CAPITOLO XII:
RITORNO ALLA VITA

“Vedi si rimane in piedi anche se tu non ci credi
Dimmi cosa vuoi sapere, cosa vuoi di questo amore
Anche se non respiro e non mi vedo più
In un giorno qualunque dove non ci sei tu
Anche se aspetto il giorno, quello che dico io, dove ogni tuo passo si confonde col mio
Forse serve un po’ di tempo
Credo, spero, penso, sento
Voglio essere importante per te
e non per la gente
Anche se non respiro e non mi vedo più
In un giorno qualunque dove non sei tu
Anche se aspetto il giorno, quello che dico io, dove ogni tuo passo si confonde col mio
Niente da dire, niente da fare
forse c’è un tempo per riprovare
Perché tu sarai sempre il mio solo destino
Posso soltanto amarti, senza mai nessun freno
Anche se non respiro e non mi vedo più
In un giorno qualunque dove non ci sei tu “

/In un giorno qualunque - Marco Mengoni/
Nell’ovattato morbido circostante, immersi in una nebbiolina dolciastra e tiepida, con una melodica nenia a cullarli, sensazioni vaghe benefiche d’inconsistenza, sensi confusi e mischiati, memoria cancellata, momento di pace onnipresente, passato e futuro cancellati.
Le tue braccia che tengono strette a te la cosa più importante in assoluto.
Non sai cos’è, non la vedi subito, sai solo che è il tuo tesoro più grande.
Non sai dove sei, come ci sei arrivato lì, perché, cosa hai fatto prima, dove andrai, cosa farai, come sei, come ti senti. Sai solo che stai bene, non senti nulla, tutto è confuso, ovattato, nebbioso, pacifico, piacevole. E che stringi ciò che conta più di tutti per te, ciò per cui hai lottato dando la vita.
E l’hai data, la vita?
Non lo sai, non sai cosa sei. Anima o corpo?
Non importa, l’unica sensazione che hai è quella che conta.
Che fra le tue braccia c’è quello per cui hai lottato.
E‘ caldo.
Allora ce l’hai fatta, non sai a far cosa ma sai che ce l’hai fatta.
Così ti culli con lui.
Quando lentamente cerchi di vedere cosa sia e usi la vista per vedere in mezzo a quella nebbia affascinante cosa stringi, alla fine lo metti a fuoco e nell’esatto istante in cui lo vedi e realizzi chi è, il tuo cuore che forse fino a quel momento era rimasto sospeso nel nulla e nemmeno batteva… bè, eccolo che riprende dolcemente a battere.
Batte, senti solo il suo rumore ritmato e costante.
E nei suoi occhi castani gentili, sapienti e consapevoli, miti ma sicuri, tu torni a vivere.

Nell’ovattato morbido circostante, immersi in una nebbiolina dolciastra e tiepida, con una melodica nenia a cullarli, sensazioni vaghe benefiche d’inconsistenza, sensi confusi e mischiati, memoria cancellata, momento di pace onnipresente, passato e futuro cancellati.
Due braccia ti stringono. Non vedi chi è, non sai cosa ti è successo prima, dove sei, cosa farai, cosa sei tu stesso.
Non sai in che luogo preciso ti trovi, la memoria ti gioca brutti scherzi ed anche se sai che normalmente questo ti creerebbe problemi, ora non te ne importa e ti sembra strano ma non ti interessa. È ancora più strano sapere cose di te che non hai idea di come sai…
La sensazione di aver sempre saputo tutto di ciò che c’è da sapere in assoluto è lampante, ma ora una cosa ti sfugge.
Chi è che ti stringe cullandoti così dolcemente, facendoti sentire al sicuro?
Nell’incognita rimanevi terrorizzato, una volta, ne hai la consapevolezza, eppure ora nell’incognita stai bene.
Non importa vedere chi è, sai che è la persona che ha lottato per te più di tutti, quella per cui tu stesso, anche se sei un codardo, avresti dato la vita.
Forse, dopotutto, non è proprio un incognita.
Quella sensazione precisa di sicurezza e tranquillità te la può dare solo una persona.
Ed è quella che ti sta stringendo a sé.
Pensavi di essere solo, fino a quanto l’hai pensato? Non sapresti dirlo.
Ti sembrava di essere calato in un giorno qualunque nel quale eri solo, ne hai passati molti. Però c’era qualcosa di diverso.
Attendevi che lui ti raggiungesse e sapevi che sarebbe venuto a prenderti.
Però ricordare uno di quei giorni qualunque in cui eri solo e non avevi nessuno da aspettare, ti ha fatto chiedere cosa avresti fatto se ora non fosse arrivato.
Avresti sperato, creduto, pensato e sentito, saresti andato avanti ma con un vuoto dentro.
E forse non c’è più niente di te che ti faccia pensare di essere vivo. Forse sei anche morto.
Forse non respiri e non vedi e non senti, forse il tuo cuore ancora non batte, ma le braccia ti stringono e sei certo che sia lui.
Ma questo, e te ne rendi conto quando ti accorgi che non stai respirando e che il tuo petto è vuoto, significherebbe che anche lui è senza vita, come te.
Un’ombra increspa il tuo viso, tu vuoi solo essere quello più importante per lui ma non a scapito della sua vita.
È veramente lui?
E dove siete in questo momento?
È ora di saperlo.
