancora all’aperto, ne era
sicura.
-
C’è nessuno? – Chiese roca.
Muovendosi
per alzarsi meglio sentì una fitta al fianco, quindi si
toccò il punto notando la benda.
Era
stata curata.
Poi
si ricordò di quel ragazzo dai capelli biondi e provando a
ricordare il nome le vennero solo altre fitte alla testa.
Che
fosse sola?
Fu
lì che la porta si aprì facendo entrare una
strana renna piccola dal naso blu.
Alzò
un sopracciglio sbigottendosi per un istante.
-
Oh, ciao! Ti sei ripresa! – Esordì entusiasta.
Parlava?!
“Devo
aver preso proprio un brutto colpo… forse mi hanno sparato
alla testa e non al fianco… in questo caso sarei
morta… ok, quello di prima poteva anche sembrare un angelo,
volendo, non era male… ma una renna in miniatura parlante
non credo possa essere un angelo. O mi sbaglio?
Dove
diavolo sono?”
Pensò
in un turbine caotico mentre lo vedeva aprire la porta per chiamare a
gran voce altre persone.
In
breve si ritrovò con una serie di sconosciuti più
il giovane di prima con un vassoio fumante di cibo profumato che le
mosse ulteriormente l’appetito.
Lo
stomaco le gorgogliò e lei arrossì venendo
comunque distratta da alcune urla che provenivano
dall’esterno della stanza.
-
Ma perché non possiamo entrare anche noi? –
Chiedeva qualcuno concitato.
-
Perché voi siete strani e lo spaventate! E’ quasi
morto, volete che guardandovi completi il lavoro? –
L’altra voce era femminile e molto decisa. Dopo alcuni
rimbrotti la porta si riaprì ed entrò una ragazza
dal bel corpo tutto curve ed i capelli arancioni.
-
Ciao… ti sei ripreso? – Notò che la
chiamavano al maschile e se ne compiacque. Significava che non
l’avevano spogliata e che l’idea di sembrare un
uomo per non farsi discriminare dagli altri, funzionava.
Annuì
vaga, quindi il biondo col vassoio in mano venne avanti
appoggiandoglielo sulle gambe per farla mangiare:
-
Tieni, ti ho preparato qualcosa per riprenderti meglio. – La
sua voce calda e pacata era proprio quella che aveva sentito prima,
ebbe così la conferma che si trattava di lui e come un flash
le venne in mente anche il suo nome.
-
Sanji, vero? – Disse quindi sempre con voce flebile e roca
guardandolo diretta negli occhi di cui uno, per qualche ragione strana,
era coperto dal ciuffo di capelli lisci. Lì notò
anche il sopracciglio arrotolato, decisamente buffo. Nel complesso
rimaneva comunque un bel ragazzo.
Lo
pensò con lucidità o forse con troppo poca visto
che normalmente non si soffermava su quel genere di cose.
-
Si, sono io… ti ricordi il mio nome… tu sei Yoel.
– Rispose quindi gentile. I suoi amici si stupirono non poco
dei suoi modi, li riservava solo alle donne, non era comune vederlo
avere un approccio simile con un ragazzo. Iniziando a mangiare con
lentezza per non trovarsi a vomitare l’istante dopo, si prese
la briga di osservare anche gli altri che attendevano qualche sua
spiegazione.
Vide
un ragazzo moro che teneva un cappello di paglia abbassato dietro il
collo, costui aveva l’aria più curiosa di tutti e
la fissava come se fosse un fenomeno raro. Chissà cosa si
aspettava da lei.
C’era
poi la ragazza dai capelli arancioni ed il bellissimo corpo che
probabilmente era la mente del gruppo, un buffo moro dal naso lungo e i
ricci trattenuti da una bandana ed infine la piccola renna.
Bè,
se fuori c’erano individui più strani di quello
allora veniva proprio da chiederselo: dove era finita?
Quindi
diede voce a questa sua domanda:
-
Ma dove sono? – Che era stata trovata ferita e che
l’avevano curata, l’aveva capito, ma dove
l’avevano ficcata poi?
-
Sei sulla nostra nave, era arrivata la sera e siccome non ti svegliavi
abbiamo pensato di metterti più comoda e aspettarti.
– Rispose per tutti la ragazza. – A proposito, io
sono Nami, lui è Rufy, lui Usop e lui è Chopper.
È un medico. – Lì si fermò
dal mangiare e aggrottando la fronte disse scettica:
-
Lui è… - Nami la precedette:
-
Si, è una renna però ha mangiato il Frutto del
Diavolo Zoo-Zoo modello uomo che gli permette di fare cose anormali per
la sua specie. Se ti sei salvato è merito suo. –
Asserì con una certa praticità nel tono, era
comunque gentile.
-
Abbiamo cercato i colpevoli della tua ferita e della morte di quei tre
uomini, ma non abbiamo avuto successo, così abbiamo deciso
di aspettare il tuo risveglio. – Asserì Rufy con
un sorriso che non sembrava sensato in quel momento.
Cosa
aveva da sorridere?
