CAPITOLO III:
CREDERCI
Era arrivato da
poco a casa, si stava preparando per una doccia rilassante
nell’indifferenza più totale quando suonarono alla porta. Sbuffando
andò ad aprire e nel ritrovarsi davanti il volto familiare di Rossi non
trattenne una naturale piega delle labbra sintomo di fastidio.
- Ciao… - Disse
a denti stretti sforzandosi.
- Ciao… abbiamo
chiuso un duro caso e prima di andare a casa sono voluto passare a
vedere come stavi… - Fece l’uomo più grande amichevole e al tempo
stesso sicuro.
- Come vedi. -
Non rispose che stava bene poiché sarebbe stata una bugia e David di
sicuro l’avrebbe capito, reputandolo inutile glielo lasciò intuire.
Sapeva anche che a lui bastava uno sguardo per capire lo stato d’animo
altrui, specie il suo.
Ad eccezione di
Morgan e JJ, lui e Hotchner erano sempre stati quelli che comunque lo
capivano meglio.
Ora nonostante
ne fosse cosciente, la cosa gli scivolava addosso come niente.
- Posso? -
Chiese senza preoccuparsi di essere sfacciato. Reid non nascose uno
sbuffo maleducato e rientrò in casa lasciandolo entrare, Rossi non si
sconvolse di quel suo atteggiamento astioso ed insofferente, due anni
prima non sarebbe stato da lui ma ormai sì.
Però non
avrebbe mollato. Né lui né Hotchner.
A turno erano
rimasti gli ultimi che passavano a trovarlo.
JJ si era ormai
trasferita, Prentiss sapeva essere più distaccata, specie nelle
situazioni difficili. Reid le aveva risposto male una volta, non
l’aveva più fatto perché non si era più fatta viva e l’aveva preferito
di gran lunga, piuttosto che loro due che continuavano a tormentarlo
nella speranza che tornasse a lavorare nel BAU come un tempo.
Ormai era
passato troppo, non era possibile.
Era tutto
diverso e ciò che l’aveva spinto ad iniziare non lo stimolava più,
altre motivazioni non ne trovava. Aveva totalmente perso l’interesse
verso ogni cosa. Sembrava che ormai per lui contasse solo scandire il
tempo che trascorreva.
Hotchner
l’aveva sempre avuto a cuore e sapeva che questa reazione così
esagerata era principalmente per il suo senso di colpa. Morgan era
morto per causa sua, dopotutto, e cercare di convincerlo del contrario
sarebbe stata ipocrisia. Lui non lo era mai stato e non avrebbe certo
cominciato proprio con Reid che captava quel genere di falsità a mille
chilometri di distanza!
Rossi… bè, da
quando era entrato nella squadra, sembrava averlo preso a cuore. Forse
si era sentito in dovere in virtù di chi era venuto a sostituire. Tutti
sapevano che Gideon per Reid era stato come un padre… quando se ne era
andato era stato lampante lo smarrimento del piccolo genio ma aveva
avuto la fortuna di avere accanto un testardo Morgan che metteva
passione anche al posto di un iceberg. Il nuovo profiler esperto, però,
aveva capito giorno dopo giorno il peso che quel ragazzino portava e al
contrario dell’uomo dalla pelle scura che l’aveva fatto per amore, lui
si era intromesso nella sua vita aiutandolo quanto più poteva come
avrebbe fatto con una delle vittime in cui si imbattevano ogni giorno.
Ora appariva così più che mai.
David si fece
strada nel suo appartamento che ormai conosceva bene senza più stupirsi
del disordine cronico che c’era. Non era sporco ma nemmeno splendente.
C’era odore di chiuso ma quello che saltava di più agli occhi era il
caos che regnava, tutto buttato alla rinfusa. Un tempo era preciso nei
suoi spazi quanto lo era nella sua mente.
- Come è andata
la giornata? - Chiese generico cercando un angolo dove accomodarsi,
senza trovarlo.
Il biondino
alzò le spalle senza rispondere.
Un tempo si
sarebbe anche gettato in una descrizione dettagliata della sua giornata
condendo il tutto con nozioni tecnico-scientifiche. Ora era già tanto
riuscire a sentire la sua voce.
- Sarai stanco…
- Sapeva che quel lavoro non era una passeggiata, ma onestamente non
capiva se lo affaticasse realmente o meno, non era chiaro nemmeno a
lui.
Reid alzò
ancora le spalle mentre girovagando per casa faceva finta di cercare
qualcosa.
- Ascolta, io
vorrei chiedere il tuo parere su una cosa… - Iniziò allora David
sperando di riuscire quella volta a far breccia in quello che ormai
appariva un cuore ghiacciato. Reid si fermò e lo guardò con la solita
posizione leggermente ricurva, come se le spalle fossero appesantite
dall’ingombro del genio ora arrugginito ma che comunque non se ne
sarebbe mai andato.