Col tuo cervello che si rimette in moto per la volontà di ottenere risposte importanti, riattivi la tua vista, fra la nebbia piacevole che vi circonda e quella nenia che culla, ti giri ed alzi gli occhi e dopo il bianco finalmente metti a fuoco la prima sagoma.
Quando il suo viso dai lineamenti decisi, la sua espressione sicura, solida, ferma prende forma, lo vedi sorridere dolcemente in quel modo che sai riserva solo a te in rari momenti.
Ed ecco che in un tuffo interiore l’ingranaggio riprende a muoversi.
I battiti si odono regolari e sai che da lì in poi non si fermeranno più.
Il tuo cuore ha ripreso a battere.
Ora puoi svegliarti e vivere ancora.

Quando riaprirono gli occhi nello stesso momento, entrambi fecero la medesima fatica a mettere a fuoco il mondo circostante grazie ai sensi atrofizzati, quando ci riuscirono li mossero sulla stanza d’ospedale riconoscendola dai macchinari che davano il ritmo dei loro cuori praticamente in simbiosi fra loro.
Si cercarono fino a trovarsi e quando i loro sguardi si allacciarono, nella confusione generale che ancora provavano, sorrisero con fatica, un cenno lieve sui loro visi pallidi e stanchi.
Dei due Charlie aveva anche l’ossigeno che usciva dal fastidioso tubo nella gola, mentre Don non così grave respirava da solo, si mosse meglio girandosi verso l‘altro, l’osservò con più attenzione e una vena di dispiacere e di preoccupazione oscurò il suo viso sereno fino a quell’istante.
Realizzando che era davvero quasi morto per colpa sua, il senso di colpa lo invase togliendogli per un istante di nuovo il respiro.
Con le labbra secche ed impastate mimò la parola ‘mi dispiace’ che Charlie capì raddolcendo i suoi occhi che invece si erano mantenuti vivi e luminosi.
Don era lì steso accanto a lui e stava ormai bene, non c’era verso di preoccuparsi e impensierirsi.
Scosse lieve il capo per dire che non doveva, quindi una voce rude e familiare li interruppe. Riconobbero la stanchezza e la pesantezza in essa e prima ancora di vederlo sapevano di chi si trattava.
- Era ora… - Disse loro padre addormentato nella stanza fino ad un momento prima.
I due figli lo fissarono scambiandosi con lui degli sguardi altrettanto sfiniti ma felici. Felici di essere comunque ancora una volta tutti e tre lì a guardarsi.
Felici di avere la certezza che il peggio era passato.
- Ho insistito io per mettervi nella stessa stanza anche se volevano separarvi… sapete… Charlie era davvero grave… due pallottole, una delle due è arrivata vicino al cuore… - Il viso di Alan apparve ancora più vecchio e segnato nel dire quelle cose, proseguì con forza: - Don ha preso un brutto colpo in quel terribile incidente. Quando Colby è arrivato ha detto che vedendo com’erano conciate le auto ha creduto davvero il peggio per un momento… e si è stupito di vedere che eri anche riuscito a scendere e a prendere quei… - Avrebbe voluto chiamarli col loro nome ‘figli di puttana’, ma non sarebbe stato da lui e ricordare quegli eventi era comunque doloroso.
Don sospirò faticosamente, chiuse gli occhi e si visualizzò i crimini dei suoi veri genitori, il proprio dolore, tutte le volte che si era incrociato con quella gente negli anni, la sparatoria con Charlie, l’inseguimento ed infine l’impatto. In quell’attimo rivisse accelerato tutto quello che li aveva riguardati, che gli aveva fatto tanto male.
Quanti anni erano stati i suoi fantasmi, quelle persone?
Ora era finita.
Lo disse il padre per entrambi loro tre, sapendo che anche Charlie dagli occhi lucidi puntati nel fratello accanto, pensava la stessa cosa cercando invano di dirlo.
- E’ tutto finito, ora. Ora ogni cosa andrà a posto. - E nel sentirglielo dire, cioè sentirlo dire proprio da lui, il loro padre che sempre aveva rappresentato la loro roccia, lo rese vero e reale.
E scacciò via tutte le loro paure ed il dolore provato. Via, lontano, spazzato completamente senza possibilità di ritorno.
Ora si potevano dire di nuovo vivi.



Il sole si era alzato da appena poche ore creando quella sensazione di vittoria sulle tenebre della notte.
I primi rumori del mattino penetravano ovattati dalla finestra chiusa, dove le tende erano scostate e gli scuri alzati a permettere alla luce di passare e bagnarli.
In lontananza arrivava una canzone dolce di un artista straniero, la sua voce era dolce ed a tratti disperata. Non si capivano le parole, ma di certo parlava di qualcosa di bello.
Le lenzuola che li coprivano erano tiepide grazie ai loro corpi allacciati e docilmente addormentati.
Le braccia dell’uomo più grande circondavano nel sonno la schiena di quello più giovane che accomodato sul suo petto aveva una di quelle espressioni serene che da tempo, probabilmente, non aveva avuto.
La sensazione del dormiveglia che entrambi provarono fu terribilmente simile a quella del momento precedente al risveglio dal coma.
Dopo che erano venuti a visitarli e a diagnosticarli il fuori pericolo, gli avevano spiegato che fino a che li avevano tenuti separati ognuno nel giusto reparto era successo in entrambi un netto peggioramento mentre quando poi erano stati messi nella stessa stanza su insistenza del padre, lentamente si erano stabilizzati ed avevano cominciato pian piano a migliorare.
