CAPITOLO 17:
RICONCILIAZIONE
Il quarto tempo fu SOLO caratterizzato dalle giocate in combinazione di Marco e Andrea, imposero il loro ritmo lasciando anche spesso da parte il resto della squadra, sotterrando di molti metri gli avversari che avevano già tentato tutto!
Mentre i due giganteggiavano dimentichi dei rispettivi problemi e specie quelli di Andrea, quei problemi in questione li stavano fissano con tanto d’occhi dagli spalti. Inizialmente avevano mantenuto un’aria da snob, disprezzando tutti i giocatori in campo, i tifosi, gli organizzatori di simili perdite di tempo…certo, per lo meno i ragazzi si potevano giustificare che erano ancora giovani, era normale che volessero giocare come dei bambini e facessero tifo a quel modo, ma quelli che gestivano quei ‘giochi’ erano proprio grandi, quelli non si potevano mica giustificare!
In seguito avevano notato il figlio, avendo occhi solo per lui. Era da molto che non lo vedevano, dopo quella litigata i due avevano parlato molto trovandosi nella medesima posizione: il figlio aveva sbagliato su ogni fronte e se voleva tornare a casa loro doveva chiedere scusa e sottostare alle loro giuste regole. In fondo loro volevano il meglio per lui, lo amavano a modo loro, come loro stessi erano stati amati, forse con qualcosa in più e qualcosa in meno. Volevano il meglio e oltre, tutto, per lui, un ragazzo d’oro con grandissime potenzialità il cui QI sin da piccolo era stato sopra la norma. Si erano dati da fare per insegnargli ciò che l’avrebbero formato come ragazzo e poi come uomo, sia dal lato fisico per farlo forte e pronto, sia dal lato mentale per far di lui una persona colta ed intelligente. Volevano dargli il futuro che uno come lui si sarebbe meritato e al tempo stesso non avevano voluto fargli mancare nulla che dei bambini chiedessero, quei classici segni d’affetto come i regali, i viaggi, le cose di lusso. Avevano soddisfatto ogni capriccio e anche ciò che lui non richiedeva gli era sempre stato donato. Per riuscire a dare tutto quello che poteva desiderare ne aveva sicuramente risentito un po’ la loro presenza fisica ma lui era un maschietto e sicuramente certi abbracci sarebbero stati sprecati e disprezzati, un ometto non poteva andare a coccolarsi dalla mamma, doveva crescere forte, sano e con forti principi…un duro che non chiedeva mai!
Convinti che l’affetto potesse essere dato e dimostrato con oggetti e non con gesti, l’avevano cresciuto con la più totale serenità, consapevoli che sicuramente sarebbe venuto su una persona fantastica!
Gli avevano dato quei giochi che i bambini chiedevano e quando aveva insistito per fare basket l’avevano accontentato, un giorno poi era venuto a casa con l’iscrizione a quel liceo sperimentale che comprendeva tutti quegli sport a livello molto alto con la promessa che non avrebbe mai trascurato lo studio. Così era sempre stato tuttavia loro sapevano che non sarebbe potuta andare avanti molto con quelle perdite di tempo. Toglievano spazio prezioso alla sua cultura. Per diventare qualcuno lo sport, specie quel basket così rumoroso e caotico, non serviva, anzi, non doveva proprio esserci. Un passatempo serviva, loro ad esempio avevano il golf e l’equitazione, ma lo praticavano ogni tanto, mai sempre, solo per scaricare ogni tanto i nervi ed incontrarsi con gli amici del loro giro.
Andrea avrebbe seguito le loro impronte per diventare qualcuno.
