TEORIA E PRATICA
CAPITOLO 1:
LE PAROLE CHE NON DICE
/Nothing else matter
- Metallica/
Quando vennero a chiamarlo brutalmente
durante una lezione universitaria, il cuore gli balzò
improvviso in gola tagliandogli il respiro di netto.
Non era un tipo istintivo nemmeno in
ciò che normalmente provava, ma sentì chiaramente
una brutta sensazione alla bocca dello stomaco quando vide Ian,
l'agente dell'FBI, il tiratore scelto e amico di suo fratello
piombargli come una furia nell'aula in piena lezione universitaria.
Sentendo chiedergli il suo aiuto si
rifiutò subito senza dargli modo di spiegarsi, cosa che fece
immediatamente con poche incisive e dure parole:
- Don è nei guai. - Non
avrebbe ammesso repliche e onestamente non ne avrebbe tirata fuori
mezza.
Charlie nell'istante immediato si
raggelò, ma poi subito dopo si trovò a correre
per il corridoio come un matto, dimentico della lezione mollata a
metà, con dei tamburi in testa mentre l'ansia ingigantiva
fin quasi a farlo impazzire.
Se non fosse stato per la sua mente
matematica e razionale che si era messa a ragionare in fretta su come
trovare Don, sarebbe rimasto fuori dal mondo per molto ancora!
Anche se, a onor del vero, quella sua
mente ragionevole non gli aveva ricordato che era stato estromesso
dall'FBI come consulente!
Fra questo e Don nei guai non c'erano
dubbi su dove pendesse il piatto della bilancia!
Forse però costringersi a
non pensare a cosa sarebbe potuto succedere a suo fratello era l'unico
modo per aiutarlo, altrimenti il panico l'avrebbe colto per colpa dei
sentimenti che cercavano di avere la meglio.
Eppure nonostante i suoi sforzi, una
volta fatto quel che poteva per trovare Don disperso in una zona
selvaggia per scalatori piuttosto pericolosa, con alle calcagna dei
criminali che tentavano di ucciderlo, non gli rimase che lasciarsi
divorare da ciò che provava, pur contro la sua
volontà.
Non gli piaceva quando questo suo lato
prendeva il sopravvento e come tutto cercava di controllare anche
quello, ma in quegli anni di lavoro all'FBI aveva imparato che non si
poteva farlo sempre.
Anche il periodo passato con Amita gli
aveva fatto capire che non poteva fare così con tutto e che
certi sentimenti andavano liberati.
Certo, poi con lei era finita, ma
erano rimasti ugualmente amici.
Così si trovò
lì, nell'ufficio in cui non poteva stare, in attesa che con
i suoi dati trovassero suo fratello.
Impossibilitato a far altro si mise a
pensare a lui e alla loro infanzia.
Di alcuni anni di differenza, si erano
trovati a vivere insieme da bambini.
Don era arrivato da piccolo in casa
loro, rimasto orfano di genitori. Era stato abbastanza grande per
ricordare bene gli eventi legati ad essi e per qualche oscuro motivo i
suoi avevano preferito cambiargli legalmente anche il cognome
mettendogli il loro.
Eppes.
Solo molti anni dopo aveva scoperto
che la madre e il padre erano stati uccisi in circostanze misteriose.
Con la paura che scoperta l'esistenza del figlio gli dessero la caccia
per uccidere anche lui, quelli che l'avevano salvato avevano voluto
cambiargli identità per poterlo crescere nella
serenità e al sicuro.
Così era stato, nessuno era
più venuto a cercarlo e non aveva avuto problemi di alcun
genere, ma gli assassini non erano mai stati trovati.
Don aveva capito tutto quel che era
successo e probabilmente fu quello a ripercuotersi sul suo carattere
già difficile, chiuso e duro di suo.
Charlie al tempo non sapeva nulla e
trovandosi un fratello maggiore adottivo così scorbutico, si
era fatto molte domande a lungo senza risposte.
Si era sempre sentito intimidito da
quel bambino così serio e sulle sue, grugniva al posto di
parlare e sembrava non conoscere gentilezze e sorrisi.
Da subito non avevano instaurato
nessun rapporto ed era stato così per molti anni.
Sebbene i suoi genitori gli volessero
molto bene e non gli fecero mancare nulla crescendolo come un vero
figlio, Don non dimostrò mai un vero e proprio sentimento
d'affetto nei loro confronti ed anzi sembrava non andargli affatto a
genio quel fratellino super intelligente.
