CAPITOLO 3:
NON ESCLUDERMI
/Twenty
years – Augustana/
Già sentirlo da suo padre gli parve
strano ma pensò comunque che potesse anche essere
comprensibile, tutto sommato.
Entrambi si confidavano con lui per molte cose, non
era poi così anormale,.
Quel che però lo sconvolse del tutto fu
sentirlo da Larry.
E quando lo sentì anche da lui non gli
bastò la raccomandazione che precedentemente gli aveva fatto
il padre, ovvero di aspettare che fosse Don a sentirsi di dirglielo.
Quando realizzò che lo sapeva anche Larry e che invece a
lui, suo fratello, non ne aveva parlato affatto, non riuscì
a trattenersi.
Oh, non era certo da Charlie fiondarsi in ufficio
da Don per pretendere spiegazioni, ma appena l'avrebbe visto non
sarebbe certo stato zitto.
Non era scemo, capiva bene che Don era molto
riservato e che parlava a stento. Lui grugniva, non discorreva.
Però sperava sempre che certe cose importanti gliele dicesse
almeno ora che si erano avvicinati così tanto.
Si sentì ferito e deluso dal fatto che
questo, così essenziale proprio perché
estremamente insolito per lui, non era venuto a dirglielo.
Perchè?
Né Larry né suo padre seppero
spiegarglielo e nel tempo che rimase ad aspettare di poterglielo
chiedere di persone aveva pensato di tutto.
Anche troppo.
Che Don andasse al tempio e sentisse le
celebrazioni del rabbino non era normale. Non era una cosa facilmente
assimilabile, non era una notizia che la si poteva apprendere da
chiunque con tranquillità dopo la quale si poteva andare
avanti come niente fosse!
Don in chiesa a sentir parlare di Dio?!
Più era rimasto solo a pensarci,
più si era trovato sconvolto da questo fatto.
Quando finalmente suo fratello era arrivato a casa
a metà giornata per una piccola pausa trovata a
metà di un caso, Charlie era scattato in piedi seguendolo
con un nervoso salito alle stelle.
Ok, voleva chiederglielo ma poi cosa?
Che parole esatte usare per non farlo chiudere a
riccio ed ottenere l'effetto opposto?
Era così difficile strappargli
qualcosa...
Sospirò tormentandosi le mani, quindi
guardando le sue spalle larghe mentre si muoveva deciso per la stanza
semplicemente lo chiese a bruciapelo, lasciando perdere il proprio
cervello improvvisamente vuoto!
- Hai iniziato ad andare al tempio? - A quel punto
Don si era girato fermandosi di scatto, l'aveva guardato stupito con
una chiara domanda nello sguardo, domanda che fece:
- Te l'ha detto Larry? - Come se il problema fosse
quello...
Il giovane si strinse nelle spalle sprecandosi a
rispondergli, sperando che poi lo facesse anche lui:
- Si ma anche papà... -
- Io non l'ho detto a papà... l'ho detto
solo a Larry... - Fece allora Don sorprendendo sempre più
Charlie. Solo Larry? E perché mai?
- A lui l'ha detto Larry... - In effetti era vero.
Don ne aveva parlato solo con il suo amico e nemmeno col padre.
- Bè, si... - Disse allora Don
rispondendo alla sua domanda iniziale, tornò quindi a
girarsi per continuare la sua avanzata verso l'altra stanza, credendo
di aver concluso il discorso. Ma Charlie ovviamente non
mollò e continuando a seguirlo, col cuore che gli martellava
nella gola, chiese ancora con un tono leggermente più
nervoso di prima:
- E perché non me lo hai detto? - Di
nuovo il fratello si fermò e si girò, questa
volta più lentamente mentre si notava cercava di soppesare
meglio le parole. D'istinto gli avrebbe detto che erano solo affari
suoi ma un'occhiata attenta ai suoi occhi ansiosi e chiaramente delusi,
gli fece capire che ne era rimasto ferito, così
sospirò, si morse il labbro, poi rispose stringendosi nelle
spalle cercando di mitigare la questione:
- Non volevo iniziare un interminabile discussione
con te sulla questione... - Sapevano bene entrambi che Charlie avrebbe
fatto una specie di tesi sul perché Dio non esisteva e a Don
quel genere di cose non erano mai piaciute, era sempre stato
insofferente riguardo certe cose. Ma più di tutti non era
sicuro lui stesso di quello che stava facendo e vedendo gli occhi
sempre più lucidi dell'altro, glielo disse aprendosi come
non aveva messo in conto di fare:
- La verità è che non sono
sicuro nemmeno io di questa cosa. Cioè, è un
esperimento. Non so come può andare e non voglio affrontarla
col fiato sul collo da parte di nessuno. - Anche se l'aveva detto per
ammorbidire il colpo, in realtà l'aveva reso più
affilato!
