CAPITOLO
VII:
SENSO
DI COLPA
/New
day –Griffin House /
Che
potesse tornare tutto come prima era stato un breve tentativo di
illusione di Don, non ci aveva mai creduto, aveva saputo da subito che
Charlie non sarebbe mai potuto essere quello di sempre.
Steso
immobile in quel letto d’ospedale, l’uomo normalmente attivo si era
trovato a poter solo pensare davanti a tutto quel tempo libero che
tentava di ucciderlo meglio della pugnalata!
A
lui non piaceva pensare molto, preferiva agire, attivarsi in qualche
modo senza riflettere troppo. Era come se i pensieri andassero troppo
veloci per lui, preferiva il fare al riflettere. Però lì si ritrovò in
una situazione decisamente difficile da affrontare se non in un unico
modo.
Ponderò
molto in quei giorni di convalescenza, immobile nel letto.
Su
Charlie.
Sapeva
che si era sentito in colpa per la sua quasi morte, sapeva che sarebbe
stata dura, per lui, da ora in poi con quell’idea fissa che dai suoi
aiuti dipendevano delle vite umane. Sapeva che si sarebbe addossato
l’intera colpa della sua situazione e che sarebbe scappato evitando del
tutto le consulenze per l’FBI come in passato aveva già fatto,
ficcandosi in uno di quei problemi irrisolvibili, oppure si sarebbe
tuffato in un caso complicatissimo visto probabilmente solo da lui, col
tentativo di espiare le sue colpe.
Rovistò
mentalmente in lungo e in largo immaginando e prevedendo le sue mosse.
Si
era spaventato e glielo aveva letto in faccia quando era venuto a
salutarlo la sera in cui si era svegliato.
Non
solo aveva voluto fare lui l’esca per prendere il suo aggressore, ma
gli aveva fatto chiaramente capire che non sapeva come fare sotto tutta
quella pressione. Avere a che fare con le vite degli altri, con la sua
specialmente, l’aveva scosso dal profondo ed impaurito. Un tempo era
stato certo che coi suoi consulti aiutava a fare del bene, ma lì aveva
cominciato a chiedersi se invece non peggiorasse, talvolta, delle
situazioni delicate e precarie.
Don
era abituato a prendere le decisioni importanti per tutti, da quelle
dipendevano le vite di molte persone oltre che dei suoi uomini che si
erano affidati a lui.
Però
Charlie si era chiesto come ce la faceva ad andare avanti a quel modo.
Don
non avrebbe mai voluto quel tipo di vita per lui, era sempre stato
consapevole che non era adatta, non era una cosa facile. Però,
nonostante gli aveva fatto promettere mille volte che se si fosse
sentito male ad aiutarlo con quel genere di cose, che se ne avesse
avuto paura o che si fosse sentito appesantito, avrebbe dovuto
dirglielo e smettere subito, ora invece voleva che tornasse in ufficio
a lavorare con lui.
Glielo
aveva detto. Si sarebbero rivisti in ufficio, no?
La
sua risposta vaga, però, l’aveva lasciato inquieto ed ansioso come
poche volte ricordava di essere stato.
Aveva
passato i giorni successivi a pensarci. Cosa avrebbe deciso di fare,
Charlie?
Avrebbe
continuato ad aiutarlo oppure no?
Non
capiva assolutamente come questa seconda possibilità lo gettasse così
nell’ansia. Cosa importava se non collaborava più con lui a lavoro?
Erano fratelli, si vedevano ugualmente.
E
poi non era sempre stata peggio l’idea di mettere in pericolo la sua
vita?
Non
era sempre stato terribile sapere che per colpa sua Charlie non
spiccava il volo con la genialità di cui era padrone?
Se
si fosse spaventato al punto da non voler più lavorare con lui, magari
Don stesso avrebbe dormito sonni più tranquilli. Sarebbe stato più al
sicuro, no?
Eppure
nonostante si ripetesse in continuazione, con la sua aria malata, cupa
ed assorta, queste cose, non riusciva a convincersene davvero. Non gli
bastava.
Erano
importanti, certo, ma non necessarie. Non al primo posto.
Prima
saperlo al sicuro era la cosa che contava di più, ora invece lo era
stare con lui il più possibile.
Stare
con lui e basta.
