CAPITOLO
18:
PIANGENDO
DA UNA DONNA
/
Move
on now – Hard Fi /
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN
DRIN DRIN DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN
Il
suono fastidioso del campanello ripetuto un centinaio di volte in un
minuto, provocò dall'interno dell'appartamento un ringhio
sempre più forte e seccato, ad aprire venne il solito Marco
con la solita espressione arrabbiata che guardando il visitatore ebbe
la solita reazione che riservava a lui, alzò gli occhi al
cielo sbuffando esasperato, infine sbottò:
-
Che palle! -
Andrea
reagì a sua volta come faceva sempre, assunse un espressione
maliziosa e ammiccandogli gli lanciò un bacio da lontano
dicendo:
-
Tesoro, non emozionarti troppo, so che l'idea di ciò che
stiamo per fare ti accende subito la passione, ma contieniti
finché
non entriamo in casa! -
Anche
lo spintone del moro era di rito!
-
Stupido! Che cazzo vuoi? Ho fretta! -
Disse
poi Marco rimanendo sullo stipite della porta intenzionato a non
farlo entrare, Andrea sentendo quella frase non resistette alla
tentazione di provocarlo ancora, per lui era una cosa irresistibile.
Quel che fece lo lasciò senza parole: si dipinse in volto
l'espressione più sensuale che possedeva, gli
andò
davanti fino a toccarlo col suo corpo e slacciatosi i pantaloni gli
mise una mano sul fondoschiena, lo palpò a fondo, l'altra
mano, quella che aveva aperto i jeans, corse ad alzargli la maglietta
accarezzando la schiena e il fianco seducente infine col medesimo
modo portò la bocca al suo orecchio soffiando, disse:
-
Allora dovremo fare svelti ... non preoccuparti, amore, sarò
breve ma intenso, ti farò vedere le stelle! -
Ci
fu un attimo di silenzio in cui Marco registrava la scena per capire
cosa succedeva e con il solito secondo treno comprese tutto agendo
violento come era da aspettarsi: un calcio negli stinchi e le urla di
Tarzan.
-
BRUTTO STRONZO! SE TI PIACE IL COSO VA' A BATTERE IN VIA LIRUTI E NON
ROMPERE A ME! SEMPRE CON QUESTA STORIA! PORCO PORCO! -
Massaggiandosi
la gamba lesa Andrea lo fissò con un sopracciglio alzato e
incuriosito chiese l'unica cosa che gli pareva degna d'attenzione:
-
Porco porco? -
Era
una nuova uscita mai sentita da quel pazzo sclerotico, per cui voleva
la spiegazione di quella nuova definizione coniata:
-
Uno come animale e uno come aggettivo! Tutti per te! -
Detto
ciò si girò sempre d'umore nero e con gesti
bruschi
raccolse i vestiti sparsi per casa mettendoli tutti nell'armadio in
camera, cercando di ignorare l'amico entrato senza complimenti in
casa.
-
Questa è proprio bella, me la segno ... -
Disse
con un ghigno divertito, uno dei suoi; Marco tornato dall'altra
stanza e vedendogli l'aria sadica di sempre tirò un sospiro
di
sollievo: ecco l'Andrea solito, quello che riusciva a gestire
perché
bastava picchiarlo!
Quel
lato provocatorio e maniaco gli era venuto fuori in quella settimana
passata a vivere con lui, dopo tutte le voci sul loro conto che li
vedevano fidanzati, forse si era convinto che dovesse essere vero.