Charlie provò un forte senso di
tristezza addosso, cercò con tutto sé stesso di
nasconderlo per non dare grattacapi al fratello e magari anche ci
riuscì all'apparenza, ma si vedeva che ci era rimasto male.
Era come se non lo volesse nella sua vita in un momento così
importante, delicato e particolare.
Certo, lui non credeva in nessun Dio e poteva stare
ore a confutare la sua presunta esistenza, ma le parole di Don non
erano mai state più chiare e letali per lui.
Non voleva che si intromettesse in quella parte
della sua vita.
Sperò vivamente di non dimostrare per
nulla la ferita che si era aperta in lui, ma ovviamente non fu
così poiché Don se ne accorse immediatamente.
Eppure il fatto che l'avesse notato non significava
che avrebbe fatto qualcosa per aggiustare il tiro.
Del resto era la verità. Cosa poteva
dire per farlo stare meglio?
Nulla... e lui doveva anche capire che certe cose
le voleva ancora affrontare da solo almeno fino a che non sarebbe stato
sicuro di esse. Era il suo carattere, lo conosceva.
Così cogliendo al volo la chiamata al
cercapersone dall'FBI ne approfittò per mettersi addosso
ancor più fretta e far finta di non aver captato la sua
delusione.
- Io devo andare... - Lo guardò un
attimo negli occhi più profondamente, cercando di fargli
capire che non doveva prendersela per quello, ma quando lui
annuì smarrito si girò e se ne andò
scuotendo impercettibilmente il capo.
Se l'era presa e anche troppo!
Certo che gli dispiaceva ma non poteva farci nulla.
Charlie era grande e doveva capire che certe cose
erano solo sue, doveva accettare quando decideva di vivere una
determinata cosa in quel modo specifico anche se non gli andava bene.
Doveva accettare che si ponesse in quei modi bruschi e poco
altruistici. Doveva accettare che non si confidasse con nessuno.
Doveva accettare e superare le proprie delusioni da
solo, senza il sostegno di chi lo feriva.
Doveva farcela e andare avanti.
Sarebbe stato facile per lui mentire dicendo che
non ci aveva pensato poiché non era stata una cosa tanto
importante, Charlie se la sarebbe presa di meno e avrebbe intavolato
una discussione sul perché fosse inutile andare al tempio,
ma sarebbe stata una bugia e lui non era capace di dirne. Lui diceva
sempre quel che pensava e come lo pensava, ma solo se era interpellato.
Altrimenti si teneva tutto per sé.
Glielo aveva chiesto e lui glielo aveva detto. Era
stato difficile nella fattispecie perché aveva saputo fin
dall'inizio che ci sarebbe rimasto male, ma mentire per indorarglli la
pillola non avrebbe avuto senso.
La verità era quella che aveva detto.
Stop.
Charlie era grande, ce l'avrebbe fatta da solo
così come ogni giorno ce la faceva lui.
Rimasto solo, il giovane, guardò a lungo
la porta chiusa dalla quale era sparito Don. Guardò l'uscio
con sguardo perso, in piedi con le mani lungo i fianchi.
Male?
Si, ci era rimasto male.
Anzi. Molto di più.
Questo aveva un significato tutto nuovo per lui,
dopo che aveva capito di stare innamorandosi.
Significava che Don non lo ricambiava davvero e che
non lo voleva nella sua vita nelle cose davvero importanti.
Certo, non era sicuro di ciò che faceva
ma per uno come lui andare al tempio a cercare Dio era paragonabile
alla scoperta di una delle teorie matematiche più
sensazionali di tutti i tempi!
Come poteva non aver bisogno di parlarne con
qualcuno?
Come poteva chiuderlo fuori dalla sua vita ancora?
Forse, dopo tutto, si era solo illuso di essersi
avvicinato...
E pensando ciò appoggiò la
fronta sullo stipite di legno lì accanto, chiudendo gli
occhi scoraggiato, liberando un espressione smarrita e ferita.
Ecco perchè preferiva la matematica ai
rapporti umani... quella non lo feriva mai.
Quando a sera Don arrivò a casa, era
molto tardi e non si era certo aspettato di trovare qualcuno ancora
sveglio.
Con sua sorpresa, invece, seduto al divano coi
piedi alzati nel tavolino davanti a sé c'era Charlie
addormentato della grossa.
Si fermò nella penombra senza aprire
nessuna luce, aiutandosi solo con quella della televisione accesa su
una partita ormai finita e quella che veniva dai lampioni esterni.
