CAPITOLO
30:
NIENTE
PIU’ DOLORE
“No,
niente più dolore.
Ho
pagato per i tuoi errori.
Il
tuo tempo è preso in prestito.
Il
tuo tempo è giunto e sarà sostituito.
Vedo
paura, vedo bisogno.
Vedo
bugie e ladri
abusare
ingordamente del potere.
Io
spero, io credo.
Ma
inizio a pensare di essere stato ingannato.
Pagherai
per quel che hai fatto.”
-
Linkin Park -
La
porta si era spalancata e il tempo si era accelerato, pochi avevano
prestato attenzione a quei lampi che correvano lottando. In realtà la
ragazza dai capelli neri stava scappando.
Avrebbe
voluto fare qualcosa, Alexander era lì per quello, per impedire altri
brutti ricordi -o non ricordi- eppure era stato tutto veloce; lei era
uscita scappando da lui, ma lui, un uomo in forma, aveva continuato a
trattenerla, cercando di placarla, di parlarle, di… di finire quel che
anni prima aveva voluto iniziare.
Infine
con ironia lei si era scontrata col parapetto di quel piano
strutturato, si era piegata in due per non cadere, sperando che lui
invece la mollasse, andasse oltre… sperando di liberarsi di lui.
Così
era stato, lui non aveva retto il blocco poiché troppo slanciato e si
era sbilanciato, era andato oltre, era caduto.
Già,
caduto.
Semplicemente
ed irrimediabilmente caduto giù, volando per tutti quei piani,
sfracellandosi con un tonfo sordo al suolo, un tonfo che aveva creato
il silenzio, un rumore di morte indicata dalla chiazza di sangue
proprio sotto il corpo immobile dell’uomo.
Cosa
era accaduto poi?
Nulla…
così come si era accelerato il tempo impedendo qualunque movimento da
parte di spettatori esterni, lo stesso aveva ripreso a scorrere
normale. Se normale si poteva chiamare qualcosa di così ironico da
andare veloce per alcuni e fermarsi per altri!
La
gente intorno aveva realizzato che il padre di Alexis era morto e che
l’urlo dilaniante veniva proprio da lei, lei piegata a terra che… che
cosa sentiva? Cosa provava? Cosa vedeva?
Lui
non sapeva cosa le fosse accaduto là dentro ma da quell’urlo sembrava
che i mostri del passato fossero tornati tutti in una volta.
Spalancò
gli occhi lunari mentre realizzò cosa era accaduto.
-
Mio Dio… -
Alexander
non era credente, dopo tutto quello che aveva passato non credeva in
nessun Dio, tuttavia in quel momento gli sembrava appropriato invocarlo.
Gli
sembrava molto appropriato, sì…
Se
avesse contratto i muscoli o meno non lo capì, non capì che posa
assumesse il proprio corpo, pensò solo di volerla abbracciare eppure si
sentiva così lontano da lei e dal suo dolore, in quel momento...
Lontano
anni luce.
Era
rabbia e disperazione cieca quella che era uscita da lei, uno di quelle
urla che mostrano anni e anni di sofferenza soffocata.
Che
fare?
Se
lo chiese mentre era lì a terra raggomitolata a gridare senza fermarsi,
in fondo erano diversi, a situazioni simili avevano reagito in modo
differente.
Lui
non aveva mai urlato o pianto se non quando aveva ritrovato suo
fratello e gli aveva chiesto di amarlo perdonandolo.
L’emozione
era stata un’altra, lo era stata perché in realtà aveva sempre
ricordato tutto, aveva potuto elaborarlo lentamente. Lei di tempo non
ne aveva avuto per nulla.
Arrivarono
soccorsi per entrambi e assistenti chiesero alla ragazza cosa fosse
successo una volta che il suo grido era cessato.
Quel
che accadde fu agghiacciante.
Aveva
alzato gli occhi stravolti di lacrime e aveva guardato chi le si parava
innanzi ma l’aveva fatto con occhi non solo piangenti bensì assenti.
Si
era di nuovo rinchiusa nel suo mondo di bambina, quel mondo misterioso
per tutti.
Tremò.
Alexander
ebbe uno spasmo, tanti in realtà.
-
Alexis… -
Pronunciò
il suo nome sentendolo lontano lui stesso, infine si avvicinò come in
trance mentre con la mente era del tutto proteso verso di lei, sperando
–pregando– che non fosse come sembrava, come pensava, come non doveva
essere.
Si
inginocchiò davanti a lei e la vide sotto shock, non avrebbe detto
nulla?
Più
nulla?
-
Ho sbagliato tutto, non avrei dovuto… -
Mormorò
attonito rendendosi conto solo ora che avrebbe dovuto fare diversamente.
Già,
ma come?
