CAPITOLO 23:
MOMENTI CRITICI

/Bleed it out – Linkin Park/
Non era possibile, sembrava più un incubo che la realtà.
Parve questo a Thomas sul monte di lancio, quando si accucciò dopo aver visto la sua pallina ribattuta in quel modo.
Eppure se avesse saputo ciò che sarebbe successo, avrebbe saputo che il vero incubo sarebbe arrivato tutto dopo e che quello non era nulla.
Il sole batteva cocente sulla sua testa, così come su quelle di tutti gli altri giocatori in campo che esterrefatti quanto il numeroso pubblico che assisteva, osservavano senza capacitarsi di come il famoso fuoriclasse Thomas Munarini non fosse in forma.
Batteva e sembrava non rispecchiare il suo pessimo stato d’animo. Alzò gli occhi grigio cupo al cielo di un azzurro limpido da ferirli, quindi li spostò sul pubblico circostante che silenzioso non applaudiva, non quelli che tifavano per lui. Molti, in effetti. Troppi.
Si aspettavano tutti tanto da lui, li aveva abituati a delle prestazioni eccellenti, nessuno riusciva quasi mai a ribattere i suoi lanci velocissimi e potenti, quando ci riuscivano era solo perché lui non era in forma e questo non era mai un bene di sicuro.
Lunatico com’era poteva volerci un secolo per raddrizzarlo e farlo girare a dovere.
Ma anche un istante.
Un soffio.
Si tolse il cappellino tenendolo per la visiera, quindi si asciugò il sudore dalla fronte con il polso, scostò qualche ricciolo biondo ribelle e bagnato, quindi lo rimise storto e malamente sulla testa appoggiando il mento allo stesso polso con cui si era pulito distrattamente. Il gomito sul ginocchio e lui ancora tutto accovacciato sulla sua postazione con lo sguardo scuro rivolto al pubblico che lo fissava parlottando stranito.
A lui bastava poco per cambiare umore e spesso nessuno capiva cosa ci volesse e che strano macchinismo accadeva nella sua testa quando succedeva, ma bastava aspettare e sperare che succedesse.
Imprevedibile per lui era l’unico aggettivo giusto, oltre a lunatico.
Fu esattamente lì in quella posa, in quel momento, con gli occhi di tutti addosso che i suoi si trasformarono diventando simili a quelli di un demone.
Una rabbia gelida trattenuta a stento si impadronì di lui e di ogni particella che lo componeva.
Un moto di stizza, uno stato d’animo esplosivo che di lì a poco tutti avrebbero visto.
Basta così. Non c’è mica tempo per giocare così da cani! È ora di darsi da fare. Adesso si fa sul serio o poi avrò un altro grande problema di gran lunga peggiore rispetto a quello che ho con Vy: uscire vivo da questo stadio se perdo! Ho una responsabilità in quanto asso di questa squadra. Siamo alle semifinali, dannazione! Smettila di fare l’idiota buono a nulla e tira fuori le palle! All’amore ci penserai dopo che hai vinto!”
Fu con questo pensiero determinato e rabbioso che il suo sguardo mutò in quello di un demone deciso a sbaragliare un intera legione di angeli.
Ora, lì, il suo umore tornò a girare perfettamente e nulla, fino alla fine della partita, glielo avrebbe più ricambiato.
Adesso tutti i suoi avversari potevano aver paura dal momento che nessuno sarebbe stato in grado di battergli un solo colpo.
Quando si rialzò con quell’espressione seria e risoluta, diversa da quella confusa e spersa di prima, tutti se ne accorsero. I giochi erano finiti. Ora si faceva sul serio.
E quando lanciò concentrato con tutte le sue forze, la pallina si insaccò nel guantone del ricevitore senza nemmeno essere vista dal battitore avversario. Per tre volte consecutive. Determinando il suo strike out!
Fu allora che Adrian saltellando felice come una bambina maschiaccio gridò coi pugni verso il cielo ed il viso battagliero:
- SI! E’ LUI! E’ TORNATO ED E’ PIU’ FORTE CHE MAI! TREMATE GENTE! IL GUERRIERO IMBATTIBILE VI FARA’ MANGIARE LA TERRA E VI DISSANGUERA’ SENZA PIETA’! –
Al che venne naturale il commento di Marco che disse appoggiandosi col gomito alla sua ragazza:
- Sembra che parli di Goku in Dragonball! –
Ad accogliere quella battuta furono le risa di tutti gli altri che contenti per il ‘ritorno’ di Thomas, non potevano resistere alle trovate di quei due che non si smentivano mai.