E
gli tornò prepotente in mente la sua dichiarazione e prima di quella
ancora quello sfioramento di labbra che aveva fatto lui stesso quando
l’aveva trovato addormentato sul divano.
Non
l’aveva mai saputo, Charlie, di quel suo strano gesto notturno e
segreto. Era bravo a nascondere tutto ciò che lo riguardava, il
migliore. E come lui era bravo in quello, Charlie lo era nell’esatto
opposto. A dire sempre la verità di ciò che pensava e provava, qual ora
se ne rendesse conto, cosa non sempre facile per lui.
Era
innamorato di lui. Bè, ma in fondo che male c’era? Come gli aveva
gentilmente fatto notare, non erano mica fratelli di sangue. Anche se
erano cresciuti come tali non contava, ora il sentimento di uno era
diventato amore e non certo fraterno. Ma l’altro?
Non
gli aveva mai risposto, non ne aveva mai parlato, aveva fatto finta di
nulla, come sempre. E poi era arrivata la sua ferita, la sua quasi
morte, tutta quella convalescenza e l’evidente senso di colpa di
Charlie.
Era
arrivato il momento di fare qualcosa, una buona volta.
Stare
così fermo e sospeso nel nulla non era decisamente per lui. Si sentiva
quasi male in quei panni passivi.
Era
lui a dover agire, ora, a spingerlo a non scappare, a rimanere con lui,
a…
“Lo
voglio solo per me.”
Questa
sua affermazione diretta fu in suo perfetto stile.
In
qualunque modo capisse le cose, poi non ci girava per molto intorno. Il
punto, però, era capire quale fosse quella giusta da fare.
Era
davvero giusto per quello che aveva sempre chiamato fratello, seguire i
loro capricci o desideri che dir si volessero?
Non
era una passeggiata quella che si apprestavano a fare e lui lo sapeva
bene.
Ma
Don, un uomo d’azione completamente istintivo, si era stufato di
pensare.
Non
era di molto gradimento l’idea di dipendere totalmente da qualcuno. A
Don questo non era mai andato giù, era diventato indipendente il più
presto possibile e ne era stato contento, ma ora gli sembrava di essere
tornato drasticamente indietro nel tempo.
Un
vero dramma essere convalescente da una ferita così grave.
Gli
ordini dei dottori erano stati di non stare da solo, di non fare scale
e sforzi di alcun tipo. Riposo assoluto in tutte le sue forme.
Del
resto se l’era vista molto brutta, aveva rischiato tanto e non era da
prendere sotto gamba nemmeno il tempo di guarigione.
Così
seppur contrariato si era trovato costretto a non poter far altro che
andare a stare da suo padre e Charlie.
Ora,
però, non aveva nemmeno diritto alla sua vecchia camera dal momento che
le scale gli erano state proibite!
Nemmeno
la doccia completa per un paio di giorni, fino a che non avrebbero
tolto i punti e quelli non si sarebbero richiusi tutti.
Era
anche importante che rimanesse assolutamente fermo per impedire a
quelli interni di riaprirsi, finché anch’essi non si sarebbero
rimarginati non poteva fare praticamente niente.
L’idea
di non potersi concedere nemmeno una doccia come si doveva, o di dover
farsi aiutare per tutto, era traumatico!
Quando
però realizzò che avrebbe dovuto farsi lavare a pezzi da qualcuno, andò
quasi in crisi.
Sulla
bilancia soppesò le due possibilità… rimanere sporco fino al via libero
dei medici oppure tornare bambino?
Fu
seriamente combattuto ma sapeva che non poteva non mettere mano alla
spugna così a lungo.
Era
stato un bello squarcio, aveva lesionato addirittura il polmone che per
miracolo non era collassato del tutto. Per non parlare dell’arresto
cardiaco che aveva avuto e di tutte le altre complicanze.
Non
c’era verso di fare da solo.
La
verità era che non riusciva nemmeno ad abbassarsi di un millimetro.
Ogni volta che si alzava e sedeva era una profonda sofferenza e per
ogni stupidissimo gesto sentiva il fiato spezzarsi e i punti tirare,
specie quelli interni, il che era peggio di quanto avrebbe mai
immaginato.
Certo
ne aveva avuti molti, col lavoro che faceva. Non era mica la prima
ferita, ma così grave sì e non si sarebbe mai immaginato tanto
snervante la guarigione.
Alla
fine ci aveva impiegato molto a rassegnarsi, ma aveva dovuto cedere
anche se non convinto del tutto.
