CAPITOLO
XIV:
E
COSI’ TE NE VAI… VIA…
“Vivete
per me e siate felici, amate ed amatevi. Non rimanete nel dolore e nel
rimpianto.”
/Auto
rock – Mogwai/
Un
secondo.
Un
solo secondo Ryan divenne di ghiaccio davanti a quella scena delirante.
Del
resto come definire quello a cui aveva assistito?
Jude
sopra Matt che lo baciava e gli faceva avere un orgasmo.
Il
ghiaccio rappresentò l’unica cosa nella frazione
di un secondo.
Rimase
lì di pietra ad osservare fino a che Matt non si accorse di
lui chiamandolo.
E
allora lì.
Lì,
con gli occhi di entrambi addosso la sua bocca disse qualcosa. Non si
rese conto di cosa.
Ma
dicendolo si svegliò.
Si
svegliò ed in un istante tutto esplose in lui insieme al
pugno violento che scagliò contro la porta aperta che
uscì dai cardini che la sorreggevano finendo appoggiata di
sbieco sul muro. Non cadde per poco ma non fu notata dal mittente.
Ryan
prima che qualcuno potesse fare qualcosa, con uno sguardo da brivido
simile ad una tigre mortalmente ferita, si voltò correndo
via come una scheggia, veloce, scaricando in quella corsa tutto
ciò che provava e che lo stava facendo esplodere.
Rabbia,
odio, rancore, ferite, tradimento, caos, urla, tristezza, oppressione,
ira, violenza, follia.
Un
flusso di qualunque cosa possibile ed immaginabile potesse passargli
dentro devastandolo.
La
ragione lo perse per un lungo momento.
Non si
rese conto di essere seguito da Jude e Matt. Non si rese conto di dove
stava andando, delle condizioni della sua mano leggermente ferita per
il pugno dato, della folla attorno che spintonava, del sole che
splendeva beffandosi di lui, della splendida giornata che faceva da
spettatrice a quel dolore. Non si rese conto di nulla.
Nella
mente si ripetevano di continuo le immagini di poco prima.
Il suo
ragazzo ed il suo migliore amico che si baciavano.
Si
baciavano nella loro casa, nel loro divano, presi e abbandonati.
E la
testa cominciò a dolergli sempre più. Il sangue
pulsava potente nelle vene, nella testa, il fiato sparito o forse
troppo marcato, i battiti del suo cuore a galoppargli nella gola, il
volto distorto in una smorfia di rabbia e dolore, gli occhi quasi
chiusi privati della vista, non vedevano dove andava, la pelle dai
muscoli tesi al massimo non sentiva chi urtava. Voleva solo correre.
Via.
Via da quella scena.
Via da
loro due che glia avevano fatto così male.
Via
prima di sfogare su di loro quella violenza che lo devastava
dall’interno non facendogli capire nulla.
Via.
Assolutamente
via.
Per
non sentire quel caos togliergli la ragione e non fargli comprendere se
si sentiva peggio per il suo ragazzo o per il suo migliore amico.
Per
non capire da cosa derivasse quella lacerazione intollerabile.
Se
perché era stato tradito da Jude o da Matt.
Chi
contava di più?
Non
poteva fare a meno di chiederselo.
Stava
con Jude, avrebbe dovuto essere peggiore il suo tradimento eppure
l’idea che anche Matt l’avesse fatto…
oh, gli deformava ogni cosa.
Non
capiva.
Non
capiva niente.
Però
una cosa era certa.
Da
chiunque dei due fosse stato maggiormente ferito, di chiunque dei due
gli importasse di più, chiunque di loro amasse davvero,
l’avevano tradito entrambi e non c’era spazio per
riflessioni come: li obbligavo a stare separati, non gli ho permesso di
fare quel che volevano davvero, sono stato egoista a tenerli entrambi
legati a me… erano loro ad amarsi… non ci fu
spazio per nulla di tutto questo.
Nulla.
Perché
in realtà il mondo ovattato intorno a sé non gli
riportò alcun rumore.
Alcun
grido.
Non
sentì il suono del clacson e nemmeno la voce spaventata di
Matthew che gridava il suo nome dicendo anche di togliersi di
lì.
Non
sentì niente.
Solo
quando venne spinto in avanti con forza fino a cadere a terra si rese
conto di essere abbracciato al suo migliore amico, o quello che aveva
reputato tale fino a quel momento, in mezzo all’asfalto, fra
le due corsie, con una macchina che gli sfrecciava dietro, dove era
stato fino ad un attimo fa. Frenò per vedere se li avesse
presi ma la verità fu una ed una soltanto.
