CAPITOLO II:
UN ODIO RADICATO

Ciò in cui Yoel si tuffò non fu un sonno senza sogni, bensì i ricordi più dolorosi che erano indelebilmente segnati nella sua memoria.
Ogni volta che stava male le affioravano alla mente come monito e sprone per non mollare, rialzarsi e ritrovare le forze di non mollare.
Non si sarebbe mai data per vinta, finché la sua memoria avrebbe ricordato il suo passato e quegli eventi dolorosi che l’avevano innegabilmente segnata.
Suo padre era un esploratore di mare, faceva molti viaggi per poi tornare con nuovi tesori o scoperte stravaganti.
Quel frutto glielo portò lui in uno di quelle incursioni marine al largo dell’oceano.
Lei era la figlia di mezzo, stava fra due fratelli maggiori e due sorelle minori, non sarebbe dovuto spettare a lei l’assaggio di quella cosa e in linea di logica nemmeno a nessun altro se non al padre stesso. Lui sapeva che cos’era, in quanto esploratore conosceva molte nozioni però aveva spiegato che non l’aveva mai visto dal vivo.
Prima che lui potesse parlarne oltre, lei veloce come un anguilla e monella come pochi, l’aveva addentato incuriosita di sapere che sapore avesse quella roba strana e buffa. Alla fine non ne era stata molto impressionata, aveva fatto peggio il padre che allargandole la bocca per guardare dentro agitato, l’aveva quasi fatta vomitare.
Solo dopo una serie di rimproveri aveva capito che si trattava di un Frutto del Diavolo e che mangiandolo si acquisivano capacità innaturali e che si perdeva la capacità di nuotare.
Non le era parsa una tragedia, lì per lì, ed anzi si era eccitata una volta capito i poteri che aveva preso.
Poter trasformare il suo corpo nella materia che toccava era fantastico, specie quando aveva cominciato a controllarlo un po’ meglio senza trasformarsi in tutto ciò che toccava. Aveva imparato a mutare solo concentrandosi e gridando la parola ‘mat-mat’, il nome del suo frutto, mentre toccava qualcosa.
Però la curiosità di sapere cosa sarebbe successo se ci avesse provato con qualche cosa di immateriale, era rimasta grande in lei.
Non si era mai pentita di quella bambinata ed era comunque stata presto perdonata a patto che non si avvicinasse mai al mare.
La sua famiglia era unita e numerosa, non si perdeva dietro ad arrabbiature e rimproveri vari, ecco perché Yoel ne combinava sempre tante.
Era una personcina indomabile.
Quel giorno, però, segnò la fine della sua vita felice e spensierata.
Non capì, non capì mai veramente come fu possibile e nemmeno il perché, capì solo che quei bombardamenti non erano la guerra ma solo dei pirati.
Capì per la prima volta che ‘pirati’ erano sinonimo di morte.
Nessuno si prese mai la briga di spiegarle perché sconosciuti con un teschio sulla loro bandiera nera potevano attaccare qualsiasi villaggio radendolo al suolo.
Però arrivarono facendo una gran confusione, gridando cose incomprensibili e mettendosi a razziare e saccheggiare, bruciando ogni posto che prosciugavano. Pareva lo facessero per puro divertimento, senza il minimo riguardo per le persone che venivano ferite o addirittura uccise.
Non potevano essere umani.
Yoel si disse che i pirati non erano uomini.
Se lo disse poco prima che anche la propria casa venisse presa d’assalto.
Quella notte sembrava che fosse arrivata la fine del mondo.
Le fiamme bruciavano la gran parte delle cose, mentre il resto veniva distrutto ugualmente da quel numero spropositato di gente disgustosa.
Erano dei diavoli, non potevano essere che questo.
La sua famiglia non venne risparmiata e lei, reagendo piena di rabbia, odio e disperazione, usò per la prima volta i suoi nuovi poteri con dissennatezza per attaccare qualcuno. Lo fece con la seria intenzione di restituire loro ogni cosa.
Ecco perché aprì i palmi verso l’alto in segno d’accoglienza all’aria che la circondava.