Non
poteva che accettare l’aiuto di suo padre e suo fratello.
Anche
se, a dire il vero, era più il primo che il secondo ad occuparsi di
lui.
Con
un misto fra sollievo e dispiacere.
Non
capiva bene se esserne contento o meno, da un lato evitavano molti
imbarazzi, dall’altro gli sfuggivano molte occasioni preziose.
Da
quando Don si era momentaneamente stabilito di nuovo lì, Charlie non
aveva fatto altro che stare all’FBI per lavorare. Fra quello e
l’università era già tanto se lo incrociava per caso.
Saltava
spesso i pasti per farli fuori, rientrava ad orari impensati e se era
dentro si rifugiava in garage per continuare, tanto per cambiare, i
suoi calcoli!
Alla
fine si era ritrovato a farsi accudire solamente da suo padre e nessuna
scena pesante e strana si era verificata, anche se, tutto sommato, a
malincuore.
Sapeva
che lo evitava perché si sentiva in colpa, ma non era tutto lì. Cercava
anche di espiare le sue presunte colpe cercando uno schema matematico
per un caso che, al momento, vedeva solo lui!
Non
faceva che lavorarci su e praticamente non erano più riusciti a
parlarsi.
“Almeno
non è scappato dall’FBI come pensavo facesse… avevo paura che non
tornasse più a collaborare… spero che continuerà anche quando tornerò
attivo!”
Si
limitava a pensare questo durante le molte ore di malattia steso nel
divano a guardarsi la televisione e a dormicchiare.
Non
era mai stato tanto tempo senza fare nulla ed anche la sua mente,
ormai, si rifiutava di pensare ancora, convinta che l’avesse già fatto
abbastanza.
“Però
non potrà mica evitarmi per sempre…”
Ed
ora che era lui da quella parte, ovvero quello evitato, capiva come
doveva essersi sentito Charlie dopo che si era dichiarato. Però era
anche vero che erano diametralmente diversi… a stesse situazioni
ponevano reazioni molto diverse,
“Devo
bloccarlo e costringerlo a reagire umanamente. Ha paura di guardarmi,
paura di un mio rifiuto, paura che io stesso lo accusi di avermi
indirettamente ferito, paura che io possa tornare a star male per colpa
sua. Ha paura di guardare quel che, secondo lui, mi ha fatto.
E
penso che sia da troppo che non dorme, quel ragazzo.”
Fu
questa infine una delle sue ultime conclusioni.
Era
davvero ora di smetterla.
Si
era imposto di lasciargli i suoi tempi che, conoscendolo, gli servivano
per immagazzinare le cose ed accettarle, ma adesso ne aveva avuti
troppi.
Di
norma non era uno che sapeva aspettare e visto che la sua pazienza era
pari a zero, ora aveva finito ogni minima riserva.
Quindi
deciso a metterlo con le spalle al muro, cosa che gli riusciva bene se
voleva, attese il momento propizio.
Non
fu facile mandare via suo padre, ma del resto non potendo muoversi ne
aveva avute molte di commissioni da fargli fare al suo posto…
La
porta d’ingresso si aprì lentamente mostrando poco dopo un titubante ed
esitante Charlie i cui capelli erano particolarmente stravolti,
evidenti anche le occhiaie sotto gli occhi. L’aria stralunata ce
l’aveva tutta.
-
Ehi… - Lo salutò debolmente trovandolo subito seduto sul divano.
Ormai
la stagione andava via via inoltrandosi verso quella estiva ed il caldo
permetteva a Don di stare con una camicia a maniche corte aperta e dei
pantaloni di lino bianchi leggeri.
Non
che fosse un abbigliamento da lui, ma considerando che doveva stare
comodo e leggero aveva ripiegato su quegli abiti che non si poteva
certo dire non gli donassero. Specie considerando il torace scoperto
fasciato dalla benda.
Stava
sempre così ed ogni volta che rientrava, sia pure per un solo secondo,
non poteva fare a meno di calamitare i suoi occhi castani su quella sua
parte del corpo e di avvampare come un ragazzino. Scappare era l’unica
cosa che gli riusciva in quei momenti, ma quella volta non potè farlo
ed imponendosi di rimanere fermo e controllato, sentì la sua voce bassa
e roca salutarlo con un mezzo sorriso enigmatico dei suoi. Ne faceva
spesso e sebbene fossero normali per lui, a Charlie parevano
estremamente sensuali e misteriosi. Questo da quando aveva cominciato a
perdere la testa per lui.