- Io e Hotch
non abbiamo mai smesso di cercare Morgan. - Come disse quel nome Reid
si morse a sangue il labbro e incupì gli occhi, la maschera di
fastidioso gelido cominciava a sgretolarsi ma la reazione successiva
sarebbe stata peggiore…
Continuò
impietoso sapendo che era necessario e che forse era l’ultima carta che
rimaneva. Si erano sempre guardati bene dal parlare con lui di Morgan,
attenti a non nominarlo nemmeno. Rossi ora voleva scommettere, del
resto i suoi metodi non erano mai andati troppo per il sottile!
- Pensiamo che
potremo esserci vicini ma vorrei sapere da te cosa ne pensi dei dati
che abbiamo raccolto, sono sicuro che tu potresti fare un calcolo
preciso in base a… - Ma non ebbe modo di finire poiché prima ancora che
l’uomo più grande potesse porgergli la cartellina con dei fogli pieni
di dati ed informazioni precise, la mano bianca e magra del giovane la
fece volare a terra con un gesto secco e quasi violento.
- Non lo so e
comunque è inutile! Lui è morto, anche se troviamo il suo corpo servirà
solo a seppellirlo e onestamente non mi interessa. Non è sottoterra che
voglio vederlo! - Alterato cominciò a gesticolare per poi andarsene
dritto nell’altra stanza lontano da quei documenti sparsi e da quella
persona così insistente ed impicciona!
Lo sapeva
meglio degli altri che non riusciva più ad usare il proprio dannato
cervello come un tempo, che i calcoli più elementari non gli venivano,
che i ragionamenti più stupidi rimanevano bloccati nella sua mente.
Lo sapeva,
perché torturarlo con quel discorso?
Gli bruciava,
gli bruciava da matti, tanto da mandarlo in bestia e non sapeva bene
perché, dove stava il problema autentico, perché reagiva così e perché
ogni volta che cercavano il suo aiuto o addirittura alludevano a Morgan
lui si infuriava così.
Non erano da
lui quegli scatti d’ira, quell’aggressività, quella maleducazione, quel
rifiuto di fare la cosa giusta… nulla di tutto ciò che faceva lo era
perché era cambiato. Sé stesso come la propria vita.
Quel giorno,
quel maledettissimo giorno non solo gli aveva mutato tutto, l’aveva
proprio rovinato!
Rimase coi
pugni stretti lungo i fianchi, girato verso il muro della propria
camera per un paio di minuti al termine dei quali, superato il momento
di ira e di panico, si era calmato e tornando in soggiorno l’aveva
trovato vuoto.
David se ne era
andato lasciando per terra, dove li aveva buttati, tutti i fogli con i
dati raccolti sul caso di Morgan.
Erano riusciti
a prendere i colpevoli e gli avevano dato la giusta punizione, ma
quello che nessuno riusciva a spiegarsi era come un corpo caduto in un
fiume potesse sparire in quel modo, come se invece che sfracellato
nelle rapide gelide fosse caduto in una fornace ardente che l’avesse
incenerito.
Era per questo
che né Hotchner né Rossi avevano mai mollato ed avevano continuato a
lavorare a tutte le teorie possibili per ritrovarlo.
Se il suo
cadavere non c’era, allora poteva solo essersi salvato in qualche modo,
ma da solo, sicuramente ridotto male, non se la stava di certo passando
bene. Specie considerando una cosa essenziale.
Pur salvato,
non si era fatto vivo con loro.
Due anni di
sparizione.
A quel punto le
strade da battere erano rimaste poche, però senza l’aiuto prezioso del
cervello di Reid non potevano farcela. Fatto tutto ciò che era nelle
loro possibilità non sapevano più come proseguire.
Il giovane
guardò i fogli sparsi, rimase dritto ed impettito con ancora i pugni
chiusi, li fissò dall’alto come se fossero spazzatura, poi senza
volerlo cominciò a leggere quello che gli saltava agli occhi. Righe e
numeri qua e là, senza nessuna sequenza logica.
Cose che
avevano un senso per lui, la sua testa conosceva, sapeva cosa farne ma
non aveva proprio idea di come elaborarle.
Si chinò per
raccoglierle ed invece di impilarle e buttarle, le sparse meglio nel
pavimento per bene in modo da leggere tutto, quindi rimase rannicchiato
lì davanti a fissarle più e più volte, perdendo la cognizione del tempo.
Perdendola per
la prima volta veramente.
Senza più
contare i rintocchi.
Senza più
sapere quanto era trascorso fra lui e Morgan.
La notte era
inoltrata quando alzò gli occhi e vide che l’orologio a pendolo aveva
battuto le due. Corrugò la fronte.
Era rimasto
così tanto fermo a guardare un qualcosa che gli appariva come arabo ma
che sapeva di conoscere?
Per lo meno
sapeva che un tempo le aveva conosciute, come se cercasse fra i meandri
nella mente un modo per sbloccarsi e comprendere.
Era vero che
nessuno aveva mai osato per due anni provocarlo così apertamente e
nominare direttamente il nome del suo fidanzato, era anche vero che non
erano mai andati a chiedergli aiuto esplicito con tanto di dati su cui
lavorare.
Però era
oltremodo da considerare che all’epoca aveva provato a pensare a dove
potesse essere finito il suo corpo e che la propria mente si era
rifiutata di collaborare per il troppo dolore che il cuore portava.