A qualche metro da lui, togliendosi la giacca,
scrutò con attenzione il volto del fratello o per lo meno
colui che secondo la legge lo era.
Anche nel sonno la sua espressione non mascherava
per niente bene il suo reale stato d'animo.
Tormento, dolore, ansia, un malessere profondo
portato certamente da lui e dal suo comportamento.
L'aveva tagliato fuori da una cosa importante e si
era ridotto così!
Che senso aveva?
Sospirò con pazienza e senza pensarci si
sedette leggero e silenzioso accanto a lui, nel divano. Appoggiando il
gomito allo schienale e girandosi a tre quarti, piegò la
testa di lato sulla propria mano e assorto rimase a guardarlo
ripensando a quando si erano parlati quel giorno.
Ripercorse tutti i momenti e poi, semplicemente,
strinse le labbra in segno di non saper proprio che fare.
Era sicuro che non lo potesse aiutare o almeno
avrebbe potuto ma in quel caso sarebbe andato contro sé
stesso.
Non voleva tagliarlo fuori dalla sua vita di nuovo,
ma questa sua ricerca di Dio era così lontana dalla
matematica di Charlie che non c'era nemmeno una sola
possibilità che si sarebbero potuti trovare d'accordo,
questa volta.
Forse era stato anche il timore di allontanarsi di
nuovo a farlo agire in quel modo tacendogli la ricerca della sua fede.
Sapere che avrebbe tentato di convincerlo che era
solo una perdita di tempo aveva inciso tanto e non poteva sostenere una
discussione del genere.
Inoltre non voleva, non voleva assolutamente
perderlo di nuovo.
Ennesimo sospire scontento.
Non gli piaceva come si erano messe le cose.
Alzò la mano, cercò il
telecomando e spense la televisione. Rimase il silenzio completo ed il
buio quasi totale ad inglobarli. I giochi dei lampioni che venivano
dall'esterno gli permetteva di vedere appena la sagoma dell'altro
accanto, con la testa appoggiata all'indietro, i capelli scarmigliati
tutti ai lati del viso e i lineamenti preoccupati anche nel sonno.
Fu lì che si sentì di nuovo
lontanissimo da lui, dopo la sorpresa dei giorni passati quando gli
avevano detto di essere uguali.
Preferiva sentirsi simile ma non poteva mentire a
sé stesso e nemmeno a lui.
Però questo non voleva certo dire che
non gli voleva bene.
Forse questa loro diversità poteva
rafforzare ulteriormente il loro legame sempre in continua evoluzione.
Poteva anche essere, dopo tutto...
Dopo un interminabile tempo indefinito passato a
fissarlo, Don cominciò a rendersi conto di essersi
impercettibilmente sempre più avvicinato.
Quando lo notò era già a
pochi centimetri dal suo viso e sentendo su di sé i suoi
respiri, i battiti del suo cuore accelerarono di brutto mentre si
chiedeva che diavolo stesse facendo.
Cominciò a dirsi di tutto, mentalmente,
mentre i dilemmi avuti fino a quel momento si cancellavano.
Poi però i suoi occhi si persero di
nuovo sul viso di quello che, ora lo vedeva meglio di prima, non aveva
nulla di simile a sé stesso. Non fisicamente. E questo
perché non erano veri fratelli.
Già... non lo erano...
E mai più di allora se ne
sentì sollevato, nonostante di norma gli desse fastidio
ricordarsene!
Fu lì che si calmò
completamente e controllando tutte le sue improvvise accelerazioni
corporee concluse il cammino verso il suo viso e senza il minimo senso
di colpa sfiorò le labbra con le proprie.
Solo questo.
Appena leggero, impercettibile.
Dopo di ché la pace lo colse e con
serenità si lasciò cadere sullo schienale del
divano mentre il sonno lo avvolgeva lì dov'era.
Quando il mattino Charlie si vegliò, a
parte i dolori lancinanti alla schiena per la posizione scomoda assunta
tutta la notte, sentì ancora prima di aprire gli occhi un
peso sulla sua spalla, contro il collo. Un altro respiro oltre al suo.
Sgranò gli occhi di colpo e imponendosi
di non pensarlo, girò subito lo sguardo in direzione di quel
peso.
Nonostante il sonno e la nebbia che invadeva ancora
la sua mente, fu certo di non stare sognando.
Quando mise a fuoco Don addormentato contro di lui
un sorriso radioso si formò spontaneo sulle sue labbra,
mentre la luce e la serenità tornavano sconfiggendo le
tenebre del giorno prima.
Qualunque cosa avesse fatto Don non se ne sarebbe
più andato.
Era ancora lì con lui.