L’unica a non unirsi al coro fu Viky che più rasserenata non staccò gli occhi dal suo ragazzo nemmeno un istante.
Sperava vivamente che tutto andasse bene e che quella strana sensazione sgradevole andasse via, ora.
Però non accadde.
Non accadde nemmeno durante il resto della splendida partita dove Tom diede il meglio di sé battendo addirittura un fuoricampo e regalando alla squadra un punto importante.
Gli avversari erano certamente bravi o non potevano essere in semifinale, diedero diverso filo da torcere ma l’unico rivale degno per il biondo lanciatore fuoriclasse simile ad un demone infuriato, era uno solo.
Tale Nitta.
Nitta era un ragazzo dall’incredibile velocità di ribattuta. Riusciva a vedere qualunque cosa viaggiasse a qualunque velocità ed il suo braccio era estremamente bravo a muoversi nel momento giusto con la giusta velocità. Una sorta di calcolatore istantaneo per il momento e la potenza esatti a seconda della pallina che gli veniva incontro, di quanto fosse tirata potentemente.
Per tutta la partita ci era andato dannatamente vicino al fuoricampo ma non ci era riuscito. Non ce l’aveva fatta nemmeno a ribattere la pallina decentemente. L’aveva sempre sfiorata o smorzata troppo vicino. Era riuscito a raggiungere ogni volta la prima base ma la mancanza di un altro valido giocatore come lui non l’aveva aiutato e non era mai riuscito a fare punto.
Tutti i suoi compagni si basavano sul rubare basi, l’unica speranza per poter avanzare contro Thomas. Non potevano certo sperare di battere i suoi lanci ora che era più in forma che mai!
L’unica strategia possibile, a quel punto, era un fuoricampo di Nitta.
Se Nitta in quell’ultima possibilità come ultimo giocatore rimasto sarebbe riuscito a fare un fuoricampo, quei due che erano riusciti a piazzarsi per pura fortuna in prima e seconda base potevano fare un punto a testa e col suo sarebbero arrivati a superare la squadra avversaria che al momento era in vantaggio di un solo punto.
La loro forza era l’ottima difesa che erano riusciti a mantenere contro di loro e solo quel fuoricampo di Thomas li aveva colti alla sprovvista. Per tutto il resto degli inning ce l’avevano fatta a chiudere la casa base prima del passaggio degli altri giocatori.
Lì, però, ormai c’era poco tempo e Nitta era l’ultimo.
Solo quella finale speranza di far fuoricampo.
Solo quella.
I due ragazzi erano l’uno davanti all’altro a diversi metri di distanza. Il biondo sul monte di lancio col sudore che scendeva sul viso ad indicare il caldo afoso e la stanchezza che aveva addosso, il moro con l’elmetto protettivo sulla casa base, con la mazza in mano stretta fra le mani, pronta per essere girata con potenza nel momento giusto.
Lo sguardo attento e concentrato, gli occhi puntati sulla mano che stringeva la pallina che se la rigirava fra le tre dita aspettando di tirarla, nascosta nel guantone.
Fu come se il tempo si sospendesse, se tutti concentrati ed in silenzio perfetto puntassero le loro forze su quei due personaggi che si fronteggiavano come fosse la cosa più importante della loro vita.
Le menti sgombre.
La tensione e l'energia di tutti addosso.
I corpi stanchi ed accaldati.
Il sole che continuava a battere su di loro rallentando i riflessi.
Il vento immobile che non soffiava nemmeno a pregarlo.
E nessuno. Nessuno, fra il pubblico, che fiatava.
Sapevano quanto importante era quell’attimo.
Il tempo di un lampo, la velocità incredibile dei tiri di Thomas.
Però parve un eternità.
Infine si decise.
Il giovane congiunse le mani davanti al petto, si drizzò, alzò la gamba sinistra insieme alle braccia, si sbilanciò all’indietro e dandosi quanta più spunta possibile portò il braccio con la palla in alto e lo portò dietro di sé, quindi con uno sguardo felino che fece rabbrividire tutti, teso e concentrato, serio come non mai, si buttò completamente e velocemente in avanti tendendosi più che mai, roteando così il braccio e tirando la pallina spinta dall’indice e dal medio. Il piede sinistro poggiò terra con lui completamente sopra di esso, quindi si drizzò immediatamente per vedere ma fu ancora un lampo, ciò che accadde dopo.
