CAPITOLO IX:
FANTASMI DAL PASSATO

/Set the controls for the Hearst of the sun - Pink Floyd/

E poi, dopo un paio di settimane passate le quali Don si era ripreso ed era tornato a lavorare al suo solito pieno ritmo, mentre la sua relazione con Charlie proseguiva più che bene, un fulmine percorse il cielo preceduto da un lampo e seguito da una tempesta orrenda.
Il lampo altri non era stato che quella cartellina fra le sue mani, consegnata da un agente di laboratorio che stava esaminando alcune prove inerenti al nuovo caso.
Don scorse velocemente i riscontri sperando in qualcosa che lo portasse sulla giusta pista e quando lesse con quale altro caso era collegato, il tempo gli parve si bloccasse.
A raggiungerlo fu Colby interessato anche lui al risultato. Pensando di aver trovato qualcosa, sbirciò chiedendogli distratto cosa ci fosse, l’altro non rispose.
A fuoco era impresso nella sua mente il numero dell’indagine che aveva dato riscontro con la comparazione della pallottola rinvenuta nella loro vittima.
- La pistola che ha sparato è già stata usata! - Esclamò Colby con un pizzico di gioia. Guardò Don ancora ammutolito che non dava già ordini a destra e a manca e capì immediatamente che quel caso doveva ricordargli qualcosa di importante. - Che indagine era? -
Come dimenticare quei numeri?
Solo semplici numeri che catalogarono qualcosa che l’aveva segnato profondamente.
Lapidarie le sue parole arrivarono ed ebbero l’effetto di un fulmine prorompente che elettrizzava chiunque nelle vicinanze:
- Quella della morte dei miei veri genitori. -
Colby a quel punto impallidì di rimando, ricordandosi immediatamente di quello che era girato quando era arrivato nell’unità… ovvero che Don era stato adottato da Alan Eppes che aveva fornito al figliastro una nuova identità a causa della terribile morte dei suoi veri genitori. Assassinati.
- Il caso non è archiviato… - Lesse non avendo idee più precise su come si fosse risolta la situazione all’epoca. Naturalmente non aveva mai osato chiedere anche se avrebbe voluto saperne di più, sembrava come che le informazioni personali su di lui fossero proibite a chiunque, l’unico modo di saperle era chiedere al diretto interessato, rischio che nessuno osava correre!
- Non è mai stato risolto. - Disse allora senza esserne conscio, sentiva solo con una piccola parte della sua testa quel che gli diceva, con la maggior parte lottava per non ricadere nel solito vortice di ricordi che dopo tutti quegli anni di vita felice, era anche riuscito a scordare!
- Non hanno mai trovato il colpevole? - Domanda retorica che dimostrò lo stupore e l’impazienza di Colby. Non ci stava molto a dire quel che pensava!
Don allora rispose con un mugugno incomprensibile, quindi chiudendo la cartellina, se ne andò diretto alla propria scrivania con la scusa di spolverare i dati vecchi.
Non si sarebbe scucito di più e proprio come di consueto, per lui, avrebbe trattenuto tutto dentro da bravo fino a che non sarebbe scoppiato… o magari non avrebbe trovato delle risposte soddisfacenti in grado di risolvere il caso!
Spesso accadeva la seconda ma non era detto che invece non perdesse semplicemente la testa al culmine della situazione.
Colby sospirò scrutandolo, quindi con un’espressione preoccupata e poco convinta andò a cercare David per parlare del da farsi.
Non era certo l’ideale che Don continuasse a dirigere l’indagine!

Fu come catapultarsi indietro nel tempo, quando era solo un bambino troppo piccolo per ricordare tutti i dettagli ma troppo grande per dimenticare la tragedia.
Perché era stato risparmiato?
Non l’aveva mai capito.
Ogni giorno se lo era chiesto fino a che non aveva cominciato a stare bene con la sua nuova famiglia. Era stato una specie di miracolo ed ora doveva riaffacciarsi a quell’inferno.
Nessun sospetto.
Nessuna pista.
Solo quella pallottola di una pistola a nome di nessuno usata unicamente per uccidere i suoi genitori.
Perché?