Tuttavia l’avevano visto sempre più preso da quel gioco e anche se gli lasciavano passare molte cose come quei lividi che si procurava spesso e quel suo strano abbigliamento, che diceva lo faceva solo per scherzare, avevano deciso che per modificare anche quelle sue piccole pecche avrebbero aspettato di mandarlo all’università, poi sicuramente si sarebbe corretto da solo stando in certi ambienti. Eppure qualcosa era cominciato ad andare storto. Gli ultimi anni del liceo erano così impegnativi, non avrebbe potuto dedicare il tempo necessario allo studio se avrebbe continuato con tutto quello sport. Così gli parlarono e gli diedero un delicato ultimatum da genitori a figlio: o mollava lo sport e si dedicava solo allo studio, o l’avrebbero trasferito in un liceo normale…di primo impatto l’aveva presa male, ma tutto quello che avevano pensato era solo che Andrea fosse viziato, come per uno come lui era naturale essere, non diedero peso a questo e non tornarono sui loro passi. Dopo quella prima litigata storica lui sembrò tornare da solo sui suoi passi e assicurando di aver mollato il basket per sempre, quel gioco infantile da bambino, solo un capriccio inutile, una perdita di tempo, era tornato affettuoso a suo modo, come un ragazzo maschio era, con qualche gesto d’affetto, le chiacchierate serali insieme e la concessione serale di stare coi suoi amici, visto che tutto il pomeriggio lo passava sempre in biblioteca o a scuola a studiare. Avevano sempre pensato che lui fosse un tipo onesto e sincero, parlava di tutti gli studi che faceva lasciando fuori le esperienze sociali: non si chiedevano nemmeno più come mai avesse sempre qualche livido, in fondo un ragazzo così ricco ed intelligente era normale venisse preso di mira dagli altri, loro apprezzavano che se la cavasse sempre da solo. Poi erano tranquilli poiché con l’università avrebbe compiuto da sé il passo verso la serietà totale.
Invece qualcosa era andato veramente storto.
Lui non era chi diceva e loro credevano essere.
Lui aveva mentito per tutto quel tempo e il ragazzo che vedevano ora in campo non era nemmeno lontanamente riconoscibile come loro figlio, quel ragazzo educato, colto, dolce, gentile, a modo e perfetto!
Quando erano entrati in quello stadio erano ancora in astio nei confronti del figlio, non li aveva convinti la fidanzata quando aveva detto che se volevano fare per la prima volta qualcosa per lui allora sarebbero dovuti andare a quella partita, li aveva convinti il pensiero che sarebbero andati per riportarlo a casa e farlo tornare in riga. Tenevano a lui, avevano fatto tutto, dato tutto. Era il loro unico figlio ed era essenziale averlo con loro. A modo loro l’amavano veramente.
A modo loro.
Tuttavia nel corso della partita qualcosa era cambiato ancora.
Qualcosa aveva attirato la loro attenzione, un ragazzo creduto in un certo modo e non più riconosciuto in quel momento, un ragazzo che giocava dando tutto l’animo, tutto sé stesso, dimostrando di essere invece qualcuno anche su quel campo, muovendosi in quelle strane maniere ma sempre sicuro, deciso, fluido…ad ogni azione che faceva dava spettacolo, sentivano la folla acclamarlo a gran voce, i riflettori e i flash per lui, gli studenti accanto a loro che parlavano di lui come se fosse il migliore della sua età, già un professionista, una magnifica persona, decantavano le sue lodi: bello, carismatico, il primo negli sport e nello studio, imbattibile a gesti e parole, inaffondabile, una persona invidiata e perfetta. Per tutti loro, lì dentro, in quel campo, con una sola semplice palla di cuoio in mano, lui, Andrea Airoldi, era un Re.
Non era uno che andava lì a perdere tempo, a fare una cosa sciocca, a giocare come un bambino troppo cresciuto, ad umiliarsi e umiliare la famiglia.
Ecco cosa scattò in loro, guardandolo in quella finale: fierezza.
Gonfiandosi di felicità ad ogni lode in sua direzione, si sentirono contenti di essere i genitori di un protagonista come quello, che tutti volevano come amico o nella propria squadra.
Si resero certamente conto di non conoscerlo e se in un primo momento questo era stato motivo di ira, poi era stata una scusa per volerlo seguire di più e questa volta veramente, conoscere ogni sua abitudine e modo di fare, qualità reale…desideravano non mollarlo per un secondo ma non per controllarlo, per sapere che uomo stava diventato, per quale motivo loro ora si sentissero così fieri di lui anche se non sarebbe forse diventato un medico o un avvocato.