Scostò
gli assistenti con poca pazienza e gentilezza poi l’afferrò per le
spalle e con forza la scosse guardandola in viso, atona e sconvolta
dalle lacrime, era così pallida…
-
Alex… Alex parlami… dimmi qualcosa… -
Non
sapeva cosa dirle, cosa fare, doveva scuotersi, reagire eppure non era
bastato quell’urlo primordiale svuotatore?
No?
Non
era quello che le impediva di fare altro ancora? Sicuramente era
quello…
Che
altro poteva essere?
Doveva
aspettare che si ricaricasse, che riprendesse le forze e si tirasse su
da sola.
No,
non da sola, lui si era fatto aiutare, alla fine.
Da
lei e da suo fratello.
Come
poteva pensare che lei trovasse la forza dentro di sé in quella
situazione?
Gliel’avrebbe
data, gli avrebbe dato tutta l’energia ed il coraggio necessari per
andare avanti meglio di prima, ora poteva ma… il punto era uno, era lei
a dover volerlo. O nessuno avrebbe potuto far nulla!
Ci
fu molta agitazione intorno a loro ma lui continuò con l’animo in
subbuglio e la paura che le cose non andassero come dovevano.
-
Alex, sei tu a dover tirartene fuori, tu hai tutta la forza che ti
serve. Hai il coraggio, il coraggio di chiedere aiuto ed andare avanti
ancora. Ce l’hai. E’ nella tua carne, nel tuo essere. Sei una
combattente, una violenta, non ti fai mettere i piedi in testa, tu vivi
contro tutto e tutti, sei scappata per non farti più calpestare, hai
accettato il mio aiuto ed ora devi risollevarti una volta per tutte da
sola, perché ne sei capace, lo sai fare.
Basta
tu trovi la forza di chiedermi aiuto, basta che trovi il coraggio di
farti aiutare. Ascoltami, torna da me! Torna da me, Alexis! –
Si
sconvolse lui per primo a dire queste cose, continuò a ripetere agitato
come poche volte nella sua vita era stato, diceva di tornare da lui e
rialzarsi, di svegliarsi e poi il suo nome, il suo nome all’infinito.
Non smetteva di dirlo.
L’abbracciò
stringendola, l’abbracciò alzando la voce per chiamarla, l’abbracciò
pregando che un miracolo ancora accadesse.
Eppure
era semplice capire cosa le succedesse, dove fosse.
Alexis
era nel medesimo posto di anni fa, il medesimo in cui era stato anche
lui a lungo. Era nel suo dicembre.
Stava
rivivendo ciò che aveva appena ricordato, la sua tragedia.
Avrebbe
retto?
“E’
il mondo quello che mi passa accanto, un mondo che sta scemando nella
notte, va veloce, lo scenario si confonde ed io non capisco bene cosa
stiamo sorpassando a questa velocità. Sento però il vento che mi batte
in faccia facendomi volare i capelli. Mi ha portato in macchina senza
dirmi altro, poi ha messo in moto e si è messo a correre come un folle,
corriamo da alcune ore ma per quel che ne so potrebbero anche essere
minuti.
Vedo
le cose passarmi davanti agli occhi e mantengo la testa appoggiata al
bordo del finestrino, quasi fuori, per farmi tagliare la faccia dal
vento.
Lui
corre sempre di più e ormai il cielo diventa lentamente scuro, posso
passare tutta una vita a vedere i cambiamenti del cielo eppure finché
non stacco gli occhi da lui per riguardarlo in un altro momento, non mi
renderò mai conto dei suoi effettivi mutamenti.
Così
è per ogni cosa. Per capire le cose, i cambiamenti, i miglioramenti o
peggioramenti, bisogna staccarsi per un attimo e poi tornarci su.
Guardo
tutto ciò che mi circonda senza fare una piega, sento la pelle delle
guance tirarmi anche per le lacrime.
Ho
versato altre lacrime, sono una debole, lo sapevo.
Non
c’è più quell’Alexis combattiva che pur di vivere come voleva ha
sfidato il mondo.
Non
c’è più niente di lei.
L’ultimo
barlume di quella persona è svanita con mio padre e coi ricordi che mi
ha riportato.
Ecco,
l’ho pronunciato.
Ed
è da ore che mi rivedo come in un film ciò che ho visto solo poche ore
fa, rivedo i ricordi di bambina, quella tragedia, quella vita così
lontana da me, da ora, da ciò che sono diventata.
Sono
diventata così, bella o brutta che sia, grazie ai NON ricordi… ora li
ho e posso scomporre e ricomporre il mio puzzle ma non so se voglio
farlo. Non so cosa diventerò dopo.
Dovrei
rifarmi da capo solo per queste tessere di vita ritrovate ma sono così
orrende che non penso proprio di volerlo.
Eppure
ora le ho e devo far di esse qualcosa.
Non
so, non voglio.
Voglio
tornare indietro e dimenticare di nuovo, continuare quella vita con
Alexander, insultare Yu e giocare a street basket!
