CAPITOLO
4:
PASSATO
E FUTURO
/Arvo
Part – Cactus in memory of Benjamin Britten/
“Sono
stato tutto il giorno fermo immobile davanti alla foto di Buck e al
video dell'auto con la sua donna che bruciava dopo che io le avevo
sparato.
Ho
pensato tutto il giorno con il numero di cellulare che Buck mi aveva
dato dopo avermi telefonato.
Mentre
tutti gli altri della squadra, e non, erano preoccupati per me e
cercavano di coinvolgermi nell'indagine per trovarlo dopo che era evaso
di prigione con il chiaro intento di vendicarsi di me, dopo che li ho
ignorati di continuo facendogli fare come volevano, cosa che non avevo
mai permesso, dopo che ho risposto con un silenzio alle frasi di tutti
quelli che cercavano di sapere come stavo e che volevano aiutarmi a
tirare fuori questo mio terribile stato d'animo bloccato e raggelato
dentro di me, dopo tutto questo non sono riuscito a fare nulla prima
dell'arrivo di Charlie e delle sue semplici parole.
Se
dovessi ripeterle non saprei cosa mi ha detto di preciso, ma me l'ha
detto.
E
mi ha fatto capire cosa andava fatto e cosa voleva davvero Buck.
Tutti
hanno pensato che volesse vendicarsi perché ho ucciso la sua
donna e l’ho messo in prigione, solo io ho capito cosa voleva
davvero.
Morire
per mano mia poiché io avevo ucciso sua moglie.
Ecco
perché dopo aver tenuto nascosto per tutto il giorno che
avevo il suo numero, il numero del criminale che mi dava apertamente la
caccia, quando David ha capito tutto è venuto da me
infuriato ed io non l'ho mandato via a meno che non facesse esattamente
quel che dicevo io.
Non
gli ho spiegato, né a lui né a nessun'altro cosa
volessi fare di preciso, perché gli avevo dato appuntamento
al tempio e perché non avessi voluto nessuna pistola.
Né
ho detto che non c'era nessun pericolo poiché Buck non mi
avrebbe ucciso in realtà.
È
stato Charlie a farmi aprire completamente la mente anche se non
ricordo come.
E
a lui devo l'esito di questa giornata, in fondo, poiché
probabilmente me ne sarei rimasto davanti a quello schermo a guardarmi
la sua faccia in foto e pensare al giorno in cui la sua donna ha rapito
Megan per riavere il suo ragazzo che avevo arrestato.
Quel
giorno ho fatto cose contro la legge di cui non vado fiero e mai ne
andrò, ero impazzito ed ho sorpassato tutte le linee
possibili e immaginabili.
Non
intendo più ripetere una cosa simile.
Per
farlo parlare l'ho spedito in ospedale oscurando telecamere e chiudendo
le tende della sala interrogatori.
Ma
io so che non mi odia tanto per come l'ho ridotto quanto
perché l'ho obbligato a tradire colei che amava per
consegnarmela.
Ma
lei aveva Megan ed io non ho mai avuto scelta. Forse.
Me
lo sono ripetuto in continuazione in questi anni ma non sono stato
capace di soddisfarmi mai.
Ho
dovuto ucciderla.
Gliel'ho
poi detto a Buck quando ci siamo trovati faccia a faccia qua, al
tempio, circondati da una marea di agenti fra cui tutti i membri della
mia squadra.
Aspettavano
il mio segnale per ucciderlo ed io non lo davo.
Erano
convinti mi avrebbe sparato, certi che non contava altro che quello per
lui.
Invece
no.
Invece
voleva solo morire come era morta la donna che amava, che io gli ho
strappato.
È
stata una delle cose più dure che ho fatto e da una parte
volevo solo farla finita in qualche modo. Bastava un mio cenno e
avrebbero sparato, poi fine dei giochi.
Ma
non ho voluto darlo.
Volevo
parlare con lui, tirargli fuori la verità.
Solo
quello.
Così
poi in ginocchio davanti a me, piangendo, me l'ha detto.
Me
l'ha detto che era come dicevo io e che non poteva sopportare di vivere
ancora, ma non gli bastava una morte qualunque.
Ha
gridato e poi si è buttato a terra lasciandosi prendere e
portare via dagli agenti.
Nessuno
è morto e se fossi andato là con l'intenzione di
uccidere non ci sarebbe stato altro da fare.
Sarebbe
successo.
Semplicemente.
Ma
questa volta non l'ho fatto.
Nessuna
furia omicida, nessuna pistola. Io, lui e basta.
E
altri rimorsi non si accumuleranno, per questa volta.
Perché
anche se quando uccido sono costretto e penso a chi permetto di vivere,
è sempre una vita quella che tolgo e non ne vado mai fiero.