Charlie dal canto suo oltre alla
gelosia, si era sentito del tutto rifiutato così aveva
preferito tenersi sempre a debita distanza. Non era stato facile essere
suo fratello, lui così forte, sveglio, attivo, brillante
nelle attività fisiche e negli sport e senza il minimo
problema con le ragazze.
Poi era morta la madre e qualche anno
dopo, Charlie era diventato un famoso matematico con un cervello sopra
la norma e Don, entrato all'FBI, era andato a vivere per conto suo
venendo a trovarli ogni tanto per senso del dovere.
Fra i due c'era sempre stata una
voragine e nel corso degli anni era aumentata di brutto, erano davvero
troppo diversi, uno il giorno e l'altro la notte.
Ma poi, sorprendentemente, erano
finiti a lavorare insieme.
Charlie era diventato consulente
dell'FBI della squadra di Don.
Da allora, lentamente, fra loro era
tutto cambiato.
Da un legame assente ad uno sempre
più forte e stretto, fino a che a tutti non erano sembrati
davvero fratelli.
A tutti tranne che a loro due.
Al contrario avevano pian piano
cominciato a sentirsi ben altro, un 'altro' non chiaro.
Definire il loro attuale rapporto
sarebbe stato più complicato di eseguire un problema
matematico senza soluzione.
Solo una cosa era limpida: non si
sentivano solo dei semplici fratelli, cosa che nella realtà
effettivamente non erano specie considerando che non erano cresciuti
come tali.
Ed ora che era lì ad
aspettarlo sperando di rivederlo presto col cuore che impazziva sempre
più, gli tornavano alla mente tutte le volte che era stato a
rischio sotto i suoi occhi, che per salvare qualcuno, specie della sua
squadra, si era buttato a capofitto in una situazione pericolosa che
poi era degenerata. Aveva visto rischiare la sua vita un sacco di volte
e sempre si era trovato sospeso nel nulla a sperare di rivederlo sano e
salvo.
Ora che veniva a trovarlo ogni sera e
che lo vedeva di giorno a lavoro. Ora che si era tutto aggiustato, anni
e anni di silenzi e invidie... ora che gli era così vicino
lo vedeva rischiare la vita così tanto.
Un giorno avrebbe potuto vederlo
morire proprio lì ad un soffio dalla sua mano e lui,
impotente nonostante la sua matematica sempre utile, non avrebbe potuto
riportarlo indietro.
Quando ci pensava, credeva sempre che
sarebbe stata anche la sua fine e per non impazzire si aggrappava ai
pochi momenti in cui lo vedeva sorridere.
Il viso sempre cupo e accigliato si
illuminava e chi lo vedeva veniva preso da un irrefrenabile istinto di
sorridere a sua volta pur senza motivo.
L'immagine di un Don sorridente ebbe
il potere di calmarlo e si lasciò scaldare dalla figura
alta, atletica, forte e affascinante di quello che in realtà
non era suo fratello ma nemmeno solo un semplice amico. I capelli
arruffati gli erano cresciuti un po' e gli stavano scomposti sulla
testa, scuri e mossi. Gli occhi castani cupi, la fronte sempre
aggrottata, i lineamenti decisi e a volte tenebrosi. Era un bell'uomo e
quando rideva lo era ancor di più. Ogni volta sperava di
riuscire a strappargli un sorriso cosa che a volte accadeva ed allora
si sentiva al settimo cielo.
“Spero di rivederla, quella
sua rara espressione sul viso. Presto.”
Cosa che da quando aveva cominciato a
lavorare con lui non aveva più dato per scontato.
Quando la porta dell'ascensore si
aprì facendo entrare Don accompagnato da Colby e da Ian, la
prima cosa che si accertò Charlie andandogli di corsa
incontro, furono le condizioni del fratello e vedendo che era ancora
effettivamente tutto intero, tirò un profondo respiro di
sollievo, quindi col cuore che tornava a battere regolare
scrutò la sua espressione mentre gli si avvicinava col
solito passo sostenuto e veloce.
Alla sua domanda su come avessero
fatto a trovarlo e alla conseguente risposta (grazie a Charlie), i suoi
occhi castani erano corsi immediatamente a cercarlo e trovatolo a colpo
sicuro davanti a sé, proprio come immaginava vide il
rimprovero nel suo viso serio.
