CAPITOLO
16:
FINO
ALLE STELLE!
/
Seven nation army – White Stripes /
Con
sforzi e fatiche il fatidico giorno della finale arrivò, da
non crederci!
Come
da non credere era il fatto che Andrea e Marco fossero ancora sani,
ovvero non si fossero rotti qualche braccio, gamba o addirittura la
testa a vicenda!
Il
piano architettato da Tom sembrava aver funzionato, ora si doveva
integrare la parte di Kim (mica uno scherzo dover portare i genitori
di Andrea nello stadio) ed infine quella dei due giocatori, specie
quella del 'bambino d'oro' che doveva nientepopodimnoche vincere alla
grande la partita dimostrando quanto il basket fosse parte della sua
vita ed essenziale per lui!
Se
lo erano ripetuti fino alla nausea: Andrea doveva solo giocare,
Kimberly avrebbe portato chi di dovere fra gli spettatori, eppure se
questi non ci fossero stati con che spirito avrebbe giocato? Ma anche
se ci fossero stati, lui sarebbe riuscito a farli capitolare? In
fondo l'unica cosa che doveva e poteva fare il ragazzo era del
basket, la sola arma che possedeva, il meglio che potesse sfoderare
per far vedere chi veramente lui fosse: era qualcuno solo in campo,
con una palla di cuoio in mano e la pallacanestro a cui dare vita,
era lì che dava il suo meglio e tirava fuori l'animo, il
vero
Andrea. Lì si sentiva un re e avrebbe potuto fare solo
quello
nella sua vita. Nient'altro che quello.
Eppure
se lo chiese:
"Va
bene anche se ci sono, però sono convinto che non verranno
nonostante Kim sia la persona più testarda che conosca; come
può bastare il mio solo giocare questa finale? Per quanto
sia
importante questa partita e a me piaccia il basket, per quanto poi io
sia bravo ed immenso qui, dubito che quelli capiscano qualcosa: non
hanno capito nulla di me in una vita intera, dovrebbero carpirlo ora?
Utopia!
Sono un illuso e Kim prima di me che ci crede!
È
una stupidaggine! Si tratta solo di un partita che io in un modo o
nell'altro farò al meglio delle mie forze perché
non
riuscirei nemmeno se mi impegnassi a fare schifo, loro non mi hanno
mai visto in campo, non sanno nemmeno come sia il basket, che vuoi
che gliene importi?
Non
cambierà nulla. Dovrei giocare con una palla d'oro per far
capire loro l'importanza che questo sport ha per me, ma con loro
è
tutto tempo perso.
Sarà
così! Chissà cosa tutti si aspettano da me e da
questa
finale … vorrei proprio saperlo!"
Andrea
mostrava un espressione di evidente tensione, si mordeva il labbro
inferiore e con la fronte tirata fissava i suoi occhi neri e profondi
fra la gente del pubblico che continuava ad arrivare. Il capitano
della squadra più famosa e temuta della gara in corso,
nonostante non si stesse nemmeno scaldando, aveva catapultata su di
sé l'attenzione di tutti: fra studenti come lui, fan, talent
scout, allenatori professionisti in generale, membri di altre squadre
e giornalisti, le aspettative erano molte e per lo più
rivolte
a lui, protagonista dell'incontro e dei riflettori. Eppure era solo
uno stupido campionato come tanti, la finale di un torneo che si
sarebbe conclusa con la vittoria di uno di quei due team. Nulla di
scontato, ovvio, ma per chi odiava il basket vedendolo come una
perdita di tempo, non sarebbe contato nulla.
Gli
spalti si riempivano a vista d'occhio e il brusio indistinto andava
aumentando fino a non far sentire chiaramente le parole dei vicini,
il biondo dai capelli senza gel per l'occasione (però
stavano
come fossero ingellati lo stesso, ormai avevano assunto quella forma
di natura) sembrò quindi illuminarsi quando distinse fra
tutti
i suoi amici, accanto a sè sentì la per nulla
silenziosa presenza di Marco, pronto a dare il meglio in una partita
che in fondo, per lui, non contava realmente così tanto ...
o
così lui credeva.
-
Eccoli, ci sono tutti! -
Mormorò
infatti il moro che manteneva la frangia spettinata sugli occhi
azzurri.