Non
ne sono mai contento.
Come
non lo sono stato di aver agito così oggi nei confronti
della mia squadra, tutti preoccupati per me.
Rimasto
qua da solo, in questo tempio vuoto che ho preso a frequentare
ultimamente per ottenere qualche risposta e un po' di pace, non mi
rendo conto delle ore che trascorrono e del peso che lento comincia a
togliersi ora che sono riuscito a mettere davvero la parola fine a
tutto questo.
Ci
saranno sempre molti altri fantasmi nella mia vita, ma l'importante
è che ora ne ho uno in meno.
Sospiro
guardando fuori dalle vetrate di quest'ampio e alto spazio che mi
circonda, è notte fonda e forse dovrei proprio andare ma
quando sto per alzarmi, gli occhi mi ricadono sulla Torah che proprio
ieri sera leggeva in questo posto. Mi ricordo che ero rimasto dubbioso
su un argomento che riguardava Mosè e le tavole della legge
che gli aveva dato Dio con fatica da tramandare al suo popolo. Sceso
dal monte aveva trovato la sua gente che idolatrava e lui infuriato ha
rotto le tavole di pietra dicendo loro di tutto. Mi sono chiesto
perché
ha fatto ciò che ha fatto per tutti loro, quei sacrifici, se
poi loro l’hanno ripagato non avendo fiducia in lui, cadendo
così facilmente.
Quando
seguo gli incontri qua dentro assorbo tutto quel che si dice e il resto
lo leggo dalla Torah che ho in mano e che riapro in un'altra pagina
senza alcun pensiero particolare.
Leggendo
arrivo su un passo in cui Mosè poi torna sul monte e si fa
ridare di nuovo le tavole della legge da Dio, perdonando il suo popolo
che aveva peccato, che l’aveva pugnalato e che non si
meritava più nulla. Così ho semplicemente capito
che le cose stanno così e che l'amore di quella persona era
così grande da aver perdonato ed essere andato avanti per la
sua strada sempre e comunque.
Non
ho ancora compreso il motivo, come fa.
Però
oggi forse ci sono più vicino a comprenderlo.
Buck
e la sua donna erano dei criminali, hanno fatto davvero del male a
moltissime persone uccidendo, lei ha rapito Megan e poi si è
praticamente fatta uccidere da me.
Lui
ne ha fatte, a tutti e a me per primo; cosa posso dire?
Non
ho voluto ucciderlo nonostante potessi, lui volesse e fosse stato
giusto.
Forse
è simile al mistero di Mosè che ha amato di
nuovo.
Poteva
odiare e abbandonare tutti e da ciò che sto capendo da
quando frequento la chiesa, non lo ha mai fatto, ma ha continuato ad
amarli conducendoli alla salvezza.
Io
potevo ucciderlo, Buck, e avrei davvero dovuto farlo, ma l'ho lasciato
vivo.
Quando
riuscirò a capire ciò che è successo
stasera, forse capirò meglio anche perché
Mosè, e Dio tramite lui, hanno amato ancora.
Con
questa conclusione una voce sommessa alle mie spalle mi fa saltare sul
posto ed io mi giro senza alzarmi dal bancone in cui sono messo poco
compostamente con le gambe allungate davanti a me.
-
Sei qua... - Mormora Charlie avanzando a disagio in un posto a lui poco
convenzionale.
Rimane
in piedi accanto a me, ci guardiamo e io gli faccio un cenno che
è un misto fra un 'si', un saluto ed un 'siediti un po' qua'.
Lui
riflette attentamente su questi miei messaggi da decifrare, quindi poi
per nulla convinto e come fosse un pesce fuor d'acqua, si siede dritto
e teso nel posto che gli ho fatto accanto a me.
-
Come mai non sei tornato a casa? Ti aspettavamo per cena ma poi abbiamo
iniziato. Ora se ne sono andati tutti. - Dice cose un po' inutili per
alleggerire il proprio nervosismo. Questo posto è
così grande, vuoto e silenzioso che rimbomba tutto.
Sento
che mi guarda fisso per non osservare nulla della chiesa, luogo che non
gli è mai piaciuto molto, io invece guardo di nuovo il
Pentateuco fra le mie mani.
Mi
stringo nelle spalle e sussurro appena:
-
Mi sentivo bene qua, volevo starci ancora un po'. -
Sta
zitto un po', poi seguendo un suo pensiero lo condivide assorto,
dimenticando il luogo in cui si trova:
-
Il passato non si può cambiare, è lì e
basta. Ma il futuro è tutto ciò che possiamo
controllare. - Questa non viene da lui, ne sono certo!