Quando la sua bocca pronunciò le due parole d’accesso alla trasformazione, il proprio corpo venne istantaneamente reso inconsistente. Al suo posto ci fu solo un turbine violento d’aria che rimase piccolo quanto lei. I pirati che assistettero alla scena rimasero sbalorditi.
Lei ERA il vento.
A bocca aperta compresero che aveva mangiato un Frutto del Diavolo e per quanto bambina fosse, sembrava abbastanza infuriata da utilizzare quel potere in modo sconsiderato e pericoloso. Fu solo un pensiero fugace, non riuscirono a tradurre in azione l’avvertimento urlato a gran voce ai rispettivi compagni.
Non ci riuscirono perché quella piccola tromba d’aria si trasformò in una tempesta vera e propria che, con una notevole potenza dovuta alla sua ira, si scagliò sui pirati che avevano osato colpire la propria casa e la propria famiglia.
Però fu un attimo di completa confusione.
Non comprese esattamente cosa accadde. Agì solo d’istinto.
Quando cercò di tornare normale, vide che non sarebbe potuto accadere come tutte le altre volte.
Per un attimo ebbe paura di disperdersi totalmente nell’aria senza fare più ritorno in sé, costretta a vagare per l’eternità nel cielo, girovagando per il mondo in cerca delle altre sue parti.
Però con la disperazione della paura che la divorò, trovò una forza di volontà che in una bambina non sarebbe stato normale trovare.
Quella volontà mentale che le salvò la vita facendo sì che il suo corpo, dopo aver scagliato lontano e spaventati i pirati assalitori, si ricomponesse.
Però nel momento in cui comprese di essere tornata in sé, svenne immediatamente priva di forze per la grande ed impegnativa prova appena eseguita.
Quando riaprì gli occhi si accorse di vedere solo da un occhio e di non sentire da entrambe le orecchie, quindi toccandosi si rese conto di avere una profonda cicatrice sul volto e di non avere più l’orecchio sinistro. Non sentiva dolore, era solo molto stanca. Capì che non si sarebbe mai dovuta trasformare in qualcosa di immateriale, ma il momento dello stordimento fu superato quando si guardò intorno vedendo per lo più morte e desolazione intorno a sé.
Trovò i suoi genitori morti come anche i suoi fratelli e le sue sorelle, trovò la propria casa bruciata come tante altre intorno a sé, trovò che ormai anche se li aveva mandati via, era stato comunque troppo tardi.
Trovò solo sé stessa in mezzo ad uno spettacolo raccapricciante.
E il desiderio di morire la pervase avvolgendola a lungo mentre cercando di spegnersi per la fame, senza fare assolutamente nulla, invocava la morte.
A salvarla dal buio in cui la sua mente disperata si era ritrovata, arrivò un bambino poco più grande di lei, aveva i capelli rossi che gli coprivano abbastanza ordinatamente la fronte, le orecchie ed il collo. Degli occhialini in plastica da esploratore facevano sfoggio di sé al collo e l’aria bruciacchiata denotava che anche lui se l’era vista male, in quella disgrazia.
Le si avvicinò chiedendole se stesse bene e lei non rispose. Quindi si presentò dicendo di chiamarsi Nail ma al suo ostinato silenzio si sedette con lei intenzionato a non lasciarla sola finché non si sarebbe decisa a parlargli e a reagire. Passarono in quel modo molto tempo, tempo in cui lei si era chiesta come mai lui facesse così per lei e, non trovando risposta, si trovò a chiederglielo con la propria voce che non usciva da molto. Nail, allora, rispose lieto di sentirla parlare. Le disse che erano uguali e che anche altri bambini erano rimasti soli come loro e che di lui poteva fidarsi. Le disse che non doveva arrendersi e che voleva aiutarla per creare una nuova famiglia con cui andare avanti e lottare. Che da solo non ci sarebbe riuscito ma con tutti coloro che avevano subito la sua stessa tragedia, la forza di vivere e andare avanti l’avrebbe trovata. Quando menzionò la memoria delle loro famiglie scomparse, allora lei si riscosse e come se avesse detto le parole giuste, Yoel si trovò a sciogliersi in un pianto disperato pieno di dolore, aggrappata a lui che inspiegabilmente l’abbracciava sorridendo dolce.