-
Che diavolo vuoi, rompipalle? -
Il
biondo sospirando si era appoggiato al divano sgangherato posto in
mezzo al soggiorno, l'aveva squadrato da capo a piedi e poi con aria
da nobile gentiluomo aveva asserito:
-
Certo che hai un linguaggio così scurrile che non
è per
nulla appropriato per cotale persona che hai dinnanzi! -
Marco
si era quindi bloccato e guardandolo con la testa piegata di lato ed
una smorfia schifata aveva detto:
-
Ma cazzo dici? Parla come mangi! -
Aggiungendo
subito dopo:
-
No, ti prego, meglio di no che poi fai troppo schifo! -
Più
che altro non aveva capito un fico secco di ciò che aveva
detto il bambino d'oro, per cui aveva avuto quell'uscita; Andrea
capendolo al volo gli tradusse la frase in gergo attuale:
-
Ho detto che parli come uno scaricatore di porto! Sei troppo volgare,
dici una parolaccia al secondo, sei inascoltabile! -
Silenzio,
connessione, elaborazione, comprensione e risposta:
-
Ma vaffanculo! -
Ecco
fatto!
L'amico
scosse la testa, tanto sapeva che avrebbe risposto così,
quindi venne al sodo:
-
Sono venuto ... -
-
Che schifo, potevi evitare di dirmelo, non mi interessa la tua
attività sessuale! -
Quel
che fece l'altro fu ignorarlo come solo lui riusciva a fare:
-
... a prendere le mie cose, alla fine dopo la partita non sono
più
passato! -
Aveva
appena finito la frase e subito si ritrovò il borsone con i
suoi effetti buttato in faccia, gli provocò un po' di dolore
ma non lo diede a vedere visto l'orgoglio che superava ogni limite
esistente, rispose solo con uno sguardo fulminante ed un insulto come
tanti altri, Marco poi lo prese per il braccio e tirandolo lo
alzò
dicendo:
-
Dai su, vattene ora che ho fretta, mi fai sempre perdere un sacco di
tempo! -
Andrea
si alzò ma non potè fare a meno di chiedergli
incuriosito:
-
Ma che devi fare di così importante? -
Sgarbatamente
gli rispose:
-
Ho un appuntamento ... sta per arrivare qui! -
-
Adry? -
-
Si ... ehi, come fai a saperlo? -
-
Io so tutto! -
-
Si, tranne che sei imbecille! Dai, come lo sai? -
-
L'ho immaginato! Con chi potresti vederti in privato se non con lei?
O io o lei, no? Sono gli unici che vedi al di fuori del gruppo! -
-
Si ma è diverso! -
-
Certo, ora è sera e quindi la cosa è
più seria!
-
-
Ma no, stupido! Intendevo è diverso perché tu e
lei lo
siete: lei la vedo perché mi piace, te ero costretto a
vederti! -
-
Così mi fai piangere! -
-
Però è vero che lei l'ho vista in privato ma era
sempre
giorno e nulla di programmato … -
-
Allora si chiama appuntamento ufficiale. -
-
Si? -
-
Si, vi frequentate. -
-
Oh ... -
-
Ma senti un po' ... -
Aggiunse
poi Andrea dirigendosi alla porta, rivolto poi per metà
all'interno e metà all'esterno:
-
Hai forse intenzione di sedurla? -
Marco
in posizione neutrale lo fissò con l'eterno broncio
chiedendogli:
-
Perché? -
Lo
disse seriamente per fare più effetto ma in
realtà
avrebbe voluto ridergli dietro, il risultato fu quello voluto:
-
Non so, a giudicare da come sei vestito ... anzi svestito! -
Solo
allora si guardò notando di essere vestito solo dai boxer,
quindi rimase un attimo in silenzio a guardarsi, dopo aver recepito
pienamente il concetto gli fece il dito medio e sbuffando lo spinse
fuori con un calcio nel fondoschiena:
-
Se non te ne vai come faccio a vestirmi? Ti ho detto che ho fretta! -
Dopo
di che afferrò i pantaloni e infilandoseli vide Andrea che
sceso qualche gradino del palazzo si fermò di nuovo, gli
lanciò il suo sguardo dagli occhi neri penetranti e
improvvisamente serio gli disse:
-
Buona fortuna con Adrian! Se la fai soffrire Thomas ti ammazza! -
Cercò
di capire se lo stava prendendo in giro ma sapeva che così
non
era, era una semplice frase come un'altra detta da amico ad amico,
nulla di che, ma gli suonò come qualcosa di prezioso, un
portafortuna o qualcosa di simile.