O
forse è proprio quello che mi ha detto oggi in ufficio, che
mi ha fatto smuovere…
Però
penso che questa trovata sia più da Larry o da
papà... sorpreso che me l'abbia detta così di
punto in bianco, mi giro verso di lui che si è un po'
rilassato, anche se non molto, e ci troviamo a fissarci negli occhi
scambiandoci questi sguardi un po' strani.
-
Non è tua questa... - Lui allora accenna ad un sorriso che
mi contagia strappandomene uno piccolo anche a me.
-
No. Ma più o meno te l’ho già detto
prima. - Non importa. Mi ci voleva, è vero.
E
ancora una volta ha capito cosa dirmi al momento giusto. Ricordandomi
di quel che ha fatto per me oggi, anche se a nessuno dei due
è davvero ben chiaro di cosa si tratti, sempre continuando a
guardarlo da vicino così come siamo, accentuando un po'
questo mio sorriso che tiro fuori difficilmente, sussurro:
-
Grazie per oggi, Charlie... - Lui subito si imbarazza:
-
Non ho fatto nulla di essenziale per te... - Non è un tipo
modesto di solito, è strano che ora lo sia. Pensa davvero di
non aver fatto nulla.
-
Dai Charlie, lo sai bene... -
-
No, davvero... io ti avevo detto che avrebbe voluto ucciderti, secondo
quel calcolo delle probabilità che ho fatto. Tu da solo
invece hai capito che in realtà voleva farsi uccidere da te.
È diverso! -
Scuoto
la testa, non cambierà mai. Sospiro, quindi mi raddrizzo
anche io e mi giro di più, sposto il braccio dall'altra
parte del banco e l'appoggio dietro di lui, quindi assicurandomi che
non mi stacchi gli occhi di dosso, torno serio e lo ripeto basso e
deciso:
-
Non so cosa è stato ma dopo che sei venuto, mi sono deciso a
fare la cosa giusta. Non mi hai detto qualcosa che mi ha fatto capire
le reali intenzioni di Buck, ma io le ho capite lo stesso. Solo dopo
che ho parlato con te. Non so cosa sia stato ma è successo
ed io ti voglio ringraziare. Accetta e basta! - Lui rimane spiazzato e
ripetendosi svelto le mie parole nella mente, fa un cenno con la testa
e gli occhi lucidi. Credo sia emozionato... così decido di
aggiungere una parte che mi esce da dentro. Dopo questa giornata non
voglio ci siano parole che non dico e che mi tengo dentro. Ma so bene
che questa mia intenzione rimarrà attiva solo per questa
notte e che domani sarò il Don di sempre. Quindi colgo
l'attimo: - Sei importante e prezioso per me, non voglio che lo
dimentichi mai. -
Dimostra
ulteriormente il suo disagio ed il suo imbarazzo, è
proverbialmente senza parole e ne sono ampiamente contento. Quindi il
sorriso torna sul mio viso di norma cupo e sembra berne ogni singolo
centimetro.
Gli
piace quando sorrido, lo so bene, ma non ci riesco spesso.
-
Anche tu per me. - Non arriva a dire altro sforzandosi di sorridere a
sua volta, non gli riesce bene poiché si vede solo che
è ancora più emozionato.
Così
sposto la mano che tengo sul banco dietro di lui e la metto sulla sua
spalla stringendo in una specie di semi abbraccio. Lui dapprima si
tende ma poi si rilassa contro di me. Non azzarda nulla, non muove un
muscolo e distoglie gli occhi dai miei.
Se
usciamo da qua questa magia svanirà e non ci sentiremo
così intimi e vicini, né io così bene
nonostante quello che è successo qua dentro, ma è
ora di affrontare di nuovo il mondo là fuori.
-
Andiamo, ho bisogno di dormire un po'! - dico quindi alzandomi. Nel
movimento lui mi segue ma io gli tolgo la mano a malincuore.
È
davvero bello rimanere così vicini, così
insieme... ma si deve andare avanti, il tempo non si ferma e poi lui
l'ha detto bene prima.
Il
futuro è tutto ciò che possiamo controllare.
-
Andiamo a controllare il futuro insieme. Ti va? -
Credo
di non avergli mai fatto una proposta simile così
apertamente e semplicemente, lui rallenta il passo, guarda la mia nuca,
io proseguo e non rallento accennando ad uno sguardo divertito. La sua
espressione sarà di estrema incredulità.
Poi
lo sento riprendere il passo di buon grado, contento probabilmente di
uscire di qua, mi affianca e con una certa allegria risponde senza
né superarmi né starmi dietro.
Perfettamente
accanto a me.
Come
voglio che camminiamo da ora in poi. “
-
Certo! -