E
tutto accadde troppo velocemente per essere analizzato con calma e
compreso completamente.
Si
sapeva solo che i rumori erano andati via anche se c’erano
ancora, che il fiato ed il cuore non rispondevano più
normalmente alle funzioni insieme agli altri sensi. Solo la vista.
La
vista gli permise di vedere Matt stringerlo con entrambe le braccia, in
seguito arrivò anche il tatto che gli fece sentire quanto
forte fosse la presa.
Ma
nessun dolore.
No,
non ancora.
E
soprattutto nessuna realizzazione.
La
mente ancora atrofizzata e shockata da tutto.
Quando
anche un furgoncino dall’altra corsia arrivò loro
incontro nessuno potè capire davvero come diavolo avesse
fatto Jude a farli scivolare via i centimetri necessari per non venir
calpestati dalle ruote, eppure in quella frazione di secondo in cui
tutto accadde e nulla venne recepito, ad essere sbalzato via dal muso
alto di quel mezzo più grande di un automobile comune e a
finire contro un'altra che veniva nel senso opposto e cercava di
frenare in tempo vedendo quella confusione lì in mezzo, fu
Jude.
Si
udì solo un forte impatto e due potenti frenate che non
portarono a nulla.
Nulla
di buono.
Con
esse entrambi i ragazzi a terra aprirono gli occhi di nuovo dopo averli
chiusi nel momento cruciale credendo di aver finito la loro corsa, e
tutti i sensi tornarono, tutte le funzioni ad eccezione
dell’udito.
Era
ancora tutto così ovattato e senza rumori.
Ryan
rimase ancora seduto sull’asfalto a capire che diavolo fosse
quella forma sul cofano di una macchina sconosciuta, Matt invece corse
immediatamente là.
Da
quella figura.
Gridava.
Cosa?
Il suo
nome.
Di chi?
Gli
pareva dicesse ‘Jude’.
Era
Jude?
Oh,
non avrebbe potuto esserne sicuro ma per accertarsene e trovare
risposta si alzò barcollante con la testa che gli girava.
Aveva un graffio sul sopracciglio ma nulla di più. Quando
giunse incerto davanti alla scena, da dietro le spalle del suo amico lo
vide.
Allora
era lui…
-
Jude… - Lo mormorò a fior di labbra senza
rendersene conto.
Sanguinava.
Da
dove?
Non lo
capiva, non si vedeva l’origine dell’emorragia, era
solo molto ammaccato, pieno di lividi, sporco e rosso. Rosso di sangue.
Matthew
aveva salvato la vita a lui e Jude ad entrambi.
Ed ora
stava morendo.
Perché
stava morendo, no?
Uno
che ha la posizione del corpo in quel modo innaturale ed è
così pieno di sangue come può sopravvivere?
Stava
morendo dopo averlo tradito, ferito e fatto quanto più male
potesse.
Dopo
averlo salvato.
Aver
salvato tutti e due.
E fu
lì mentre i suoi bellissimi occhi azzurri diventavano sempre
più vacui spostandosi da uno all’altro con un aria
stranamente serena e priva di sofferenza, che lo capì.
Lo
capì ancora disperso nel suo mondo, guardandolo incredulo e
sotto shock.
Jude
in realtà aveva salvato le loro vite in più di un
modo e non solo quello fisico.
Aveva
donato ad entrambi i loro sentimenti addormentati nei loro animi.
/Running
up that hill - Placebo/
Quando
Matthew vide correre via Ryan dopo aver mollato quel pugno alla porta
scardinandola, fu come se si svegliasse di colpo da un incubo per
gettarsi in un altro.
E non
poté ragionare più.
L’aveva
sempre fatto. Era da tutta la vita che ragionava ma lì
pensò solo una cosa.
Amava
Ryan ed ora l’aveva ferito. Ma non voleva che se ne andasse
da lui.
Non
voleva scappasse via diventando irraggiungibile, arrivando a fare cose
irreparabili.
Perché
lui lo conosceva bene e sapeva che quella tigre ferita ed arrabbiata,
in quelle condizioni estreme, arrivava a fare qualcosa di altrettanto
estremo senza nemmeno rendersene conto.
Lo
sapeva.
Non
poteva permettersi che se ne andasse.
