CAPITOLO 18:
PIANGENDO DA UNA DONNA

/ Move on now – Hard Fi /

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN DRIN DRIN DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN
Il suono fastidioso del campanello ripetuto un centinaio di volte in un minuto, provocò dall'interno dell'appartamento un ringhio sempre più forte e seccato, ad aprire venne il solito Marco con la solita espressione arrabbiata che guardando il visitatore ebbe la solita reazione che riservava a lui, alzò gli occhi al cielo sbuffando esasperato, infine sbottò:
- Che palle! -
Andrea reagì a sua volta come faceva sempre, assunse un espressione maliziosa e ammiccandogli gli lanciò un bacio da lontano dicendo:
- Tesoro, non emozionarti troppo, so che l'idea di ciò che stiamo per fare ti accende subito la passione, ma contieniti finché non entriamo in casa! -
Anche lo spintone del moro era di rito!
- Stupido! Che cazzo vuoi? Ho fretta! -
Disse poi Marco rimanendo sullo stipite della porta intenzionato a non farlo entrare, Andrea sentendo quella frase non resistette alla tentazione di provocarlo ancora, per lui era una cosa irresistibile. Quel che fece lo lasciò senza parole: si dipinse in volto l'espressione più sensuale che possedeva, gli andò davanti fino a toccarlo col suo corpo e slacciatosi i pantaloni gli mise una mano sul fondoschiena, lo palpò a fondo, l'altra mano, quella che aveva aperto i jeans, corse ad alzargli la maglietta accarezzando la schiena e il fianco seducente infine col medesimo modo portò la bocca al suo orecchio soffiando, disse:
- Allora dovremo fare svelti ... non preoccuparti, amore, sarò breve ma intenso, ti farò vedere le stelle! -
Ci fu un attimo di silenzio in cui Marco registrava la scena per capire cosa succedeva e con il solito secondo treno comprese tutto agendo violento come era da aspettarsi: un calcio negli stinchi e le urla di Tarzan.
- BRUTTO STRONZO! SE TI PIACE IL COSO VA' A BATTERE IN VIA LIRUTI E NON ROMPERE A ME! SEMPRE CON QUESTA STORIA! PORCO PORCO! -
Massaggiandosi la gamba lesa Andrea lo fissò con un sopracciglio alzato e incuriosito chiese l'unica cosa che gli pareva degna d'attenzione:
- Porco porco? -
Era una nuova uscita mai sentita da quel pazzo sclerotico, per cui voleva la spiegazione di quella nuova definizione coniata:
- Uno come animale e uno come aggettivo! Tutti per te! -
Detto ciò si girò sempre d'umore nero e con gesti bruschi raccolse i vestiti sparsi per casa mettendoli tutti nell'armadio in camera, cercando di ignorare l'amico entrato senza complimenti in casa.
- Questa è proprio bella, me la segno ... -
Disse con un ghigno divertito, uno dei suoi; Marco tornato dall'altra stanza e vedendogli l'aria sadica di sempre tirò un sospiro di sollievo: ecco l'Andrea solito, quello che riusciva a gestire perché bastava picchiarlo!
Quel lato provocatorio e maniaco gli era venuto fuori in quella settimana passata a vivere con lui, dopo tutte le voci sul loro conto che li vedevano fidanzati, forse si era convinto che dovesse essere vero.
- Che diavolo vuoi, rompipalle? -
Il biondo sospirando si era appoggiato al divano sgangherato posto in mezzo al soggiorno, l'aveva squadrato da capo a piedi e poi con aria da nobile gentiluomo aveva asserito:
- Certo che hai un linguaggio così scurrile che non è per nulla appropriato per cotale persona che hai dinnanzi! -
Marco si era quindi bloccato e guardandolo con la testa piegata di lato ed una smorfia schifata aveva detto:
- Ma cazzo dici? Parla come mangi! -
Aggiungendo subito dopo:
- No, ti prego, meglio di no che poi fai troppo schifo! -
Più che altro non aveva capito un fico secco di ciò che aveva detto il bambino d'oro, per cui aveva avuto quell'uscita; Andrea capendolo al volo gli tradusse la frase in gergo attuale:
- Ho detto che parli come uno scaricatore di porto! Sei troppo volgare, dici una parolaccia al secondo, sei inascoltabile! -
Silenzio, connessione, elaborazione, comprensione e risposta:
- Ma vaffanculo! -
Ecco fatto!