Non
voglio altro.
Non
voglio i ricordi orrendi di quel periodo.
Se
li ho dimenticati andavano lasciati là, in quel girone d’inferno.
Ecco
perché da quando sono uscita da là ed ho sentito mio padre sfracellarsi
al suolo non sono riuscita a fare nulla, non VOGLIO fare nulla.
Cambierei da com’ero, da come mi piaceva essere.
Non
sarei più io nel momento in cui farò qualcosa con questi ricordi del
cazzo!
Eppure
quanto posso stare così?
Alexander
si preoccupa sempre più, non mi dice nemmeno di parlare, sa che finché
non lo deciderò io non farò proprio nulla, non parlerò.
Eppure
lui sta male in questo mio silenzio, sento palpabile e crescente la sua
paura.
Ha
paura perché non sa cosa mi è successo, cosa ho ricordato, cosa sto
passando… ma se invece lo sapesse in qualche modo?
Lui
è un diavolo di ragazzo, in un modo o nell’altro sa sempre tutto,
potrebbe essere che è preoccupato perché sa.
Eppure
mi stuzzicherebbe, normalmente, l’idea che si stesse preoccupando a
quel modo per me.
Ora
so solo che non voglio fare e sentire nulla, mi ci sto impegnando.
Quando
il vento ti spinge così indietro la testa coi capelli impedendoti quasi
di tenere gli occhi aperti sul cielo e sul mondo corrente, riesci a non
pensare.
Però
l’idea di star facendo in qualche modo male ad Alexander -so che è
così- mi dispiace, questo sì…
Povero,
lui non se lo merita, mi è sempre stato dietro come un padre, con una
pazienza infinita ed anche ora che ho avuto questo capriccio di trovare
il mio passato perduto, mi ha accontentato.
Mi
domando cosa sappia e cosa non sappia, se ha fatto ricerche per me come
gli avevo chiesto è possibile che sappia, no?
Non
mi ha detto nulla, però… forse sperava che non mi ricordassi.
Guarda
a cosa mi sono ridotta… proprio io, IO, che giustifico un suo
comportamento sospetto che normalmente non mi starebbe bene.
L’ammazzerei,
se fossi in me, quante volte l’ho fatto per cose meno gravi?
Ora
no, ora non mi va di farlo, lo trovo inutile ed insulso… in fondo sono
altre le cose importanti, no?
Poi
cos’è normalità? Che sciocchezza… non esiste altrimenti io non avrei
passato tutto questo.
Cosa
me ne faccio di questi ricordi di merda, ora?
Non
li voglio, mi rovineranno di sicuro…
Non
so… veramente non so proprio nulla.
Nulla.
Finché
non saprò non farò esattamente nulla.
Stop.”
Quando
la notte li avvolse del tutto arrivarono al posto lontano che Alexander
aveva deciso per lei.
Nella
loro relazione non poteva dire di conoscerla perfettamente da
indovinare tutto, certamente però era sicuro su quel che già sapeva.
Quel
posto, il lago delle lacrime, l’avrebbe aiutata, in qualche modo i
posti aiutano sempre.
Ci
sono posti carichi di energia benefica per i ricordi che rimembrano o
semplicemente perché sono speciali, speciali per più persone o per la
natura stessa.
Ci
sono posti, semplicemente, che sono fatti per certi momenti di alcune
persone.
Quel
lago nell’insenatura di montagna, era uno di quelli.
Fermò
la macchina al limite, poi la fece scendere e sedere sulla riva del
lago freddo e scuro, mentre il cielo si riempiva di un numero
impressionante di stelle e lui si adoperava per un fuoco.
Era
ricco e famoso, viziato per una certa parte della sua vita ma non un
inetto imbranato, aveva vissuto fino a saper fare di tutto e a
cavarsela sempre.
Anche
ora ce l’avrebbe fatta.
Questa
sicurezza derivava dal semplice fatto che lui lo voleva, lo voleva come
mai aveva voluto qualcosa.
Il
silenzio era sempre vivo fra loro e consapevoli che non sarebbe potuto
durare in eterno, lo lasciavano finché sarebbe durato.
“Non
si può scappare in eterno, prima o poi ti scontri con la tua realtà e
la devi affrontare. Devi decidere cosa farne, se intendi vivere,
altrimenti falla finita subito, senza perdere tempo. Aspettare sospesi
in questo modo è la cosa più stupida che si possa fare. Io non l’ho mai
fatto, alla fine mi sono sempre dato da fare, sin da quando ero
piccolo… e me ne sono successe di cose, porca miseria! Ho sempre
reagito, ho sempre preso atto e usato quel che mi accadeva in un modo o
nell’altro, cercando di girare tutto in mio favore. Ero così sfigato
che se me la buttavo anche addosso da solo sarei stato un completo
imbecille. Non ho perso tempo sospendendomi per non affrontare la mia
merda quotidiana, e avrei potuto farlo.