Proprio come quella piccola sfera bianca che viaggiava alla velocità della luce.
Come vederla?
Come poter calcolare il tempismo perfetto?
Eppure Nitta ci riuscì ma non abbastanza da mandarla dove avrebbe voluto.
Nessun fuoricampo.
Un botto.
La mazza che rotea e colpisce la palla e questa che schizza di nuovo nella direzione opposta, tornando al mittente con un aumento di potenza doppio.
Nessuno avrebbe potuto vederla.
Nessuno.
E Thomas si era appena tirato su per vedere il suo strike.
Uno strike che non arrivò.
Quando alzò la testa riuscì appena a vedere quella saetta sferica arrivargli in viso. Fece solo in tempo a girare leggermente la testa per evitare il proiettile in mezzo agli occhi, quindi ad essere colpita fu la sua tempia.
Un punto decisamente vitale e pericoloso, specie considerando quanto veloce e forte era ciò che lo colpì.
Non fu uno scherzo.
La pallina poi rimbalzò sul campo e Thomas cadde a terra di faccia nascondendo il viso fra le braccia piegate.
Fu un momento di panico. Tutti corsero, tutti gridarono, il pubblico in delirio non capiva se esultare o disperarsi e non sapevano cosa fosse successo.
Perché Thomas si fosse accasciato così e la palla avesse preso quella traiettoria strana.
Nessuno lo realizzò lì per lì.
Ma fu recuperata dai difensori in tempo che chiusero la casa base prima che i tre giocatori avversari potessero fare anche un solo punto. L’arbitro fischiò la fine dell’incontro decretando viciniori la squadra di Thomas e a quel punto tutti poterono raccogliersi preoccupati intorno al protagonista della partita che ancora steso a terra non dava cenni.
Sugli spalti sua sorella gemella ebbe un mancamento e guardandolo da lì senza capire cosa accadesse e che gli fosse successo, sentì distintamente la vista andargli via un istante.
Un istante breve mentre la testa cominciò a girargli e farle male.
Ma durò troppo poco per rendersi conto di ciò che poteva significare e ciò che poteva essere.
Quando Marco la chiamò capendo che qualcosa non andava, lei si era già ripresa e guardando di nuovo in campo poterono vedere che in quel preciso istante anche Thomas si stava rialzando borbottando un deciso ma tremolante: - Sto bene! Non è niente! – Che sentirono solo i suoi compagni lì intorno.
Decisamente l’incubo doveva ancora arrivare.


/Undrass me – Anggun/
Non era stato facile, per la stella dell’incontro di baseball sgusciare via integro ed entro una certa ora dai festeggiamenti e dalla ressa, ma ce l’aveva fatta. Ormai il tramonto irrompeva nel cielo infuocato grazie al sole che scendeva lento oltre l’orizzonte, qualche nuvola passeggera abbelliva il paesaggio colorandosi d’oro e di rosso apparendo come il capolavoro di un artista che con le sue pennellate abbelliva sempre più la natura a quell’ora della giornata.
Thomas era consapevole che non si sarebbe mai dovuto fermare a fare casino con la squadra e soprattutto a farsi festeggiare da giornalisti e tifosi, quella partita gli aveva solamente permesso di accedere alla semifinale, non poteva proprio permettersi distrazioni. La parte più importante sarebbe arrivata addirittura il giorno dopo, quindi niente giochi.
I suoi amici l’avevano aspettato sapendo le sue intenzioni di andare subito a riposarsi, quindi l’avevano accolto con entusiasmo accompagnandolo per la strada. Consapevoli della folla immane che ci sarebbe stata alla fine, erano tutti venuti a piedi. Del resto oltre ad i vari tifosi esterni, c’era presente tutta la scuola e le rispettive famiglie. La squadra di baseball aveva fatto un campionato sorprendente e nessuno si sarebbe perso mai la promettente semifinale. Ormai erano agli sgoccioli.
Dopo gli abbracci consueti dei più espansivi e le pacche contenute dei meno esuberanti, arrivò il turno di Viky per complimentarsi e decisa a parlargli da sola e dirgli tutto quello che le era interiormente capitato in quell’ultimo periodo, l’aveva guardato prevalentemente seria, dimostrando principalmente che doveva dirgli una cosa importantissima.