L'amico scosse la testa, tanto sapeva che avrebbe risposto così, quindi venne al sodo:
- Sono venuto ... -
- Che schifo, potevi evitare di dirmelo, non mi interessa la tua attività sessuale! -
Quel che fece l'altro fu ignorarlo come solo lui riusciva a fare:
- ... a prendere le mie cose, alla fine dopo la partita non sono più passato! -
Aveva appena finito la frase e subito si ritrovò il borsone con i suoi effetti buttato in faccia, gli provocò un po' di dolore ma non lo diede a vedere visto l'orgoglio che superava ogni limite esistente, rispose solo con uno sguardo fulminante ed un insulto come tanti altri, Marco poi lo prese per il braccio e tirandolo lo alzò dicendo:
- Dai su, vattene ora che ho fretta, mi fai sempre perdere un sacco di tempo! -
Andrea si alzò ma non potè fare a meno di chiedergli incuriosito:
- Ma che devi fare di così importante? -
Sgarbatamente gli rispose:
- Ho un appuntamento ... sta per arrivare qui! -
- Adry? -
- Si ... ehi, come fai a saperlo? -
- Io so tutto! -
- Si, tranne che sei imbecille! Dai, come lo sai? -
- L'ho immaginato! Con chi potresti vederti in privato se non con lei? O io o lei, no? Sono gli unici che vedi al di fuori del gruppo! -
- Si ma è diverso! -
- Certo, ora è sera e quindi la cosa è più seria! -
- Ma no, stupido! Intendevo è diverso perché tu e lei lo siete: lei la vedo perché mi piace, te ero costretto a vederti! -
- Così mi fai piangere! -
- Però è vero che lei l'ho vista in privato ma era sempre giorno e nulla di programmato … -
- Allora si chiama appuntamento ufficiale. -
- Si? -
- Si, vi frequentate. -
- Oh ... -
- Ma senti un po' ... -
Aggiunse poi Andrea dirigendosi alla porta, rivolto poi per metà all'interno e metà all'esterno:
- Hai forse intenzione di sedurla? -
Marco in posizione neutrale lo fissò con l'eterno broncio chiedendogli:
- Perché? -
Lo disse seriamente per fare più effetto ma in realtà avrebbe voluto ridergli dietro, il risultato fu quello voluto:
- Non so, a giudicare da come sei vestito ... anzi svestito! -
Solo allora si guardò notando di essere vestito solo dai boxer, quindi rimase un attimo in silenzio a guardarsi, dopo aver recepito pienamente il concetto gli fece il dito medio e sbuffando lo spinse fuori con un calcio nel fondoschiena:
- Se non te ne vai come faccio a vestirmi? Ti ho detto che ho fretta! -
Dopo di che afferrò i pantaloni e infilandoseli vide Andrea che sceso qualche gradino del palazzo si fermò di nuovo, gli lanciò il suo sguardo dagli occhi neri penetranti e improvvisamente serio gli disse:
- Buona fortuna con Adrian! Se la fai soffrire Thomas ti ammazza! -
Cercò di capire se lo stava prendendo in giro ma sapeva che così non era, era una semplice frase come un'altra detta da amico ad amico, nulla di che, ma gli suonò come qualcosa di prezioso, un portafortuna o qualcosa di simile.
- Ovvio, per chi mi prendi? Mica sono te che tratti le donne come dei buchi! -
Un breve ghigno:
- No, ti prendo solo per Marco! -
- Stupido! Stà tranquillo ... -
Il sorriso sbieco di Andrea mutò in uno più morbido e fraterno:
- Lo sono, ci tieni a lei, è impossibile che vada male. -
Detto ciò si scambiarono un ulteriore dito medio di saluto per alleggerire la situazione e ognuno andò per la propria strada con la porta che si chiudeva e le scale che nascondevano il giovane capitano della sua squadra di basket.
Appena chiuso un presentimento colpì il moro rimasto a torso nudo che cercava una maglia decente da indossare, si bloccò e nello stesso istante il telefono squillò, di norma avrebbe risposto male, tipo un:
'Chi diavolo è, ora?'
Ma in quel momento non se lo sentiva, in quel momento era troppo teso.
