CAPITOLO II:
SCONTRO IN
ISTITUTO
/So
bad - Eminem/
Non gli ci volle molto
per capire quale fosse l’istituto Toho, insegna a parte.
Poco più avanti
rispetto alla fermata del pulmino dal quale erano scesi un paio di
altri giovani, c’era un enorme caseggiato a più piani, molto lungo ed
esteso circondato da un ampio giardino recintato.
Il giardino era
provvisto di campetto da calcio, da basket e da pallavolo, oltre che di
alberi, panchine e alcuni spiazzi verdi liberi. Sul retro intravedeva
un altro edificio, probabilmente la palestra.
Sospirò.
Ormai c’era e
anche a voler scappare se la sarebbe vista di certo peggio, tanto
bastava farsi valere!
Si fece avanti
infilandosi nel cancello aperto dove altri ragazzi stavano facendo
altrettanto, questi si fermarono a guardarlo e con uno sguardo di
scherno cominciarono a parlottare fra di loro. Non udì le parole
precise, ma non ci volle un genio per capire che ce l’avevano con lui
perché appariva uno straccione o qualcosa del genere.
- Ehi! -
Ringhiò ad alta voce in loro direzione. Questi affrettarono il passo
ignorandolo ma lui li chiamò più forte: - EHI, VOI IDIOTI! - A questo
finalmente si girarono a guardarlo con fare da finti innocenti, li
stava sbranando con lo sguardo e un’espressione da tigre feroce
ingabbiata, liberata e quindi incattivita il triplo del normale.
Come una bomba
ad orologeria che non aspettava altro di poter esplodere e fare un po’
di strage.
- SE AVETE
QUALCOSA CON ME DITEMELO IN FACCIA, ODIO I CACASOTTO! -
Tutti nel
raggio di poco lo udirono e lo guardarono stupiti, increduli,
incuriositi e intimoriti. Quello era un piantagrane non da poco, ma chi
poteva dire se era anche uno che passava alle vie di fatto oppure uno
come gli altri che abbaiavano ma non mordevano?
I ragazzi
destinatari di tanto astio, lo fissarono quasi con pietà, come per dire
che era solo un povero sciocco, quindi si girarono proseguendo il
cammino verso l’edificio.
In quello
qualcosa lo urtò con fare deciso e poco prima di girarsi come un caccia
a vedere cosa fosse, gli parve di intravedere al volo una nuca di
ordinati capelli castano autunno entrare nell’istituto, a un paio di
metri da lui, ma fu un flash che registrò in seguito.
Quando vide che
a spingerlo -e di proposito per di più!- era stato un ragazzo che lo
fissava di sbieco per istigarlo, non ci vide più e non tenne in
considerazione il portamento fiero, gli abiti firmati e l’età. Si
vedeva al volo che era più grande di lui e che era anch’egli di razza,
uno importante, insomma.
Lo prese subito
per il braccio, lo strattonò costringendolo a guardarlo in faccia e
scaricando un insulto a casaccio lo colpì con un pugno.
Ci riuscì solo
perché lo prese di sorpresa, ma non gli provocò un gran dolore
nonostante avesse un ottimo destro per essere un quattordicenne. Lo
capì perché né cadde né indietreggiò, anzi, caricò subito un altro
pugno di risposta che lo colpì dritto all’occhio sinistro.
Nemmeno si
sprecò ad insultarlo, ma prima che potessero proseguire nel loro
scambio primitivo, due mani bianche ed una presa evidentemente ferrea
allontanarono svelte quello più grande.
- Genzo,
smettila! - Una voce quasi metallica. Kojiro non perse nemmeno tempo a
massaggiarsi la parte lesa, ne aveva ricevuti di peggiori dal suo
patrigno.
Il sangue però
pompava furioso nelle vene ed il cuore sembrava volergli uscire dal
petto. Di nuovo quella sensazione di essere calpestato, per cosa, poi?
Per la sua diversità? Perché era povero, sfigato, orfano e cos’altro?
Nessuno poteva
mettergli le mani addosso, guardarlo come un poveraccio, provocarlo,
parlare male di lui. Nessuno.
