AMBIENTAZIONE: quinta serie, puntata numero 20, se
non erro. In questa puntata succede qualcosa di brutto a Don,
purtroppo, e siccome io adoro quando succede qualcosa a lui
perché sono sadica, ho subito approfittato!
NOTE: Secondo me gli sceneggiatori di Numb3rs mi
leggono nel pensiero… vabbè, stupidaggini a
parte, non potevo non cogliere al volo
quest’opportunità ghiotta visto che qua
c’è davvero dello slash per tutti i gusti. Io ho
colto questo ma naturalmente la stessa puntata la si può
leggere in molte altre chiavi!
Vi avverto, qua Don non sta con Robin ma con Colby!
Questa fic potrebbe tranquillamente essere il
seguito delle one shot che ho già fatto su sti due!
Spero vi piaccia.
Buona lettura. Baci Akane
DEDICHE: a tutti i fan di questa coppia o di questo
telefilm.
TORNARE
/Broken – Lifehouse/
Quando io e David siamo arrivati nella stanza in
cui c’erano Don e Nikki per fare il punto
sull’azione andata male, non avrei mai e poi mai immaginato
di trovarmi quella scena.
Il gelo mi ha avvolto e non ho più
capito niente nell’esatto istante in cui ho visto Nikki
svenuta e Don ferito sanguinante che lento perdeva conoscenza.
Lì, fra le mie mani, davanti ai miei
occhi… lui è scivolato via… ed io
senza la minima idea di che diavolo fosse accaduto, visto che un solo
istante prima parlava con me dandomi ordini tramite la trasmittente,
sono rimasto impietrito a fissarlo incredulo.
L’ho solo potuto vedere lì,
steso, ferito al petto, che cercava di respirare… e
lento… lento chiudeva gli occhi senza la forza nemmeno di
lamentarsi, senza la voce per parlare, senza più un solo
senso che connetteva.
Mi sono inginocchiato e mentre David controllava
Nikki chiamando entrambi a gran voce, io la mia non so proprio dove
fosse sparita poiché non mi è uscita. Non mi
è uscita proprio.
L’ho raggiunto, l’ho toccato
tremando, temendo di sentire il suo battito spegnersi, la sua
temperatura raffreddarsi. Il suo cuore batteva ancora ma la sua pelle
impallidiva alla penombra della sera, in quella casa sconosciuta, e non
manteneva un calore vitale accettabile.
Ricordo tutto come fosse ora.
Ho messo febbrile le mie mani sulla sua ferita, al
petto, procurata chiaramente da un coltello, quindi ho premuto cercando
di limitare l’emorragia ma il risultato è stato
solo ritrovarmene io stesso pieno. Le mie dita, i miei palmi, i miei
vestiti…
…del suo sangue…
Non ho parlato. Non ci sono riuscito. Nel giro di
un istante sono arrivati i rinforzi e l’ambulanza,
l’hanno portato via e David è andato con
l’altra ambulanza e con Nikki che si era svegliata.
Io sono rimasto lì. Lì per
dirigere i lavori sulla scena, per dare ordini, per mandare avanti le
cose nel caos più completo.
Lì fermo, senza riuscire a connettere, a
muovermi e ad andare io stesso in ospedale.
Lì.
Non so per quanto ci sono rimasto, onestamente,
poiché poi dopo un po’ che mi chiedevano ordini,
ho detto bruscamente di seguire la prassi e di non rompermi i coglioni.
Poi me ne sono andato.
Si, ho detto così o per lo meno credo.
Dopo un tempo indefinito mi sono ritrovato qua
sotto la doccia, all’FBI.
La coscienza lenta torna, io chiudo gli occhi
mentre l’acqua calda mi lava via il sangue, mi rivedo la
scena mille e mille volte senza sapere da dove diavolo possa essere
spuntato quel quinto uomo che non avrebbe dovuto esserci secondo i
calcoli del piano di Charlie.
Non avrebbe dovuto eppure c’era e nessuno
se ne era accorto. Nessuno.
Lui ha ferito Don e nessuno è riuscito a
fermarlo.
Lui forse lo ha anche…
No. Non posso pensarci.
Non posso.
Quel bastardo era là
all’insaputa di tutti e senza rifletterci un attimo
l’ha ferito profondamente ed io non c’ero, non sono
arrivato in tempo, ma come è vero che sono io, anche se
fosse l’ultima cosa che faccio, prenderò quel
pezzo di merda.
Qualunque cosa succeda.
Lo prenderò perché questa
deve essere la sola cosa che mi farà andare avanti. La
benzina. Il motore.
Perché se penso a Don in ospedale che
stanno operando, io mi fermo.
E non posso.