-
Ovvio, per chi mi prendi? Mica sono te che tratti le donne come dei
buchi! -
Un
breve ghigno:
-
No, ti prendo solo per Marco! -
-
Stupido! Stà tranquillo ... -
Il
sorriso sbieco di Andrea mutò in uno più morbido
e
fraterno:
-
Lo sono, ci tieni a lei, è impossibile che vada male. -
Detto
ciò si scambiarono un ulteriore dito medio di saluto per
alleggerire la situazione e ognuno andò per la propria
strada
con la porta che si chiudeva e le scale che nascondevano il giovane
capitano della sua squadra di basket.
Appena
chiuso un presentimento colpì il moro rimasto a torso nudo
che
cercava una maglia decente da indossare, si bloccò e nello
stesso istante il telefono squillò, di norma avrebbe
risposto
male, tipo un:
'Chi
diavolo è, ora?'
Ma
in quel momento non se lo sentiva, in quel momento era troppo teso.
-
Pronto? -
Disse
alzando la cornetta del telefono di sua zia, di nuovo via per lavoro;
dall'altro capo una voce gli rispose dicendogli qualcosa che nessuno
se non lui avrebbe mai saputo. Un sussurro stranito:
-
Mamma?! -
Non
era normale, lei non lo aveva mai chiamato ed era da anni che ormai
non gli rivolgeva la parola. Si sentì solo morire quando
udì
la sua voce, gli bastò sentire la sua voce per sapere che
era
successo qualcosa; quando quel qualcosa gli fu detto, il telefono gli
scivolò dalla mano che corse alla bocca semiaperta.
Shock,
tutto ciò che si lesse nel suo volto.
Passando
davanti ad una vetrina vi si specchiò per vedere per
l'ennesima volta se era tutto a posto: il vestito non l'aveva mai
indossato poiché era così femminile da farle
schifo,
però aveva uno stile indiano molto delizioso che lei adorava
e
le donava, la parte inferiore era una gonna fino ai polpacci con le
frange, il taglio in diagonale. La parte superiore era collegata a
quella sotto ma alla vita era legata una cintura larga di un colore
più scuro rispetto al resto, l'abito saliva in un top
mediamente attillato, una parte era senza manica, mentre l'altra
presentava le frange anch'essa, al collo una collana in legno sempre
tipica indiana in pandan con il bracciale, ai piedi degli stivali
anch'essi tipici dello stile che la vedeva protagonista, del colore
della cintura, l'abito di una stoffa simile a pelle scamosciata era
beige marroncino e sarebbe stato meglio a Kimberly piuttosto che a
lei viste le diverse carnagioni, ma dal momento che il colore dello
stile che piaceva a lei era questo, si poteva far poco. Lei era
quella delle culture particolari come quelle indiane, giapponesi,
cinesi, egiziane, western ... insomma tutte purché non
fossero
europee!
I
capelli li aveva tirati su ai lati con delle forcine mentre il resto
erano sciolti, ricci e biondi che le arrivavano fino alle spalle,
più
lunghi di molto rispetto all'inizio dell'anno: era riuscita
miracolosamente a farli crescere senza tagliarli per poca pazienza,
merito della simpatia che aveva assunto da subito, o quasi, per Marco
che l'aveva spinta a cercare di farsi più carina.
Il
volto, tuttavia, era acqua e sapone, semplice e naturale, non si era
mai truccata in vita sua e non avrebbe cominciato ora, ma stava bene,
nel complesso una bella ragazza che di norma non catturava
l'attenzione dei ragazzi perché non si teneva bene, si
lasciava andare ed aveva modi molto maschili e aggressivi; se voleva
sapeva diventare molto bella, bastava si curasse un po' di
più.