Per superarlo
si era allontanato da tutto ciò che riguardava Morgan, pensando
comunque esclusivamente a lui, contando quel dannato tempo che scorreva
implacabile separandoli sempre più.
Una
contraddizione, se ne era reso conto; lui non era una contraddizione,
non lo era mai stato. Era sempre stato logico e razionale, lineare.
Anche quello, in lui, era cambiato.
Di Reid ormai
non c’era più niente.
Gli occhi
castani cerchiati dalle occhiaie scure scorsero casa alla ricerca di
qualcosa di familiare.
Si era
allontanato da tutto ciò che era stato un tempo perché gli aveva
ricordato troppo l’uomo più importante della sua vita e ricordarlo così
tanto gli aveva fatto un male insopportabile. Per superarlo era
scappato da lui a quel modo, ma forse era vero che poteva aiutarlo.
Era vero che
magari valeva la pena crederci… solo perché erano state le sue ultime
parole prima di saltare…
Forse glielo
doveva, visto che l’aveva promesso.
E per crederci
doveva darsi da fare e analizzare quei dati e provare a tirare fuori
qualcosa di utile per il suo compagno.
Per fare
questo, però, doveva riattivarsi e a sua volta per riuscirci doveva
ritrovare il contatto col vecchio sé stesso, per sbloccare la sua mente
che non chiedeva altro che essere riattivata.
Poteva?
Un contatto col
vecchio sé stesso… guardò i libri impolverati nella libreria, i vecchi
dischi di musica classica, opera, blues e jazz ereditati da Gideon e da
sua madre.
Era un altro
tipo di contatto quello che gli serviva.
Era il contatto
con colui dal quale si era allontanato a tutti i costi per non
impazzire dal dolore.
Era ora di
ritrovare la connessione con Morgan. Una vera connessione.
Strinse
convulsamente le labbra che apparvero più sottili che mai, impallidì e
contrasse la mascella, lo sforzo era immane ma sapeva cosa doveva fare.
Lo sapeva
benissimo.
Prese un
respiro profondo dietro l’altro, come se soffrisse di asma, poi si alzò
abbandonando le carte sul pavimento, andò in un posto preciso e
buttando all’aria delle coperte e dei cuscini da un mobile, scoprì un
piccolo stereo che gli aveva regalato Morgan anni addietro insieme ad
un paio di CD che a lui piacevano tanto, tutte canzoni che poi gli
aveva spiegato con quel suo metodo coinvolgente e affascinante,
riprendendo il testo e attualizzandolo.
Gli bruciavano
le giunture, era come rivedere una sua foto, cosa che non aveva mai
fatto.
Come fossero i
movimenti di una persona dai muscoli atrofizzati, inserì un CD
specifico mettendo la modalità ripetizione su una canzone in
particolare.
Pochi secondi e
nella stanza immersa nel silenzio più completo si levò ‘Don’t stop
believing’ dei Journey.
Non era il suo
genere, non era particolarmente bella per i suoi gusti ma dopo due anni
di silenzio, riascoltare della musica era come tornare ad utilizzare
l’udito dopo un lungo periodo di sordità.
La voce acuta
del cantante si levò nell’aria insieme alla musica che aveva un tocco
di malinconia mescolata alla voglia di scuotere chi ascoltava le sue
parole.
Il sangue
cominciò a scorrere in fretta, come se bollisse.
La testa gli
martellò.
Il fiato sempre
più corto.
‘Quel giorno’
tornò implacabile.
Il momento
prima in cui erano stati divisi.
Con la potenza
di un treno in corsa, l’investì. Non l’aveva più rivissuto, si era
rifiutato di pensarci.
Quella canzone
gli ricordava l’attimo in cui erano stati separati la prima volta,
l’inizio della loro fine.
E con le parole
appassionate di Morgan che spiegava il concetto stesso della canzone,
con il canto dell’ultima strofa particolarmente toccante e presente -Alcuni vinceranno, altri
perderanno Alcuni sono nati per deprimersi
Oh, il film non termina mai Va avanti e avanti e avanti e avanti-
si ripeté la promessa che gli aveva fatto fare nel loro momento
d’addio.
Una promessa
che aveva accettato e mai mantenuto.
- Devi
promettere che sopravvivrai, che non ti arrenderai qualunque cosa
accada, per quanto disperata sia la situazione. -
Era possibile?
Per due anni
aveva pensato di no, ma ora si trattava di credere esattamente il
contrario. E non solo di ipotizzarlo, ma di convincersi.
Lentamente,
mentre la canzone riprendeva a ripetizione come un disco rotto, il
respiro tornava pian piano regolare, il sangue smetteva di ribollirgli
incendiandogli le vene sotto la pelle, il calore scemava, la testa
cessava di dolergli.
Lentamente
tutto di sé tornava normale.
Con un respiro
finale si decise e dal mezzo della stanza si rivolse di nuovo alle
carte sparse per terra e guardando i numeri e i dati scritti sopra con
tanto di mappe e foto, riuscì finalmente a capire.
E a decifrare.
- Posso farlo.
-