La cosa più incredibile ed inspiegabile, però, era stato che Don, secondo i danni ricevuti, si sarebbe dovuto riprendere prima di Charlie che invece ne aveva riportati di più gravi. Quando si erano svegliati insieme non solo era stato anomalo che Don avesse tardato tanto, ma era stato impossibile che Charlie si riprendesse così presto.
Alan gliel’aveva spiegata dicendo che anche se erano diametralmente diversi e avevano fatto tutto separatamente ed in tempi opposti, da quando avevano iniziato a lavorare insieme e si erano ritrovati, avevano poi sempre cominciato a fare tutto insieme.
Alan in effetti non si era stupito di quel fatto strano, erano fratelli ed anche se non di sangue erano stati cresciuti così ed essere in simbiosi, dopo tutto, non significava avere lo stesso carattere, lo stesso sangue e le stesse capacità. Significava essere un tutt’uno con l’animo e loro, anno dopo anno, lo erano finalmente diventati.
La mano di Don cominciò a muoversi per prima sulla schiena del compagno sopra di sé.
Lo sentiva respirare regolarmente e se si concentrava poteva anche percepire i suoi battiti tenui.
Il corpo caldo, la pelle morbida solcata dalle cicatrici che lui conosceva bene, ma l’aria serena.
L’aria di chi si sentiva al sicuro.
Lo era davvero, fra le sue braccia?
Dal giorno della sparatoria aveva cominciato a dubitarne, ma quando la sera precedente gli aveva espresso il proprio dubbio, Charlie si era arrabbiato come non aveva mai fatto in vita sua, era certo di non averlo visto così fuori di sé.
Come evocato dai suoi pensieri assonnati, la mente di Don gli riportò i flash della sera precedente.

/E come poteva toccarlo dopo che le sue stesse mani avevano provocato indirettamente tanto dolore in lui?
L’aveva quasi ucciso e solo perché gli era stato vicino, perché era diventato la persona più importante della sua vita.
Quella stupida frase da film che da grandi poteri derivano grandi responsabilità era forse una cavolata per il contesto in cui era stata usata, ma era comunque vera.
Lui aveva delle responsabilità a cui far fronte, non poteva prendersi semplicemente quello che voleva punto e basta. Sapeva di essere una persona tendenzialmente egoista che si limitava a comandare gli altri secondo le proprie idee e che faceva sempre di tutto per ottenere quello che voleva, in un modo o nell’altro, però ora era diverso.
La vita l’aveva messo davanti ad una verità innegabile.
Spesso ciò che lui voleva era male per l’altro.
Se standogli vicino Charlie rischiava così tanto allora non poteva ignorare questo fatto.
In passato era già successo che si mettesse in dubbio per lo stesso motivo, ma Charlie non aveva mai rischiato di morire come ora.
Si era rimesso, era tornato dall’ospedale e sembrava che tutto andasse per il meglio, come prima dell’inferno, il mondo aveva a ripreso a scorrere ed i giorni si erano susseguiti come fossero ‘uno fra i tanti’.
Però Don non aveva più toccato Charlie, non davvero.
Qualche bacio, qualche carezza interrotta troppo presto…
Il non coraggio di fare l’amore con lui non l’aveva mai nascosto e la scusa era stata che doveva rimettersi per bene prima di strapazzarsi a letto.
Charlie ci aveva creduto o per lo meno si era sforzato di crederci non sentendosi lui stesso in forma ma la propria mente che lavorava veloce gli aveva anche detto che forse Don non voleva per paura di essere la causa del suo dolore.
Quando si era rimesso e aveva continuato a mantenere una certa distanza gli aveva dato poco tempo per elaborare una scusa che reggesse.
L’aveva affrontato subito e come di solito avrebbe fatto Don.
Charlie era uno che arrivava per strade alternative alla meta, era Don quello che prendeva la palla e correva di sfondamento dritto come un carro armato.
Questa volta sembravano essersi invertiti i ruoli e raggiuntolo a casa sua glielo aveva chiesto senza cercare prima di metterlo per l’ennesima volta alla prova. Non era capace di sedurre, non sapeva farlo e si sentiva impacciato, preferiva che gli altri lo seducessero.
Però sapeva essere chiaro.
- Cosa c’è che non va? - Gli chiese a tu per tu sul piede di guerra. Don aveva smesso di spogliarsi  e rimasto con i jeans l’aveva guardato credendo di avere un alieno davanti.
- Niente, perché? - Era sempre stato bravo a mentire, faceva un lavoro per cui se non sapeva tenersi cose per sé era impossibile trovare le risposte giuste. Inoltre aveva passato tutta una vita a tenersi chiuso a doppia mandata, nessuno aveva mai capito molto di lui.
Ora però davanti a Charlie, un Charlie così determinato, sembrava aver dimenticato come si facesse.
- Raccontalo a qualcun altro! Dimmi cosa c’è che non va! - Volente o nolente avrebbe parlato. Non sapeva bene come obbligare Don a fare qualcosa che non voleva, ma l’avrebbe fatto.
- Charlie, a cosa ti riferisci? - Prendere tempo era tutto ciò che riusciva a fare. Nella mente paralizzata non trovava più scuse adeguate e sapeva che era giunto il momento di dirglielo e basta.
- Mi sono perfettamente ripreso, perché continui a tenermi a distanza? Hai paura di toccarmi, di stare con me… di stare con me davvero… - Un velo di rossore colorò il suo viso dando chiarezza su cosa intendesse. Don strinse le labbra in segno di disappunto, non voleva parlarne ed era evidente, ma era messo alle strette.