Quello fu solo l’inizio della sua nuova vita, una vita che in seguito, crescendo con tanti altri orfani, l’avrebbe portata a diventare un tipo selvatico e mascolino, a diventare forte come tutti gli altri suoi amici, a ricostruire la città distrutta insieme ad altri superstiti dell’assalto, ma soprattutto ad odiare con tutta sé stessa i pirati, cacciandoli ogni qualvolta che qualcuno attraccava alla loro isola.
Si erano fatti un nome nella loro zona ed ormai erano conosciuti come la banda anti pirati.
Erano davvero rinati ma se si fossero separati non sarebbero sopravvissuti a lungo, la loro forza più grande non era tanto l’odio per quella categoria secondo loro immonda di persone, quanto l’unione solida e profonda che li legava.
Con calma, finalmente, quelle immagini dolorose andarono via ridonandole la forza ed il coraggio di tornare alla vita e riprendere da dove si era interrotta.
Non si sarebbe mai arresa, per la sua famiglia e per i suoi amici.
Già… i suoi amici!
A quel pensiero spalancò i suoi occhi che come di consueto le ridonarono la vista solo da uno di essi. Ormai era abituata ed aveva comunque acuito tutti gli altri sensi.
Una fitta di mal di testa la bloccò dall’alzarsi improvvisamente e tenendosi la fronte dove la frangia nera si spettinava ulteriormente, tornò a sentire la consistenza del proprio corpo.
Oltre alla testa provava un forte dolore al fianco ma a forze stava decisamente meglio rispetto a quando si era svegliata prima.
I suoi amici erano in pericolo, doveva sbrigarsi a riprendersi.
Di nuovo quel pensiero la spronò a guardarsi attorno per darsi da fare subito, però la debolezza per il digiuno e i medicinali le permisero solo di alzarsi a sedere lentamente.
Aveva fame.
Una fame mostruosa.
Si sentiva intontita ma comunque affamata.
Si sarebbe ripresa presto. Dedusse questo.
Aprì la bocca impastata per parlare e chiamare qualcuno, quindi cercò di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Era in una stanza ma non le pareva di conoscerla.
Eppure quando si era svegliata, prima, era ancora all’aperto, ne era sicura.
- C’è nessuno? – Chiese roca.
Muovendosi per alzarsi meglio sentì una fitta al fianco, quindi si toccò il punto notando la benda.
Era stata curata.
Poi si ricordò di quel ragazzo dai capelli biondi e provando a ricordare il nome le vennero solo altre fitte alla testa.
Che fosse sola?
Fu lì che la porta si aprì facendo entrare una strana renna piccola dal naso blu.
Alzò un sopracciglio sbigottendosi per un istante.
- Oh, ciao! Ti sei ripresa! – Esordì entusiasta.
Parlava?!
Devo aver preso proprio un brutto colpo… forse mi hanno sparato alla testa e non al fianco… in questo caso sarei morta… ok, quello di prima poteva anche sembrare un angelo, volendo, non era male… ma una renna in miniatura parlante non credo possa essere un angelo. O mi sbaglio?
Dove diavolo sono?”
Pensò in un turbine caotico mentre lo vedeva aprire la porta per chiamare a gran voce altre persone.
In breve si ritrovò con una serie di sconosciuti più il giovane di prima con un vassoio fumante di cibo profumato che le mosse ulteriormente l’appetito.
Lo stomaco le gorgogliò e lei arrossì venendo comunque distratta da alcune urla che provenivano dall’esterno della stanza.
- Ma perché non possiamo entrare anche noi? – Chiedeva qualcuno concitato.
- Perché voi siete strani e lo spaventate! E’ quasi morto, volete che guardandovi completi il lavoro? – L’altra voce era femminile e molto decisa. Dopo alcuni rimbrotti la porta si riaprì ed entrò una ragazza dal bel corpo tutto curve ed i capelli arancioni.
- Ciao… ti sei ripreso? – Notò che la chiamavano al maschile e se ne compiacque. Significava che non l’avevano spogliata e che l’idea di sembrare un uomo per non farsi discriminare dagli altri, funzionava.