- Pronto? -
Disse alzando la cornetta del telefono di sua zia, di nuovo via per lavoro; dall'altro capo una voce gli rispose dicendogli qualcosa che nessuno se non lui avrebbe mai saputo. Un sussurro stranito:
- Mamma?! -
Non era normale, lei non lo aveva mai chiamato ed era da anni che ormai non gli rivolgeva la parola. Si sentì solo morire quando udì la sua voce, gli bastò sentire la sua voce per sapere che era successo qualcosa; quando quel qualcosa gli fu detto, il telefono gli scivolò dalla mano che corse alla bocca semiaperta.
Shock, tutto ciò che si lesse nel suo volto.


Passando davanti ad una vetrina vi si specchiò per vedere per l'ennesima volta se era tutto a posto: il vestito non l'aveva mai indossato poiché era così femminile da farle schifo, però aveva uno stile indiano molto delizioso che lei adorava e le donava, la parte inferiore era una gonna fino ai polpacci con le frange, il taglio in diagonale. La parte superiore era collegata a quella sotto ma alla vita era legata una cintura larga di un colore più scuro rispetto al resto, l'abito saliva in un top mediamente attillato, una parte era senza manica, mentre l'altra presentava le frange anch'essa, al collo una collana in legno sempre tipica indiana in pandan con il bracciale, ai piedi degli stivali anch'essi tipici dello stile che la vedeva protagonista, del colore della cintura, l'abito di una stoffa simile a pelle scamosciata era beige marroncino e sarebbe stato meglio a Kimberly piuttosto che a lei viste le diverse carnagioni, ma dal momento che il colore dello stile che piaceva a lei era questo, si poteva far poco. Lei era quella delle culture particolari come quelle indiane, giapponesi, cinesi, egiziane, western ... insomma tutte purché non fossero europee!
I capelli li aveva tirati su ai lati con delle forcine mentre il resto erano sciolti, ricci e biondi che le arrivavano fino alle spalle, più lunghi di molto rispetto all'inizio dell'anno: era riuscita miracolosamente a farli crescere senza tagliarli per poca pazienza, merito della simpatia che aveva assunto da subito, o quasi, per Marco che l'aveva spinta a cercare di farsi più carina.
Il volto, tuttavia, era acqua e sapone, semplice e naturale, non si era mai truccata in vita sua e non avrebbe cominciato ora, ma stava bene, nel complesso una bella ragazza che di norma non catturava l'attenzione dei ragazzi perché non si teneva bene, si lasciava andare ed aveva modi molto maschili e aggressivi; se voleva sapeva diventare molto bella, bastava si curasse un po' di più.
Si strinse nello scialle chiuso che aveva sempre con le frange ed il collo alto, la stagione non era ancora calda, poi sospirò e si mise a pensare e ripensare se facesse bene ad uscire con Marco, cosa dovesse fare e come dovesse comportarsi, non sembrava a guardarla ma era una persona molto impacciata nelle questioni sentimentali, anche perché non aveva mai avuto storie serie.
- Se mi sentisse Tommy pensare queste cose ed avere così tanti dubbi, mi prenderebbe a calci, cazzo! Devo smetterla, tanto ormai sono arrivata! -
Percorse così i pochi metri che la distanziavano dall'appartamento di Marco e senza fare minimamente caso al cesso di posto che era, salì le scale e giunta davanti alla porta fatidica suonò a sua volta, rimase in attesa continuando con le paranoie mentali, mille e mille volte a domandarsi se fosse il caso di uscire con Marco con il rischio di rovinare la bella amicizia che avevano; del resto gli piaceva molto, quel ragazzo, ormai c'era dentro con tutte le scarpe ed anche se non era stato proprio un colpo di fulmine, si poteva dire che ci somigliava molto.
Dopo aver atteso non poco si chiese come mai non venisse ad aprire e col dubbio di aver sbagliato giorno, ora o posto, controllò sul cellulare l'sms dell'appuntamento: alle 20 a casa di Marco! Non dovevano cenare lì ma solo incontrarsi, visto che erano entrambi ritardatari era inutile mettersi d'accordo per vedersi in altri luoghi col rischio di perdersi, capirsi male o cose simili.
Ricordando che casa sua, una volta aperta con la chiave, si poteva aprire anche da fuori, lo fece prendendosi la libertà di entrare senza permesso, del resto l'aspettava, no?