La
mamma ha fatto così ed è impazzita!
Non
le permetterò di fare altrettanto. Le cose vanno affrontate, tutte. Sta
a noi girarle in nostro favore! Ora che lo voglia o no lo capirà e lo
farà! Prima che mi incazzi di brutto con lei! Sono stufo di
farle da padre! O cresce o cresce!”
Alexander
stesso, mentre accendeva il fuoco e prima, mentre aveva guidato come un
folle per le vie dello stato, pensava questo con una certa dose di
rabbia. In fondo non aveva un carattere facile, si preoccupava ma anche
quello, come tutto, lo faceva a modo suo.
Era
fra le persone più complicate esistenti… del resto se non fosse stato
così non sarebbe piaciuto a tante persone!
Una
volta che il fuoco fu acceso, delimitato da dei sassi per impedire di
incendiare la foresta circostante, la fece avvicinare in modo da
guardare quei bagliori rosso-arancioni e scaldarsi con essi.
Erano
belli entrambi, bellezze diverse ma belli… lo erano poiché in realtà ad
esserlo era il loro animo.
Si
creò facilmente un’atmosfera suggestiva ed intima con loro due stretti
in loro stessi, davanti alla fonte di calore e bellezza.
Infine
gli occhi da gatto di Alexander, di un grigio ancor più chiaro davanti
a quella luce, si posarono su quelli abbassati e vaghi di lei,
l’azzurro non si vedeva molto, era più un cielo coperto da nuvole. Un
cielo che sfuggiva alla vita.
Cercò
di domare quel fastidio che cresceva ed iniziò a parlare, frenando
anche l’istinto di toccarla, stringerla, abbracciarla e farsi sentire
più presente. L’amava, in momenti come quelli ne era sicuro.
Proprio
lui che si diceva una cosa simile… questo era indice di cambiamento e
crescita profondi. Non si diceva arrivato ma comunque sapeva di aver
camminato e non essersi mai fermato. Lei no. Lei si era fermata molte
volte, da sola aveva fatto pochi passi, quelli più ribelli, poi si era
lasciata trasportare da lui… o peggio si era fermata.
L’aveva
aiutato molto ma doveva anche capire delle cose, o niente sarebbe più
proceduto.
-
Devi parlare. –
Iniziò
vago ma non ottenne risultati, lei nemmeno lo guardava, attratta dal
fuoco e dalla sua personale tragedia di cui non sapeva che fare.
-
Hai solo appreso una parte della tua vita, ditti che è successo, ditti
anche OK e poi passa avanti. –
Ancora
nulla. Lei forse nemmeno l’ascoltava, forse solo qualche parola qua e
là. Sapeva che se l’avesse fatto avrebbe finito per fare qualcosa e lei
non voleva. Non voleva fare nulla.
Ecco
quindi che gli occhi di lui si indurirono come il suo bellissimo viso,
parve ancor più sensuale in un certo senso, mentre lasciava che ormai i
capelli gli cadessero sulla fronte e sugli occhi, poi lo sparò. Lo
disse freddo e duro, glaciale, come una pistola che spara il suo colpo.
-
Hai solo una cosa da decidere: se vivere o morire. Se vuoi vivere devi
accettare il tuo orrendo passato ed andare avanti in un modo o
nell’altro, accettando tutte le reazioni, facendoti furba se serve per
girare in favore le mostruosità che ti sono capitate. Se invece non
vuoi fare nulla di tutto questo e, peggio, non vuoi fare assolutamente
niente, allora significa che vuoi morire, non vuoi più vivere. In
questo caso però fallo subito, senza perdere tempo. Il tempo è prezioso
in qualunque caso. Non puoi star lì sospesa. –
Aveva
captato la frase: ‘Fallo subito, senza perdere tempo’.
Una
breve inclinazione del volto femminile e incolore, spostò gli
occhi su quelli di lui, freddo e lontano, arrabbiato. Fu percorsa da un
piccolo brivido e non le piacque, sapeva che anche solo guardarlo le
avrebbe provocato reazioni, lei non voleva averne.
-
Cosa devo fare senza perdere tempo? –
Disse
quindi con grande sforzo. Non sapeva perché ma era importante capire
cosa intendesse.
Alexander
rispose ricambiando altero il suo sguardo, la guardò come se fosse un
verme, una creatura priva di senso e magari anche rivoltante. Se
l’avesse presa a sberle sarebbe stato meglio.
-
Ucciditi subito! –
Ecco
che il fiato le si sospese e gli occhi le si spalancarono prendendo
colore, mentre una luce di dolore le si rifletté grazie alle fiamme
scoppiettanti.
Cosa
dire?