Se mi fermo non riparto più.
Non posso permettermelo. Assolutamente.
Don richiede vendetta. Io gliela devo dare o sono
finito.
Da qui è la rabbia a tenermi in piedi.
La rabbia e il risentimento che cresce di volta in
volta sempre più.
Insofferente, iroso, brusco, secco e impaziente mi
muovo nelle indagini finendo quasi per rompere intenzionalmente una
mano al primo sospettato che catturo, fermato in tempo da David,
sostituto super visore di Don che cerca di mantenere la calma e fare la
cosa giusta.
La cosa giusta…
A tu per tu con lui, con quello che è
sempre stato il mio collega di lavoro e amico a cui ho sempre confidato
tutto, lo fisso contrariato e rabbioso, quindi mi ritrovo ad accusarlo
duramente del fatto che Don me lo avrebbe permesso per casi simili
d’emergenza.
Quello non era comunque un criminale qualunque, era
implicato nell’aggressione al nostro capo. Non poteva
rimanere impunito e zitto.
Ma David non mi ha permesso di fare ciò
che era davvero giusto o che per lo meno mi avrebbe permesso di non
impazzire!
Così mentre marco il fatto che Don
avrebbe agito diversamente, David con gli occhi lucidi e ferito mi
risponde che non è Don e che lui non
c’è.
Se ne va e rimango a fissare il vuoto.
Insopportabile.
Insopportabile sensazione lacerante interiore.
Vuole uscire, grida per essere liberata, per trovare sfogo ed io mi
obbligo a trattenermi. O per lo meno cerco poiché me ne esco
con certe cattiverie che forse sono peggio di un urlo potente.
Non volevo ferirlo ma è esattamente
così.
Lui non è Don, dannazione; se lo fosse
io starei con lui e non è così.
Io sono l’uomo di Don, non di David.
Le cose sono decisamente diverse!
E non è David che voglio, per quanto sia
mio amico e mi trovi bene con lui.
È Don.
Don che non ho ancora avuto il coraggio di andare a
trovare e che fino a che non sentirò la parola
‘fuori pericolo’ e ‘svegliato’,
io non andrò a trovare.
Non ho la forza di vederlo addormentato in un
lettino d’ospedale dove non si sa se si riprenderà
o no.
Tutte le mie energie le devo concentrare sul
trovare il suo aggressore e ammanettarlo.
È così.
Perché se abbasso la guardia poi non mi
rialzo più.
E non voglio vedere un Don morente,
l’immagine che voglio conservare nella mia mente è
solo di un Don sveglio che sta bene.
L’averlo soccorso proprio coperto di
sangue mi ha impresso dentro quanto di peggio non
dimenticherò mai.
Non voglio più vederlo così.
Non ne ho la forza.
Non ce l’ho davvero.
Per questo con rabbia e insofferenza non perdo
occasione per sfogare questo mio stato d’animo su chiunque io
ritenga implicato in questa faccenda o su chi, per caso, mi sembra non
adempia come si deve ai suoi doveri!
È dura per tutti ma nessuno ha idea di
cosa sto passando perché nessuno è il compagno di
Don.
Io si.
E non posso resistere a lungo.
Ti prego Don, riprenditi.
Ora che ho ammanettato io stesso quel bastardo
grazie all’aiuto prezioso di un Charlie che non
smetterà mai di sentirsi in colpa, mentre tutti si muovono
per andare in ospedale da Don, io sto seduto in macchina davanti
all’edificio.
E aspetto.
Aspetto che mi dicano che si è svegliato
e che sta meglio.
Aspetto che lui si riprenda.
Aspetto di entrare e vedermelo sveglio, sorridente
a modo suo che mi guarda in quel modo penetrante che però
nessuno coglie.
Aspetto di sentirmi meglio per il fatto che
vendetta è stata fatta e che quel pezzo di merda ora
è in prigione.
Aspetto ma non succede nulla.
Nessun sollievo, solo vuoto. Un vuoto portato dal
fatto che ora nemmeno quella rabbia di prima mi tiene su.
Non ho nulla se non quest’attesa e dovrei
sperare, a questo punto.
Sperare che vada tutto bene. Ma non sono mai stato
uno che spera e non inizierò certo ora…
Sospiro appoggiando la testa indietro e chiudendo
gli occhi. Sono stanco ma non è questo ciò che mi
rimanda il mio fisico stressato.
Quel che sento ora è un bisogno di
qualcosa che non arriva.
Non voglio rimanere senza.
Facciamo questo lavoro e lui è il super
visore della squadra, è naturale che siamo in pericolo ogni
giorno, che dobbiamo aspettarcelo e metterlo in previsione.
