CAPITOLO XI:
DIAVOLI E ANGELI

“Dio ci benedica tutti
Siamo un popolo distrutto che vive sotto una pistola carica
E non può essere sconfitto
Non può essere battuto
Non può essere sopraffatto
Non può essere superato
No

Come ricordi in un freddo decadimento
Trasmissioni che riecheggiano lontano
Lontano dal mondo di te e me
Dove gli oceani sanguinano nel cielo”


/The catalyst - Linkin Park/
Davanti ai tuoi occhi.
È lì.
Devi solo allungare una mano e prenderlo.
E salvarlo.
Ma non ci arrivi.
Lo sfiori e basta e quando capisci che non riuscirai a prenderlo, ti rendi conto che è la fine.
E inizia l’inferno.

Don lo precedeva di qualche passo, fremeva per arrivare all’FBI e metterlo in salvo, quando lo sentì dire urgente:
- Ho dimenticato una cosa importante, devo tornare indietro… -
Si fermò ordinando un ‘no’ secco che non fu ascoltato, Charlie si era già avviato per rientrare nell’edificio dell’università davanti alla quale ora si trovavano, poco prima di giungere alla macchina.
Cosa diavolo poteva essere di così importante da farlo tornare indietro in un momento simile?
Il fatto di essere ignorato e di vederlo correre dentro da solo, gli creò un moto di rabbia che lo fece gridare con uno scatto di nervi:
- CHARLIE, NON DEVI MUOVERTI SENZA DI ME! - Molti degli studenti che erano lì intorno si voltarono per vedere di cosa si trattava, anche Charlie si fermò a qualche metro da lui. Si girò e lo guardò pensando per assurdo, per uno stupidissimo momento, che quella poteva essere intesa come una dichiarazione ufficiale detta da uno come Don che aveva un linguaggio tutto suo.
Gli ordini li dava chiari e tondi ed anche gli insulti, se si trattava di complimenti e ringraziamenti, però, quello era tutto un altro paio di maniche.
Trovò appropriato, Charlie, fermarsi e guardarlo per rassicurarlo, per dirgli che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi e che sarebbe tornato subito.
Ma non fece in tempo a dirlo, riuscì solo a regalargli uno sguardo sicuro e felice di essere con lui e di avergli sentito urlare una frase simile.
Fu in effetti una frazione di secondo.
E poi quella dannata macchina nera dai finestrini oscurati passò dalla strada che faceva angolo con quella in cui erano loro, a poca distanza , o forse troppa, o forse semplicemente la necessaria.
Passò andando piano.
Passò abbassando quei finestrini neri.
Passò scaricando l’inferno.
Don non aveva percepito nulla se non ciò che sentiva da quando aveva appreso che Charlie poteva essere un bersaglio per colpa sua, però dentro di sé non aveva mai smesso di essere all’erta.
Sperare di esserci e di essere all’altezza, improvvisamente, era diventata la cosa più stupida, assolutamente insufficiente.
Eppure era tutto, ora.
Il primo sparo arrivò ed andò subito a segno trovando il varco necessario fra tutti gli studenti che c’erano.
All’inizio andò tutto al rallentatore.
Vide il torace di Charlie bucarsi con un qualcosa di un diametro molto piccolo.
Lo vide piegarsi in avanti con dei riflessi incondizionati, prima ancora che il ragazzo potesse effettivamente sentire qualcosa, provare dolore, capire cosa succedesse.
Vide il suo sguardo confuso e improvvisamente spaventato.
Vide i suoi occhi cercarlo, il braccio allungarsi davanti a sé, la mano tendersi verso di lui.
Vide poi sé stesso fare altrettanto, agghiacciato, ancora in piedi, impossibilitato a muoversi.
Vide mentre cercava di prendere la sua mano per tirarlo via dal tiro.
E vide mentre non riusciva ad arrivarci per il secondo sparo che lo colpì alla spalla facendolo definitivamente accasciare a terra troppo lontano da sé.