Tom la fissò quando se la trovò davanti e contraendo la mascella e indurendo l’espressione del viso, le voltò le spalle non permettendole di dire nulla, nemmeno un ‘bravo’. Non riscosse il suo premio come ad ogni vittoria, non si prese il suo bacio. Evitò completamente ogni cosa la riguardasse sentendo come un ticchettio pericoloso interiore. Sarebbe esploso a momenti ed ogni sciocchezza che la riguardava sarebbe potuto essere l’innesco.
Se lo sentiva.
La sua luna, stata storta dall’inizio di quella giornata, durante la partita si era raddrizzata miracolosamente per la voglia di vincere ma poi, finito il motivo di concentrazione, era tornata proprio come prima dimostrando che la causa era proprio lei.
L’idea che in lei girovagassero dei pensieri sconosciuti lo gettava nell’incertezza e nel caos, non sopportava che potesse davvero allontanarsi da lui quindi da un lato voleva lottare per impedire che ciò avvenisse, dall’altro voleva scappare per non avere la conferma che lei se ne sarebbe presto andata. Non immaginava il motivo per cui sarebbe potuto accadere; perché lei avrebbe dovuto lasciarlo, in fondo?
Però la razionalità non l’aveva mai gestito e quindi nemmeno in questo frangente gli aveva dato retta. La sua mente cercava di dirgli qualcosa di sensato ma il suo cuore ed il suo istinto erano pieni di paura.
Doveva pensare alla finale del giorno dopo, solo questo.
Dopo di ché avrebbe pensato al da farsi.
Magari erano solo sue fisime mentali ma magari era vero che lei era così pensierosa e distante, ultimamente, perché non voleva più stare con lui.
Chi poteva dirlo?
E… se c’entrava proprio Jo?
Scacciò immediatamente il dubbio insinuante mentre girandosi si trovò proprio davanti a lui.
- Ma non devi festeggiare con la squadra? – Gli chiese con un tono normale. Tom, con ancora i capelli bagnati dalla doccia fatta subito dopo l’incontro, i cui boccoli corti gli ricadevano sulla fronte sfuggendo dal controllo, l’osservò diretto, era piuttosto vicino eppure quei suoi occhi dorati non riusciva a vederli poi così bene… quel colore fu l’ultimo che vide con chiarezza e nitidezza.
- No, domani abbiamo la finale e devo riposare. – Rispose vago in una stretta di spalle mentre con stordimento notava qualcosa che non andava ai colori che guardava.
Assottigliò gli occhi cercando di mettere a fuoco, poi realizzò che davvero il dorato delle iridi di Jo si era spento fino a diventare buio. Buio come il resto di ciò che aveva davanti ed intorno.
Quindi non si rese più conto di trattenere il fiato, né dei propri battiti cardiaci che saltavano veloci per il panico imminente che lo investì come un ondata di fuoco provocato da litri di benzina. Spalancò le palpebre passandosi impietrito una mano davanti agli occhi e mentre il gelo l’attanagliava dall’interno, un gelo chiamato paura che inchioda qualunque essere vivente, anche il più forte, rendendolo incapace di ragionare coerentemente e di agire in alcun modo, confermò ogni cosa.
- Io… non vedo più… - Disse quindi con un soffio di voce che riuscì a tirare fuori dalle corde vocali improvvisamente atrofizzate dallo spavento.
Jo fu l’unico ad udirlo, quello che guardandolo da così vicino non capì subito cosa stesse accadendo al suo amico ma che, istintivamente, si preoccupò subito chiedendo: - Cosa? - senza ottenere risposta.
Poi, il buio che aveva avvolto Tom solo nella vista, completò l’opera togliendogli anche il resto dei sensi, sospendendolo come se gli tagliassero i fili.
Le forze improvvisamente l’abbandonarono e mentre dei fastidiosi ronzii negli orecchi gli impedivano di ascoltare la voce di Jo ed ogni altro rumore troppo ovattato per distinguerlo, le ginocchia gli si piegarono facendolo accasciare fra le braccia pronte ma stupite del suo amico.
Jo l’afferrò prontamente al volo gridando il suo nome, quando sentì quanto pesante fosse fra le sue braccia capì che era davvero svenuto del tutto e che non avrebbe riaperto gli occhi nel giro di un istante.
Fu un momento di caos intorno a lui e fra i loro amici che assistevano alla scena senza capire che accadesse, una persona in particolare si sentì mancare provando esattamente le stesse identiche sensazioni che Thomas aveva provato un solo istante prima.