Lui
la spingeva ad uccidersi e lo faceva come se fosse stufo di lei. Lei e
i suoi problemi, i suoi piagnistei, le sue lune, le sue ire, le sue
insopportabili e pesantissime reazioni o non reazioni.
Voleva
parlare, improvvisamente voleva farlo, voleva anche avere una reazione
per dimostrargli che non era da buttare, che aveva le palle e che
nessuno poteva parlarle a quel modo e rimanere intatto. Improvvisamente
come un fiume provò questo e gli rivolse un espressione di ira e dolore
insieme, voleva piangere ancora ma voleva anche prenderlo a pugni
perché invece di coccolarla e consolarla le diceva quelle cose crudeli,
senza nemmeno sfiorarla.
Perché?
Col
caos nella mente non capì subito cosa dicesse e perché… in quel momento
le parve impossibile riuscirci, ne aveva troppe, così tante che
affrontare tutto e gestirlo per non deluderlo era difficile.
Però
sapeva una cosa: non voleva che lui l’abbandonasse e smettesse di
amarla, per primo però non voleva deluderlo, non voleva che pensasse
che non valeva nulla, che era una creatura inferiore, sciocca e priva
di midollo spinale.
Lei
non era così, aveva fatto di tutto per non apparire in quel modo, non
doveva pensarlo.
Un
moto di rabbia si fece largo in lei spazzando via la sofferenza e la
debolezza, niente più smarrimento, solo l’istinto di fargli cambiare
idea.
Così
si accese come solo lei sapeva fare, violenta ed aggressiva, esagerata,
isterica, esasperante… come ai vecchi tempi, come l’Alexis di cui si
era innamorato!
-
Perché? Perché sei così drastico? Perché è tutto o niente? Non c’è una
via di mezzo? Come puoi dirmi una cosa simile dopo che ho appena
ricordato tutto quello? COME? –
Ancora
non urlava ma era molto agitata, aveva piantato le unghie nelle proprie
caviglie per non metterle nel suo collo.
-
Non si tratta di me e di come sono io. Si tratta di te, Alexis. Sei tu
che sei così, non io! Hai sempre ragionato in questo modo, o tutto o
niente. Non hai mai conosciuto vie di mezzo! –
Alexander
invece era sempre più freddo e laconico, in reazione al suo acceso
umore. Ebbene aveva ottenuto quel che voleva, la stava facendo reagire
e proprio come lui aveva sperato; non mostrò alcun sorrisetto ironico o
vittorioso, sarebbe stato peggio, ci teneva alla sua vita, tuttavia
continuò freddamente guardandola in posizione neutra in modo che non
trasmettesse altro che le sue parole volevano trasmettere. Senza
distrarla.
-
Sei un ballista, mi hai appena detto che se non ho intenzione di
reagire posso uccidermi! Mi guarderesti morire senza far nulla? Lo
faccio subito, mi butto in quel lago! Tu non mi salveresti? –
Non
sapeva perché stava dicendo quelle cose che avevano sempre meno senso,
stava uscendo di testa, era arrivata ad uno di quei punti in cui non
sopportava proprio nulla.
Nulla.
Ed
era pericoloso.
-
Se è veramente quello che vuoi ti rispetterei nella decisione, ma deve
essere una decisione seria, presa fino in fondo! –
Alexis
scattò in piedi come una molla e cominciò a camminare nervosa intorno
al fuoco, alzando sempre più la voce, gesticolando mentre il fuoco che
aveva avanti si espandeva al suo animo.
-
Allora non mi ami! –
-
Ti rispetto proprio perché ti amo! –
-
Però mi lasceresti morire, mi guarderesti affogare! –
-
Sì se sarebbe la tua scelta! –
-
Ma devi lottare per ciò che vuoi, così non funziona un rapporto! –
-
Se tu vorresti ucciderti non mi ameresti più e per quanto io sia
innamorato di te, non voglio stare con una morta dentro che non prova
nulla per me. Se vuoi morire non vuoi stare con me. Devi decidere cosa
vuoi, Alexis. Vivere e voltare pagina, andare avanti in qualche modo,
ed io ti posso aiutare perché l’ho fatto in passato, oppure rimanere
ferma senza reagire, rifiutando tutto, senza fare nulla, NON VIVERE! –
Ci
fu un attimo di silenzio in cui lei aprì bocca per ribattere infuriata
ma, ragionando un secondo sulle sue parole, si fermò capendo che non
aveva torto, non sapeva cosa dire. In effetti aveva anche ragione… solo
lui aveva il potere di farla sentire stupida.
Smise
di camminare e sospirò abbandonando le braccia lungo i fianchi, qualche
ciocca nera le copriva il volto non più iroso.
Lui
sorrise dentro di sé, aveva vinto definitivamente. Si sarebbe
applaudito ma sarebbe stato fuori luogo, gli premeva di più concludere
una volta per tutte il loro discorso, quindi si alzò a sua volta
andandole davanti. La guardò da vicino facendole sentire calore solo
per quel suo sguardo profondo e che portava disagio in chi lo riceveva.