Anche quella domanda era stata la sua litania infinita e per quanto da grande avesse esaminato in segreto mille volte il caso e le prove ottenute, non aveva mai scoperto nulla.
La sua mente era una tabula rasa, non riusciva a ricordare un viso o un particolare utile.
Solo quell’odore di sangue, l’odore della morte che si sarebbe riflessa nei suoi occhi a lungo.
La sua stessa oscurità era stato di forte disagio per tutti quelli con cui aveva avuto a che fare, Charlie stesso non era riuscito ad arrivare a lui per molti anni, fino a che, lavorando insieme, non si erano letteralmente scoperti ed innamorati.
Sembrava una favola… eppure lo sarebbe potuto essere se per lo meno avessero trovato gli assassini.
Sì, perché almeno quello lo ricordava, oltre all’odore.
Le voci.
Erano due.
Uomini non molto vecchi, di poche parole. Non avevano dato nemmeno una spiegazione.
Si era nascosto, certo, non l’avevano visto, ma poi le notizie avevano riportato su tutte le televisioni che c’era stato questo bambino sopravvissuto al massacro.
Perché non l’avevano ritenuto pericoloso?
Magari avevano creduto fosse troppo piccolo per aver capito qualcosa, o forse i programmi avevano detto che al momento della strage, il piccolo Don non era in casa.
Qualunque fosse il motivo, non vennero a cercarlo o forse chi lo proteggeva fu talmente bravo da riuscire a tenerlo lontano da loro fino a che non riuscirono a far perdere a chiunque le sue tracce.
Una volta adottato avevano fatto in modo che la sua vera identità venisse cancellata, era diventato un Eppes ed aveva cominciato una nuova vita.
Semplice.
Ma quell’odore, quelle voci e quella visione…
I suoi genitori morti, il sangue che li ricopriva, lui stesso che toccandoli se ne macchiava.
Per anni aveva sognato quel momento e si era rivisto le sue mani rosse del loro sangue, nel cuore della notte, senza gridare o chiamare nessuno, e semplicemente si alzava e andava a lavarsele convinto che bastasse questo.
Si era esercitato bene a tenere tutto per sé per non far preoccupare nessuno, comunque non sarebbe stato capace di spiegarsi, non sapeva come dire quel che lo divorava e cosa aveva visto e provato di preciso. Aveva paura di riviverlo di nuovo, parlandone.
Poi la dolcezza di sua madre e la forza di suo padre, anche se non erano quelli veri, l’avevano aiutato e non sapeva nemmeno lui come, ma quei sogni erano diminuiti e poi, semplicemente, aveva cominciato a dimenticare ciò che gli faceva visita la notte.
Si svegliava convinto di non aver nemmeno sognato e tutto proseguiva regolare.
Ora avevano tornato a colpire, magari era solo la stessa pistola, magari era un caso che la vittima fosse finita nella sua indagine, magari, invece, l’avevano trovato e stavano solo attuando il piano per togliere anche lui di mezzo.
Finché era piccolo che pericolo poteva essere?
Ma ora era un agente dell’FBI che finiva spesso nei giornali per i casi che seguiva e risolveva.
Le cose erano cambiate eccome.
Non seppe quanto rimase lì davanti al monitor a guardare e riguardare tutte le prove che lo riguardavano e a pensare a ruota libera a quel passato remoto, ma fu interrotto dall’unica voce che inconsciamente aveva sperato di sentire.
Charlie.
- Colby mi ha detto… - Disse precipitandosi trafelato da lui, Don alzò lo sguardo accigliato e lo vide in ansia e pallido.
Charlie sapeva poco della morte dei suoi genitori, solo che, per l’appunto, erano stati uccisi e che non erano mai stati trovati i responsabili.
Non servirono parole ulteriori, i loro sguardi si capirono al volo e Don vide quanto male già stava l’altro per lui, sapeva tutto quello che la sua mente velocissima stava elaborando per impensierirlo ulteriormente.