- Non dovevi! Lo sai che non hai
più l'autorizzazione per collaborare con l'FBI! - La prima
cosa che venne alla mente a Don furono i doveri e ciò che si
poteva e non poteva fare, ma alla difesa di Ian sembrò
realizzare che aveva avuto ragione.
O per lo meno così parve al
più giovane dai ribelli ricci lunghi intorno al viso.
Don rimase serio per un istante mentre
non arrestava la sua avanzata, seguito ora anche da lui che lo
affiancava spiegandogli a macchinetta perchè era venuto lo
stesso e cosa aveva fatto.
- Si, ma ora va via prima che ti
becchino qua! Non puoi starci! - Disse allora sempre con il suo solito
tono duro e sbrigativo. Ancora una volta a pensare alle regole. Proprio
uno come lui.
Sapeva bene che lo faceva solo per non
metterlo ulteriormente nei guai. Dopo che era stato allontanato
dall'FBI per quelle informazioni mandate in Pakistan, Don non era
più venuto a cercarlo per lavoroe a chiedergli aiuto, al
contrario degli altri che gli avevano detto in continuazione di cercare
di riavere le sue autorizzazioni.
Charlie, dal momento che Don non
glielo aveva ancora chiesto, non le aveva volute riottenere.
Si fermò per seguire
l'ordine perentorio dicendosi che aveva ragione e che sapeva avrebbe
reagito così, eppure deluso.
Consapevole ma deluso.
Lo conosceva ormai ma non voleva dire
che non poteva rimanerci male davanti a certi modi e parole non dette.
Non aveva dimostrato gratitudine o
entusiasmo al suo piccolo ritorno solo per lui.
Niente.
Ci era rimasto male ma proprio quando
si stava girando per smettere di guardare le sue spalle larghe
tagliarlo fuori di nuovo dalla sua vita, lo vide voltarsi a tre quarti
e allungare il pugno verso di lui con qualcosa che era ben lontano da
un sorriso, ma che volendo poteva ricordarlo.
Un ghigno, più che altro.
E un: - Ah, Charlie... grazie! -
sempre brusco e serio.
Charlie si fermò di nuovo e
allungando subito il pugno toccò il suo in quel saluto che
non si erano mai scambiati ma che avrebbe sempre voluto fare.
Qualcosa di familiare, amichevole,
alla pari...
Sentendosi immediatamente al settimo
cielo, sorrise contento andandosene senza rimpianti e delusioni.
Lo conosceva.
Era così e doveva saperlo
ma non era facile abituarsi in effetti...
Le parole che non diceva erano molte e
quelle poche non comprendevano quasi mai qualcosa di gentile e
affettuoso nei confronti di altri. Le varie ragazze di turno che aveva
avuto lo sapevano bene.
Lui la parola 'ti amo', forse non
l'aveva nemmeno mai detta.
Era così, Don. E questo era
anche il suo fascino.
Nonostante tutto non l'avrebbe mai
voluto diverso.
Per tutta la giornata alle prese con
Larry e Amita al posto di Charlie, come ultimamente era successo
spesso, Don aveva sentito un irrefrenabile istinto di andare da lui a
chiedergli collaborazione.
Non era per abitudine o
perchè quei due fossero effettivamente meno efficienti di
suo fratello, ma averlo accanto per gran parte della giornata gli
faceva ormai affrontare il lavoro diversamente. Era come una sorta di
garanzia che laddove lui non sarebbe arrivato, ci sarebbe stato Charlie
coi suoi metodi opposti e sarebbe stato determinante permettendogli di
farcela.
Ma finché si era trattato
degli altri era stato diverso... l'aveva capito quel giorno quando
aveva rischiato la sua vita se non fosse stato trovato al momento
giusto.
E il momento giusto era stato grazie a
Charlie.
Si era trattenuto dal chiedergli di
tornare per molti motivi, fra cui rispettare la sua volontà.
Se Charlie se la sarebbe sentita di tornare, l'avrebbe fatto da solo.
Se non cercava di riottenere le sue autorizzazioni, significava che in
realtà stava meglio così.
Poi c'era il fatto che comunque
lavorando con lui gli aveva fatto rischiare la vita molte volte, non
era al sicuro al suo fianco ed era un dato di fatto. Ma fino a quel
momento era sempre andata bene, eppure continuare così era
come sfidare la sorte.
D'altro canto se non ci fosse stato,
quel giorno probabilmente Don non sarebbe arrivato a sera vivo.
Anzi. Di sicuro.