Si
mordeva il labbro nervosa, non sapendo più cosa dire, provando a
guardarsi dentro per capire cosa fare. Sicuramente non voleva morire,
sicuramente lo amava, sicuramente voleva stare in quell’angolo di
paradiso che si era costruita o guadagnata in qualche modo.
Quello
era tutto ciò che sapeva e che non avrebbe messo in discussione.
Lui
portò dolcemente le mani ai lati del suo viso caldo per l’arrabbiatura
appena presa, la costrinse ad alzare il viso e a guardarlo, suo
malgrado lo fece e fu dura sostenere il suo sguardo così intenso e
limpido Non si sentiva bene… si sentiva ancora una volta inferiore,
lontana da lui e dal suo livello… ma così vicina al suo sentimento.
Si
chiamava amore?
Gliel’aveva
appena detto, in fondo.
Solo
per il fatto che uno come Alexander l’amava, doveva sentirsi meglio.
Al
settimo cielo.
Quanti
l’invidiavano?
Non
gliene importava nulla ora…
-
Io… non so, non so cosa voglio fare… voglio vivere con te ma… ma cosa
devo farne di ciò che ho ricordato? Vorrei dimenticarlo per continuare
come ho fatto fin’ora, stavo bene… ora mi sento uno straccio, una
scema, senza forza e coraggio… mi sento calpestata da me stessa. Mi
sento in colpa nei confronti di quella bambina che ero e che ho
dimenticato per star bene. Mi sento in colpa perché voglio dimenticarla
ancora. Mi sento in colpa perché quei ricordi mi fanno male, così male
che voglio ignorarli, metterli a tacere nel dimenticatoio… come posso
fare? –
Aveva
detto incerta in un sussurro quel che sentiva dentro, quel che
precedentemente aveva pensato, non era stato facile eppure dirlo a voce
assumeva un altro tono, un'altra visione.
-
Partiamo da quel che sai che vuoi… -
Aveva
iniziato lui dolcemente. Dolce. Esatto. Dolce come MAI era stato.
Alexander
dolce la sconvolse maggiormente della morte del padre. Rimase inebetita
a guardarlo dimenticandosi di cosa voleva o non voleva, dimenticandosi
un attimo di tutto. Si rese poi conto che se riusciva a sospendersi per
rendersi conto di quanto l’amasse, allora era decisamente messa meglio
di quel che pensava.
-
Vivere con te… -
Mormorò,
lui sorrise e lo fece veramente, con gli occhi e col cuore. Sorrise
come si fa con il fiore più bello e delicato, le mani che la toccavano
indicavano quel tipo di delicatezza.
-
In quanto al dimenticare… bè, non è possibile… devi solo voltare
pagina, farti aiutare. Volere e accettare quest’aiuto. Ma devi essere
tu a chiederlo e a credere che esiste almeno una persona in grado di
aiutarti o questa persona non avrà mai alcun potere. Non si può
dimenticare, si può solo stare meglio di quanto si sta male! –
Era
forse un pensiero contorto ma non impossibile da capire, lei non era
così contorta ma disarmante nella sua semplicità e drasticità. Dovette
pensarci meglio a quella frase ma quando credette d’aver capito disse
con una decisione che era tipica sua.
-
Allora voglio stare bene, voglio stare più bene di come ora sto male.
Voglio che i ricordi belli superino quelli brutti… aiutami, Alex… - La
voce le era morta in gola e a fatica aveva detto tutto nonostante la
sicurezza mostrata, non era facile per lei dire tutto quello, non era
facile chiedere di nuovo aiuto, addirittura a voce. Non lo era.
Questa
difficoltà fu accolta dalle braccia forti e confortevoli del ragazzo
che, dopo averle fatto dire la formula magica, si era trasformato
nell’unica creatura in grado di aiutarla, un’ancora di salvezza, un
persona preziosa per quel suo obiettivo di ricordi belli.
L’aveva
finalmente abbracciata facendole sprofondare il viso nel suo collo,
accarezzandole i capelli annodati, baciandole il capo mentre lei lo
stringeva cercando calore e forza, cercando tutto ciò che lui poteva
darle.
-
Dammi un ricordo speciale, stanotte. Dammi un ricordo che superi quello
del mio brutto passato. Dammi un ricordo di questa portata. Che regga.
–
Come
si trovarono a baciarsi?
Forse
fu lui a prendere l’iniziativa e farlo, sicuramente andò così.
Come
quando baciandosi si erano seduti di nuovo per terra, davanti al fuoco
che li scaldava.
Era
stato lui a prendere l’iniziativa ma solo per un fatto.
Era
stato lei a chiederglielo.