Girò la maniglia e aprì la porta chiamandolo con un tono normale:
- Marco? Ci sei? Posso? -
La luce era accesa, quindi lui c'era, diede un'occhiata all'interno vuoto poi il suo sguardo andò alla porta della camera aperta, un ombra vi si stagliava innanzi, strinse gli occhi e distinse controluce proprio lui, Marco, in piedi a torso nudo davanti al letto con ai piedi il telefono portatile che sembrava caduto.
Subito una nota stonata in tutta la scena, non lui che non era ancora pronto, se l'era immaginato, tanto meno che fosse così sexy a torso nudo solo coi jeans addosso ed i capelli neri tutti scompigliati, a farle drizzare le antenne fu la sua espressione letteralmente shockata, come in uno stato catatonico, e la mano. Quella mano portata al viso con le dita appoggiate sulle labbra aperte. Infine il suo sguardo si posò sui suoi occhi, uno coperto dalla frangia folta e l'altro visibile, l'azzurrità colpiva come poteva fare un mare in tempesta, la pupilla fatta piccola e la luce che vagava fra il sogno e la realtà, la luce della sua ragione che si chiedeva chissà quali cose a lei sconosciute.
Era successo qualcosa.
Immediatamente un moto di preoccupazione sempre crescente. Non era accaduto a lui ma a qualcuno a cui lui teneva, per un attimo il pensiero volò ad Andrea, l'unico amico per cui immaginava potesse avere una reazione shockante, poi però la scartò visto che sicuramente Kim l'avrebbe detto prima a lei che a lui.
Qualche familiare. Ecco chi. Qualche familiare non stava bene, ma per ridurlo così non doveva essere uno scherzo.
- Marco? Che c'è? -
Mosse qualche passo incerto verso di lui, chiudendosi la porta d'ingresso dietro di sé. Cautamente gli si avvicinò chiedendosi quale potesse essere il modo migliore per aiutarlo in quel momento, avendo però la mente vuota decise solo per un lieve contatto con le mani sulle sue braccia rigide, non respirava nemmeno ed era pallido come un fantasma, da far paura.
Fu quel tocco che gli provocò una reazione, lo sentì irrigidirsi ulteriormente e poi allenare ogni tensione lasciandosi scivolare sul bordo del letto dietro di lui, pesantemente, come se avesse scampato uno svenimento.
Lei quindi lo guardò ancora più preoccupata e cercando di non andare in panico, si sentì inadeguata a quel genere di situazione, quindi si insultò mentalmente!
Improvvisamente rilevò un lamento di Marco, la voce inizialmente indistinta sembrava dire cose senza senso, poi lentamente conquistò un senso anch'essa e capì ciò che diceva, anche se era agitata e caotica, nervoso lui stesso; parlava come fosse sull'orlo delle lacrime, non credeva a quanto diceva, non ci credeva:
- ... in ospedale ... grave ... prognosi riservata ... coma ... potrebbe non svegliarsi più ... lesione alla spina dorsale ... mio padre ... lui ... noi non ci parlavamo più da ... da quando è morto lui ... mio fratello ... nemmeno con la mamma, ma lei sta bene ... è papà che mi ha cacciato ... non mi voleva più come figlio ... lui ora potrebbe morire ... mi lascerebbe anche lui come mi ha lasciato mio fratello ... tutti mi lasciano ... porto sfortuna ... chi sta con me è destinato a soffrire ... io gli ho urlato che l'odiavo e lui a me ... ed ora sta morendo per un incidente ... ed io che gli ho detto di odiarlo ... oh mio Dio ... -
Seguirono una serie di altre parole pronunciate sempre più frettolosamente e Adrian sentendosi montare su dispiacere e rabbia mescolate per le parole che diceva contro sé stesso, ma anche una grande pena portata dal bene che gli voleva, era rimasta a sua volta shockata senza trovare le parole giuste, troppe avrebbe voluto dirgli e tutte banali, inutili e stupide. Se avesse parlato avrebbe sicuramente sbagliato, magari per come era fatta l'avrebbe anche aggredito, così decise di starsene zitta senza fare nulla, guardando il suo volto sconvolto e la luce dagli occhi che ancora non tornava. Si chiese perché lei non fosse come Kimberly che sapeva fare e dire le cose adatte in ogni situazione.
Rimase in silenzio comprendendo la situazione. Avrebbe voluto scuoterlo con forza e gridargli di non dire quelle stronzate ma anzi di correre da lui per fare in tempo, però non disse nulla di tutto quello perché nulla le uscì. Si tenne quei sentimenti carichi di molte cose e l'ascoltò, l'unica cosa che sapeva fare senza sbagliare o esagerare.