Ecco
perché spostò malamente Jude da sopra le sue
gambe e corse dietro il suo amico come avesse il diavolo ad inseguirlo.
Corse
cercando di raggiungerlo in tempo.
Non
sapeva cosa avrebbe potuto dirgli.
Non
pensava.
La
mente completamente vuota rivolta solo a Ryan e a quella allucinante
sensazione crescente di pericolo.
Un
pericolo imminente.
Un
obbligo, quello di fermarlo.
Doveva
fermarlo.
Subito,
prima che fosse troppo tardi.
Si, ma
tardi per cosa?
Per
cosa?
Non
capiva, l’istinto se lo stava mangiando, il nulla lo divorava
ed il bisogno di afferrare la sua mano e non farlo andare oltre
regnava.
Quando
davanti a sé a pochi metri lo vide attraversare la strada
con gli occhi quasi chiusi, senza guardare, vide per lui
l’auto arrivargli incontro e suonargli.
Lo
chiamò a gran voce:
-
RYAN, SPOSTATI! – Sperando davvero che in quello stato lo
sentisse. Ma sapeva che non era lì con la testa.
Così
continuò ad agire senza attivare la ragione. Non
pensò. Non lo fece.
Non ne
fu in grado.
Non ci
fu il tempo.
Corse
e basta.
Andò
più veloce dietro Ryan e avvolgendolo con le braccia,
premendolo contro di sé ed il suo petto sicuro, si
buttò a terra in avanti sfiorando per dietro di un soffio la
morte sotto forma di automobile che frenò appena dopo.
Sentì
solo l’impatto con l’asfalto e la sua mente di
medico si svegliò in tempo per sentire un forte dolore alla
spalla che probabilmente era slogata e delle bruciature al resto del
braccio e di metà del viso.
Probabilmente
delle sbucciature.
Aprì
gli occhi ancora un po’ tramortito mentre i dolori
cominciavano a farsi sentire in tempo per vedere un furgoncino che
avrebbe corso loro sopra se non si fossero spostati subito.
Ma
andava così veloce, nonostante tentasse di frenare, che non
ce l’avrebbe fatta a rallentare in tempo.
Lo
realizzò alla svelta col cuore che si fermava di colpo
insieme ai muscoli che non gli rispondevano e alla spalla slogata che
l’aveva messo più fuorigioco di quanto non avesse
pensato.
Eppure
qualcosa successe mentre richiuse gli occhi credendo di non farcela.
Sentì
due mani spingerlo con forza spostandolo sulla strada il necessario per
rimanere vivo nonostante il veicolo gli sfrecciasse accanto.
Nonostante
quel botto incredibile.
Eppure
si era schiantato contro qualcosa.
Ma se
loro stavano bene allora chi…
Ed il
mondo si sospese.
Si
annullò. Il tempo non si mosse, l’aria immobile.
Tutto
svanito mentre il suo cervello senza pietà si
svegliò dandogli la risposta peggiore che potesse.
Jude.
Jude
li aveva spostati salvandoli e poi era stato preso in pieno da quel
maledetto furgone.
Ed ora?
Ora
dov’era?
Si
mise a sedere immediatamente lasciando Ryan, ignorò i dolori
e i giramenti di testa che sembrava esplodergli, quindi quando
localizzò l’anomalia intorno a lui si
alzò di scatto finendo quasi per cadere di nuovo.
Ad
ogni respiro la spalla minacciava di staccarsi del tutto dal suo giusto
posto, sentiva il sangue scendergli lungo il lato sinistro del viso
insieme a quello del braccio che non mosse nemmeno per sbaglio. Lo
teneva lungo il fianco ma quando arrivò davanti
all’auto sopra la quale c’era quel corpo magro e
fragile in quella posa innaturale coperto subito così tanto
di rosso, se lo mosse alzandolo, provocandogli un urlo trattenuto di
dolore.
Toccò
subito il viso di Jude e vedendo che era cosciente ma sotto shock
poiché non gridava dal dolore come avrebbe dovuto, il suo
lato di medico prese il sopravvento insieme a quello
dell’uomo agitato che stava per perdere qualcuno che per lui
contava comunque molto.
Il
medico gli disse che la schiena era sicuramente rotta come anche le
gambe mentre si chiese come fosse il collo. Sapeva che non doveva
assolutamente muoverlo ma si allarmò anche con tutta
quell’emorragia che usciva da troppi punti e tutti indefiniti.
Se non
le avesse fermate tutte, ossa rotte o meno, non si sarebbe potuto
salvare.