Annuì vaga, quindi il biondo col vassoio in mano venne avanti appoggiandoglielo sulle gambe per farla mangiare:
- Tieni, ti ho preparato qualcosa per riprenderti meglio. – La sua voce calda e pacata era proprio quella che aveva sentito prima, ebbe così la conferma che si trattava di lui e come un flash le venne in mente anche il suo nome.
- Sanji, vero? – Disse quindi sempre con voce flebile e roca guardandolo diretta negli occhi di cui uno, per qualche ragione strana, era coperto dal ciuffo di capelli lisci. Lì notò anche il sopracciglio arrotolato, decisamente buffo. Nel complesso rimaneva comunque un bel ragazzo.
Lo pensò con lucidità o forse con troppo poca visto che normalmente non si soffermava su quel genere di cose.
- Si, sono io… ti ricordi il mio nome… tu sei Yoel. – Rispose quindi gentile. I suoi amici si stupirono non poco dei suoi modi, li riservava solo alle donne, non era comune vederlo avere un approccio simile con un ragazzo. Iniziando a mangiare con lentezza per non trovarsi a vomitare l’istante dopo, si prese la briga di osservare anche gli altri che attendevano qualche sua spiegazione.
Vide un ragazzo moro che teneva un cappello di paglia abbassato dietro il collo, costui aveva l’aria più curiosa di tutti e la fissava come se fosse un fenomeno raro. Chissà cosa si aspettava da lei.
C’era poi la ragazza dai capelli arancioni ed il bellissimo corpo che probabilmente era la mente del gruppo, un buffo moro dal naso lungo e i ricci trattenuti da una bandana ed infine la piccola renna.
Bè, se fuori c’erano individui più strani di quello allora veniva proprio da chiederselo: dove era finita?
Quindi diede voce a questa sua domanda:
- Ma dove sono? – Che era stata trovata ferita e che l’avevano curata, l’aveva capito, ma dove l’avevano ficcata poi?
- Sei sulla nostra nave, era arrivata la sera e siccome non ti svegliavi abbiamo pensato di metterti più comoda e aspettarti. – Rispose per tutti la ragazza. – A proposito, io sono Nami, lui è Rufy, lui Usop e lui è Chopper. È un medico. – Lì si fermò dal mangiare e aggrottando la fronte disse scettica:
- Lui è… - Nami la precedette:
- Si, è una renna però ha mangiato il Frutto del Diavolo Zoo-Zoo modello uomo che gli permette di fare cose anormali per la sua specie. Se ti sei salvato è merito suo. – Asserì con una certa praticità nel tono, era comunque gentile.
- Abbiamo cercato i colpevoli della tua ferita e della morte di quei tre uomini, ma non abbiamo avuto successo, così abbiamo deciso di aspettare il tuo risveglio. – Asserì Rufy con un sorriso che non sembrava sensato in quel momento.
Cosa aveva da sorridere?
Terminò così la cena e mise da parte il vassoio ringraziando educatamente, poi sentendosi di nuovo in forze grazie anche agli antidolorifici, finalmente parlò con decisione e serietà:
- Quelli li ho uccisi io. Erano pirati. Piuttosto i miei amici sono spariti e se mi hanno lasciato là ferito significa che sono stati rapiti da quei bastardi. Devo trovarli e recuperarli, hanno bisogno di aiuto! Loro sono tutto quello che ho, non posso permettermi di perderli. – Non chiese chiaramente aiuto ma fu come se lo facesse.
Mentre lei parlava Nami, Sanji ed Usop notarono subito l’astio nei confronti dei pirati ma rimasero maggiormente impressionati dalla sua storia. Dovevano essere stati assaliti, ma perché prendersi la briga di rapire delle persone?