-
Papà mi ha ordinato di stare a casa per assicurarmi che tu facessi il
bravo… - Cercò di ironizzare per alleggerire la situazione che, forse,
solo a lui sembrava pesantissima ed imbarazzante!
Don,
che se lo aspettava, lo assecondò cercando di metterlo a suo agio senza
la minima consapevolezza di sé e di ciò che provocava la sua tenuta da
casa.
-
Lo immaginavo… ha paura che mi metta a fare ginnastica! – Era ovvio che
non era certo quello il pericolo, però Charlie gradì la battuta e rise
più di quanto non sarebbe servito.
“E’
molto imbarazzato…” Realizzò
Don passando i suoi penetranti occhi scuri su di lui da capo a piedi,
studiandolo in maniera evidente.
- L’hai
spedito a fare commissioni per te? – Chiese rigirandosi nervosamente
fra le mani una cartellina, guardandolo con disagio ed imponendosi di
non distogliere lo sguardo.
-
Sì… sai com’è… non si sentiva abbastanza utile, credo… -
-
E’ proprio da lui… -
-
Si preoccupa un po’ troppo. Preferisco te, almeno non mi assilli
chiedendomi se ho bisogno di qualcosa ogni secondo! – Lanciò di
proposito la frecciatina scrutandolo con cura. Nel momento in cui disse
quella frase, non gli sfuggì un lampo di dispiacere nello sguardo del
fratello. Sapeva di aver colpito sul vivo e l’aveva fatto di proposito.
Voleva
che si sentisse in colpa per averlo lasciato così tanto solo.
Se
doveva averne una, era solo quella e nessun’altra.
-
Bè… allora io vado in garage a lavorare su una cosa che… bè, mi occupa
molto in questi giorni e… sì, insomma, così nessuno ti assilla per un
po’. Sono di là, ok? Chiamami se ti serve qualcosa. – La frase fu
quanto di più difficile da dire e risultò perfettamente imbarazzato e
nervoso.
Penetrandolo
un’ultima volta, Don chiuse la televisione distratto, quindi prima di
farlo andare dall’altra parte della stanza lo richiamò con un guizzo
impercettibile nello sguardo.
-
Allora ne approfitto subito. Avrei bisogno di lavarmi, è venuto fuori
un gran caldo ed ho bisogno di rinfrescarmi almeno un po’… dovresti
aiutarmi, non posso farmi la doccia completa, lo sai, ma non arrivo a
farmi bene da solo. – Lasciò un attimo di silenzio. Charlie assimilò e
concluse come niente fosse: - Sai, con papà è un po’ imbarazzante… -
“Se
lo è con lui cosa sarà con me?”
Ma
non si mise a riflettere sul fatto che lo facesse apposta. Don sapeva
dei suoi sentimenti, come poteva chiedergli una cosa simile proprio a
lui? No, non se lo disse. La sua mente acuta in quel momento si era
fermata alla richiesta di aiutarlo a lavarsi.
Ora
capiva davvero in quale situazione complicata si fosse messo!
Il
giovane impallidì, si voltò e con grandi occhi sgranati e davvero
liberamente terrorizzati, lo guardò sperando di svegliarsi
immediatamente.
Così
non fu e dopo un po’ di silenzio pesante, inghiottì e si fece forza
rispondendo con un flebile: - Ma certo… - che sembrava il ‘così sia’ di
un condannato a morte!
Mise
giù la cartellina dispiaciuto di non poter lavorare al sicuro lontano
da quello che lì per lì gli pareva un lupo pericolosissimo, dopo di ché
come stesse cercando di ingoiare un enorme candela di dinamite accesa
senza farla esplodere, si avvicinò al divano dove Don si era drizzato a
sedere per alzarsi.
Una
delle regole della sua convalescenza era di non farlo alzare da solo. I
suoi muscoli addominali non dovevano compiere nemmeno il minimo sforzo,
anche il più sciocco.
Su
questo non discusse, non voleva assolutamente che stesse ancora male
quindi si chinò e allacciando le loro braccia lo tirò su con
delicatezza. Don naturalmente collaborava più di quanto non avesse
dovuto ma di questo gliene fu grato. Non era uno scherzo sollevare di
peso suo fratello!