Si
strinse nello scialle chiuso che aveva sempre con le frange ed il
collo alto, la stagione non era ancora calda, poi sospirò e
si
mise a pensare e ripensare se facesse bene ad uscire con Marco, cosa
dovesse fare e come dovesse comportarsi, non sembrava a guardarla ma
era una persona molto impacciata nelle questioni sentimentali, anche
perché non aveva mai avuto storie serie.
-
Se mi sentisse Tommy pensare queste cose ed avere così tanti
dubbi, mi prenderebbe a calci, cazzo! Devo smetterla, tanto ormai
sono arrivata! -
Percorse
così i pochi metri che la distanziavano dall'appartamento di
Marco e senza fare minimamente caso al cesso di posto che era,
salì
le scale e giunta davanti alla porta fatidica suonò a sua
volta, rimase in attesa continuando con le paranoie mentali, mille e
mille volte a domandarsi se fosse il caso di uscire con Marco con il
rischio di rovinare la bella amicizia che avevano; del resto gli
piaceva molto, quel ragazzo, ormai c'era dentro con tutte le scarpe
ed anche se non era stato proprio un colpo di fulmine, si poteva dire
che ci somigliava molto.
Dopo
aver atteso non poco si chiese come mai non venisse ad aprire e col
dubbio di aver sbagliato giorno, ora o posto, controllò sul
cellulare l'sms dell'appuntamento: alle 20 a casa di Marco! Non
dovevano cenare lì ma solo incontrarsi, visto che erano
entrambi ritardatari era inutile mettersi d'accordo per vedersi in
altri luoghi col rischio di perdersi, capirsi male o cose simili.
Ricordando
che casa sua, una volta aperta con la chiave, si poteva aprire anche
da fuori, lo fece prendendosi la libertà di entrare senza
permesso, del resto l'aspettava, no?
Girò
la maniglia e aprì la porta chiamandolo con un tono normale:
-
Marco? Ci sei? Posso? -
La
luce era accesa, quindi lui c'era, diede un'occhiata all'interno
vuoto poi il suo sguardo andò alla porta della camera
aperta,
un ombra vi si stagliava innanzi, strinse gli occhi e distinse
controluce proprio lui, Marco, in piedi a torso nudo davanti al letto
con ai piedi il telefono portatile che sembrava caduto.
Subito
una nota stonata in tutta la scena, non lui che non era ancora
pronto, se l'era immaginato, tanto meno che fosse così sexy
a
torso nudo solo coi jeans addosso ed i capelli neri tutti
scompigliati, a farle drizzare le antenne fu la sua espressione
letteralmente shockata, come in uno stato catatonico, e la mano.
Quella mano portata al viso con le dita appoggiate sulle labbra
aperte. Infine il suo sguardo si posò sui suoi occhi, uno
coperto dalla frangia folta e l'altro visibile, l'azzurrità
colpiva come poteva fare un mare in tempesta, la pupilla fatta
piccola e la luce che vagava fra il sogno e la realtà, la
luce
della sua ragione che si chiedeva chissà quali cose a lei
sconosciute.
Era
successo qualcosa.
Immediatamente
un moto di preoccupazione sempre crescente. Non era accaduto a lui ma
a qualcuno a cui lui teneva, per un attimo il pensiero volò
ad
Andrea, l'unico amico per cui immaginava potesse avere una reazione
shockante, poi però la scartò visto che
sicuramente Kim
l'avrebbe detto prima a lei che a lui.
Qualche
familiare. Ecco chi. Qualche familiare non stava bene, ma per ridurlo
così non doveva essere uno scherzo.
-
Marco? Che c'è? -
Mosse
qualche passo incerto verso di lui, chiudendosi la porta d'ingresso
dietro di sé. Cautamente gli si avvicinò
chiedendosi
quale potesse essere il modo migliore per aiutarlo in quel momento,
avendo però la mente vuota decise solo per un lieve contatto
con le mani sulle sue braccia rigide, non respirava nemmeno ed era
pallido come un fantasma, da far paura.