Dannazione, solo pochi metri, solo un paio di falcate, solo un ordine gridato un secondo prima e sarebbe arrivato a lui.
Quando si rese conto che non ci sarebbe riuscito, l’ondata gelida lo scollegò istantaneamente col mondo e provò la paura più pura, paura che non aveva mai provato nemmeno nei momenti peggiori che aveva affrontato. Ed erano stati molti.
Prima che si ordinasse di reagire e riprendersi, il suo corpo aveva cominciato a fare tutto da solo registrato il meccanismo in casi simili.
Si era buttato a sua volta a terra dietro al primo riparo disponibile, un fottutissimo albero che stava fra lui e quella macchina dannata ferma là a sparare.
Sparare ancora.
Su chi, cazzo?
Charlie era a terra in mezzo all‘inferno, era ferito… ma si muoveva, gridava.
Gridava!
Era ancora vivo.
Lo volevano finire?
Erano lì solo per suo fratello, proprio come aveva immaginato?
Oppure volevano concludere i conti una volta per tutte e far fuori anche lui?
Realizzando che avevano davvero scelto la persona per lui più importante, il gelo e la paura vennero spazzate via in un attimo lasciando il posto ad un devastante fuoco, un furore che lo invase bruciando ogni connessione, lanciandolo come un diavolo a sparare sulle macchine mentre sperava che qualcuno chiamasse i soccorsi, che i suoi fossero ancora vicini tanto da sentire gli spari, che nessun altro si mettesse in mezzo venendo inutilmente ferito.
Che Charlie rimanesse ancora vivo.
Charlie.
La sua voce la sentiva ancora, cosa diavolo stava dicendo?
Il mondo andava alla velocità della luce, ora, e i rumori di spari erano serrati e continui, ma per quanto poteva andare avanti?
Fra un pensiero pratico e l’altro infuriato, cercava di sentire il suo ragazzo che stava gridando con una tale disperazione, dolore e paura da fargli accapponare la pelle.
Gridava.
Gridava il suo nome.
Lo chiamava col terrore addosso implorandolo di raggiungerlo e stare con lui come gli aveva promesso, di aiutarlo, di salvarlo, di non lasciarlo solo, di risolvere anche quel casino.
Lo chiamava e basta, come fosse una formula magica, come fosse Dio, come se potesse fare un miracolo.
Di rimando non gli rimase che rispondere alla sua chiamata allo stesso modo, cercando di metterci tutta la sicurezza che aveva in corpo, per non lasciarlo terrorizzato, per rassicurarlo, per fargli capire che era lì e che anche se non poteva ancora raggiungerlo, non l’aveva abbandonato.
Stava combattendo per lui.
Per il suo angelo.
Stava combattendo come un diavolo con le fiamme ad incendiargli l’animo, il cuore e la mente.
Urgenza di finirla in fretta, di farcela.
Mentre tutt’intorno studenti e persone si erano abbassate e gridavano creando un baccano dell’accidente, mentre a gran voce Charlie chiamava Don e Don chiamava Charlie, mentre soffrivano entrambi per motivi diversi, mentre il più grande dei due sparava ancora, si riparava e tornava a sparare di nuovo ricevendo altrettante pallottole che si conficcavano nel tronco, sfiorando il corpo atterrato del più piccolo, mentre l’inferno li circondava, tutto ciò che potevano fare era pensare l’uno all’altro.
Un attimo per guardarlo non c’era, un attimo per correre da lui non c’era.
Li aveva lì, erano i bastardi che avevano ucciso i suoi veri genitori e che l’avevano braccato per tutti quegli anni.
Erano i bastardi che stavano facendo del male a Charlie steso a terra in mezzo all’inferno, con le pallottole che volevano sopra di lui.
E non ci arrivava, dannazione.
Non poteva farcela. Erano in macchina, potevano andarsene quando volevano.
Non poteva farcela.