Una
volta in piedi si sciolse in fretta e lo precedette in bagno
lasciandosi sfuggire un profondo e sconsolato sospiro.
Doveva
farsi forza, la tortura non era nemmeno cominciata, in fondo, non
poteva soffrire di già.
Cosa
gli passava per la testa? Aprendo l’acqua calda della vasca, seduto sul
bordo, se lo chiese.
Don
era incomprensibile di suo ma ora lo era più di sempre, assolutamente.
Sapeva
che era innamorato di lui, perché chiedergli di lavarlo?
Dopo
quella scenata di gelosia non si era sentito più molto appagato, forse?
Il
suo ego aveva bisogno di più?
Mentre
questa serie di considerazioni vorticavano velocissime nella sua mente
nel panico, lo sentì entrare. Per percorrere la casa ci metteva una
vita e l’avrebbe preso in giro se non fosse stato così nervoso.
-
Non posso immergermi tutto, ancora, ma ormai non manca molto. Mi hanno
tolto quasi tutti i punti, sono pochi quelli che non si sono chiusi. –
Cominciò a parlare Don per primo interrompendo quel pesante silenzio.
Non era da lui ma sapeva quanto faticoso fosse per Charlie.
-
Non preoccuparti, fai tanto per tutti… per una volta che sei tu ad aver
bisogno… - non finì la frase rendendosi conto di aver tabula rasa. Se
avesse improvvisato qualcosa probabilmente sarebbe uscita ancora una
volta la verità ed era già abbastanza difficile così!
A
quello Don stesso si trovò in imbarazzo e aprendo bocca per continuare
un qualunque discorso, la richiuse non trovando più nulla da dire. Non
gli piaceva essere adulato in alcun modo, così in silenzio si sfilò la
camicia aperta appendendola dietro alla porta dove c’erano accappatoi.
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Tahoma">Solo allora davanti a lui Charlie si rese conto di una
cosa.
Gli
occhi non riuscirono più ad evitare la benda sulla parte sinistra
dell’addome di norma scolpito e piacevole da guardare, così come le sue
spalle, le braccia e… bè, ogni altra parte del suo fisico asciutto ed
atletico.
Inghiottì
a vuoto ma quella dinamite si era ingrandita parecchio.
“Ed
ora devo fare i conti con la sua ferita. La mia colpa.”
Evitarlo
era stato davvero un modo per non guardare in faccia quello che era
convinto fosse un suo crimine, cercare di espiare tutto risolvendo un
caso che reputava tale solo lui, per il momento, era stato tutto ciò
che era stato capace di fare ma ora doveva fare i conti con ciò da cui
fuggiva. La realtà. I fatti.
Anche
se tutti gli dicevano che non era stata colpa sua nessuno gli avrebbe
mai tolto dalla testa che invece era così.
Quando
si fece cadere ai piedi i comodi pantaloni di lino, Charlie li raccolse
appendendoli insieme alla camicia, quindi ritrovatosi più vicino, il
problema ‘colpe’ passò di nuovo in secondo piano.
Ora
al primo posto c’era ben altro… un problema grande come una delle
compiante Twins Towers.
Il
‘problema ormoni’!
-
Toglimi il resto, per favore. Non riesco da solo. – Solo in un secondo
istante il moro dai capelli ricci si rese conto in cosa consisteva il
famoso ‘resto’.
I
boxer!
Troppo
stretti per farli scivolare giù da soli.
Si
mordicchiò il labbro e mandò a quel paese il proprio colorito acceso.
Quello ormai era il meno.
Balbettò
un vago ‘sì’ e facendo ancora un passo verso di lui infilò i pollici
sotto l’elastico della biancheria intima, tirando verso il basso. Gli
occhi schizzavano da tutte le parti come palline di un flipper,
evitando con cura la parte centrale che stava a pochi centimetri dal
suo naso.
Una
tortura fisica con tanto di calci e pugni sarebbe stata più apprezzata!
Don?
Don
se la godeva come un maledetto!
Era
giusto che soffrisse così dopo che l’aveva abbandonato solo per degli
stupidi sensi di colpa!
Tolti
anche quelli Don li calciò distratto all’indietro, quindi Charlie si
girò subito verso la vasca dove sopra era stato sistemato un’asse che
fungeva da sedile per Don, in modo da stare il più comodo possibile
anche per lavarsi.