Rise fra sé e sé. Lui, il grande, forte e testardo agente dell’FBI messo con le spalle al muro da un professore di matematica allergico alle armi!
Ridicolo!
Cominciò a camminare distrattamente per il proprio appartamento, quindi cercando di essere convincente iniziò senza sapere cosa dire davvero:
- Bè, che vuoi… non sono ancora pronto… - In fondo era vero ma non del tutto. Lui in realtà aveva già deciso che per proteggerlo doveva allontanarlo. O smettere di fare quel lavoro. Ma essendo che quello era tutto ciò che sapeva fare, era difficile smettere con quello!
- Certo, come no! Ed io sono Archimede! - Continuò come un mastino Charlie avvicinandosi a lui. Naturalmente tornò a sgusciare via, questa volta più veloce, come cercasse di scavare un fosso nel suo pavimento.
- Ma è così… cioè, non so se è ancora il momento giusto… - La voce di Don si stava innervosendo e Charlie continuò a seguirlo mentre l’altro a scappare sempre più frenetico, come punto da una tarantola.
- Il momento giusto per cosa? Andiamo, stiamo bene entrambi, ormai! Cosa c’è che non ti va? -
Don era davvero in difficoltà e la cosa sarebbe stata sconvolgente di per sé se peggio non fosse stato il fatto che stesse fuggendo dal fratello minore apparentemente innocuo, come se fosse un essere estremamente pericoloso!
- Non mi va che per colpa mia sei quasi morto! - Alla fine lo sputò fuori fermandosi un istante per fissarlo dritto negli occhi ma lo sguardo che vi lesse, quella luce di stupore e di dolore gli fece a sua volta male, per cui riprese la sua marcia in giro per casa. Charlie però rimase fermo in mezzo alla stanza inebetito, capendo finalmente di cosa si trattasse.
- Ma… ma non sei stato tu a spararmi, non era colpa tua… - Sussurrò debolmente più incredulo che altro. Non poteva crederci che fosse per quello. Avevano affrontato il discorso mille altre volte, in passato, quando si era ritrovato in pericolo e Don si era chiesto se non dovesse proteggerlo allontanandolo dall’FBI. Ma lì era diverso.
Ora Don si stava chiedendo se per proteggerlo non dovesse allontanarlo da sé stesso.
Questo aveva la potenza di una bomba atomica per il più giovane che cominciava a non percepire più le stimolazioni nervose al cervello e quindi a non ragionare. Cosa grave per lui.
Don smise ancora la sua avanzata ma rimase a debita distanza con le mani piantate ai fianchi e l’aria cupa e tenebrosa che da anni non aveva.
- E’ stata per colpa mia e lo sappiamo bene entrambi. Siamo abbastanza grandi da non mentirci come dei bambini! -
Ok, si disse Charlie mordendosi l’interno delle guance nervoso, era vero quello che diceva ma non era un buon motivo per allontanarlo. Per lui non ce n’erano proprio, né di buoni né di pessimi.
- Non ha importanza, può succedere ma ora quelle persone non ti perseguiteranno più, non c’è più quel pericolo, non devi più pensarci! - Cercava di motivarlo alla meglio, non era facile con la mente nell’allarme più completo. Cominciava a sentirsi proprio male, lo stomaco stretto in una morsa nauseante, la gola con un nodo gigantesco, quella fastidiosa ondata che minacciava di uscirgli dagli occhi sotto forma di lacrime. Non voleva piangere, non davanti a lui. Voleva essere forte, fermo, deciso.
Don abbassò il tono diventando più dolce, pronto a continuare a scappare se si sarebbe riavvicinato.
- Finché faccio questo lavoro, finché prendo i criminali della peggiore specie che possono uscire da un momento all’altro o che magari hanno amici vendicativi, la situazione non cambierà mai. Io sarò sempre un bersaglio per quelle persone. E con me chi io amo. - Serrò la mascella e tese i muscoli fino allo spasmo, con la voglia matta di distogliere lo sguardo dal suo ferito non si mosse e concluse: - La cosa migliore è allentare il rapporto. Non sopporterei che ti sparassero di nuovo per colpa mia. Solo perché ti amo. -
Un doppio shock lo invase devastandolo e mandandolo storicamente in tilt.
Gli diceva che dovevano lasciarsi e allontanarsi e poi che lo amava.
E non poteva dirgli che lo amava dopo che dovevano lasciarsi.
Anzi, non poteva dirgli quella oscenità proprio per niente.
Nel sentirglielo, dopo lo shock iniziale qualcosa in lui si ribellò. Tutto il suo essere, ogni particella che lo componeva a partire da tutti i neuroni che trasmettevano mille e più stimolazioni e pensieri.
In sé improvvisamente non ci fu nemmeno una cellula calma e ragionevole, pronta a comprendere e a non reagire.
Tutto urlò, in Charlie.
Tutto.
Come non gli era mai capitato in vita sua.
- Tu… - Iniziò con voce bassa e tremante guardando in basso coi pugni stretti lungo i fianchi e le spalle alzate: - tu mi stai lasciando perché mi ami? - Era una di quelle cazzate immense che si assistevano nei film e che quando accadevano ci si rideva su. Ma rendersi conto che nella realtà c’era davvero gente che faceva così e trovarsi protagonista di tale pietoso scandalo, era davvero troppo.