Era solo e lui voleva arrivare a suo fratello, alla sua vita, al suo amore.
E non ci arrivava.
Non poteva.
La follia allo stato puro, dopo la paura più nera.
- DON! DON AIUTAMI! DON TI PREGO! - E poi solo e semplicemente: - DON! - Senza riuscire a chiedere nulla.
Volerlo solo semplicemente lì con lui.
Con la paura che attanaglia, che divora, che paralizza, che fa impazzire.
Il dolore che mangia.
Il furore che esplode.
E finire le munizioni, e tirare giù il cielo, e mandare tutto al diavolo, e correre lo stesso fuori dal suo rifugio di fortuna, e correre incontro alla sua morte, forse, pur di arrivare a lui.
E correre più veloce che mai in mezzo agli spari fregandosene di dargliela vinta e finire ucciso.
E correre e venire strisciato dalle pallottole e rischiare tutto pur di raggiungere lui, anche senza riuscire a combinare qualcosa di utile, anche senza cavarsela. Solo per riuscire a toccargliela, quella maledetta mano, a cui prima per una frazione di secondo non era riuscito ad arrivare.
E arrivarci, coprirlo col suo corpo ancora miracolosamente intero.
Coprirlo e proteggerlo con l’ultima cosa che era rimasta, chiudendo gli occhi, sentendolo vivo, tremante, piangente, sanguinante sotto di sé che ancora lo chiamava, ma questa volta più flebile, meno impaurito, meno disperato.
Per un attimo il tempo osò fermarsi, Don si rese conto di non sentire niente, di aver escluso tutto il mondo fuori, di non avere concezione di spazio, di suono e di corpo. L’avevano ucciso?
Aprì gli occhi e come se fosse una situazione normale, come se non fosse successo niente, come se fosse l’occasione giusta, come se non ci fosse l’inferno fuori -anche se non sapeva più cosa succedeva- lo guardò.
Charlie era ancora terrorizzato, pallido, si teneva il petto e la spalla sanguinanti, tremava ma lo guardava. Non gridava più, non lo chiamava più.
E poi, come se fosse il momento ideale e nessun altro migliore di quello, Don gli sorrise dolcemente come non aveva mai sorriso a nessuno, nemmeno a lui.
Per Charlie fu come trovarsi davanti ad un angelo, un angelo sceso all’inferno solo per lui, per salvarlo.
In quel sorriso ed in quello sguardo seppe con certezza che ce l’avrebbe fatta.
Fu il rumore fragoroso delle gomme che fece riscuotere Don, quando si tirò su vide che l’auto se ne stava andando e lì, esattamente in quell’istante, con Charlie finalmente calmo ma seriamente ferito, sapendo perfettamente che se se ne sarebbero andati ancora non li avrebbe più rivisti chissà per quanto e l’avrebbero fatta franca senza pagare per il loro scempio, sentendo qualcuno avvicinarsi dicendo che aveva chiamato i soccorsi e chiedendo notizie sul ferito, esattamente lì Don decise.
Decise sentendo la voce flebile ma decisa del suo ragazzo dire:
- Vai e finiscili una volta per tutte. -
Decise che aveva ragione e che uno che feriva il suo amore dopo aver ucciso i suoi genitori e rubatagli la vita, non poteva anche riuscire a scappare.
- Torno subito. - Lo disse serio, risoluto e spaventoso, come se fosse vero.
Come se fosse realtà pura.
E con uno scatto che nessuno gli aveva mai visto fare, e di scatti ne faceva molti ed anche buoni, si alzò precipitandosi nella sua macchina a poca distanza da loro.
Lontanamente si sentì un verme verso il suo ragazzo, ma non poteva farla passare liscia a quella feccia, non poteva.
Anche se era solo e non sapeva nemmeno se la pistola di riserva era ancora nel cruscotto della sua macchina, anche se Charlie era ferito.
Non poteva lasciarli andare.
Avrebbero pagato ad ogni costo.
Dovevano.