Senza
dire più una parola il più grande si avvicinò al più piccolo e
appoggiandosi alla sua spalla con una mano entrò coi piedi nella vasca,
quindi si sedette nella sua postazione e, completamente nudo ma
assolutamente a suo agio, attese che Charlie iniziasse il piacevole
trattamento.
“E’
un’immagine un po’ troppo ricorrente, il suo corpo nudo… non è che vada
bene, eh?”
Pensò
il giovane sempre più nel panico che non sapeva dove guardare.
La
ferita coperta lo faceva star male per un motivo, i suoi occhi per un
altro, il suo inguine per un altro ancora!
Immergendo
la spugna sotto l’acqua corrente regolata ad una temperatura migliore,
decise che quella sarebbe stato tutto ciò che avrebbe visto.
-
Passamela addosso facendo attenzione a non bagnare la garza, altrimenti
dovrai cambiarmela. – Lo esortò vedendolo incerto sul da fare. In cuor
suo era ovvio che sperasse la bagnasse. C’era un’idea che gli stava
arrivando in testa e conoscendosi prima della fine l’avrebbe attuata,
ma tutto dipendeva da Charlie.
Anche
se lui non lo guardava nemmeno per sbaglio, Don al contrario lo fissava
come se avesse fra le mani un sospettato di omicidio.
Lo
scrutava, lo studiava, lo penetrava, lo snudava nonostante fosse lui,
ora, quello nudo.
Ma
poi sentì la spugna calda carezzargli e bagnargli la pelle, l’acqua
corrergli pian piano addosso donandogli una sensazione di freschezza
meravigliosa ed ogni cosa cominciò a sfumarsi nella sua mente.
Iniziò
dalla parte meno faticosa, le spalle e le braccia. In realtà qualcosa
avrebbe potuto farlo da solo, era vero, ma perché privarsi di un
piacere simile?
Farsi
accudire così dall’unica persona che ora voleva vicino a sé era la cura
migliore di tutte.
Pensando
che potesse essere la sua mano al posto della spugna, cominciò a
rabbrividire e non vi badò. Qualunque cosa gli facesse gli occhi
castani penetranti non lo perdevano di vista un istante sperando che
anche lui li incrociasse coi suoi.
-
Metti la testa indietro. – Mormorò con voce roca che quasi non gli
usciva dalla gola. Don obbedì mansueto e sentì l’acqua scorrergli
dolcemente sulla testa appesantendogli i capelli corti per proseguire
sulla schiena e abbandonarsi sul sedile improvvisato.
Non
aveva calcolato quanto bello avrebbe potuto essere quel momento di
intimità, quanto delicato potesse essere una persona innamorata e
sofferente.
Mano
a mano che proseguiva Don si trovò a sperare solo in una cosa. Che non
terminasse mai.
Quando
toccò alle gambe fu meno traumatico di quanto il giovane non si fosse
aspettato. Bè, erano solo gambe. Non stesso discorso per l’inguine.
Quello
non era ‘solo un inguine’!
Era
il SUO!
Fece
diventare le proprie labbra un filo sottile bianco e trattenendo il
fiato, come faceva anche Don, si dimenticò che quello avrebbe potuto
farlo da solo. Dimenticò che per strofinarsi la propria parte intima
non avrebbe fatto molti sforzi, non certo quanto ne stava facendo lui.
E dimenticò anche di imbarazzarsi.
Lo
dimenticò mentre comprese che fra la sua mano ed il suo membro c’era
solo una spugna imbevuta di acqua e che poi avrebbe dovuto ripassare
tutto con il bagnoschiuma e poi di nuovo con l’acqua per sciacquarlo.
Per
un momento si vide esageratamente audace mentre lasciava cadere
l’oggetto per sostituirlo davvero con le sue dita. Dita che avrebbero
potuto carezzare direttamente la sua pelle umida dove ogni tanto c’era
qualche vecchia cicatrice. Dita assetate di quel corpo che aveva visto
molte volte, in quegli ultimi mesi, ma non aveva mai potuto toccare.
Aveva solo potuto sognarlo.
Il
rossore svanì così come quell’imbarazzo paralizzante di prima, mentre
si rese conto che comunque non avrebbe mai avuto tutto quel coraggio
anche se gli sarebbe piaciuto. Appagare sessualmente Don sarebbe stato
qualcosa di impareggiabile di certo ma era convinto di non esserne
capace.