Andrea
era molto concentrato e la prima cosa che fece fu cercare due volti
in particolare, pensando che dovessero per forza essere accanto al
suo gruppo. Non vedendoli provò un istintivo senso di
delusione che mascherò fino ad un certo punto.
Avrebbe
dovuto aspettarselo, anzi, ne era sicuro.
Così
decise di fare un cenno a quegli scalmanati che si sbracciavano per
farsi vedere dai due protagonisti di quella serata, non avrebbe mai
voluto dar loro l'idea di non essere in forma, il solito orgoglioso e
pieno di sé: un immagine che ormai andava per tutta la
scuola,
il quartiere e i tifosi della squadra!
Vide
Adrian che per l'occasione si era lisciata i capelli biondo chiaro,
aveva fermato all'indietro il ciuffo della fronte ed arrivavano fino
alle spalle o poco più, le erano cresciuti rispetto l'inizio
dell'anno scolastico, Marco lo notò immediatamente ma lo si
poteva constatare solo vedendoli da lisci, poiché ricci era
un
impresa capirne i cambiamenti. Lei era con gli eterni casinari a far,
tanto per cambiare, tifo!
Kimberly,
Thomas e Alessandro insieme a lei saltavano e abbracciati salutavano
in loro direzione urlando incitamenti e strani gorgoglii non
identificati. Kim aveva una delle sue acconciature strane ed
appariscenti che solo nei suoi capelli rosso naturali potevano stare
bene, truccata di tutto punto, non un pelo fuori posto, la scollatura
troppo accentuata su ogni salto mostrava una dolce vista, ovviamente
il legittimo proprietario ora in campo si allarmava che potesse
essere apprezzata da troppi; tuttavia cosa che lo fece risollevare da
ogni turbamento proveniente da più direzioni, fu
l'espressione
sorridente e radiosa della fidanzata. Che il suo piano fosse andato a
buon fine?
Fu
impossibile non notare anche Tom dalla massa selvaggia ed incolta di
ricci biondo platino che allegramente gridava sconcerie del tipo:
-
AMORI MIEI, SE VINCETE STASERA VI PREMIO COL MIO CORPO! FARETE DI ME
QUEL CHE VORRETE! SARO’ CALDO E TUTTO PER VOI! NON
DELUDETEMI! -
Lui
e i suoi vestiti dai colori sgargianti ed osceni (a detta della
gemella Adry) e gli occhiali da sole a triangolo dalla montatura
arancione, come quelli giocattolo per i bambini, era padrone di un
carisma esplosivo ma essendo lui un artista era lunatico: ci si
doveva considerare fortunati che fosse in fase buona!
Grazie
a lui e alle sue originalità la tensione cominciò
a
scemare pian piano.
Ale,
sempre con quei pazzi, era tutto un sorriso che andava da un orecchio
all'altro, gli enormi occhioni neri e sbrilluccicosi non si vedevano
bene perché coperti dalla tenda di frangia che aveva
davanti,
i neri capelli lunghi erano come sempre sciolti sulle spalle e
siccome era basso per farsi notare si era vestito di giallo canarino:
al momento saltava come una palla di gomma.
L'insieme
dei quattro fece addirittura spanciare i due ... se fossero stati
tipi da fare cose simili! Siccome erano tutti d'un pezzo rimasero a
ridacchiare sadicamente divertiti, non si concessero altro,
riservandosi un 'dopo partita' di mille prese in giro, come era nel
loro stile.
Accanto
a loro si potevano vedere altri appartenenti al gruppo che
però
si vergognavano come dei ladri: Viky rossa in volto, non un capello
fuori posto, imbarazzata da morire che chiedeva scusa al mondo con lo
sguardo per esistere ed essere lì in quel momento; Jo che
impassibile sorrideva fraterno agli amici facendo freddamente finta
di nulla, con la sua eleganza invidiabile, il suo fascino maturo e
quel taglio di capelli così semplice che su di lui sembrava
talmente sexy; infine Roby in coda a tutti che col tipico volto a
trattini e su tutta la testa le vene belle gonfie e pulsanti di chi
sta per scoppiare e fare una strage, fu la chicca del momento. Lui
così insofferente aveva chiari segni d'istinti omicidi,
perché
farsi notare e fare gli idioti a quel modo? Era così
difficile
fare un piccolo cenno di saluto agli amici in campo e starsene
tranquilli senza gridare cose stupide, superflue e soprattutto
imbarazzanti? Si capivano molte cose guardando ora il volto del
ragazzo ramato dai ribelli capelli scomposti!