Sentirono questi tipi di desideri ma prima di tutto sperarono con tutti loro stessi che Andrea vincesse quella partita.
Non potevano sapere che in realtà anche se mancavano qualche minuto al termine, lui l’aveva già vinta la sua partita. Proprio grazie a loro.
Forse sarebbe stato il caso di dirlo: Kimberly aveva avuto ragione a fare un piano tanto assurdo!
Mancava una manciata di secondi, quella sarebbe stata l’ultima azione, i nostri non erano in svantaggio ma volevano raggiungere il traguardo dei 100 punti, importante per una squadra di liceali.
Erano tutti a gridare come pazzi e gli unici in silenzio erano i genitori di Andrea, parlavano fra di loro tenendosi a loro volta le mani, con espressioni molto tese, avevano sentito da quel gruppo accanto a loro che Andrea e Marco volevano arrivare sicuramente ai 100, così magicamente come se fossero anche loro tifosi da sempre, cominciarono a volerlo anche loro.
- Quel moro deve essere quell’amico di cui ci parlava ogni tanto…Marco…-
- Si…è molto portato anche lui, ha fatto delle belle azioni…-
- Penso ce la faccia, se lo aiuta lui possono arrivarci…-
- Speriamo…-
Dire quelle parole e non rendersene nemmeno conto, fu un'unica cosa, avevano un peso enorme ma nessuno le avrebbe ascoltate.
Si concentrarono sulle azioni dei due.
Andrea ricevette palla a metà campo e con una serie di passaggi veloci con il suo compagno e ala Marco, arrivarono sotto canestro, mantenne la palla il biondo che fu costretto a dare le spalle al canestro per difendersi da due avversari che ormai tentavano il tutto per tutto almeno per non uscire così perdenti da quell’incontro. Non era un gran scarto di punti però seccava che raggiungessero quelle tre cifre.
Il capitano quindi cominciò a palleggiare basso e velocissimo, la palla era trasparente, come se non si staccasse mai dalla sua mano, senza nemmeno vederla gli avversari andarono subito nel panico diventando aggressivi, quando si decisero a prenderla insieme si scontrarono fra di loro e videro solo una cosa:
il sorriso di Andrea, un sorriso col ghignetto, una beffa nei loro confronti di chi sa di aver vinto.
- Non potete fermarci…-
Sentirono poi questo ed infine notarono le mani vuote di colui che fino ad un attimo fa aveva avuto la palla proprio lì, si guardarono intorno e la videro alta a qualche metro da loro, apparentemente in direzione di nessuno.
- Ma quando…-
Disse uno, non l’avevano nemmeno visto passare...
- A chi diavolo la tira? Possibile che abbia sbagliato?-
Si chiese l’altro. Poi anche loro capirono insieme al boato della folla, Marco saltò improvviso capendolo al volo, l’afferrò e poggindo poi solo un piede a terra, piegò la gamba e risaltò subito verso il canestro, fu come se camminasse nell’aria e in quel preciso istante in cui percorreva i metri volando come fosse un aquila, lo stadio si zittì teso concentrandosi del tutto in quell’ultima azione, sperando che ce la facesse perché lo meritavano.
Un silenzio quasi innaturale, qualcuno che saltava e provava ad impedirglielo, Andrea che sussurrava a fior di labbra:
- Mettila dove sai…-
Con un sorriso così sicuro e certo che ce l’avrebbe fatta, senza nemmeno guardarlo.
Poi ecco che raggiungeva il canestro pensando al fratello morto per lui proprio in quel momento in cui era in volo. Sapeva che sbagliare sarebbe stato impossibile e sapeva che questo un po’ ricompensava il sacrificio del fratello o per lo meno poteva fargli capire che l’aveva apprezzato, che ora come ora, avrebbe potuto anche ringraziarlo e ascoltare i suoi consigli.
Tutte queste cose le fece capire con un'unica parola pensata, una specie di sbattito d’ali d’uccello:
“Grazie…”
Seguito da:
“…questo è per te…”
E la palla che veniva schiacciata accompagnata dalle mani del moro il cui volto ormai non si vedeva nemmeno coperto dai capelli gocciolanti.