Fu
quel tocco che gli provocò una reazione, lo sentì
irrigidirsi ulteriormente e poi allenare ogni tensione lasciandosi
scivolare sul bordo del letto dietro di lui, pesantemente, come se
avesse scampato uno svenimento.
Lei
quindi lo guardò ancora più preoccupata e
cercando di
non andare in panico, si sentì inadeguata a quel genere di
situazione, quindi si insultò mentalmente!
Improvvisamente
rilevò un lamento di Marco, la voce inizialmente indistinta
sembrava dire cose senza senso, poi lentamente conquistò un
senso anch'essa e capì ciò che diceva, anche se
era
agitata e caotica, nervoso lui stesso; parlava come fosse sull'orlo
delle lacrime, non credeva a quanto diceva, non ci credeva:
-
... in ospedale ... grave ... prognosi riservata ... coma ...
potrebbe non svegliarsi più ... lesione alla spina dorsale
...
mio padre ... lui ... noi non ci parlavamo più da ... da
quando è morto lui ... mio fratello ... nemmeno con la
mamma,
ma lei sta bene ... è papà che mi ha cacciato ...
non
mi voleva più come figlio ... lui ora potrebbe morire ... mi
lascerebbe anche lui come mi ha lasciato mio fratello ... tutti mi
lasciano ... porto sfortuna ... chi sta con me è destinato a
soffrire ... io gli ho urlato che l'odiavo e lui a me ... ed ora sta
morendo per un incidente ... ed io che gli ho detto di odiarlo ... oh
mio Dio ... -
Seguirono
una serie di altre parole pronunciate sempre più
frettolosamente e Adrian sentendosi montare su dispiacere e rabbia
mescolate per le parole che diceva contro sé stesso, ma
anche
una grande pena portata dal bene che gli voleva, era rimasta a sua
volta shockata senza trovare le parole giuste, troppe avrebbe voluto
dirgli e tutte banali, inutili e stupide. Se avesse parlato avrebbe
sicuramente sbagliato, magari per come era fatta l'avrebbe anche
aggredito, così decise di starsene zitta senza fare nulla,
guardando il suo volto sconvolto e la luce dagli occhi che ancora non
tornava. Si chiese perché lei non fosse come Kimberly che
sapeva fare e dire le cose adatte in ogni situazione.
Rimase
in silenzio comprendendo la situazione. Avrebbe voluto scuoterlo con
forza e gridargli di non dire quelle stronzate ma anzi di correre da
lui per fare in tempo, però non disse nulla di tutto quello
perché nulla le uscì. Si tenne quei sentimenti
carichi
di molte cose e l'ascoltò, l'unica cosa che sapeva fare
senza
sbagliare o esagerare.
Il
mondo sa crollare molto bene sulle spalle di un ragazzino, quando
vuole. Sa farlo crescere di forza obbligandolo a prendere decisioni
affrettate per la sua giovane età ed inesperienza, poi sa
anche ritorcergliele contro facendolo sentire in colpa, quando in
realtà è colpa di nessuno, solo del fato crudele
e
beffardo, se questo esistesse.
Quando
Marco aveva sentito la voce di sua mamma pronunciare metallica quelle
parole sulla salute di suo padre, per terminare con un 'per colpa tua
non morirà in pace!', dire che si era sentito a sua volta
morire era dire poco.
Ciò
che aveva visto era stata un ondata pazzesca arrivargli incontro. Lei
parlava ed il mare nei suoi occhi si alzava sempre più in
cavalloni, poi improvvisamente la botta finale con una più
grande delle altre, enorme muro altissimo ed invalicabile di acqua.
E
lui vi era caduto dentro facendosi travolgere da quella furia
scatenata e violenta.
Il
contatto con la realtà non era tornato del tutto col tocco
di
Adrian, ma pian piano aveva riacquistato coscienza del suo corpo, si
trovava a casa e le forze l'avevano subito abbandonato, la vista
andava e veniva e l'udito anche.