Il silenzio di Don fu fin troppo eloquente, ma quando poi disse un teso e penetrante: - E’ meglio così. - la bomba in Charlie esplose e rapido come poche volte in vita sua era stato, fu davanti a Don che non ebbe nemmeno il tempo di allontanarsi. Rimase fermo immobile a sentire le sue mani artigliarsi sulle spalle nude, affondare nella carne e scuoterlo con violenza facendolo tremare.
- MA MEGLIO PER CHI?! MI HAI CHIESTO COSA VOGLIO IO, INVECE? PERCHE’ DECIDI SEMPRE TU PER TUTTI? SEMPRE DA SOLO! SEMPRE CONVINTO DI SAPERE TUTTO QUANDO INVECE NON SAI UN CAZZO! COME PUOI PENSARE CHE IO VIVA MEGLIO SENZA DI TE ORA CHE TI HO APPENA RITROVATO?  HAI SEMPRE VOLUTO LIBERARTI DI ME, HAI SEMPRE CERCATO DI ALLONTANARMI PER PAURA CHE MI SUCCEDESSE CHISSA’ COSA, MA LA VERITA’ FORSE E’ CHE TI SONO DI PESO! ALTRO CHE AMORE E AMORE! DI’ LE COSE COME STANNO INVECE CHE SPARARE PALLE COLOSSALI! -
Non solo usare quei termini non era da lui, ma nemmeno urlarli a quel modo. Don rimase allibito a subire la sua sfuriata, non l’aveva mai visto così fuori di sé e addirittura arrivare a dire che aveva sempre voluto liberarsi di lui… come poteva dirlo?
Charlie non era mai irragionevole, quelle erano cavolate…
Con una smorfia  incredula sul viso cupo, con la rabbia che si affacciava anche a lui sentendosi messo in dubbio a quel modo, lui ed il suo dolore nel fare la cosa giusta, la fatica nell’ammettere i sentimenti più intimi, reagì a sua volta e non molto bene. Del resto da Don ci si aspettava una cosa simile.
Prendendo Charlie per i polsi glieli strinse e avanzò spingendolo contro la parete lì accanto, gridando anche lui fuori di sé:
- COME PUOI DIRE CHE HO SEMPRE CERCATO DI LIBERARMI DI TE? NON SAI COSA STO PASSANDO! NON SAI QUANTO MI COSTA FARE COSI’! NON SAI CHE TORNANDO INDIETRO MI METTEREI IO SULLA TRAIETTORIA DI QUELLE DANNATE PALLOTTOLE?! COME PUOI ANCHE SOLO PENSARE CHE STO CERCANDO DI TOGLIERTI DI MEZZO PERCHE’ SEI UN PESO?! COME?! -
Vomitarlo furibondo a quel modo aggressivo, premendolo contro il muro, rendeva il fatto ancora più grave a sé stesso. Farlo uscire dalla bocca gli dava consistenza e pesava ancora di più.
Charlie però ormai si era scollegato e non sentiva ragioni nonostante di solito fossero le uniche cose ad ancorarlo al mondo.
Per nulla spaventato da quel modo che normalmente l’avrebbe bloccato all’istante, continuò a spingere invano finendo per venir schiacciato più di prima col suo corpo possente. Impossibilitato a muoversi continuò comunque a gridare furioso, cercando disperatamente di mettere fine a quell’incubo:
- ED IO NON POSSO SAPERE COSA PENSI SE NON ME NE PARLI MAI! DICI DI AMARMI MA HAI CONTINUATO COME SEMPRE AD ESCLUDERMI DALLE COSE IMPORTANTI. DALLE DECISIONI CHE TI DIVORANO. FINCHE’ NON MI RENDERAI PARTECIPE CHIEDENDOMI COSA VOGLIO E COSA PENSO, SARO’ SEMPRE CONVINTO CHE PER TE SONO UN PESO. CHE NON TE NE IMPORTA NIENTE!  -
Una pugnalata dietro l’altra le sue parole che per Don erano semplicemente terribili, visto l’inferno in cui era finito per decidere quello che aveva deciso.
Non poteva davvero dire quelle cose. Non poteva davvero ucciderlo così.
Entrargli dentro nella pelle e nell’anima e farlo a pezzi in quel modo.
Ma era una cosa vicendevole, il medesimo inferno che passava anche l’altro.
- NON PUOI DUBITARLO! NON PUOI DUBITARE CHE IO TI AMO! NON PUOI! -
- E ALLORA DIMOSTRALO IN MODO NORMALE! -
- QUESTO E’ IL MIO MODO! SE NON TI STA BENE MI SPIACE MA E’ QUESTO CIO’ CHE SONO! -
- NO, NO CHE NON MI STA BENE! NON MI STA BENE CHE PER AMARMI MI LASCI! NON LO CAPISCO ANCHE SE SONO INTELLIGENTE! LA LOGICA IN QUESTO MI SFUGGE! -
Don ebbe improvvisamente un insano istinto di prenderlo a pugni ma ogni muscolo teso di sé indicava lo sforzo immane nel trattenersi. Spingerlo con forza contro il muro bloccandolo, stringergli i polsi immobilizzandolo era un limitarsi per lui e per il modo in cui si sentiva.