Il canestro fu fatto e lui rimase un attimo appeso nascondendo il volto, emozionato, sentendo ‘lui’ lì accanto, vedendolo quasi che sorrideva e lo ringraziava…e gli diceva di vivere veramente, di farlo non per lui ma per sé stesso. Gli diceva che era libero da ogni giuramento, legame e promessa.
‘Vivrò in te, non serve che me lo dimostri con quella tristezza negli occhi e quel dovere nel tuo gioco. Fai tutte le cose che desideri come hai fatto questa partita, questa schiacciata. Questo è il tuo nuovo giuramento. Trova il tuo sogno e vivilo per te stesso.’
Aveva sentito veramente quelle parole nella mente, come fossero solo suoi pensieri, immaginati nel modo in cui li avrebbe pronunciati il fratello. Convincendolo che era ‘lui’ a dirli e non solo una sua suggestione.
Perché le lacrime che gli affiorarono per un attimo mentre oscillava in quella frazione di secondo non erano immaginato, anche se le ricacciò indietro.
Perché lui non aveva pensieri simili.
Perché il suo istinto gli diceva che era vero e lui non aveva mai sbagliato in vita sua.
- Te lo giuro…-
Mormorò quindi, poi mollò la presa dal ferro circolare e si fece cadere sui piedi, sul pavimento del palazzotto dello sport.
Il fischio li raggiunse e il tempo riprese a scorrere col boato incontrastato del pubblico, i flash che riprendevano e il momento cristallizzato di prima, solo nel cuore di tutti.
Un attimo perfetto e struggente.
Andrea e Marco, i due protagonisti, andarono l’uno di fronte all’altro, con facce strane e serie, entrambi avevano avuto un coinvolgimento emotivo molto grande e fissandosi negli occhi intensamente, mentre tutti intorno li guardavano curiosi aspettando un loro gesto, Marco disse per prima capendolo in quel momento. Ecco il suo sogno:
- Ho capito una cosa giocando. Il mio sogno. Prima non ne avevo uno mio. Ora ce l’ho. -
Questo spinse il biondo ad alzare un sopracciglio e a chiedere:
- Ah si? Cos’è?-
Sapendo benissimo la sua storia e quel che dovesse essergli successo per arrivare a rinsavire.
- Giocare a basket. Per me stesso. Per divertirmi. Perché mi sento bene quando blocco il tempo schiacciando!-
Andrea in un primo momento sorrise contento che l’avesse capito, che fosse in un certo senso guarito, che anche lui avesse compiuto quel fatidico passo e l’avesse fatto insieme a lui, lasciando da parte i doveri di rivali odiati, poi se li ricordò per cui con un aria da finto arrabbiato disse:
- Ehi, ma sei un ladro…quello era il mio sogno!-
Detto ciò il moro gli fece la linguaccia e il dito medio ed infine lo scambio di battute che li segnava come persone sovrannaturali, ebbe termine e dopo un ulteriore sguardo si scambiarono un poderoso cinque con un ghigno ciascuno in volto e poi finalmente si abbracciarono forte, lì furono assaliti dagli altri della squadra che li festeggiavano e da chiunque riuscisse ad arrivare a loro!
Fu in quell’attimo che dovettero ammetterlo: erano i migliori nemici che potessero essere l’uno per l’altro!
In altre parole ammisero di essere amici!
Furono poi buttati in aria tutti e due e dopo vari festeggiamenti, foto e quant’altro, appena riuscirono a toccare terra e ad essere mollati un attimo, Andrea guardò subito fra gli spalti ricordandosi improvvisamente di quella cosa importante. Li cercò ossessivo non trovandoli dove li aveva lasciati, già deluso perché credeva che se ne fossero andati e li avesse persi veramente, quando li vide davanti alla ringhiera del piano rialzato per il pubblico, a pochi metri da lui, gli venne quasi un colpo, il cuore si fermò per un secondo e Marco gli si avvicinò ma lo lasciò solo al tempo stesso.
Fu un secondo di scambi importante e con ogni speranza nel cuore che per quell’occasione tornò bimbo ricordando ogni momento passato solo a cercare una loro attenzione, un loro abbraccio, del calore…Andrea li vide sorridere mentre si tenevano stretti l’un l’altro, con l’emozione palpabile nello sguardo ed una sincera felicità. Lesse qualcosa che non vi aveva mai visto, ne era certo.