Questo
aiutò Andrea a distendere il proprio volto che aveva mutato
molte espressioni nel giro di un attimo.
Dal
teso al divertito poi al contento.
Erano
tutti lì per lui, vabbè, meglio dire 'loro' vista
la
fastidiosa e continua presenza dell'appendice Marco!
Quella
che potremmo chiamare introduzione alla partita si concluse niente
meno che con l'avvistamento di quelle due famose persone che il
biondo basketman cercava all'inizio ancora prima di voler avvistare i
propri amici: i suoi genitori.
Marco
li trovò seduti fra il pubblico nello stesso istante in cui
li
aveva trovati Andrea.
Divennero
seri. Ecco perché Kimberly era così felice: ci
era
riuscita!
Quella
ragazza dalle mille risorse ne sapeva veramente una più del
diavolo, se diceva una cosa era quella, l'otteneva e basta!
Il
fiato gli si mozzò immediatamente e il volto gli si
impietrì
di scatto mentre i suoi muscoli si irrigidirono, in un attimo ogni
sicurezza riguardante il basket gli crollò mentre ricordava
le
dure parole che si era scambiato con quei due.
La
mente gli rimandava flussi agitati e veloci di pensieri
incontrollati:
"Eccoli
lì invece. Non hai modo di scappare ora. Li affronterai
giocando, allora? Questo era il piano della tua sicura ragazza ...
eppure ora sembra la cosa più cretina ed inutile da fare!
Diavolo!
Cosa? Cosa devo fare? Come devo giocare? Come la prenderanno? Cosa
faranno a fine partita? Ed io? Come potrà concludersi tutto
dopo questa finale? O ci riappacificheremo o chiuderemo i conti per
sempre, ma mi sembra impossibile un lieto fine. Dopo anni di silenzi,
finzioni ed indifferenze come potrebbe tutto sistemarsi bene?
Eppure
basterebbe una cosa, solo quella ... che me lo dicessero. Che sono
fieri di me per quello che sono veramente e non per quello che ho
finto di essere fino ad ora. Però loro non me lo diranno
mai!"
Il
caos mentale in cui cadde inizialmente si calmò un po' con
la
consapevolezza che sarebbe andato comunque tutto male!
A
distoglierlo dal guardare i genitori così severi seduti
dritti
che snobbavano lo stadio intero, fu una battuta di Marco che si fece
sentire presente e vicino, come mai avrebbe potuto immaginare di
averlo:
-
Non chiederti come giocare e cosa fare, non farti tutte quelle
inutili domande da cervellone! Fai come solo uno stupido come me
farebbe: gioca e basta! -
Andrea
infatti distolse lo sguardo da loro per portarlo su quello azzurro e
deciso del compagno di squadra. Quella frase non era molto
rassicurante, inarcò un biondo sopracciglio ma non chiese
nulla, così il moro continuò con un mezzo sorriso
sulle
labbra:
-
Ti credi una stella quando giochi? Dimostralo! Lo fai ogni volta, no?
È per questo che piuttosto che mollare il basket molli i
genitori, giusto? Ebbene arriva lassù e porta tutti con te.
Tocca le stelle e scaraventale in testa a quelle teste vuote e
vecchie! -
In
un lampo l'espressione divenne proprio sadica e con un cenno del capo
indicò i signori protagonisti di tanto astio,
ridacchiò
apertamente e concluse:
-
Hanno fatto tutti la loro parte, ora tocca a te! -
Andrea
sembrò riflettere brevemente sulle sue parole facendole sue,
assorbì ogni centimetro di quel viso selvatico e poco
raccomandabile. Era vero. Erano tutti lì per lui, per loro,
ci
credevano che potesse funzionare, tutti avevano messo qualcosa, ora
toccava solo a lui.
Il
volto d'angelo tetro mutò subito in un sorriso che si
sintonizzava con quello dell'altro, in entrambi qualcosa di
estremamente sicuro, come se si sentissero il centro dell'universo e
stessero per dare la batosta più storica di tutti i tempi a
qualcuno.
Quando
due così si mettono insieme, c'è solo da tremare!
-
Fino alle stelle, eh? -
Disse
infine fermo Andrea.