Prima
che potesse avere qualche altra fantasia la sua mano si staccò con
ancora la spugna in mano che ricoprì di bagnoschiuma al pino selvatico.
Aveva sempre adorato quel profumo, era quello di Don e nonostante
avesse potuto usarlo anche lui, aveva preferito limitarsi ad associarlo
solo al fratello. Come un qualcosa di unicamente suo che riusciva a
ricordargli la persona che tanto gli piaceva.
Sin
da piccolo era stato il suo profumo e non aveva mai osato usarlo, non
si era mai spiegato questa cosa. Forse non si reputava un tipo da
profumo così maschile, a sua detta.
Riprese
la tortura tornando a respirare lentamente, notando che anche Don aveva
subito la stessa interruzione d’ossigeno.
Procedendo
continuò a dimenticare l’imbarazzo di prima e tutti i problemi che si
era visto davanti. Continuò solo a fare qualcosa di estremamente bello
che improvvisamente non voleva più finire.
Solo
il rumore dell’acqua interrompeva il silenzio. Nient’altro.
Don
che aveva voluto quel momento con tutto sé stesso, non aveva
considerato dopo tutto come avrebbe potuto farlo sentire Charlie e la
sua ingenua ed inconsapevole delicatezza mista ad una strana ed
insolita sensualità.
Sensualità
nei suoi gesti lievi e lenti che compiva assorto sul suo corpo nudo.
Quando
gran parte di lui fu coperto di schiuma e si fu staccato a malincuore
dal suo inguine che non aveva osato pulire troppo minuziosamente,
l’osservò piegando la testa di lato. Lucido, inschiumato e scivoloso.
Sarebbe stato perfetto per quella fantasia di prima… fantasia che
prepotente e subdola arrivò ancora a bloccarlo boccheggiante.
Le
sue mani che scivolavano meglio sui suoi muscoli rilassati, sulle sue
cosce e poi là in mezzo ad occuparsi della sua eccitazione…
Ma
di nuovo senza che nessuno lo richiamasse tornò alla realtà chiedendosi
se anche Don non avesse le sue stesse fantasie.
“Dovrei
farlo.. davvero… “
Pensò
poi con fatica ma una nuova ondata di imbarazzo lo colse per un
momento, il necessario per riprendere il lavaggio più svelto di prima,
interrompendo quel piccolo incantesimo.
Tanto
non ce l’avrebbe mai fatta. Don al suo posto sì, ma lui no.
E
poi senza che nemmeno se ne rendesse conto, di nuovo preso da mille e
più pensieri, fra fantasie erotiche che si scontravano con la dura
realtà di quel pesante e strano silenzio, il momento magico si concluse
del tutto.
Era
finito, no?
Ora
sarebbe uscito dalla vasca, si sarebbe rivestito e tutto sarebbe
svanito semplicemente nel nulla.
Tutto
lì.
Però
quello sarebbe rimasto un gran bel ricordo, ne era certo.
Un
ricordo che forse sarebbe stato unico.
Inghiottì
a vuoto quando si alzarono entrambi in piedi e Don, appoggiandosi di
nuovo alla sua spalla, uscì lentamente dalla vasca.
Una
volta fuori Charlie si affrettò ad avvolgerlo con l’asciugamano e senza
pensarci gli passò il torace e tutta la parte intorno alla benda,
spaventato all’idea che si bagnasse con le goccioline che correvano
sensuali sulla sua pelle lucida e profumata.
Era
una tortura quella combinazione e di nuovo la lotta iniziò. Senso di
colpa per la ferita o abbandono ai propri desideri?
Come
questa battaglia iniziò in lui, si fermò subito rendendosi conto che
Don lo fissava stupito ed immobile proprio per quello suo strofinargli
l’asciugamano addosso.
E
si rese conto che ora poteva sentire i suoi muscoli più di prima, cosa
che lo gettò definitivamente nel caos e lo fece ritirare più rosso che
mai.
“Ed
ora?”
Si
chiese Don scrutandolo dritto negli occhi castani simili ai suoi, solo
molto più confusi.
Charlie
notò la sua muta domanda ma distolse subito lo sguardo sentendosi
davvero sotto tortura.