Si
poteva immaginare a quel punto una certa musica indiana di tamburi e
sonagli che dettavano un lento ritmo incalzante e sfuggente, romantico
in un certo senso, seducente in un altro.
Non
adatto a loro ma al momento.
All’atto
che si sarebbe compiuto.
Come
un vento che porta certezze, sarebbe stato perfetto. Quello era
l’attimo giusto.
Lasciarono
che le loro lingue si intrecciassero con calma all’interno delle loro
bocche unite, che le loro mani si cercassero e accarezzassero, lasciò
che un flauto immaginario li portasse a stendersi come ipnotizzati
dall’atmosfera creata da un mago immaginario.
Fu
solo immaginazione la colonna sonora, fu realtà tutto il resto.
Alexander
l’adagiò più comoda che poteva nel terreno e sistemandosi sopra di lei,
continuando a baciarla lento, con esperienza viaggiò con le mano sotto
i vestiti di lei, le alzò la maglietta sentendo la sua pelle che al
contatto con la sua andava a fuoco.
Si
staccò dalla sua bocca per scendere ad assaggiare il resto del corpo,
il mento, il collo e poi giù fino allo stomaco, si soffermò
sull’ombelico che tormentò con la lingua infine si decise a salire.
Salì sul resto, i suoi seni non molto prosperosi ma desiderabili solo
perché suoi.
Glieli
liberò e si dedicò ad essi dopo un istante di contemplazione, aveva
ancora delle cicatrici sul suo corpo magro, erano ormai vecchie, erano
cicatrici piacevoli da accarezzare.
Quando
iniziò a succhiarle i capezzoli e tormentarli anche con le dita, Alexis
sospirò cercando di trattenere i gemiti di piacere.
Non
aveva mai ricevuto nulla di così piacevole ed era solo al seno. Si
disse che sarebbe impazzita di quel passo ma si disse anche che non
avrebbe mai e poi mai voluto che smettesse.
Il
ricordo doveva superare quello brutto.
E
quello brutto era gigantesco.
Immerse
le dita fra i capelli neri e scomposti di lui, le sfioravano la pelle
ora nuda.
Avrebbe
voluto finalmente mangiare anche lei quel corpo così sexy e tanto
desiderato.
Poteva
farlo, poteva anche farsi possedere totalmente da lui.
Mentre
si lasciava fare con mille scariche di brividi che la facevano quasi
tremare, capì quanto lo desiderasse e provò una forte sensazione
indescrivibile che la divorava dalla sua parte più profonda.
Non
sapeva se era pronta, se sapeva cosa fare, se sarebbe stata impacciata,
se avrebbe fatto anche lei qualcosa, come sarebbe stato da parte sua…
sapeva però che lui era perfetto, che il sentimento c’era e che lo
voleva, che lo desiderava in modo indescrivibile e che quello era il
momento.
Mormorò
il suo nome con un filo di voce, con sforzo, quando lo sentì giungere
con la lingua nella sua parte intima, era lì e poteva fermarlo, poteva
dirgli di aspettare ma pensava solo a godersi quel piacere fisico che
la faceva rabbrividire, era solo il pensiero di quel che lui le stava
facendo o era anche il corpo che provava quel che si trasmetteva al suo
essere?
Cominciò
a respirare a fondo, cercando di domare i battiti cardiaci, senza
riuscirci.
Era
emozionata e il pensiero di quel che sarebbe successo di lì a poco era
tale da farla impazzire.
Solo
questo bastò a farle dimenticare l’intera giornata catapultandola in
un’altra dimensione, diversa, separata, un universo di piacere.
Quando
si tolse la maglia rimanendo a torso nudo, lei si trovò ancora a
trattenere il fiato, lo conosceva il suo fisico meraviglioso ma la
consapevolezza che ora sarebbe stato suo la mandava in caos, non sapeva
ancora cosa fare…
Allungò
le braccia col bisogno di sentirlo, di avere più contatto e quando
tornò a stendersi sopra, rimanendo appoggiato sui gomiti in modo da non
farle male, lei l’avvolse premendolo contro il suo petto, sussurrando
con voce ed espressione di bisogno e desiderio insieme:
-
Ho bisogno di te, voglio di più. Voglio tutto. Ora. –
Pensava
in un angolino della sua mente di essere impazzita ma doveva averlo in
modo da non sentirsi più inadeguata.
Ripresero
a baciarsi ed il ritmo crebbe, prima era un esplorazione, un rispettare
i tempi altrui, un assaggiarsi, ora era diverso, ora era arrivato il
momento di andare, correre, cominciare a crescere sempre più
d’intensità, scaldarsi anche senza il fuoco, prendersi e darsi, aversi
insieme per non aver nessuna pecca in quel momento speciale.
Passione.
Si
chiamava passione.
Passione,
languore, desiderio, sensualità.