La
bocca aveva iniziato a parlare da sola prova che il suo corpo era
ancora vivo e reagiva da solo contro sé stesso e il suo
stato
d'animo, per cui aveva cercato di tornare del tutto in sé;
una
volta riuscito si era ripetuto all'infinito la storia sua e di suo
padre ricordandola dal principio, cercando l'origine dell'odissea che
aveva coinvolto tutta la famiglia. Senza trovare nulla se non buio.
Angoscia.
Angoscia
allo stato puro.
Avrebbe
perso suo padre e lui avrebbe avuto un altro rimorso sulla coscienza.
Un'altra
volta no.
Suo
fratello aveva sempre saputo che lui gli voleva bene, avevano un bel
rapporto, ma suo padre no, si erano sempre detestati. Come avrebbero
fatto?
Le
parole gli finirono, la voce gli morì in gola e non gli
rimase
che rannicchiarsi su sé stesso, nascondendo il viso fra le
mani, piegando il busto in avanti fino a trovare un appoggio.
Quale?
Una
persona, quella che poco prima gli aveva circa ridonato contatto con
la realtà.
Era
familiare, morbida, calda.
Aveva
appoggiato la testa sul suo ventre, lui era seduto e lei in piedi
davanti a lui.
Si,
era una lei.
Era
LA lei.
Adrian.
Lo
capì senza connettere che aveva l'appuntamento con lei, per
questo era lì.
Pensò
che fosse un segno del cielo, che di lei potesse fidarsi, che
qualcuno forse gli voleva ancora bene, perché avrebbe potuto
reggere solo lei.
Sentì
di potersi fidare e si abbandonò al suo contatto e
bastò
questo, il suo profumo e la sua dolcezza innata, inconscia, a farlo
crollare.
Prese
a tremare come un bambino, mordersi le labbra e stringere forte gli
occhi che lasciavano andare le lacrime.
Calde
lacrime che venivano accolte dalla persona adatta, da chi di dovere.
Una
donna.
La
donna che voleva entrasse nella sua vita.
Sentì
che lei le raccoglieva abbracciandolo a sua volta, stringendolo
forte, sussurrandogli leggera:
-
Ci andiamo insieme da tuo padre, domani mattina ci andiamo insieme
... non ti lascio. Non sei un mostro come dici, non potrei aver perso
la testa per un mostro, lo sai? -
Sentirsi
dire una cosa simile fu come balsamo per i suoi orecchi, per la sua
anima e il suo cuore gonfi di rimpianti e dolore, non ne poteva
più
e la liberazione che ebbe nel sentire che nonostante tutto ancora
qualcuno gli poteva voler bene, fu immensa.
Si
disse che non voleva perdere anche quella nuova cosa preziosa.
Si
disse che non voleva perderla, ne aveva bisogno perché era
lei, Adrian, non perché aveva bisogno di amare ed essere
amato.
Se
lo disse e tornò a respirare, quindi sempre fra le lacrime,
mantenendo gli occhi chiusi ma smettendo di tremare, alzò la
testa, prese quella di lei fra le mani e attirandola a sé
cercò le sue labbra trovandole e prendendosele con disperato
bisogno. La baciò come mai non aveva fatto con nessuno, in
un
misto fra salato di lacrime e dolce per il bacio.
Tennero
le labbra unite muovendosi lenti, prendendo un ritmo personale
curativo, con le lingue che si avvolgevano con crescente
intensità.
Fu dolce come primo bacio fra di loro, ma anche fu passionale e
voluto, pieno. Pieno di desiderio e bisogno. Pieno di calore e
vicinanza.
Tanto
che si trovarono a perdere l'equilibrio cadendo nel letto sotto di
loro, stesi e comodi, intimi e subito più calmi, sollevati,
dolci.
Con
la pace nel cuore per la consapevolezza di aver trovato una cosa
tanto cercata e giusta.