A Nami questa cosa non quadrò infatti col fiuto per gli affari, ormai, prese la parola con fermezza decisa a scoprire ciò che veramente le interessava:
- Come mai avrebbero preso i tuoi amici? Te ti avranno creduto morto e ti hanno lasciato lì, ma se hanno preso loro significa che hanno qualcosa che conta. –
- Cosa vuoi dire? – Chiese ingenuamente Rufy non capendo dove volesse andare a parare. Con pazienza marcata, lei glielo spiegò:
- Non è normale che pirati rapiscano qualcuno senza un buon motivo. Piuttosto li uccidono, senza un buon motivo, ma non li rapiscono! Devono avere qualcosa che può interessare solo a dei pirati. E cosa può interessare a dei pirati? – Rufy continuava a non capire ancora, quindi spazientito intervenne Sanji incrociando le braccia al petto e scoccandogli un occhiataccia severa:
- Un tesoro, testone! – Finalmente il moro comprese con un’espressione di stupore ma quel che catturò l’attenzione di Yoel fu principalmente lo sguardo strano della ragazza.
Sembrava come se si fosse illuminato di una gioia sadica. Non capì proprio… era stata la parola ‘tesoro’ a farla cambiare così.
Preferì lasciar perdere per rispondere a quell’ipotesi più che plausibile.
- Sarebbe logico, certo, ma non ne ho idea. Noi non abbiamo un tesoro… però mi pare di averli sentiti parlare di qualcosa del genere. Mentre combattevamo chiedevano di questo tesoro, solo che non gli ho dato retta pensando che vaneggiassero! –
Nami fece un passo avanti con un aria sempre più furba ed illuminata:
- Ed invece no, mio caro. Se hanno rapito i tuoi amici loro pensano che ci sia davvero un tesoro. E se loro lo pensano non c’è ragione per cui non debba esserci! –
Sembrava un ragionamento logico che filava senza una grinza.
- Si, ma noi non ne sappiamo nulla, non lo possediamo! Quando lo capiranno… - Sanji non le fece finire la frase capendo al volo il suo pensiero e condividendolo a pieno.
- Li faranno fuori. – Seguì un minuto di silenzio a seguito di questa affermazione incisiva, dopo di ché Yoel si alzò ignorando la spossatezza per la propria ferita che non si sarebbe rimarginata troppo in fretta, quindi prendendo le sue cose che consistevano in due pistole, una spada e una serie di pugnali, asserì dura e sbrigativa:
- Non ho un minuto da perdere, devo sbrigarmi a trovarli! – Non le sarebbe mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di abbandonarli.
Mai e poi mai.
- Ma non ce la puoi fare da solo! – Disse preoccupato Usop, l’eterno pessimista. Sembrò nemmeno sentirlo poiché scostandoli si diresse decisa verso la porta per uscire e darsi da fare subito.
- Non ho scelta. Non li lascerò nelle loro sporche mani! – Ancora una volta uscì quell’odio sempre più palpabile per la categoria dei pirati. Era vero, non sembrava avercela con loro perché avevano rapito i suoi amici ma bensì perché erano pirati.
Ma Nami, pur capendo questo concetto al volo, non si sarebbe mai fatta sfuggire l’occasione di trovare un tesoro.
Non ci scappi caro! Trovando i tuoi amici troverò il tesoro, ne sono certa! Quindi tu ci servi!”
Venale come al solito, del resto le avventure migliori partivano così… grazie ad un tesoro da trovare!
- Noi possiamo aiutarti. Ragiona, da solo in queste condizioni non puoi farcela. –
Yoel si stupì di questo interesse… perché volevano aiutarla?
Nessuno aiutava qualcuno senza voler nulla in cambio. A parte che non fossero i suoi amici, ovviamente.
Si fermò davanti all’uscio tornando a guardarli interrogativa e spaesata per un istante.
- Ma perché vorreste aiutarmi? –
Nami non riuscì a dire nulla di intelligente per convincerla poiché fu preceduta dalla porta che si apriva facendo apparire Zoro sulla soglia, proprio dietro di lei.
Fu lui a fungere da risposta e forse sarebbe stato meglio evitarlo.
- Allora, che succede? – La sua voce brusca e poco socievole arrivò al suo orecchio, quindi prima che qualcuno potesse ribattere, lei si voltò guardandolo. Era una ragazza piuttosto alta, tutto sommato, ma ugualmente si trovò a fissarlo dal basso.
Tre orecchini al lobo, tre spade, quel viso inconfondibile e conosciuto ancor prima che arrivasse una taglia sulla sua testa.
Ecco chi erano.
Ecco perché volevano aiutarla.
Ora tornava tutto.