Seduto al tavolo della cena a casa del
padre insieme agli altri, coi soliti inseparabili amici di sempre,
seguiva con mezzo cervello i loro discorsi mentre col resto si chiedeva
cosa sarebbe stato meglio.
Con la testa piegata di lato,
appoggiata alla mano e mezzo stravaccato, si trovò a
ricordare i momenti in cui si era perso per quel percorso con alle
calcagna tre criminali pronti a sparargli. Aveva rischiato grosso
più di una volta e Ian era arrivato in tempo ma non grazie
alla sorte, bensì grazie a suo fratello.
Solo grazie a lui.
Ricordava bene mentre correva coi due
che doveva salvare. Come si era sentito, cosa aveva provato.
Di volta in volta era sempre diversa
eppure questa, forse, era stata peggiore delle altre e per un
semplicissimo, limpido e vero motivo.
Quando in precedenza si era trovato in
pericolo bene o male era sempre stato sicuro che Charlie l'avrebbe
trovato così come trovava una soluzione a tutto con quel suo
cervello mostruoso.
Lì, correndo con gli
inseguitori, sfiorando pallottole senza più munizioni, si
era detto che quella volta non ci sarebbe stato lui a fare la magia e
che era fuori gioco.
Mentre fosse stato uno dei suoi uomini
in pericolo lui avrebbe trovato un dannatissimo modo per aiutarlo con o
senza matematica magica, lì si era sentito solo con le sue
uniche forze a dovercela fare. Nessun capo sarebbe arrivato in
extremis, nessun fratello coi suoi calcoli, nessun colpo di fortuna...
niente di niente.
Lui da solo.
E si era sentito malissimo.
“Non voglio tornare a stare
così. Consapevole della mia fine.
Lo sono sempre ma questa
volta era diverso.
Sono solo un egoista che
sebbene non sembra abbia a cuore la mia vita, in realtà non
voglio morire. Non voglio più essere certo della mia morte.
Voglio poter pensare fino all'ultimo che lui ce la farà per
me laddove io non arrivo.
Sono egoista ma voglio che
torni. Se la vedrà brutta, avrà molte
difficoltà e si troverà spesso in pericolo ma io
voglio che torni e che mi stia di nuovo vicino. Che mi copra ancora le
spalle. Che stia con me. “
Sebbene questa era solo una parte
della verità, non sarebbe riuscito a tirare fuori
così presto il resto. Quella più importante e
nascosta.
Qualcosa a cui forse Charlie
nonostante la sua razionalità e la sua logicità,
sarebbe arrivato prima.
Così capendo al volo che
stavano cercando di convincere suo fratello a fare ricorso per tornare
all'FBI, agganciandosi ai: - Per me dovresti farlo. - di tutti i
presenti, anche lui finalmente disse la sua, qualcosa che non aveva mai
fatto fino a quel momento preferendo lasciarlo decidere da solo.
- Anche per me. - Mormorò
appena udibile. Tutti si fermarono all'istante ed un ulteriore silenzio
cadde fra loro. Lo sguardo di tutti si puntò su Don ma nello
specifico quello di Charlie si mostrò stupito ed ansioso.
- Davvero? - Chiese solo pensando di
aver capito male, sicuro che non glielo avrebbe mai detto.
- Si, davvero. - fece solo l'altro,
con un mormorio che fece rabbrividire il moro davanti a sé.
I due si guardarono negli occhi a
lungo cercando di scrutarsi dentro ma mentre Don era come al solito
impenetrabile, Charlie mostrò la sua contentezza e non
trattenendo il sorriso stimolò quello dell'altro che ne
accennò uno.
Il consueto calore colpì il
giovane che disse subito:
- Allora lo farò. -
dimostrando a tutti che non aspettava altro che il suo permesso.
Tutti i presenti pensarono che era
strano vedere Charlie in attesa del parere di qualcuno per fare
qualcosa. Normalmente se voleva non c'era Santo che tenesse, lo faceva
e basta. Lì sembrò davvero come se volesse
l'invito di suo fratello.
Mentre tutti riflettevano sollevati
che le cose sarebbero potute tornare presto come prima, gli altri due
che continuarono a guardarsi assorti ognuno con un proprio pensiero, si
lasciarono infine semplicemente avvolgere da quella piacevole
sensazione di serenità e felicità.
Presto sarebbero tornati insieme e il
resto, le difficoltà ed i problemi, sarebbero stati un
contorno trascurabile!