Si alzò di scatto e prendendolo per le spalle con decisione, lo precedette dicendo con fermezza, mascherando tutta la sua tempesta interiore:
- Charlie, va tutto bene, non è ancora successo nulla! E’ solo il riscontro delle pallottole, non è detto che siano proprio loro o che cerchino me nello specifico. Non hanno fatto nessuna mossa che ci faccia capire il collegamento fra… - Ma non riuscì a finire e non ce la fece perché quegli occhi castani erano terrorizzati all’idea che invece potesse esserci eccome, il collegamento.
E quelle dannate teorie non lo lasciavano in pace… matematica inoppugnabile che aveva sempre ragione!
- Non ci sono mai stati sospettati ed anche ora non ce ne sono, è troppo presto per giungere a qualunque conclusione! - Si affrettò a concludere Don, domando a stento l’istinto fortissimo di abbracciarlo e rassicurarlo come avrebbe voluto.
Sembrava davvero spacciato, a guardare la sua reazione ansiosa.
Charlie esagerava, doveva pensarlo o non sarebbe più andato avanti, si trattenne ma non si staccò da lui fino a che non lo vide sforzarsi di tranquillizzarsi, per lo meno doveva provarci e Don aveva ragione.
Non c’era ancora nulla di certo che collegasse i due casi, a parte quella dannatissima pallottola!
E non era abbastanza?, si disse mordendosi il labbro esprimendo ancor meglio la sua titubanza.
Il compagno sospirò capendo che non l’avrebbe mai convinto, quindi decise che per lo meno doveva cercare di destare la sua voglia di fare calcoli… di solito funzionava!
- Ascolta, ho bisogno che mi aiuti col caso. Probabilmente a momenti me lo toglieranno, ma fino ad allora voglio indagare e scoprire più cose che posso. Questo è quello che abbiamo raccolto dalla scena… - Disse consegnandogli una cartellina con diverse carte e fotografie dentro, Charlie la prese e l’aprì senza vederla davvero, con ancora quel solco che attraversava la sua fronte: - puoi fare qualcosa? - Era più un ‘puoi fare qualcosa per me?’, Charlie lo percepì in quel modo e sospirando un paio di volte per cercare la calma, capì che quell’agitazione non l’avrebbe aiutato e che valeva la pena dargli retta ed essere utile, almeno fino a che le cose non sarebbero precipitate.
- Va bene. - Rispose con un filo di voce, rendendosi conto del suo pessimismo cosmico.
Don tentò un debole sorriso poco convinto, quella nube che oscurava il suo volto la riconosceva molto bene, Charlie.
Era la stessa che aveva avuto da quando l’aveva conosciuto per un bel po’ di tempo.
Come dimenticarlo?
Rabbrividendo si trovò stupidamente a sperare una sola cosa: che nessuno glielo avrebbe mai riportato via.
Sperare non era da lui e si sentì a disagio, ma non fu in grado di fare altro mentre lo vedeva allontanarsi per lavorare imperterrito.
Rabbrividì con una terribile sensazione addosso.
Non gli piaceva quella situazione, per niente.

Quando entrò in casa sua con la propria copia delle chiavi, trovò Don seduto sul divano, coi gomiti sulle ginocchia e il mento poggiato sulle mani incrociate a fissare nel vuoto davanti a sé. La sua aria vacua, la fronte aggrottata. Immobile.
Per un attimo ebbe un tuffo al cuore credendo assurdamente che fosse stato pietrificato in qualche modo scientifico assurdo, ma poi notò gli impercettibili movimenti della schiena che indicavano i suoi respiri lenti e regolari.
Era semplicemente con la testa da un’altra parte ed il fatto che si fosse isolato senza dire nulla, gliene dava conferma.
Non poteva fare nulla per il caso sul quale non avevano sviluppi, non aveva nemmeno il diritto di convincersi di essere in pericolo o dannarsi per prendere i colpevoli. Però non riusciva a fare a meno di pensarci in maniera ossessiva.
Come quando era piccolo, appena arrivato da loro, e lui lo spiava di nascosto senza capire a cosa pensasse così tanto ed in quel modo cupo.
Non aveva mai osato chiederglielo e non l’aveva mai capito, ma ora era diverso. Ora ci riusciva. Non gli serviva indagare, sapeva già a cosa pensava.
Si sedette rendendosi conto di essere teso in ogni fibra e che continuando così, probabilmente, non sarebbe stato di molto aiuto.
