UNO CONTRO L’ALTRO

PROLOGO:
ROVESCIO

/ Assassin  - Muse  /
“E’ un caldo bruciante e soffocante, di quelli che non perdonano. Non puoi stare sotto questo sole senza coprirti da capo a piedi, altrimenti ti sciogli come il pupazzo di neve in una serra di fiori tropicali.
Inoltre qua si coprono tutti in modo uguale, ne vedi uno ne vedi tutti, anche gli stranieri sono fatti in serie!
Così, da lontano, non li distingui.
Però che quello sia Gibbs non ho il minimo dubbio e la scena che a poca distanza si è consumata davanti ai miei occhi, mi ha lasciato a dir poco agghiacciato.
Eppure qua si soffoca di caldo, siamo in Messico, dopo tutto!
Perché mi sembra di essere stato trapassato da parte a parte da mille lame di ghiaccio?
Ora so come si sentono le statue!
Un uomo in ginocchio, implorante, disarmato, con le mani alzate in alto, fuori combattimento e Gibbs - e ogni tanto vorrei avere dubbi e non riconoscerlo anche fra mille tutti uguali - davanti a lui che dopo averlo guardato fisso, senza fare la minima piega, preme il grilletto e spara.
Lo uccide.
Così, sotto i miei maledetti occhi che rimandano al mio cervello un’immagine che non riconosco, quindi non agisco. Non faccio nulla.
Guardo quello che io so essere il mio uomo, sparare a qualcuno disarmato e vinto.
A sangue freddo.
Senza esitazione.
Quello è la persona che amo?
Che conosco da anni?
Con cui vivo e condivido tutto?
Con cui c’è uno scambio equo di fiducia totale?
È quello?
Vorrei non crederci, ma quando il silenzio ci avvolge io non riesco ancora a sentire il caldo, anche se il sole picchia su di noi facendomi sudare da sotto le protezioni che ho.
Ma l’uomo è davvero morto e lui rimane fermo immobile a fissarlo, cosa pensa? Che espressione ha?
Mi è di schiena e non ha idea che sono qua e che ho visto tutto.
Allora mi faccio forza, mi dico che devo tirare fuori le palle, che è questo il momento, e tirando tutti i muscoli del mio corpo, contraendo quelli del viso in un’espressione quasi mortale per ciò che sto per fare, mi avvicino silenzioso a lui e stringendo a mia volta la pistola come se fosse fatta di una tonnellata di ferro rovente, ad un metro da lui - so che mi ha sentito, è Gibbs… - alzo il braccio - Dio, come pesa - e gliela punto alla nuca.
Se premo il grilletto non lo ferisco.
Lo uccido.
E la sicura l’ho già tolta.
Lui trattiene il respiro come me, il sudore che scende sulla mia pelle accaldata è sempre più gelido nonostante la temperatura.
Mi tolgo il cappello e lui fa altrettanto senza vedermi. Rimane immobile, fermo, mi ascolta.
È uno di quei momenti da tagliare col coltello e vorrei solo potermi fidare di lui, invece che dirgli quello che gli devo dire ed interrogarlo.
Vorrei parlare normalmente, farlo spiegare e sapere che ha ragione come sempre. Vorrei essere un perfetto idiota e fare il buffone; dannazione, come ne ho bisogno, ma nemmeno volendo mi esce lo straccio di una stupida battuta.
Quindi la gola secca si sforza e mi permette di dire quello che devo, quello per cui sono qui in Messico.
Mi sembra di essere uno a cui hanno tagliato le corde vocali e che deve gridare lo stesso, ma io sussurro ed è come se urlassi e sparassi allo stesso tempo.
- Leroy Jethro Gibbs. Ti dichiaro in arresto. -
E vorrei solo morire. “