E
grazie alla sua parte di medico che gli fece razionalmente capire in
modo completo e preciso la situazione, la parte umana ed allarmata
capì che non avrebbe potuto salvarlo a meno che di un
miracolo.
Suo
padre l’aveva fatto, il miracolo, con Ryan, quella volta.
Quando era piccolo ed era quasi morto. Nessuno avrebbe potuto salvarlo
eppure non solo era rimasto vivo ma aveva anche ripreso a camminare e
ballare.
Ma suo
padre non era lì e soprattutto lui non era suo padre.
Per
anni aveva tentato di diventarlo scontrandosi poi con la dura
realtà.
Era
diverso, no?
Ma
Dio… come avrebbe voluto essere lui, lì. Convinto
che al mondo solo quell’uomo potesse fare i miracoli.
Sbagliandosi in realtà.
Solo
uno nella storia aveva potuto farli ed era morto secoli prima.
Eppure
non poteva arrendersi e lasciarlo morire così senza tentare
nulla.
Senza
provare a salvarlo.
Non
poteva stare imbambolato a guardarlo morire.
Non
poteva vedere la sua luce spegnersi.
Sporcandosi
abbondantemente del suo sangue usò la propria maglia per
tamponare l’emorragia sul petto, quindi cominciò a
premere vedendo il colore sempre più bluastro del viso.
Non
respirava, doveva fargli la rianimazione ma in quelle condizioni
significava metterlo ulteriormente a rischio.
Non ci
pensò oltre.
Se non
gliel’avesse fatta sarebbe morto.
Era
solo, avrebbe avuto bisogno di altre persone.
Sapere
cosa fare e non avere i mezzi alzò la tensione. Doveva stare
concentrato e freddo eppure il fuoco lo divorava, stava cercando di
salvare Jude, dannazione, come poteva rimanere calmo?
Se non
ce l’avrebbe fatta sarebbe morto… gli stava
scivolando dalle dita…
Lasciò
la ferita al petto, quella più evidente probabilmente, e gli
fece la respirazione chiudendogli il naso e prendendo tutta la bocca
con la sua, soffiandoci dentro due volte a fondo. Avrebbe dovuto fargli
il massaggio cardiaco ma non poteva assolutamente toccarlo sullo
sterno. Allora gli rifece la respirazione artificiale toccandogli in
seguito la giugulare sul collo con due dita, sperando di non spostargli
la testa di un solo millimetro.
Il
cuore sempre più debole, il respiro che ancora non veniva,
non tornava, il sangue che usciva, il corpo in quella posa che avrebbe
dovuto far urlare Jude dal dolore e lui che non emetteva un suono, non
una smorfia, non un lamento. Nulla di nulla.
Immobile.
Occhi
aperti.
Bluastro.
Cosciente.
E
quelle iridi azzurre ancora vive ma sempre più vacue.
- No,
Jude! Jude, resta con me, ti prego! – Lo implorò
esterno da tutto il mondo alzando sempre più la voce,
continuando ad adoperarsi svelto e frenetico per non farlo andar via.
Gli
fece ancora la respirazione senza successo, poi tornò a
guardare tutto quel sangue che ancora usciva.
Era
sempre più disperata la situazione e nessuno arrivava ad
aiutarlo, nessuno di competente, nessuno che potesse fare un miracolo.
E
quell’azzurro così bello
l’accarezzò infine con serenità e
dolcezza.
Cosa
avrebbe voluto dire?
Con le
mani nelle sue ferite, mani coperte completamente di rosso come la sua
maglia, il suo braccio e metà del suo viso, Matt si
avvicinò a lui guardando con attenzione la sua bocca che si
mosse senza far fuoriuscire un solo suono.
Se non
forse solo un soffio o qualcosa che ci somigliò.
Un
soffio che lo ricoprì di brividi sbalzandolo via dal corpo e
dalla coscienza per un istante.
- Va
bene così… ciao… - Dopo di che, fra le
sue mani, davanti ai suoi occhi, il cuore di Jude smise di battere.
Il suo
angelo non era stato in grado di salvarlo, quella volta.
L’urlo
di dolore che si levò dalla bocca di Matthew fu quanto di
più straziante e angosciante le persone lì
presenti, molte in effetti, avessero mai sentito.
Non
l’avrebbero mai dimenticato.
Mai.
/Occhi
– Zucchero/
“Nella
mia vita ho rovinato tutto ciò che ho toccato.