Spesso sono io quello che rimane fregato con tutti
gli inseguimenti che mi becco, spesso invece è lui stesso,
però forse era da tanto che non finiva così grave.
Così sospeso fra la vita e la morte.
Non lo so, non credo nemmeno sia una questione di
abitudine.
Non ci si abitua mai a certe cose.
Quando la persona che ami rischia così
tanto la sua vita, di volta in volta è solamente peggio,
altro che meglio!
Non è mai meno dura ed io non
potrò mai iniziare una giornata pensando che certamente io e
lui ci rivedremo di notte a casa!
Non viviamo nemmeno insieme.
Siamo compagni ma non lo dimostriamo, entrambi
troppo riservati su queste cose e così poco romantici,
preferiamo un rapporto molto più libero e rilassato. Non
sembriamo nemmeno fidanzati.
Siamo una coppia eppure non lo diamo a vedere ma
non di proposito, è solo il nostro modo di stare insieme.
Non facciamo le cose che fanno gli altri.
Ci vediamo ogni mattina al solito bar a fare
colazione insieme, questo si. Ma è tutto qua quello che ci
concediamo. Spegniamo il cellulare per quei dieci minuti che mi offre
il caffè e il cornetto e poi ci ributtiamo nella nostra
caotica giornata piena di pericoli e stress.
Ci stiamo vicini da lontano, senza darci conforto a
parole o gesti. Ci limitiamo ad esserci.
Tutto lì.
Spesso sono l’unico a non andare a casa
di Charlie e di suo padre in quelle famose riunioni serali fra amici.
Non è che non mi considero del gruppo, lo sono, ma sono
più selvatico. A volte ho bisogno di staccare.
Stiamo insieme tutto il giorno, spesso anche la
notte, non sono uno che sta appiccicato al proprio partner ventiquattro
ore su ventiquattro.
Credo che anche per lui sia così e gli
sta bene questo mio staccare, ogni tanto.
Ma questo non significa che quando è in
pericolo o gli succede qualcosa, io stia meno male.
Anzi.
Non riesco a viverlo in modo decente.
Mi trattengo e mi tengo tutto dentro, non do libero
sfogo alle mie preoccupazioni. Dopo aver stanato i vari possibili
responsabili, mi fermo e aspetto un miracolo, che la cosa si risolva e
che tutto torni come prima.
Non ho un gran coraggio riguardo certe cose.
Ed ora eccomi qua ad aspettare.
Aspettare che mi chiamino dicendomi che Don sta
bene e che è fuori pericolo.
La sola idea di poterlo vedere con qualche tubo in
gola e quel maledetto rumore cardiaco, mi fa stare male.
Voglio che tutto torni a posto.
Oh, io non credo in nessun Dio né nella
divina provvidenza ma ammetto che in certi momenti mi trovo
assurdamente a guardare il cielo, quando mi arrivano certe notizie.
Questo è uno di quei casi.
Come se potesse esistere qualcuno che ascolta
queste specie di preghiere che faccio inconsciamente, mentre entro e mi
avvio consapevole che lui è sveglio, fuori pericolo e che
non c’è nessuno con lui al momento, li alzo, i
miei occhi. In alto. Al cielo scuro dove non si vedono le stelle a
causa delle troppe luci della città.
Non so cosa significhi, lo faccio e basta.
Quindi trovandomi a trattenere il fiato, percorro
in fretta i corridoi andando diretto alla sua stanza.
L’ansia mi cresce veloce e mi ritrovo con
dei tamburi in gola, quindi dopo aver quasi corso mi fermo davanti alla
sua camera.
Lo vedo con la testa girata dall’altra
parte. Forse dorme.
David mi ha detto che è fuori pericolo e
che è sveglio, però i dottori hanno mandato tutti
via per farlo riposare.
So che faranno storie vedendomi qua, ma non fa
nulla.
Non me ne potrebbe fregare di meno.
Prendo un respiro profondo, mi raddrizzo e mi
faccio forza.
Non avrà la migliore delle sue facce, ma
sicuramente meglio di ieri notte, quando l’ho soccorso in
quelle condizioni.
Ed ora devo cancellarla quell’immagine
atroce.
Lavare via davvero il suo sangue dalle mie mani.
Varco la soglia e rimango in silenzio mentre aggiro
il letto e l’affianco rimanendo in piedi. Fermo,
l’accarezzo con lo sguardo facendo attenzione a non
disturbarlo.
Ha un viso segnato, stanco e senza forze ma si vede
che si sta riprendendo e che da ora le cose andranno meglio.
Si vede che sta solo riposando.
Ricordo quando sono stato io sulla linea della
morte, è stata la sua presenza accanto a me a farmi trovare
la volontà di tornare.