La rabbia
continuava ad ingigantire minuto dopo minuto anche se nessuno lo
toccava più, però due occhi di ghiaccio lo placarono istantaneamente.
Solo due occhi
azzurri, affilati e neutri.
Il proprietario
di quei ghiacciai era quello che era intervenuto. Era anch’egli più
grande di qualche anno, aveva i capelli biondi, lisci ed ordinati,
alto, fisico sportivo, lineamenti nordici spigolosi e duri. Era uno
straniero.
Quello che
invece era stato chiamato Genzo e che l’aveva colpito, era altrettanto
alto, non molto più di lui in realtà, capelli neri, mossi ed in
disordine, occhi come la pece pieni di una sfida ed una supponenza
insopportabile, viso accattivante, fisico anch’egli atletico.
Il suo occhio
gonfio confermava, la forza ce l’aveva, ma anche lui gli aveva lasciato
un bel ricordo sullo zigomo sinistro!
Quando lo vide
ghignò calmandosi. Sicuramente non ci sarebbe stata una seconda volta,
per lo meno così lui credeva.
Dopo uno
scambio penetrante, come a voler continuare il round, i due sconosciuti
si voltarono e se ne andarono senza presentarsi o dire nulla,
precedendolo all’interno dell’istituto.
“Che
inizio di merda!”
Pensò seccato e
stufo spintonando a sua volta tutti quelli che capitavano
disgraziatamente sul suo cammino. Non aveva certo avuto dubbi che
potesse essere diverso.
Il direttore
era un certo signor Mikami Wakabayashi, era distinto, sulla quarantina,
ben tenuto e gentile.
Non dimostrò né
amicizia né astio, semplicemente dopo avergli spiegato tutto lo mandò
nella sua stanza.
I dormitori
maschili erano nell’ala est, mentre quelli femminili nell’ala ovest,
separati in mezzo da quella centrale che comprendeva le aule delle
lezioni, gli uffici, la mensa e la biblioteca.
Al piano terra
c’erano le cucine, le cantine e i magazzini.
La sua stanza
era la numero diciassette, altro numero di merda, si disse con
disappunto. Se era fortunato sarebbe stato solo ma leggendo sulla
targhetta ben altri due nomi, capì che tanto per cambiare era sfigato e
che aveva due compagni, di certo dei rompipalle colossali.
Takeshi Sawada
e Ken Wakashimatsu.
Sotto c’era lo
spazio per un terzo, lui.
Senza la minima
intenzione di bussare visto che quella ormai era anche la sua di camera
e che aveva le chiavi, non avendo mai ricevuto le buone maniere, fece
per aprire quando si sentì rimbeccare da dietro le spalle.
- Sarebbe
carino bussare! - Alzò gli occhi al cielo esasperato. Si erano messi
tutti d’accordo per rompergli le palle dal primo momento? L’unico che
non l’aveva fatto era quel tipo sul pulmino… chissà dov’era andato,
alla fine…
Un pensiero
sfuggevole prima di voltarsi di scatto e fumante. Era un giovane della
sua età, alto circa come lui, aria sul selvatico andante, sguardo
deciso e pronto a rispondere per le rime a chiunque. Capelli neri,
corti, lasciati un po’ come meglio volevano, la fortuna era che non gli
stavano male.
- Che cazzo
vuoi, tu? Sei uno di questi due? - Chiese sgarbato pronto a spaccargli
il naso dritto.
- No, sono il
vicino di camera, Hikaru Matsuyama. Tu sei nuovo, vero? Ti sembra
quello il modo di entrare? -
- Perché,
stanno facendo sesso? - Lo sparò senza pensarlo davvero, di sicuro non
era quello il problema e poi anche se fosse stato, lui stava arrivando,
si sarebbero adattati!
Hikaru
ridacchiò soppesando l’idea di farci a pugni come capitava con
qualcuno, oppure chiudere lo screzio in partenza ed instaurare un buon
rapporto.
Decise di
vedere come sarebbe andata.
- Non li ho mai
colti sul fatto ma si dice che Sawada sia gay mentre Wakashimatsu lo
sodomizzi solo per combattere la noia di questo posto! - Anche lui lo
disse con una certa luce d’ironia negli occhi, semi serio, Kojiro
quindi non capì se lo diceva davvero ma non gli importò saperlo. Era
comunque una risposta degna e l’esame poteva dire di averlo passato.