- LA LOGICA E’ CHE NON VOGLIO CHE PER COLPA MIA TORNINO A SPARARTI! -
Ma Charlie non era mai stato tanto convinto di una cosa come in quel momento. Sarebbe morto pur di dimostrare che aveva ragione, non avrebbe mai ceduto. Mai. E giunto al limite massimo di sopportazione, non sapendo come farglielo capire, lo sparò disperato nell’ira più rossa:
- PER ME STARTI LONTANO EQUIVALE A MORIRE, COME PUOI NON CAPIRLO? -
Fu esattamente in questo istante che Don esitò trovandosi sconvolgentemente spiazzato, senza parole davanti a tale grido di disperazione pura. Gli occhi gli divennero improvvisamente lucidi, si morse con forza il labbro e il blocco totale lo colse mandandolo in blackout, nemmeno respirava. Charlie allora proseguì incalzante spingendosi ancora contro di lui, irremovibile come una roccia. Spaventato come un bambino. - CHIEDIMI COSA VOGLIO IO, DON! CHIEDIMELO! CHIEDIMI COSA PROVO PER TE! RENDIMI PARTECIPE! FAMMI SCEGLIERE! -
E sapeva bene che se non era Don convinto a farlo scegliere, era inutile che prendesse posizioni poiché sarebbe stato inutile. Però fino a poco tempo prima avrebbe creduto impossibile convincerlo a fare qualcosa che si ostinava a rifiutare.
Eppure era lì ad implorarlo, a gridargli di cambiare idea, di farlo partecipare. Sperando come non mai che lo capisse, che per una dannatissima volta in vita sua si piegasse.
Don ancora era come se non ci fosse, lo fissava negli occhi impalato davanti a lui, premuto ancora addosso, le mani a bloccare i suoi polsi ma la mente assente. Spaventata.
Più un automa che altro.
- Cosa… - Disse senza rendersene conto, senza avere idea di volerlo sapere veramente: - cosa vuoi?  -
E senza avere più la minima idea di come dirlo anche se l’aveva fortemente pensato fino ad un istante prima, fino ad impazzire, con la mente terribilmente vuota, pur immobilizzato da lui, Charlie si allungò il  possibile e con il viso arrivò a quello dell’altro.
E lo raggiunse lì, rigido, arroccato.
Posò le labbra sulle sue con dolcezza chiudendo gli occhi da cui si era accorto solo ora uscivano lacrime traditrici che bruciavano le sue guance.
Gli arrivava, così, il suo sentimento?
Lo sentiva?
Le sue labbra rimanevano serrate e dure ma le proprie con morbidezza e leggerezza continuarono ad accarezzargliele senza cedere, insistenti e sicure. Cominciò allora a inumidirgliele e quando sentì le mani sui propri polsi allentarsi, si liberò immediatamente sgusciando dalla sua presa ferrea per circondare il suo collo come fosse un ancora di salvezza. Lo strinse a sé continuando a riempire di piccoli baci la sua bocca ed il resto del viso ancora inamovibile, fermo in quel nulla dove probabilmente si stava sconvolgendo perché messo in discussione.
Ritornare sulle sue decisioni, rendersi conto che aveva sbagliato, che doveva cambiare idea era qualcosa che non aveva mai fatto e granitico com’era già solo il pensiero di farlo era faticoso. Riuscirci era tragico.
Ma il corpo di Charlie fu finalmente altrettanto libero di premersi di sua volontà contro quello resistente del fratello, morbidamente, gentilmente, dolcemente fino a fargli sentire tutto quello che provava lui, quell’amore che non era ancora riuscito ad esprimere a parole ma che doveva trasmettergli a tutti i costi.
Doveva sapere che non poteva rinunciare a quello. Che non c’era modo di spegnerlo ormai che glielo aveva acceso.
Doveva prendersi le sue responsabilità dopo tutto.
Nell’insistere, nel non mollare, nel stringersi a Don con fermezza e pazienza, nel rimanere ancorato a lui, finalmente lo sentì muovere impercettibilmente le mani rimaste a mezz’aria. Le sentì poggiarsi lievi sulla schiena.
Fu allora che semplicemente abbracciandolo, riuscì anche a dirglielo sul suo orecchio:
- Io ti amo Don… Non mi importa di essere in pericolo, so che mi proteggerai sempre, ma stando con me. Ti prego, non lasciarmi. - E quella piccola preghiera sincera, l’uomo più grande la sentì in profondità come una cura che levava tutto il dolore sentito.
In un attimo tutto fu spazzato via e capì che anche se cambiare idea non era facile, per Charlie poteva farlo.
Fu allora che lo strinse a sua volta con forza  senza l’intenzione di mollarlo mai più.
Charlie si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quel momento, in cui tornò a prendere ossigeno tornando un po’ alla vita anche lui.
La seconda risposta di Don fu il bacio che cercò e trovò un istante dopo, quando le loro labbra si riallacciarono di nuovo con una calma che sanciva quella specie di promessa, quella tregua sofferta. Quella pace meritata.
Allacciarono le loro lingue con dolcezza assaporando un bacio di cui avevano avuto davvero bisogno. Un bacio che poi si allungò mutando l’intensità che via via crebbe per la ricerca di maggiore contatto, maggiore pace, maggiore bisogno di fondersi l’un l’altro.
Desiderio che si concretizzò nelle mani di Don che dopo essersi infilate sotto la camicia sgualcita e aver accarezzato la sua pelle che rabbrividì al suo tocco, andò sul davanti a finire di slacciargliela.
Smisero di baciarsi prendendo respiro appoggiandosi fronte contro fronte, le dita di Don continuarono a scorrere sui bottoni fino a che non furono tutti aperti e le mani non si infilarono sotto raggiungendo le spalle e scendendo sulle braccia, facendogli cadere l’indumento che andò con un fruscio ai loro piedi.