Altrimenti non mi sarei svegliato.
Là si sta bene.
Non si sente nulla.
Però mi è parso come una
specie di ordine, quello che ho sentito provenire dalla sua sola
presenza.
Come se mi ordinasse di svegliarmi.
Non volevo deluderlo.
Il resto è confuso.
Non ha più tubi che gli escono dalla
bocca e il suono del suo cuore non dà più molto
fastidio. È molto più calmo del mio.
Solo dopo alcuni istanti di contemplazione, mi
rendo conto che i miei muscoli, specie quelli del viso, si sono
rilassati e sento un espressione dolce e formarsi insieme ai respiri
che tornano regolari. Anche i miei battiti mi danno tregua e
così mi siedo senza staccargli gli occhi di dosso.
Starei anche tutta la notte, ora, a guardarlo
dormire perché so che non sta più male, che non
sta morendo. Che sta relativamente bene.
Dopo una tempesta allucinante trovo la forza di
riprendermi e non crollare più.
Ce l’ho fatta.
Ho superato anche questo ma in realtà
solo grazie a lui.
La verità è questa.
Io da solo forse sarei ancora in macchina in preda
all’angoscia e al panico più neri.
Lui ha lottato da solo per la vita, si è
ripreso, si è svegliato e sempre tutto da solo. Non certo
grazie a me e al mio sostegno.
Quando io sono stato per morire Don mi ha
sostenuto, io non ci sono riuscito questa volta.
Non è stata la mia presenza a riportarlo
di qua ma quel che conta è che sia tornato.
- Sei qua… - Mormora con voce impastata,
si ode appena ma mi piego e lo scruto attentamente. Tiene gli occhi
chiusi per un po’ ma le sue labbra si increspano in un
sorriso appena accennato che mi riscalda di già.
Lo fa raramente ma mi piace un sacco…
Non gli chiedo come abbia fatto a sentirmi
perché so come funziona. Anche se non si è
coscienti si percepiscono le presenze di chi ci affianca.
E poi il suo istinto non è come quello
di uno comune...
- Si. – Sussurro a mia volta con voce
roca e appena udibile.
Allora sembra si sforzi un po’ ma apre
gli occhi. I suoi castani si posano sui miei chiari e rimaniamo ad
osservarci a questa breve distanza senza dirci nulla, solo
probabilmente a pensare a quanto abbiamo temuto di non vederci
più.
Io lo penso.
Però ora sono qua e lo sto guardando.
È tornato da me con la sua sola
volontà.
- Volevo venire prima ma non ce l’ho
fatta. Non reggevo l’idea di guardarti in quelle
condizioni… - Inizio debolmente cercando di giustificarmi.
La voce mi si spezza e lui muove a fatica la mano cercando la mia.
Sembra abbia compiuto un impresa insopportabile.
So come ci si sente.
L’aiuto e gliela stringo evitandogli
inutili sforzi. Non è una cosa da noi, ma del resto
l’aver visto la morte in faccia cambia un po' le persone.
È così che io e lui ci siamo
messi insieme.
Quando mi sono svegliato dalla mia quasi morte.
- Lo so. – Mormora allora con un aria
leggermente dolce, per i suoi canoni. Forse solo un misto fra la
stanchezza e la comprensione.
Oh, io lo so che lui è uno dei pochi che
mi capisce subito…
Alimento il mio sorriso che funge da
ringraziamento, quindi mi piego su di lui, sul suo viso stanco e
pallido, lo scruto a fondo e aggiungo in una specie di soffio:
- Grazie di essere tornato da me. –
Allora anche lui risponde nel mio stesso modo, un sussurro appena che
mi fa venire i brividi:
- Grazie di essere venuto. – Nulla di
più, nulla di sdolcinato, di esagerato e di impossibile.
Cose da noi.
Come lo diremmo ed anzi forse solo appena
ammorbiditi.
Non ci siamo mai detti che ci amiamo ma lo
sappiamo.
Non serve dirlo.
Ci impacciamo e basta.
Però ogni volta che ci baciamo ce lo
sussurriamo senza bisogno di parole.
Così ora.
Annullo la breve distanza che era rimasta e poso le
labbra sulle sue. Non approfondisco, non mi sembra il caso. Solo un
tocco leggero fra di noi che gli fa accelerare un battito facendomi
sorridere.
È così che funziona fra noi.
Non è un segreto ma solo una cosa
nostra.
Non serve che si capisca che stiamo insieme, che
qualcuno lo sappia e che facciamo cose eclatanti poco da noi.
Stiamo insieme e basta.
Cos’altro conta, se riusciamo sempre a
tornare l’uno dall’altro?
FINE