Adrian si sentì mancare e mentre assisteva all’arrivo del buio intorno a sé, piegò la testa all’indietro lasciandosi cadere senza nemmeno rendersene conto.
La testa che le girava e le doleva fortemente. Unicamente questo sentì prima di perdere a sua volta i sensi e venire prontamente afferrata dal braccio forte del proprio ragazzo accanto a lei.
- Adrian! – Disse Marco cercando di sorreggerla con entrambe le mani per impedirle di andare a terra. A quel punto i rimanenti si fecero attorno ai due gemelli ora senza conoscenza e parlando tutti contemporaneamente non vennero naturalmente a capo di nulla.
Del resto di cosa sarebbero potuti venire a capo?
Thomas e Adrian erano svenuti.
Il primo a reagire sensatamente, stranamente, fu proprio Marco il quale, tenendole con una mano il viso contro di sé, disse con voce tesa e concitata:
- Dobbiamo portarli all’ospedale! – E cos’altro avrebbero potuto fare?
Non si era in nessun film in cui qualcuno sa sempre cosa fare in ogni momento, schiaffeggiarli pareva improvvisamente la cosa più idiota da fare.
- Si e anche in fretta. Tom diceva di non vedere un istante prima di svenire. Credo che Adry sia in reazione a lui, non sarebbe la prima volta. Quello che mi preoccupa di più è lui! Ha preso un brutto colpo durante la partita, in fondo! – La voce più fredda e sbrigativa di Jo li riscosse ulteriormente domando l’agitazione naturale che li aveva invasi. Anche se quello che aveva detto non era tanto rassicurante, anzi.
Stringendo convulsamente le labbra, Marco issò su entrambe le braccia Adrian il cui peso, fortunatamente, non era affatto eccessivo ed immediatamente fu imitato dal castano che tirò su Thomas dimostrando una certa forza non indifferente. Sicuramente il biondo pesava maggiormente ma tutti quegli anni di nuoto potevano servire anche a quello oltre che a vincere tanti premi!
In fondo in quelle condizioni avrebbe anche potuto sollevare un TIR. La forza della disperazione alimentata dall’adrenalina per la preoccupazione verso qualcosa, permetteva sempre di fare cose inimmaginabili.
La fortuna per loro fu quella di trovarsi nei pressi dell’ospedale e di poter trasportare i due senza dover aspettare nessuna ambulanza, erano tutte persone alquanto attive, non sarebbero riuscire a non fare nulla nel giro di subito ed anche se erano state in gamba a non lasciarsi sopraffare del tutto, bisognava fare in fretta.
Di qualunque cosa si trattava, bisognava sicuramente sbrigarsi.
Era tutto ciò che sapevano.
E con l’uno stretto e sorretto completamente dalle braccia dell’altro e gli sguardi tesi, seri e preoccupati, percorsero il tragitto in fretta.
Per nessuno fu facile trovarsi in una situazione incerta simile; Alessandro e Robert si sostennero a vicenda come erano abituati a fare e mai avrebbero smesso, mentre Andrea stringendo la mano di Kimberly prima che potesse tremare, le aveva detto di chiamare i genitori dei gemelli per avvertirli di venire in ospedale. Non era una cosa facile: come e cosa dire, in fondo? Non sapevano nemmeno loro se potevano preoccuparsi oppure no.
Qual era il modo giusto di prenderla?
Però quella sensazione sempre peggiore era schiacciante.
Mentre ognuno di loro si poteva dire che aveva qualcuno su cui appoggiarsi, Viky improvvisamente si sentì annientata ed immobile a guardare il gruppo allontanarsi. Si chiese che dovesse fare, pensare, dire…
Se lo chiese rimanendo paralizzata, tirando su le mani strette a pugno contro il viso, sulle labbra tremanti.
Tremanti come il resto del suo corpo.
Mille pensieri le vorticarono per la testa, anzi, più dei flash.
L’unica cosa che le uscì, catapultata com’era in un luogo estraneo, furono le lacrime dagli occhi che grandi cercavano di scorgere un barlume di certezza in quello che stava accadendo.
Come poteva essere che l’ultima cosa che aveva visto del suo Thomas fossero le sue spalle?
E quell’espressione dura e distante?
La colpa la schiacciò, una colpa che naturalmente non era sua ma che se la sentì addosso tutta d’un colpo.
Per nessuno fu facile, certo, ma lei in quel momento perse la sua labile pace cadendo completamente e profondamente in crisi.