-
Già ... -
Col
suo tono normale, ovvero pieno di sé, terminò:
-
Ma io sono già in mezzo alle stelle, non ci devo arrivare
per
farle vedere agli altri! -
Un
pugno amichevole sulla spalla in risposta. Le cose erano
definitivamente cambiate, decise e sistemate. Ora si poteva giocare.
Dall'alzata
della sfera che segnò l'inizio dell'incontro al fischio
finale, fu solo un unico susseguirsi di azioni spettacolari che
andarono in crescendo!
Dall'iniziale
sottovalutare gli avversari al rendersi conto che invece erano in
gamba e meritavano molta più attenzione di quanta sarebbero
stati disposti a concedergli, fu un maturare lento ed inesorabile: un
maturare del gioco e dei giocatori, tecnica ed animo lavoravano
distintamente ma a gran ritmo fino ad esplodere in alcuni schemi e
giocate che fecero alzare un ovazione ed un applauso scrosciante da
parte di tutto il pubblico, nessuno escluso, compresi i fotografi coi
loro flash.
Quando
alla fine di una prestazione si chiede come è sembrato a chi
ha assistito, se ci si sente rispondere qualcosa tipo 'interessante'
allora significa che è stata una schifezza; la risposta che
ci
si deve aspettare, che si deve spingere a dire è 'magnifico'!
Ogni
cosa che si fa la si deve realizzare con questo scopo e obiettivo,
portare ad un sogno unico e spettacolare.
Ecco
il punto.
Spettacolo
si deve dare.
Loro,
Marco e Andrea in special modo, lo diedero.
Nel
primo quarto di tempo Andrea era, nonostante le parole di Marco e la
propria sincera convinzione, un po' teso e i movimenti leggermente
legati: la mentalità non era ancora quella giusta, pensava
troppo a farsi vedere, a far vedere che lui era bravo ed in gamba,
che il basket lo poteva portare ovunque lui avesse desiderato ... e
il voler a tutti i costi mostrare quel talento che lui doveva avere,
pesò sui compagni. Con giochi troppo individualisti fece i
suoi bei punti, ma non furono le sue migliori azioni singole e Marco
dal canto suo si chiese come mai potesse a quel punto riportarlo in
riga, quando era proteso verso un pestaggio gli altri si erano
rivelati quel che erano prevalendo: sapevano non solo il fatto loro
ma si erano trasformati in temibili e forti rivali ed uno dopo
l'altro restituirono i punti subiti, non molti ancora.
Così
il secondo quarto fu diverso: un tempo caratterizzato per lo
più
sempre dalle giocate soliste del capitano Andrea, la stella del
torneo, ma questa volta dalle sue migliori e mai viste su un campo di
gioco di liceali!
Tanto
per elencarne una, ad un certo punto in area di tiro, sotto canestro,
circondato da altri tre avversari, mantenendo un per nulla scontato
controllo di palla aveva deciso di saltare e tentare il tiro prima
che i secondi regolari scadessero, impossibilitato anche a passare ad
altri la palla. In volo il suo corpo fece attenzione a non commettere
alcun fallo, specie di sfondamento, come sarebbe stato facile nella
sua condizione; fu un salto lineare e lungo, molto elegante,
composto, di chi si prepara a galleggiare in aria privo di
gravità.
Non fece cambi di mano all'ultimo momento, né avvitamenti o
altro: si limitò con aria concentrata a visualizzare il
canestro, solo quello contava e con il braccio pronto al tiro, quando
fu nel punto più alto del suo salto e gli altri capirono che
non sarebbero mai riusciti a fermarlo regolarmente, ricevette da essi
dei falli, una ginocchiata nello stomaco che gli rovinò la
posizione corretta e gli tolsero la visuale per il canestro. In un
secondo si rese conto di non vedere più il tabellone e che
la
sua mano stava ormai esercitando ugualmente il tiro, altrimenti la
palla sarebbe andata perduta e l'azione anche. Lo si vide quindi
contrarre la mascella, assottigliare gli occhi ed indurire di gran
lunga il volto con un espressione che aveva poco di angelico o di
superbo, infine abbassò la testa piegando il busto e proprio
mentre ormai cadeva perdendo quota tornò a vedere il
canestro
e con l'ultimo colpo di polso poté con l'indice guidare la
sfera di cuoio verso il cerchio e la retina.
Un
punto prezioso che riportò alle famose stelle il morale di
tutti e lo stadio a gridare mentre solo un istante prima era in
totale sospensione insieme ad Andrea e al pallone che attendeva di
entrare!