Terminò
così la cena e mise da parte il vassoio ringraziando
educatamente, poi sentendosi di nuovo in forze grazie anche agli
antidolorifici, finalmente parlò con decisione e
serietà:
-
Quelli li ho uccisi io. Erano pirati. Piuttosto i miei amici sono
spariti e se mi hanno lasciato là ferito significa che sono
stati rapiti da quei bastardi. Devo trovarli e recuperarli, hanno
bisogno di aiuto! Loro sono tutto quello che ho, non posso permettermi
di perderli. – Non chiese chiaramente aiuto ma fu come se lo
facesse.
Mentre
lei parlava Nami, Sanji ed Usop notarono subito l’astio nei
confronti dei pirati ma rimasero maggiormente impressionati dalla sua
storia. Dovevano essere stati assaliti, ma perché prendersi
la briga di rapire delle persone?
A
Nami questa cosa non quadrò infatti col fiuto per gli
affari, ormai, prese la parola con fermezza decisa a scoprire
ciò che veramente le interessava:
-
Come mai avrebbero preso i tuoi amici? Te ti avranno creduto morto e ti
hanno lasciato lì, ma se hanno preso loro significa che
hanno qualcosa che conta. –
-
Cosa vuoi dire? – Chiese ingenuamente Rufy non capendo dove
volesse andare a parare. Con pazienza marcata, lei glielo
spiegò:
-
Non è normale che pirati rapiscano qualcuno senza un buon
motivo. Piuttosto li uccidono, senza un buon motivo, ma non li
rapiscono! Devono avere qualcosa che può interessare solo a
dei pirati. E cosa può interessare a dei pirati? –
Rufy continuava a non capire ancora, quindi spazientito intervenne
Sanji incrociando le braccia al petto e scoccandogli un occhiataccia
severa:
-
Un tesoro, testone! – Finalmente il moro comprese con
un’espressione di stupore ma quel che catturò
l’attenzione di Yoel fu principalmente lo sguardo strano
della ragazza.
Sembrava
come se si fosse illuminato di una gioia sadica. Non capì
proprio… era stata la parola ‘tesoro’ a
farla cambiare così.
Preferì
lasciar perdere per rispondere a quell’ipotesi più
che plausibile.
-
Sarebbe logico, certo, ma non ne ho idea. Noi non abbiamo un
tesoro… però mi pare di averli sentiti parlare di
qualcosa del genere. Mentre combattevamo chiedevano di questo tesoro,
solo che non gli ho dato retta pensando che vaneggiassero! –
Nami
fece un passo avanti con un aria sempre più furba ed
illuminata:
-
Ed invece no, mio caro. Se hanno rapito i tuoi amici loro pensano che
ci sia davvero un tesoro. E se loro lo pensano non
c’è ragione per cui non debba esserci! –
Sembrava
un ragionamento logico che filava senza una grinza.
-
Si, ma noi non ne sappiamo nulla, non lo possediamo! Quando lo
capiranno… - Sanji non le fece finire la frase capendo al
volo il suo pensiero e condividendolo a pieno.
-
Li faranno fuori. – Seguì un minuto di silenzio a
seguito di questa affermazione incisiva, dopo di ché Yoel si
alzò ignorando la spossatezza per la propria ferita che non
si sarebbe rimarginata troppo in fretta, quindi prendendo le sue cose
che consistevano in due pistole, una spada e una serie di pugnali,
asserì dura e sbrigativa:
-
Non ho un minuto da perdere, devo sbrigarmi a trovarli! – Non
le sarebbe mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello
di abbandonarli.
Mai
e poi mai.
-
Ma non ce la puoi fare da solo! – Disse preoccupato Usop,
l’eterno pessimista. Sembrò nemmeno sentirlo
poiché scostandoli si diresse decisa verso la porta per
uscire e darsi da fare subito.
-
Non ho scelta. Non li lascerò nelle loro sporche mani!
– Ancora una volta uscì quell’odio
sempre più palpabile per la categoria dei pirati. Era vero,
non sembrava avercela con loro perché avevano rapito i suoi
amici ma bensì perché erano pirati.
Ma
Nami, pur capendo questo concetto al volo, non si sarebbe mai fatta
sfuggire l’occasione di trovare un tesoro.
“Non
ci scappi caro! Trovando i tuoi amici troverò il tesoro, ne
sono certa! Quindi tu ci servi!”
Venale
come al solito, del resto le avventure migliori partivano
così… grazie ad un tesoro da trovare!
-
Noi possiamo aiutarti. Ragiona, da solo in queste condizioni non puoi
farcela. –
Yoel
si stupì di questo interesse… perché
volevano aiutarla?
Nessuno
aiutava qualcuno senza voler nulla in cambio. A parte che non fossero i
suoi amici, ovviamente.
Si
fermò davanti all’uscio tornando a guardarli
interrogativa e spaesata per un istante.
-
Ma perché vorreste aiutarmi? –
Nami
non riuscì a dire nulla di intelligente per convincerla
poiché fu preceduta dalla porta che si apriva facendo
apparire Zoro sulla soglia, proprio dietro di lei.