Lesse amore.
Amore per lui.
Era quasi impossibile sentirli in mezzo a quella confusione, mentre i fotografi continuavano a scattare foto curiosi di cosa succedesse, lui non li calcolava.
Era impossibile ma lui li sentì e fu sicuro che dissero questo:
- Siamo fieri di te. Scusaci, torna a casa. Vai bene come sei…-
E qualunque forza potesse avere lui, non gli bastò.
Non gli bastò affatto perché si morse il labbro e vide la vista offuscarsi fino a che gli occhi brucianti non gli impedirono di vederli.
Andrea piangeva e rivedeva tutto quello che aveva pianto in passato, da piccolo, perché si sentiva solo in un casa troppo grande e vuota. Poi rivide quando incontrò il basket che l’aveva salvato.
Ecco, ora la sensazione era la stessa.
Ovviamente i giornalisti cominciarono a fargli domande e ad assalirlo, una scena imperdibile su cui ci avrebbero ricamato su chissà quante storie strappalacrime se…qualcuno non fose intervenuto.
Marco lì vicino, con una grande prontezza di riflessi che mai aveva avuto in tutta la sua vita visto che era un tipo piuttosto lento di comprendonio, abbassò in fretta e brusco il biondo, gli diede come una ginocchiata nello stomaco e un pugno in testa che lo fece andare a terra, e lui gli si piazzò davanti sorridendo a 35 denti smagliante come mai aveva fatto, il segno di vittoria nelle dita e una dichiarazione a dir poco sconcertante, atta a far cambiare abilmente direzione dei riflettori e salvare le lacrime di quel vergognoso coso coperto d’oro!
- Vorrei dedicare questa vittoria a mio fratello ed alla ragazza che mi piace! È della mia scuola, è stata la prima con cui ho avuto a che fare…ne approfitto per chiederle di uscire: Adrian, ci vieni con me? Ehi, fateglielo avere il mio invito, non credo mi abbia sentito…spero che Andreuccio non se la sia presa ma i miei gusti sono di gran lunga di questa sponda…grazie a tutti di averci seguiti, ora per non far disperare il biondo per questa mia dichiarazione, lo consolerò a modo mio! Sono un ragazzo con un gran cuore, vero?-
Detto questo lo tirò su immediatamente e senza dar tempo a nessuno di reagire, specie all’interessato che non sapeva se poter continuare a piangere in santa pace oppure ammazzarlo, lo avvolse con un braccio e uscirono abbracciati dal campo, come due vecchi grandi amici…cosa non troppo differente ormai dalla realtà!
Andrea inizialmente avrebbe voluto in effetti strozzarlo ma non lo fece perché solo uno contorto come lui poteva capire le reali intenzioni di quel folle: aiutarlo!
L’aveva tolto dall’impiccio in modo molto abile, sacrificando la sua intimità.
Una persona apprezzabile a modo suo, indispensabile e di gran cuore, impacciato in queste dimostrazioni ma veramente indispensabile.
Un amicizia che era materia di leggenda era iniziata ufficialmente.
L’unica cosa di dovere che si concesse Andrea fu solo una parola, quando tornò con la mente ai suoi genitori. Non era stato indelicato ad agire così, si era sentito al contrario capito e aiutato veramente. L’aveva apprezzato nel profondo e solo avendolo lì poteva dire di sentirsi più forte, assurdamente.
Così glielo disse:
- Grazie, Marco…-
Marco divenne rosso come un peperone, odiava queste cose ma a sua volta ripensò a quando l’aveva guardato negli occhi prima ed aveva capito qual’era il suo vero sogno, solo perché era lui, Andrea, ed aveva un tale amore spontaneo ed osceno per quello sport. Anche lui in realtà doveva molto a lui, così glielo disse a sua volta, vergognandosi come un ladro ma lo fece:
- No, grazie a te, scemo….-
Poi furono assaliti dalla seconda rata di folli scatenati: i loro amici stretti!