Doveva
vestirlo. Doveva vestirlo, no? Asciugarlo del tutto, anche sotto, e
vestirlo. Poi sarebbe potuto scappare!
Si
aggrappò a quei pensieri che si sforzava di avere come delle litanie ma
non gli pareva funzionassero bene. Era troppo, ormai, da sopportare.
-
Charlie… - Lo chiamò delicato Don. Lui si affrettò a spiegarsi come
giustificasse un suo improbabile plateale errore in un problema di
matematica.
-
Avevo paura si bagnasse la benda… - Non avrebbe mai potuto
togliergliela per cambiarla. Guardare la sua ferita sarebbe stato
troppo, quindi aveva solo cercato di non impedire che si bagnasse.
Voleva solo scappare, rifugiarsi al sicuro, lontano da lui, la causa di
tutta quella tempesta interiore.
Eppure
lì accadde.
Quello
fu proprio l’inizio, l’imput per Don di agire, come di norma, senza
pensare. Quando si aprì l’accappatoio Charlie si sentì mancare; sgranò
gli occhi indietreggiando di un passo, incontrollato nel panico che
riprese ad ingigantirsi.
-
Non è colpa tua. – Disse con forza e fermezza. Stava seguendo un
qualcosa di incalcolato e non programmato. Come al solito il suo
istinto aveva preso il sopravvento.
Glielo
avevano detto tutti ma non lui. Lui ancora no.
Charlie
impallidì e si morse il labbro balbettando un agitato: - V-va bene m-ma
tu c-c-chiudi ora! – Non poteva davvero fare quello che pensava…
Eppure
contro tutte le sue preghiere Don fu implacabile. Si avvicinò colmano
la distanza e lui continuò ad indietreggiare, arrivato alla porta si
fermò. L’altro davanti si levò anche la benda attaccata all’addome e
quando l’orrenda e deforme cicatrice spropositatamente grande fu ben
visibile con la metà dei punti ancora da togliere poiché non del tutto
asciutti, Charlie si mise le mani sulla bocca, poi fra i capelli e come
un anima in pena andò nella confusione più di quanto non gli fosse già
successo. Sembrava dovesse scoppiare a piangere disperato da un momento
all’altro.
-
D-Don… ti prego… - Mugolò precario senza saper cosa dire di preciso.
Don però non smise, non si coprì e al contrario l’obbligò a guardare.
-
No, Charlie… guarda… questo è quello che rimarrà… ma devi capire. Devi
capire che non è colpa tua, hai capito? È stato quell’uomo a ferirmi,
non tu. Tu mi stai curando. Non mi stai facendo del male. –
- E
come… come ti sto curando? Ti ho fatto male, io… è colpa mia se tu ora…
- Charlie tremava e la voce gli si spezzò, gli occhi ora lucidi
minacciavano di liberare delle lacrime represse per troppo.
Non
riusciva nemmeno a ragionare, a comporre una frase completa. In quello
stato Don non l’aveva mai visto ma sapeva che era giusto, che doveva
proseguire, non poteva fermarsi nonostante gli dispiacesse vederlo in
così.
-
Standomi vicino. Mi fai stare bene. – Charlie non registrò subito quel
che disse e partì subito con un tentativo di risposta logica:
-
Ma se in questi giorni ti ho evitato… - Ma poi si fermò capendo il
significato della sua frase.
- E
tu non starmi più lontano. Perché mi piace stare con te. – Serio,
deciso. Don annullò la distanza, gli prese il viso a piene mani e da
vicino, fermo più che mai, ammirò le bellissimea nonostante gli dispiacesse vederlo
in quello stato lacrime che scendevano dagli occhi
rigandogli le guance, esprimendo tutto il suo essere, le sue paure ed i
suoi sentimenti. – Tu mi fai stare bene. – Le carezzò coi pollici.
Avvicinò il viso ancora al suo. L’altro che tratteneva il fiato. Lui
sicuro e dolce come non lo era mai. – Ed io voglio stare solo con chi
mi fa stare bene. – Infine posò le labbra sulle sue dandogli un piccolo
e delicato bacio. Su di esse concluse: - Voglio stare con te. – Quello
era stato il risultato del suo molto ed insolito pensare. Un gran bel
risultato, tutto sommato.
Dopo
di quello Charlie davvero non capì più niente. Solo che fra il sapore
salato delle proprie lacrime, Don lo stava baciando. E non era una sua
fantasia.