Contemplò seccato la canottiera che aveva sotto ma decidendo di occuparsene dopo, riprese a baciarlo conducendolo febbrilmente al letto.
Che fosse tornato in poco tempo il solito Don deciso con le idee chiare che amava condurre, era fin troppo chiaro e di questo Charlie gliene fu grato, visto che si trovava meglio nei panni di quello che seguiva il condottiero piuttosto che in quello che lottava per fargli cambiare idea.
Si ritrovò sul suo letto col cuore che galoppava impazzito, rendendosi conto di cosa stavano per fare e che sarebbe stata anche la loro prima volta.
Ma se da un lato lo spaventava, dall’altro lo desiderava da matti, era arrivato ad un punto tale da lottare con unghie e denti per poter avere del tutto Don, quello era il completamento della sua volontà.
Sentendolo teso ed imbarazzato, Don decise di metterlo prima a suo agio e senza pensarci dalle labbra scese sul suo collo assaggiandolo, lo vide offrirsi istintivamente e un’ondata di piacere lo attraversò mentre cominciava a muoversi su di lui.
Gli alzò la canottiera e con l’accesso libero, scese lentamente continuando a succhiare piccole porzioni di pelle, con delicatezza le cicatrici della sparatoria maggiormente sensibili e piacevoli da leccare, fino a giungere sui suoi capezzoli che divennero in poco tempo duri. Senza fermarsi, continuò la sua discesa raggiungendo i suoi pantaloni e slacciati in poco tempo glieli sfilò dimenticandosi il suo bel proposito di mettere a suo agio il fratellino teso.
Non si rese nemmeno conto che mentre lo denudava completamente con una tale disinvoltura, quell’altro non respirava nemmeno.
Per non parlare di quando gli toccò dapprima con le mani e poi con le labbra il suo membro che in un paio di occasioni aveva già potuto deliziare.
Si accorse che era in difficoltà quando lo vide prendersi al lenzuolo sotto di sé.
Don in quello alzò un sopracciglio con ironia chiedendosi quanto ci avrebbe messo a toccarlo a sua volta, mettendolo alla prova continuò a leccare il suo sesso come non avesse fatto altro in vita sua, sapendo bene come lasciarlo al limite prima di farlo sfogare a pieno. Con una sorta di crudeltà non gli permise di raggiungere così presto il culmine, ma quando sul più bello fece per ritirarsi, finalmente le mani del ragazzo sotto di sé lasciarono il lenzuolo per andare sulla sua nuca e premergli la testa contro il proprio inguine eccitato.
Appena lo fece Don mugolò sorpreso e piacevolmente colpito, questo riportò alla realtà il professore che gemette in una sorta di scuse che non avevano senso e senza sapere che cosa fare, si ritirò di nuovo. Don sorrise languido e divertito, quindi risalì giungendo di nuovo al viso, lo contemplò con fare indecifrabile, assorbì la sua deliziosa timidezza e il suo mortificarsi per un gesto tanto audace, quindi lo tranquillizzò baciandolo.
E se con un bacio del genere avrebbe dovuto tranquillizzarlo, allora era da sperare che non volesse mai agitare qualcuno!
Iniziando con lentezza esasperante, andò in un crescendo erotico fino a succhiargli la lingua fuori dalle loro bocche, passando al labbro e poi al mento, concludendo sul suo orecchio mentre col bacino gli si strofinava contro, seppur separati dai jeans, e con la mano continuava a lavorare sul suo inguine già portato al limite poco prima.
- Finisci di spogliarmi… - Gli disse poi con voce roca e carica di desiderio. Charlie rabbrividì sia per quella che per ciò che gli disse, ma sgranando gli occhi in un attimo di confusione si rese conto che era anche una delle cose che sognava di fare da un po’.
Quando Don si tirò su, Charlie rimase un attimo steso a guardarlo inebetito e rosso, osservando la sua espressione che lo invitava a farsi avanti non resistette e con un certo imbarazzo si alzò a sedere slacciandogli impacciato la cintura che ancora indossava. Alzò gli occhi e lo vide carico di una malizia che ebbe il potere di devastarlo e scaldarlo brutalmente.
Di nuovo il caos lo invase insieme alla voglia di dargli piacere e di rivederlo nudo sopra di sé.
Non sapendo come fare, si affidò al proprio istinto e semplicemente continuò l’operazione, seppure sempre rigorosamente pieno di vergogna, sentendosi troppo audace e sfacciato.
Quando finalmente ci riuscì aiutato alla fine dal fratello che ebbe pietà di lui, se lo risentì addosso come una calda coperta sicura, lo avvolse istintivamente con le sue braccia mentre l’altro si reggeva per non pesargli completamente addosso.
Sentì di nuovo il suo sesso addosso strofinarsi contro, sentì la voglia di essere toccato, sentì la sua bocca che continuava a dargli sempre nuovi piaceri, la lingua che andava in zone che nemmeno sapeva potessero dargli così tanto piacere.
Cominciando a gemere, capì di essere lontano da sé stesso anni luce e senza ritrovarsi ma lieto di essere talmente vicino alla persona che amava, anche se lui non glielo chiedeva si fece forza e si decise a ricambiare il piacere che gli stava dando, quindi scivolò svelto in basso prima di cambiare idea e giunto davanti al suo membro eccitato prima lo toccò con timidezza acuta, esitante, leggero, poi quando la mano di Don andò sopra la sua indicandogli il modo giusto di farlo, con più decisione, stringendo senza paura, muovendosi con ardore, aggiunse la sua bocca finendo di nuovo nel caos più completo.