Sono
stato abbandonato da subito e ho sempre pensato avessero fatto bene, i
miei genitori, o avrei reso un inferno la loro vita, visto cosa sono
diventato poi.
Non
ho vissuto bene, mi sono successe molte brutte cose specchio di
ciò che ero e che facevo. Di ciò che mi meritavo
davvero.
Non
lo so bene se fosse giusto venir picchiati per guadagnarsi da vivere,
tanto meno se fare sesso per soldi potesse definirsi guadagnarsi da
vivere.
Ma
mi sono fatto ingoiare dalla vita. Dalla parte brutta della vita. Senza
prendere la mia nelle mani.
Ho
lasciato che il mio animo marcisse e la mia volontà
svanisse.
Non
ho mai saputo cosa volevo finché non ho incontrato Matt, il
mio angelo che mi ha voluto vivo e mi ha salvato. Non ho mai capito
perché mi avesse voluto vivo.
Però
mi ha riportato di qua.
Mi
ha aiutato, mi ha salvato in tutti i modi un uomo possa essere salvato.
Mi
ha permesso di innamorarmi, o almeno credere di esserlo, mi ha permesso
di provare calore, di avere un tetto, di non dover dare il mio corpo
per vivere, di non venir più picchiato, di mangiare ogni
giorno, di prendermi cura di me stesso, di fare l’amore e non
sesso, di avere quelle piacevoli attenzioni gratuitamente…
di svegliarmi la mattina ed essere finalmente felice per aver aperto
gli occhi…
Non
so se io abbia mai amato Ryan, forse ci sono solo andato vicino, forse
incontrandolo in una situazione diversa l’avrei amato davvero
del tutto. Ma so che mi ha accompagnato in Paradiso quelle notti e che
mi ha scaldato col suo fuoco.
Non
so come definire ciò che ho provato per Matthew, so che mi
ha commosso e fatto sentire desiderato non per il mio corpo ma per
ciò che ero. Gli ho fatto del male, a tutti e due, ho
portato tempesta nelle loro vite, le ho scardinate prepotentemente, ho
fatto quel che mi pareva.
Penso
di averli rovinati eppure non mi hanno mai voltato le spalle.
Se
io non ci fossi stato chissà… magari ora
sarebbero felicemente insieme.
Non
so se ho mai fatto qualcosa di buono per loro e del resto non so se ho
mai fatto qualcosa di buono in generale.
Ma
so che questi mesi in cui la mia vita è stata allungata da
Matt io finalmente ho capito quanto bella sia la vita.
Ora
so quel che prima non riuscivo a capire.
Ho
capito che comunque la vita vale davvero la pena essere vissuta.
E
che è possibile amare ma che si ama in tanti modi.
Ora
che sto morendo lo capisco.
Ho
dato la vita per gli unici che abbiano contato per me.
Se
ora loro potranno ancora vivere e magari un giorno essere felici,
sarà anche per merito mio, perché io oggi ho
permesso loro di vivere.
Ne
sono contento.
Bè,
vista così allora è vero… qualcosa di
buono, per loro, alla fine l’ho fatto.
Morire
così è la cosa più bella che potesse
capitarmi.
Dio…
grazie… non potrei chiedere di meglio.
Ho
dato ciò che di più conta
nell’esistenza a chi ha contato di più nella mia.
A
questo punto posso andare.
È
tutto molto strano.
Mentre
vedo Matt, il mio angelo, cercare di salvarmi di nuovo la vita e
animarmi, adoperarsi per me, io non sento fisicamente nulla se non
questo immenso senso di gratitudine nel cuore.
Allora
è questo amare…
È
così, dunque…
Oh…
è meraviglioso…
Sposto
con fatica gli occhi da un angelo all’altro e poi quando uno
di loro si avvicina per sentire cosa voglio dire, un soffio mi esce,
spero l’abbiano sentito.
Non
voglio che si sentano in colpa.
Voglio
che mi lascino andare.
Va
bene così. Hai fatto tutto quel che potevi.
Basta
così ora…
Puoi
lasciarmi andare.
Vivete
per me e siate felici, amate ed amatevi. Non rimanete nel dolore e nel
rimpianto.
Io
finalmente sto bene.
Sono
felice, davvero.
Non
ho paura.
Per
la prima volta non ce l’ho.
Siete
stata la cosa più bella della mia vita.
Ciao.
…ed
ecco il terzo angelo che viene e mi prende per mano…
…finalmente
volo…”