Voleva dire qualcosa ma la sua mente, al momento, era piena di nozioni matematiche una più catastrofiche dell’altra. Il punto era che non ne sapeva abbastanza della tragedia dei suoi veri genitori, per questo non poteva azzardare teorie e soluzioni probabili, ma solo imprecise e questo lo mandava fuori di testa visto che era di Don che si parlava e non di uno qualsiasi.
Voleva solo essergli d’aiuto a trovare gli assassini dei suoi genitori, cosa c’era di male?
Possibile che non c’era un modo per farcela?
Nonostante ci avesse lavorato ininterrottamente tutto il giorno, non aveva trovato nessun risultato degno di nota e si era trovato ad essere più allucinato che mai.
- Novità? - Chiese allora Don rendendosi conto della sua presenza, non distolse ancora lo sguardo dal vuoto ed il suo tono rispecchiava i suoi occhi castano scuro.
- No… nulla di rilevante per… - Non sapeva nemmeno come chiamarlo, era solo visibilmente preoccupato e questo era quanto. Trapelava da ogni parte di sé, a partire dalla sua voce.
- Non c’è mai stato nulla di rilevante. - Disse allora Don senza stizza, solo con ferma e tetra riflessione. Sembrava più pensasse ad alta voce ma il fatto che condividesse con Charlie, lo fece sentire importante: - Né allora, né tutte le volte che le strade sembravano incrociarsi con loro, né adesso. Hanno sempre potuto finirmi quando volevano, sono professionisti, hanno in pugno la situazione. Se nonlo fanno è solo perché pensano che non valga la pena… o che hanno un momento migliore per finire il lavoro! - Si fermò, ancora gli occhi vuoti persi, ancora la sua voce sussurrata e penetrante, lapidaria: - Ma lo faranno. L’ho sempre saputo. - Charlie sospese il fiato e probabilmente anche i suoi battiti, lo guardò accigliato e angosciato, capendo quanto ragione avesse. Si chiese anche come avesse fatto a vivere con questi pensieri tremendi tutti quegli anni, poi Don gli rispose indirettamente: - Sono preparato. Ho vissuto per il momento in cui mi avrebbero trovato per finirmi. Li aspetto da anni. Quando verranno li accoglierò come meritano. - Quando concluse, i suoi occhi cambiarono espressione, diventando taglienti, tenebrosi e feroci. Una minaccia che fu una certezza. Ci sarebbe riuscito eccome!
Charlie se ne spaventò e seppure avrebbe solo voluto toccarlo e abbracciarlo, non osò farlo, fu Don a prendere l’iniziativa e come se si destasse da un lungo sonno tormentato, finalmente si girò a guardarlo.
I suoi occhi scuri erano ancora pieni di quella cupezza che ferì il giovane trovatosi a trattenere il fiato spaesato.
Si rese immediatamente conto del suo stato d’animo e non ci volle che un istante per capire che il colpevole di tanto spavento e ansia era proprio lui. Strinse le labbra dispiaciuto, quello sarebbe stato il massimo delle sue scuse e Charlie lo capì, quindi si sforzò di accennare ad un debole sorriso. Don notò l’intenzione e gli bastò, quindi lo circondò con un braccio e attirandolo a sé con decisione, gli posò le labbra sulle sue approfondendo subito un bacio che seppe immediatamente di bisogno e disperazione.
Un ancora sulla realtà per Don mentre Charlie lo percepiva come una specie di addio.
Non fu un bacio spinto, audace o passionale. Nemmeno dolce o protettivo.
Gli mise addosso una tale tristezza e nostalgia che gli fece bruciare gli occhi stretti.
Si aggrappò istintivamente alla sua maglia e si premette addosso.
Sentì il suo sapore nella bocca e gli ricordò l’amaro.
Fu il bacio più terribile della sua vita.
“Non sarà il nostro ultimo ricordo, vero?”
Se fosse stato uno che credeva in Dio, l’avrebbe pregato affinché non lo diventasse, ma lì poté solo sconvolgersi di quella sensazione tremenda che gli attanagliò uno strano posticino dentro di sé.