Ancora esitante, ancora senza sapere come fare, semplicemente lo fece incitato dalle mani del compagno che ancora una volta andarono fra i suoi capelli ingarbugliati premendolo contro il proprio inguine, indicandogli di non avere paura, di farlo con più decisione, che gli piaceva, che andava bene, che lo voleva e lo voleva di più.
Spinto dalle sue mute indicazioni che gli trasmettevano sicurezza, l’andatura di Charlie crebbe d’intensità, invogliato dall’aumentare anche per l’eccitazione che saliva nella sua bocca, sentendolo sempre più evidente pulsante.
Quando la voce roca e penetrante di Don riempì la stanza di gemiti di piacere, lui stesso sentì delle violente scariche elettriche e poco prima che raggiungesse il culmine, Don se lo staccò di dosso bruscamente facendolo rimanere decisamente male.
Vide come il suo viso era sotto sforzo e voglioso, quindi capì che si stava avvicinando il momento. Lo capì da come aveva ripreso a gestirlo come fosse una bambola nelle sue mani.
Era bello esserlo, farsi muovere da lui, fidarsi al punto da lasciargli fare qualunque cosa.
Don senza esitazione, col desiderio alle stelle, se lo riposizionò sotto di sé e scivolando fra le sue gambe che alzò per ottenere un miglior accesso, cominciò a stimolare la sua apertura con delicatezza e sicurezza allo stesso tempo.
Era un uomo rude, di solito, incapace di certe attenzioni, ma lì seppe essere giusto, anche se controllato a fatica visto che fosse stato per lui sarebbe semplicemente entrato.
Occupandosi di tanto in tanto ancora del suo membro sempre più eccitato, sentendolo contorcersi davanti a sé, sotto le sue mani, decise che era ora e senza aspettare più si sistemò meglio sopra di lui, appoggiandosi le gambe di Charlie sulle sue spalle e spingendosi con esse contro di lui di nuovo aggrappato al lenzuolo, pronto all’atto successivo.
Don prima di scivolare in lui gli sfiorò le labbra con dolcezza, quindi gli sorrise dolcemente, come raramente faceva, e dandogli quella calma interiore necessaria, entrò piano fermandosi subito per dargli il tempo di abituarsi.
Charlie provò un dolore lancinante e mordendosi il labbro tirò il lenzuolo, quando però Don cominciò lentamente a muoversi, uscendo e rientrando per farsi miglior strada in lui, dalla stoffa passò alle sue braccia possenti e ad ogni spinta più profonda, le sue unghie affondavano involontariamente di più attirandolo a sé.
Questi piccoli gesti passionali provocarono in Don un ulteriore piacere che lentamente gli fece perdere il controllo, fino a che le spinte non divennero più vigorose nonostante il dolore che gli procurava, aumentando il ritmo e l’intensità creò un miscuglio fra quello ed il piacere che lo confusero portandolo in un altro pianeta, dopo non capiva se stesse urlando per il male che sentiva oppure per il godimento.
Non ritrovandosi più completamente, con il cervello in fiamme, il corpo pulsante e la sensazione di essere finalmente un tutt’uno con Don, lo sentì gemere più forte che mai mentre lo vedeva sull’orlo della follia per lui, perché gli piaceva possederlo, essere in lui, e realizzando lontanamente che stavano facendo finalmente l’amore e che Don era in estasi per lui, cominciò ad andargli incontro nelle spinte, creando delle onde simbiotiche che colpirono il compagno sopra come dei cavalloni violenti.
Il piacere che provò lui fu tale da non avere paragoni precedenti e sconvolgendosi di spinta in spinta, si lasciò semplicemente andare alla follia che provava, senza capire perché mai prima aveva cercato di privarsi di tale benessere.
Anche lui si trovò sbalzato fuori di sé, ben lontano da lì, ma trovandosi col ragazzo che amava non se ne curò e continuò aumentando di più, sempre più, fondendosi totalmente con l’altro, cercandolo, trovandolo e inglobandolo in sé.
Fino a raggiungere il culmine in un tuffo che fece perdere entrambi per un lungo momento.
Un momento introvabile afrodisiaco che non avrebbero mai dimenticato e mai definito.
Rimasero immobili ansimanti coi copri umidi e pulsanti, tremanti, tesi, poi sfiniti si sciolsero ricadendo stesi sul letto, Don sulla schiena che si tirò addosso uno sconvolto Charlie che non riusciva ancora a ritrovarsi ma che si aggrappava a quello che per lui sarebbe sempre stato la sua ancora.
Ora, entrambi lo sapevano, non avrebbero mai potuto separarsi./

Quando gli occhi castani velati di sonno di Charlie si aprirono, trovarono quasi subito quelli più svegli carichi di sicurezza di Don che lo guardava da un po’.
Sorrise in un buongiorno che non disse e con un lontano ricordo della sera precedente, quando aveva perso le staffe come non mai, realizzò che quello era solo un brutto ricordo a cui però si aggiungeva quello più bello in assoluto.
Quando unendosi si erano promessi di non separarsi più, accettando il bene ed il male che sarebbe arrivato.
Da quel momento poteva davvero partire una nuovo capitolo.

FINE