Fu
lui a fungere da risposta e forse sarebbe stato meglio evitarlo.
-
Allora, che succede? – La sua voce brusca e poco socievole
arrivò al suo orecchio, quindi prima che qualcuno potesse
ribattere, lei si voltò guardandolo. Era una ragazza
piuttosto alta, tutto sommato, ma ugualmente si trovò a
fissarlo dal basso.
Tre
orecchini al lobo, tre spade, quel viso inconfondibile e conosciuto
ancor prima che arrivasse una taglia sulla sua testa.
Ecco
chi erano.
Ecco
perché volevano aiutarla.
Ora
tornava tutto.
-
Tu… tu sei Roronoa Zoro… il cacciatore di
pirati… - Mormorò con profondo stupore che la
spiazzò facendole spalancare l’occhio sano dove il
nero dell’iride si confondeva con quello della pupilla.
Lì
per lì si raggelò mentre nella mente, come un
turbine di pensieri crudeli, le arrivavano tutte le sue dannatissime
risposte.
“Conoscevo
e ammiravo Zoro prima che diventasse un pirata. Non ho mai voluto
sapere in che ciurma fosse entrato né perché. Mi
è bastata la notizia che si era unito alla pirateria, per
farmelo crollare. Il mio mito, l’esempio che tutti noi del
gruppo avremmo voluto seguire ci aveva traditi. Ora è anche
lui un portatore di morte e distruzione. Ora è anche lui
peggio di una bestia. Ora anche lui non è più un
uomo!
Non
è possibile.
Lui
qua.
Significa
che questa è la ciurma a cui si è unito.
Significa
che questi impostori non sono altro che pirati del cavolo!
Dannatissimi
ed odiosissimi pirati!
Vogliono
aiutarmi per ottenere quel maledetto tesoro, tutto qui!”
Mentre
comprendeva tutto ciò come se mille pugnali la
trapassassero, sentì la ferita al fianco dolergli
maggiormente di nuovo, come se gli antidolorifici avessero finito il
loro effetto. Rimase impietrita davanti a lui mentre pochi o forse
nessuno capiva cosa stava accadendo.
Ma
al termine delle sue considerazioni sentì montargli dentro
un’ira consueta che ormai conosceva bene.
L’ira
della delusione, dell’odio e del disprezzo.
Zoro
l’aveva delusa tantissimo a suo tempo ed ora lo disprezzava
con tutto il suo cuore.
Se
lui non fosse mai entrato, magari, avrebbe anche accettato il loro
aiuto senza sapere.
Ma
ora sapeva e arrabbiata come le accadeva facilmente grazie al suo
carattere non facile, lo prese per la maglietta a maniche corte e
strattonandolo con una forza che non poteva avere ancora, gli
gridò addosso con un espressione infuriata di fuoco puro:
-
VOI SIETE PIRATI! SIETE SOLO DEI MALEDETTISSIMI PIRATI, ECCO COSA
SIETE! ECCO PERCHE’ VOLETE AIUTARMI! VOLETE QUEL DANNATO
TESORO! NON VE NE FREGA NULLA DI ME! E COME POTREBBE, NON MI CONOSCETE
NEMMENO! SIETE SOLO DEI FALSI IPOCRITI LADRI E PORTATORI DI MORTE!
ANDATEVENE VIA PRIMA CHE VI UCCIDA CON LE MIE MANI, COME HO FATTO CON
QUELLI LA'! NON LO FACCIO SUBITO SOLO PERCHE’ MI AVETE
SALVATO LA VITA E DEVO TROVARE I MIEI AMICI! MALEDETTI PIRATI! VIA DA
QUEST’ISOLA! –
Eppure
in realtà avrebbe voluto chiedergli perché aveva
deciso di diventare un pirata lui stesso, perché era
cambiato così, ma le uscirono solo quelle parole che
stupirono tutti i presenti.
Si
affacciarono altri individui che non notò, quindi si
sentì afferrare le mani dalla presa decisa di Zoro che,
staccandola e guardandola severo e cupo, le disse basso e penetrante:
-
E allora vattene tu! – Anche questo le arrivò
più come uno sparo.
Si
sentì spiazzata e ferita come durante la battaglia di
qualche ora prima, quindi senza fiato e mordendosi il labbro, ancora
con il volto sfigurato dall’ira e sconvolta come poche volte
le era accaduto, staccò le mani dalla sua presa. Gli
lasciò ancora un ultimo sguardo di fuoco ricambiato da uno
piuttosto tenebroso, poi se ne andò uscendo di corsa dalla
cabina e dalla nave stessa, udendo solo un tonfo, probabilmente un
pugno che si infrangeva sulla testa di qualcuno, e un rimprovero
seccato della ragazza:
-
Risposta sbagliata, zuccone! –
Non
udì altro, preferendo andarsene per dimenticare presto
quello spiacevole incontro che volente o nolente l’aveva
scossa molto solo perché, il pirata in questione con cui
aveva avuto a che fare, era proprio Zoro, il suo primo idolo.