- Tu… tu sei Roronoa Zoro… il cacciatore di pirati… - Mormorò con profondo stupore che la spiazzò facendole spalancare l’occhio sano dove il nero dell’iride si confondeva con quello della pupilla.
Lì per lì si raggelò mentre nella mente, come un turbine di pensieri crudeli, le arrivavano tutte le sue dannatissime risposte.
Conoscevo e ammiravo Zoro prima che diventasse un pirata. Non ho mai voluto sapere in che ciurma fosse entrato né perché. Mi è bastata la notizia che si era unito alla pirateria, per farmelo crollare. Il mio mito, l’esempio che tutti noi del gruppo avremmo voluto seguire ci aveva traditi. Ora è anche lui un portatore di morte e distruzione. Ora è anche lui peggio di una bestia. Ora anche lui non è più un uomo!
Non è possibile.
Lui qua.
Significa che questa è la ciurma a cui si è unito.
Significa che questi impostori non sono altro che pirati del cavolo!
Dannatissimi ed odiosissimi pirati!
Vogliono aiutarmi per ottenere quel maledetto tesoro, tutto qui!”
Mentre comprendeva tutto ciò come se mille pugnali la trapassassero, sentì la ferita al fianco dolergli maggiormente di nuovo, come se gli antidolorifici avessero finito il loro effetto. Rimase impietrita davanti a lui mentre pochi o forse nessuno capiva cosa stava accadendo.
Ma al termine delle sue considerazioni sentì montargli dentro un’ira consueta che ormai conosceva bene.
L’ira della delusione, dell’odio e del disprezzo.
Zoro l’aveva delusa tantissimo a suo tempo ed ora lo disprezzava con tutto il suo cuore.
Se lui non fosse mai entrato, magari, avrebbe anche accettato il loro aiuto senza sapere.
Ma ora sapeva e arrabbiata come le accadeva facilmente grazie al suo carattere non facile, lo prese per la maglietta a maniche corte e strattonandolo con una forza che non poteva avere ancora, gli gridò addosso con un espressione infuriata di fuoco puro:
- VOI SIETE PIRATI! SIETE SOLO DEI MALEDETTISSIMI PIRATI, ECCO COSA SIETE! ECCO PERCHE’ VOLETE AIUTARMI! VOLETE QUEL DANNATO TESORO! NON VE NE FREGA NULLA DI ME! E COME POTREBBE, NON MI CONOSCETE NEMMENO! SIETE SOLO DEI FALSI IPOCRITI LADRI E PORTATORI DI MORTE! ANDATEVENE VIA PRIMA CHE VI UCCIDA CON LE MIE MANI, COME HO FATTO CON QUELLI LA'! NON LO FACCIO SUBITO SOLO PERCHE’ MI AVETE SALVATO LA VITA E DEVO TROVARE I MIEI AMICI! MALEDETTI PIRATI! VIA DA QUEST’ISOLA! –
Eppure in realtà avrebbe voluto chiedergli perché aveva deciso di diventare un pirata lui stesso, perché era cambiato così, ma le uscirono solo quelle parole che stupirono tutti i presenti.
Si affacciarono altri individui che non notò, quindi si sentì afferrare le mani dalla presa decisa di Zoro che, staccandola e guardandola severo e cupo, le disse basso e penetrante:
- E allora vattene tu! – Anche questo le arrivò più come uno sparo.
Si sentì spiazzata e ferita come durante la battaglia di qualche ora prima, quindi senza fiato e mordendosi il labbro, ancora con il volto sfigurato dall’ira e sconvolta come poche volte le era accaduto, staccò le mani dalla sua presa. Gli lasciò ancora un ultimo sguardo di fuoco ricambiato da uno piuttosto tenebroso, poi se ne andò uscendo di corsa dalla cabina e dalla nave stessa, udendo solo un tonfo, probabilmente un pugno che si infrangeva sulla testa di qualcuno, e un rimprovero seccato della ragazza:
- Risposta sbagliata, zuccone! –
Non udì altro, preferendo andarsene per dimenticare presto quello spiacevole incontro che volente o nolente l’aveva scossa molto solo perché, il pirata in questione con cui aveva avuto a che fare, era proprio Zoro, il suo primo idolo.