/
Porcelain – Red Hot Chili Peppers /
La
stazione del treno già di prima mattina brulicava di persone
che andavano e venivano, fischi di treni che arrivavano e partivano,
annunci di voci metalliche che parlavano in più lingue,
coppie
che si abbracciavano e si salutavano, chi in lacrime di tristezza,
chi in lacrime di gioia per essersi ritrovati, tante storie che si
completavano, iniziavano o semplicemente continuavano in un posto
inanimato come la stazione, paradossalmente il luogo in assoluto
più
vivo.
Due
in particolare stavano aspettando il loro treno per andare in una
certa destinazione, era un'altra coppia, una neo coppia che si teneva
per mano, lui si mostrava più teso mentre lei cercava di
infondere la sua forza al fidanzato.
Entrambi
dei tipi piuttosto selvatici, tutto sommato, sia d'aspetto, sia di
stile, sia di modi di fare, che di carattere.
Lei
dai biondi ricci incolti che le arrivavano alle spalle, pelle molto
bianca e occhi grigi.
Lui
dai neri capelli lisci ma spettinati che gli coprivano fronte, occhi,
orecchi e collo, pelle decisamente più colorita di lei ma
dal
volto pallido, occhi azzurri da curiose sfumature verde oceano.
Lei
era le nuvole che viaggiavano in cielo diventando a volte bianco
candido a volte grigio cupo, lui invece il mare ora in tempesta, ora
limpido e calmo ma sempre in movimento.
Adrian
e Marco andavano a sistemare dei conti in sospeso per poter mettere
la parola fine anche alle sofferenze di quel ragazzo, troppo a lungo
lasciatosi andare.
Lo
facevano insieme dopo aver capito che volevano provare a far parte
l'uno della vita dell'altro e provare a vedere come sarebbe andata,
volevano stare insieme.
Il
campo da basket all'interno del giardino della villa era vuoto, al
contrario di una stazione centrale dei treni. L'unico sveglio che
provocava rumore con una palla di cuoio era un ragazzo decisamente
molto bello dai capelli dorati, pelle candida e delicata come i suoi
lineamenti, occhi neri e penetranti in contrasto con l'aria angelica
e il resto dei colori.
Non
era ancora sudato e nonostante non fosse ancora caldo, era con una
maglia senza maniche ma non sudato, correva palleggiando veloce e
basso, con fare molto esperto e disinvolto, poi altrettanto fluido
saltava sotto canestro per mettere la sfera nel cerchio sempre in un
modo diverso dal precedente, era affascinante da vedere
poiché
si capiva che era esperto, un professionista, come vedere un artista
che dipingeva un quadro molto complicato ma bello.
Lui
non aveva nessuno stato d'animo particolare, un aria solo molto
concentrata, tuttavia si poteva percepire una felicità
incontrastata in quel suo sguardo fiero e orgoglioso.
Stava
bene.
Di
lui non si poteva dire molto altro.
Lui
poteva essere paragonato a mille animali come leoni, pantere e
ghepardi, tuttavia non era questo.
Lui
era fuoco che tanto dava ma tanto voleva, bruciando sempre
più
senza mai farsi bastare ciò che riceveva. Una passione
continua ed irresistibile.
Andrea
era semplicemente sereno, quel giorno, nessun pensiero oscurava
più
la sua mente, solo un piccolo volo all'amico Marco, ormai rassegnato
a chiamare tale seppur solo in privato con sé stesso. Gli
aveva telefonato avvisandolo che andava dal padre in coma nella sua
città d'origine.
Ci
andava con la neo fidanzata Adrian. Lui non si era stupito per lei,
l'aveva sempre saputo che sarebbero finiti così, si era
stupito di sapere che andava dal padre, quindi gli aveva
semplicemente detto quattro parole brevi ed incisive che a modo suo
avevano dato forza al moro molto teso.
'Ora
tocca a te …'
Il
seguito della frase sarebbe stato:
'...ricevere
la tua felicità!'
FINE