Avevano ammazzato i suoi genitori, porca puttana. L’avevano quasi fatto con la persona che amava di più adesso.
Sempre sotto i suoi occhi.
Sempre immancabilmente a mostrargli le loro porcherie.
E quando fu in macchina a correre a rotta di collo, si sentì di nuovo quel fuoco dannato dentro a divorarlo, a montarlo, a farlo impazzire dalla rabbia.
A trasformarlo di nuovo in quel diavolo che era stato prima. Il diavolo che li avrebbe fermati.
Spinse sull’acceleratore e stette dietro per un po’ alla macchina, mandò oltre ogni limite il mezzo seguendo quello davanti a sé e solo quando capì che strada stava cercando di prendere, non ci pensò su un attimo e svoltando in un’altra prima di quella, volò per la scorciatoia che nella sua mente sapeva esattamente dove sarebbe spuntata.
Un azzardo necessario.
Ragionava ma fino ad un certo punto.
Era più che altro istinto, mentre l’immagine dei suoi genitori morenti tornava vivida insieme a quella di Charlie e alle sue urla mentre lo chiamava.
Non si sarebbero salvati.
Quando spuntò nell’altra via, vide da lontano solo l’ombra scura di un mezzo che attraversava veloce.
Poteva aver scommesso male, aver fatto male i calcoli, aver sbagliato veicolo.
Don non rallentò.
“Non sopravvivrete, bastardi figli di puttana!”
Aumentò la velocità e portando la sua macchina al massimo andò dritto dritto a schiantarsi di proposito contro quell’unico mezzo che si era frapposto sul suo cammino, convinto fossero loro.
Non ebbe un solo dubbio.
Il botto che scaturì dallo scontro fu clamoroso, entrambi i mezzi si fermarono incastrati l’uno contro l’altro, il fumo si levò offuscando la visuale, gli airbag bloccarono i movimenti.
Stordimento.
Sapeva che avrebbe potuto ammazzarsi ma non gliene era importato se per quello si sarebbe portato dietro anche quei figli di puttana.
Quando nel caos totale che era la sua mente che non gli rimandava nemmeno delle sensazioni precise del proprio corpo, aprì gli occhi capendo di essere a malapena vivo, li cercò oltre il cofano.
Vide che con lo scontro violento li aveva schiacciati contro il muro dietro bloccandoli e impedendo ogni uscita.
Non sarebbero scappati.
Almeno loro non sarebbero scappati.
Piegandosi con forza d’inerzia, sforzandosi di pensare costantemente a Charlie e rimanere cosciente anche se la testa voleva già esplodergli e dargli sollievo facendolo svenire, si piegò nel cruscotto accanto e tirò fuori la pistola di riserva che per fortuna teneva ancora lì in caso di necessità, la prese e con mille smorfie, trattenendo delle urla per i dolori lancinanti che provava non sapeva nemmeno bene dove, si trascinò fuori puntando la pistola contro gli individui che erano nell’auto davanti, completamente distrutta, più della sua.
Non riuscì a parlare ma quando vide che solo il passeggero davanti era vivo anche se agonizzante, mentre gli altri erano svenuti schiacciati e malmessi, e forse qualcuno anche morto, capì che la sua guerra personale, finalmente, l’aveva vinta lui. Era riuscito a cogliere l’unico attimo in cui erano venuti allo scoperto, troppo sicuri di loro stessi per immaginare che Don avrebbe inseguito loro invece che soccorrere suo fratello.
A quel punto, nel silenzio innaturale dopo il caos apocalittico e l’inferno a cui aveva assistito, di cui era stato protagonista, guardò in alto.
Solo quello.
Sicuro che i suoi genitori finalmente fossero fieri di lui.
L’uomo ferito svenne e lui, dopo essere riuscito a chiamare appena Colby per indicargli dove venire, fece altrettanto accasciandosi in strada senza più forze, solo un fortissimo dolore a… bè, non riusciva proprio a capirlo.