L’aveva
provato per lui molte volte e lui per lei, lei inconsapevolmente bella
ed attraente.
Era
l’unica in grado ad accendere quel suo lato così forte da divorarlo da
solo.
Era
come se si corrodesse dall’interno per il desiderio di averla, aveva
sperato a lungo che arrivasse quel momento, aveva atteso che fosse lei
a cercarlo e chiederlo appunto per ciò che aveva passato, per come era
fatta.
Ora
che lo chiedeva e che le aveva dato il tempo di prepararsi e capire
veramente cosa sarebbe successo di lì a poco, ora che lei era ancora
più convinta di prima, poteva lasciarsi andare.
Lasciarsi
andare veramente, irrimediabilmente, arrivare a quel punto di non
ritorno pericoloso ma meraviglioso.
Perdersi
se necessario ma esserne felici poiché accadrà con lei.
Si
impossessò delle sue labbra mentre con le mani portava di nuovo fuoco,
più di prima, sul suo corpo che dopo l’accettazione della sua
femminilità era maturato lentamente. La prima di seno era arrivata ad
una terza e così anche i fianchi si erano arrotondati rendendola una
donna, una donna desiderabile che accendeva i famosi istinti maschili.
Furono
però le sue dita a dargli il colpo di grazia quando innocenti ed
ingenue andarono alla cintola dei pantaloni slacciandoglieli, cercando
il suo sguardo. Quando capì, un espressione indecifrabile ma
irresistibile si impossessò del suo bellissimo viso e lei tremò capendo
di aver fatto la cosa giusto, pensando solo che nonostante la paura
naturale, non vedeva l’ora.
Sentire
che si volevano, sentire il contatto crescere, il ritmo andare veloce,
strofinarsi coi bacini e coi corpi, mangiarsi e divorarsi ogni parte
fisica, ansimare e gemere ogni qualvolta si trovi il punto giusto,
accendere la miccia che prendere sempre di più, di più ed ancora e poi
arrivare lì, in quel punto, con aria stralunata e sforzo fermarsi un
istante prima di varcare la soglia per guardarsi negli occhi e
chiedersi in silenzio se andava bene, se si era pronti, se si poteva
procedere.
Sì.
Sentirlo,
quel desiderio, quella voglia che è capace di far impazzire, in grado
di scollegare il cervello, sapere che ora qualunque cosa sarebbe
accaduta non sarebbe potuta più essere fermata, essere contenti per
questo, sentire il cuore che batteva, il sangue che pulsava,
l’adrenalina che saliva vertiginosamente e l’eccitazione che cresceva
sempre più insieme al ritmo che tornava a riprendersi.
Fu
un istante di non ritorno, il tempo si fermò, il mondo scomparve e si
sentì ogni possibile ed inimmaginabile sensazione insieme tanto da non
capire letteralmente nulla.
Cosa
succedeva?
Se
lo chiesero entrambi nonostante per lui non fosse la prima volta e per
lei sì.
Nonostante
tutto cade in confusione anche lui mentre entrò in lei e si sentì
avvolgere nella parte che gli portava più irragionevolezza per il
piacere assoluto che arrivò a dargli.
Era
solo là che aveva bisogno di sfogo primordiale, solo se fatto con il
giusto intento e il sentimento si arrivava a vedere una realtà mai
vista, energia allo stato puro, ciò che ci forma, ci crea e ci finisce.
Tutto per quell’istante, un attesa di una vita per sentirsi amati nella
maniera più completa.
E
il piacere l’invase assoluto mentre le lasciò il tempo di respirare per
il dolore lancinante e quasi lo sentisse anche lui, si morse il labbro
mentre serrava gli occhi, lei fece altrettanto con una lacrima che
scorreva.
Passare
un inferno in un minuto e poi ciò che corrisponde all’esatto opposto
sempre in un altro minuto della stessa giornata.
Come
definire quella sensazione?
Forse
parole non c‘erano, forse bastava immaginare che come tutte le prime
volte per lei fu doloroso ma che aveva saputo aggrapparsi al sentimento
e al desiderio, al pensiero che era lui e che era perfetto e giusto,
che finalmente aveva tutto quel che cercava, che sapeva che non aveva
sbagliato e che ora i ricordi belli superavano quelli brutti.
Lo
sapeva, ne era sicura.
Aggrapparsi
a quello le fece sopportare il dolore naturale fisico. Anche l’idea che
lui crescendo d’intensità, gemendo con quella sua penetrante voce roca,
godeva per lei e non per altro.
Non
perché era un corpo, non perché era bella, non per qualunque altro
motivo.
Solo
perché era lei, Alexis.
Solo
perché era lui, Alexander.
Finalmente
si erano trovati veramente e fumo e acqua poterono fondersi in quel
meraviglioso laghetto di montagna come se la nebbia divorava le acque
cristalline fino a fare a loro volta l’amore.
Fusione.