- Sono Kojiro
Hyuga. - Questo sancì la tregua e l’inizio della loro amicizia.
Hikaru in
quello gli sorrise di sbieco e lanciandogli uno sguardo divertito,
infilò il braccio e bussò al suo posto. Udendo le voci dall’interno,
parlò:
- Ragazzi,
avete il terzo inquilino! - Sentì un gran caos all’interno, come di un
riordinare sbrigativo, quindi Hikaru ridacchiò malizioso fissandolo
dritto negli occhi neri; non si sentì a disagio, lo capì subito.
Quello era
simile a lui, lo comprese al volo.
- Un attimo… -
Gridarono i due con voce tremolante mentre sbattevano armadi, cassetti
e correvano saltellando da un lato all’altro. Dopo tutto aveva fatto
bene a non entrare improvviso.
- Di chi è quel
ricordo? - Chiese deciso Hikaru rivolto all’occhio nero senza il timore
di ricevere un ‘fatti i cazzi tuoi’. L’audacia fu premiata visto che
Kojiro l’aveva già messo fra le sue amicizie, quindi gli rispose:
- Uno stronzo!
- Risposta esauriente!
- Il mondo ne è
pieno! - Fece allora l’altro ghignando.
- Questo era di
qualche anno più grande, moro, vestito firmato. Aveva l’aria da re
degli stronzi e girava con un biondino che invece sembrava il re dei
ghiacci! - Quella risposta, invece, fu decisamente illuminante, infatti
Hikaru capì subito di chi si trattava e mostrandosi stupito e ammirato
proseguì:
- Non dirmi che
hai ricambiato! -
- Ovvio,
figurati! Sono stato io ad iniziare… certo, lui mi aveva spinto,
quindi… - Lo vide ridacchiare ancora, poi lo illuminò:
- Hai avuto
fegato, nessuno si mette contro di lui… è Genzo Wakabayashi, il figlio
del direttore. È attaccabrighe solo con chi decide, non so che criteri
usa. Intanto è già molto che ti abbia notato! Gira sempre con Karl
Hainz Schneider, sono inseparabili. Molti sono convinti stiano insieme
ma Genzo si fa tutti quelli che capita, maschi e femmine
indistintamente, quindi non penso proprio che stia con lui, ma in
questo istituto nulla è detto! Hanno diciassette anni. Se per
avvicinare Wakabayashi basta sfidarlo a qualcosa, avvicinare Schneider
è proprio impossibile. Nessuno arriva a lui. Il resto dei dettagli
chiedili a Sawada, conosce tutti i gossip del Toho! -
Finito di
ascoltarlo, Kojiro capì che quel posto era più strano di quel che
avrebbe detto, chissà quanti altri segreti nascondeva!
E per la prima
volta si rese conto di star pensando a cazzate, cose frivole insomma…
nulla che gli servisse per sopravvivere. Sconcertato, mentre la porta
si apriva, comprendeva che era possibile perché non era più in
pericolo, si era finalmente rilassato, non c’era nessuna spada pronta a
staccargli la testa dal collo. Istintivamente l’aveva percepito.
Il suo incubo
era davvero finito.
Gli vennero sul
momento in mente le parole di quel Misugi… chissà che dopo tutto non
avesse ragione.
Magari poteva
trovarsi bene, magari poteva essere il suo posto prima di intraprendere
la propria strada, qualunque essa fosse stata un giorno.
Con queste
sorprese nell’animo, ben nascoste in profondità, osservò un piccoletto
bruttino con due grandi occhi e il viso tutto rosso, aprirgli la porta.
Lo sentì presentarsi come Takeshi Sawada, lo vide sorridere solare ed
allegro nonché gentile.
Dentro, invece,
vide steso su uno dei tre letti un altro ragazzo di corporatura più
forte, con lunghi capelli neri che gli coprivano metà volto, le mani
allacciate dietro la testa, le gambe incrociate, faceva finta di
dormicchiare. Nemmeno il minimo imbarazzo da parte sua, invece. Anche
se era chiaro che erano stati beccati in pieno!