Ovviamente
fu fischiato fallo e gli fu dato il 2+1!
"Eccola
la sensazione, è esattamente questa! Dannazione, come potevo
dimenticarla per concentrarmi sul mio fottutissimo talento? Ma chi se
ne frega ... devo arrivare a questo, a provare una sensazione
grandiosa mentre tutti applaudono me contenti che ho fatto loro
assistere ad una nuova azione vincente. Tutti questi che sono qui
vogliono assistere ad una vittoria salendo sempre più, non
posso deluderli, fermarmi per i miei cazzi storti!
Chi
se ne frega di quei perdenti dei miei genitori? Io stasera fra le
mani ho il potere di cambiare l'umore di tutte queste persone e farle
sognare ... fermare il tempo mentre segno e accelerarlo mentre corro
verso canestro o subito dopo aver segnato.
Che
altro importa? Mi sento un Dio!
Eccole
le mie stelle! Vediamo di fare quel che ha suggerito quella zecca:
gliele tirerò in testa a loro due!"
Il
terzo quarto prese un ritmo sempre più serrato e gli
avversari
tirarono fuori tutte le loro carte dando anche il loro contributo di
'spettacolo' che però esaurirono a forza con qualcosa di
assolutamente per nulla trascurabile: due cose, le schiacciate
potenti di Marco e le prime giocate in combinazione dei due assi
della squadra!
Marco
e Andrea raramente si concedevano il lusso di collaborare proprio
perché non volevano dare la pubblica impressione di essere
troppo affiatati in campo ed essere addirittura amici.
Solo
degli stupidi ragionavano così, ma del resto nessuno
è
perfetto!
Di
fatto bastò veder volare il moro sopra i difensori,
sorpassare
con un balzo somigliante a quello di una pantera, fluido e sensuale,
selvaticamente affascinante, e vederlo poi arrivare a canestro con un
schiacciata poderosa, forte e addirittura aggressiva per sentire il
fiato di tutti tagliato, come se non ne avessero più e non
credessero di poter assistere a scene simili, non dopo quelle di
Andrea!
Anche
Marco aveva delle grandissime capacità, dovute ad una
tecnica
pressoché perfetta o per lo meno con poche pecche,
perfezionabile e da 'pulire', una tecnica insegnata da qualcuno di
competente a qualcuno di svogliato che mai avrebbe voluto applicarsi
seriamente in quello sport. Marco era inoltre istinto, lui aveva
agilità e forza fisica, non gli interessava veramente
vincere
per sé stesso, giocare per divertirsi, lui faceva e basta
però
cerano quei momenti in cui era con la palla in mano, saltava da un
punto qualunque della propria area di campo, passava giocatori ed
arrivava dritto a canestro mentre sentiva anche lui il tempo
sospendersi e tutti trattenere il fiato, concentrarsi su quel gesto,
su di lui, sulle sue mani trasmettendogli empaticamente le energie di
tutti quanti.
E
lì solo lì si sentiva così bene da
sperare di
poter rimanerci, che in fondo fosse solo quello, qualunque
definizione potesse avere.
Eppure
poi la sua coscienza tornava a parlargli e il senso di colpa per
divertirsi in quello che faceva, lo mordeva a tal punto da togliergli
ogni sentimento positivo e voglia spontanea di fare.
Lui
era lì per un motivo che non era egoistico e fine a
sé
stesso. Non giocava per passare il tempo, perché amava lo
sport, perché si sentiva un re o semplicemente qualcuno.
Giocava
per realizzare colui che aveva infranto i propri sogni per lui, per
suo fratello che aveva dato la vita per salvarlo rinunciando alla
propria e ad un sogno che l'aveva forgiato.
Un
senso di colpa che come un cancro era cresciuto.
Come
poteva, Marco, amare il basket?
Per
lui era un obbligo, un dovere, un senso di colpa, una punizione,
un'espiazione delle proprie colpe!
Chissà
se mai sarebbero potute cambiare le cose, se sarebbero potute
mantenersi eterne come nei momenti in cui saltava e schiacciava con
forza e decisione buttando via ogni pensiero insieme al pallone che
schizzava a terra!
Chissà
se un giorno sarebbe riuscito a lasciarsi tutto alle spalle e capire
il proprio vero sogno, iniziando una vita vera e a vedere il basket
stesso, così importante per Andrea, in modo diverso.