Il mondo sa crollare molto bene sulle spalle di un ragazzino, quando vuole. Sa farlo crescere di forza obbligandolo a prendere decisioni affrettate per la sua giovane età ed inesperienza, poi sa anche ritorcergliele contro facendolo sentire in colpa, quando in realtà è colpa di nessuno, solo del fato crudele e beffardo, se questo esistesse.
Quando Marco aveva sentito la voce di sua mamma pronunciare metallica quelle parole sulla salute di suo padre, per terminare con un 'per colpa tua non morirà in pace!', dire che si era sentito a sua volta morire era dire poco.
Ciò che aveva visto era stata un ondata pazzesca arrivargli incontro. Lei parlava ed il mare nei suoi occhi si alzava sempre più in cavalloni, poi improvvisamente la botta finale con una più grande delle altre, enorme muro altissimo ed invalicabile di acqua.
E lui vi era caduto dentro facendosi travolgere da quella furia scatenata e violenta.
Il contatto con la realtà non era tornato del tutto col tocco di Adrian, ma pian piano aveva riacquistato coscienza del suo corpo, si trovava a casa e le forze l'avevano subito abbandonato, la vista andava e veniva e l'udito anche.
La bocca aveva iniziato a parlare da sola prova che il suo corpo era ancora vivo e reagiva da solo contro sé stesso e il suo stato d'animo, per cui aveva cercato di tornare del tutto in sé; una volta riuscito si era ripetuto all'infinito la storia sua e di suo padre ricordandola dal principio, cercando l'origine dell'odissea che aveva coinvolto tutta la famiglia. Senza trovare nulla se non buio.
Angoscia.
Angoscia allo stato puro.
Avrebbe perso suo padre e lui avrebbe avuto un altro rimorso sulla coscienza.
Un'altra volta no.
Suo fratello aveva sempre saputo che lui gli voleva bene, avevano un bel rapporto, ma suo padre no, si erano sempre detestati. Come avrebbero fatto?
Le parole gli finirono, la voce gli morì in gola e non gli rimase che rannicchiarsi su sé stesso, nascondendo il viso fra le mani, piegando il busto in avanti fino a trovare un appoggio.
Quale?
Una persona, quella che poco prima gli aveva circa ridonato contatto con la realtà.
Era familiare, morbida, calda.
Aveva appoggiato la testa sul suo ventre, lui era seduto e lei in piedi davanti a lui.
Si, era una lei.
Era LA lei.
Adrian.
Lo capì senza connettere che aveva l'appuntamento con lei, per questo era lì.
Pensò che fosse un segno del cielo, che di lei potesse fidarsi, che qualcuno forse gli voleva ancora bene, perché avrebbe potuto reggere solo lei.
Sentì di potersi fidare e si abbandonò al suo contatto e bastò questo, il suo profumo e la sua dolcezza innata, inconscia, a farlo crollare.
Prese a tremare come un bambino, mordersi le labbra e stringere forte gli occhi che lasciavano andare le lacrime.
Calde lacrime che venivano accolte dalla persona adatta, da chi di dovere.
Una donna.
La donna che voleva entrasse nella sua vita.
Sentì che lei le raccoglieva abbracciandolo a sua volta, stringendolo forte, sussurrandogli leggera:
- Ci andiamo insieme da tuo padre, domani mattina ci andiamo insieme ... non ti lascio. Non sei un mostro come dici, non potrei aver perso la testa per un mostro, lo sai? -
Sentirsi dire una cosa simile fu come balsamo per i suoi orecchi, per la sua anima e il suo cuore gonfi di rimpianti e dolore, non ne poteva più e la liberazione che ebbe nel sentire che nonostante tutto ancora qualcuno gli poteva voler bene, fu immensa.
Si disse che non voleva perdere anche quella nuova cosa preziosa.
Si disse che non voleva perderla, ne aveva bisogno perché era lei, Adrian, non perché aveva bisogno di amare ed essere amato.
Se lo disse e tornò a respirare, quindi sempre fra le lacrime, mantenendo gli occhi chiusi ma smettendo di tremare, alzò la testa, prese quella di lei fra le mani e attirandola a sé cercò le sue labbra trovandole e prendendosele con disperato bisogno. La baciò come mai non aveva fatto con nessuno, in un misto fra salato di lacrime e dolce per il bacio.
Tennero le labbra unite muovendosi lenti, prendendo un ritmo personale curativo, con le lingue che si avvolgevano con crescente intensità. Fu dolce come primo bacio fra di loro, ma anche fu passionale e voluto, pieno. Pieno di desiderio e bisogno. Pieno di calore e vicinanza.
Tanto che si trovarono a perdere l'equilibrio cadendo nel letto sotto di loro, stesi e comodi, intimi e subito più calmi, sollevati, dolci.
Con la pace nel cuore per la consapevolezza di aver trovato una cosa tanto cercata e giusta.

/ Porcelain – Red Hot Chili Peppers /

La stazione del treno già di prima mattina brulicava di persone che andavano e venivano, fischi di treni che arrivavano e partivano, annunci di voci metalliche che parlavano in più lingue, coppie che si abbracciavano e si salutavano, chi in lacrime di tristezza, chi in lacrime di gioia per essersi ritrovati, tante storie che si completavano, iniziavano o semplicemente continuavano in un posto inanimato come la stazione, paradossalmente il luogo in assoluto più vivo.
Due in particolare stavano aspettando il loro treno per andare in una certa destinazione, era un'altra coppia, una neo coppia che si teneva per mano, lui si mostrava più teso mentre lei cercava di infondere la sua forza al fidanzato.
Entrambi dei tipi piuttosto selvatici, tutto sommato, sia d'aspetto, sia di stile, sia di modi di fare, che di carattere.
Lei dai biondi ricci incolti che le arrivavano alle spalle, pelle molto bianca e occhi grigi.
Lui dai neri capelli lisci ma spettinati che gli coprivano fronte, occhi, orecchi e collo, pelle decisamente più colorita di lei ma dal volto pallido, occhi azzurri da curiose sfumature verde oceano.
Lei era le nuvole che viaggiavano in cielo diventando a volte bianco candido a volte grigio cupo, lui invece il mare ora in tempesta, ora limpido e calmo ma sempre in movimento.
Adrian e Marco andavano a sistemare dei conti in sospeso per poter mettere la parola fine anche alle sofferenze di quel ragazzo, troppo a lungo lasciatosi andare.
Lo facevano insieme dopo aver capito che volevano provare a far parte l'uno della vita dell'altro e provare a vedere come sarebbe andata, volevano stare insieme.

Il campo da basket all'interno del giardino della villa era vuoto, al contrario di una stazione centrale dei treni. L'unico sveglio che provocava rumore con una palla di cuoio era un ragazzo decisamente molto bello dai capelli dorati, pelle candida e delicata come i suoi lineamenti, occhi neri e penetranti in contrasto con l'aria angelica e il resto dei colori.
Non era ancora sudato e nonostante non fosse ancora caldo, era con una maglia senza maniche ma non sudato, correva palleggiando veloce e basso, con fare molto esperto e disinvolto, poi altrettanto fluido saltava sotto canestro per mettere la sfera nel cerchio sempre in un modo diverso dal precedente, era affascinante da vedere poiché si capiva che era esperto, un professionista, come vedere un artista che dipingeva un quadro molto complicato ma bello.
Lui non aveva nessuno stato d'animo particolare, un aria solo molto concentrata, tuttavia si poteva percepire una felicità incontrastata in quel suo sguardo fiero e orgoglioso.
Stava bene.
Di lui non si poteva dire molto altro.
Lui poteva essere paragonato a mille animali come leoni, pantere e ghepardi, tuttavia non era questo.
Lui era fuoco che tanto dava ma tanto voleva, bruciando sempre più senza mai farsi bastare ciò che riceveva. Una passione continua ed irresistibile.
Andrea era semplicemente sereno, quel giorno, nessun pensiero oscurava più la sua mente, solo un piccolo volo all'amico Marco, ormai rassegnato a chiamare tale seppur solo in privato con sé stesso. Gli aveva telefonato avvisandolo che andava dal padre in coma nella sua città d'origine.
Ci andava con la neo fidanzata Adrian. Lui non si era stupito per lei, l'aveva sempre saputo che sarebbero finiti così, si era stupito di sapere che andava dal padre, quindi gli aveva semplicemente detto quattro parole brevi ed incisive che a modo suo avevano dato forza al moro molto teso.
'Ora tocca a te …'
Il seguito della frase sarebbe stato:
'...ricevere la tua felicità!'

FINE