CAPITOLO VII:
L’ALLENATORE IN SECONDA

Parte I:
Sfuriate ed incontri inaspettati

/Beat it - Fall out boys/
La confusione maggiore fu scatenata un paio di giorno dopo proprio dal piantagrane per eccellenza, colui che in un modo o nell’altro riusciva a far parlare sempre di sé e che era sempre nel mirino di chiunque.
L’elemento peggiore della società non era come poteva sembrare Francesco e nemmeno il nuovo arrivato.
Quello che creava più grattacapi in assoluto era proprio l’allenatore ed anche in quell’occasione, a pochi giorni dall’inizio del ritiro, era stato così.
José ne aveva fatta un’altra delle sue e l’arrivo sostenuto di Katia, la manager della società, ne diede conferma.
Vedendola arrivare carica di una furia gelida, i ragazzi si sgomitarono cominciando a parlottare in pieno allenamento, interessati più a cosa sarebbe successo che a non far arrabbiare il loro mister, cosa che di solito mettevano sopra ogni cosa.
- Ehi Fabio, ho vinto la scommessa! - Disse Francesco all’amico con un ghigno divertito ben stampato in faccia.
- Non avevi detto così poco… - Ribattè quindi l’altro contrariato.
- Di che parlate? - Si inserì Riky non capendo al volo cosa succedesse come i suoi due amici.
- E’ andato via il secondo del mister! - Rispose Fabio senza staccare gli occhi dal bordo del campo, dove José e Katia si stavano fronteggiando dando spettacolo.
- Davvero?! - Disse allibito Ricardo senza credere a ciò che sentiva, catalizzò anche la sua attenzione sui due che discutevano animatamente. Bè, José era animato mentre Katia la solita regina dei ghiacci.
- Guardala… dall’aria più supponente del solito si capisce che è infuriata col mister! - Notò Francesco asciugandosi col polso un rivoletto di sudore dal mento.
Gli occhi color mare leggermente allungati, simili a quelli di un gatto attento, si puntarono sull’algida manager squadrandola nei dettagli come nemmeno con una partita di calcio faceva.
- Sì, vedo, vedo… - Fece allora Fabio malizioso annuendo vicino all’amico: - vedo come la stai spogliando! - Francesco alzò un sopracciglio senza distogliere lo sguardo dalla donna e per nulla offeso, ammise candido:
- E’ un bel vedere… -
- E dev’essere anche un bel toccare! - Alimentò Fabio consapevole di non stare sbagliando. Capiva al volo quando il suo amico ne puntava una, non che ci volesse molto in effetti… ma era stupito. Con Katia di solito c’erano solo scontri poco ortodossi.
“Probabilmente la fissa così solo quando lei non lo nota… deve essere una posa, la loro… fanno finta di odiarsi per nascondere che in realtà si scoperebbero fino alla fine del mondo!”
E consapevole che ci aveva azzeccato, lo sentì commentare contrariato:
- Troppo fredda per i miei gusti. Soprattutto troppo stronza. Però che sia bella non lo nego. - Non si faceva problemi ad ammettere quel che pensava e lo faceva con una tale semplicità che i suoi amici non potevano che ammirare questa dote/difetto.
- Ma tu sei capace di mandare in bestia un santo! - Replicò Gabriele altrettanto divertito dal discorso, sempre guardando l’allenatore e la manager fronteggiarsi in una lotta all’ultimo sangue.
- Sì, ma la sua dote migliore è che è capace di bruciare un iceberg! - La malizia con cui Fabio lo disse, diede perfettamente l’idea di che cosa intendesse con quell’uscita, quindi nessuno replicò ma risero notando l’espressione compiaciuta del protagonista di tale allusione.
Ad interromperli furono le urla di José che fino ad un momento prima aveva trattenuto a stento:
- SE MI AFFIANCHI SOLO INCAPACI COME PENSI CHE FINISCANO!? E’ COLPA TUA CHE NON NE TROVI UNO DI DECENTE! LE CONOSCI LE MIE ESIGENZE, NON VOGLIO SMIDOLLATI CHE NON CAPISCONO UN CAZZO DI COME SI STA AL MONDO. CI VOGLIONO LE PALLE, PER QUESTO LAVORO! E PER INCISO SE NE E’ ANDATO LUI, IO NON HO FATTO NULLA SE NON FARGLI CAPIRE QUANTO IMBECILLE FOSSE! -
Allora si sentì anche la voce della ragazza che, anche se non urlava visto che non sarebbe stato da lei, fu chiara in tutto il campo. Una furia fredda accompagnata da uno sguardo di totale disapprovazione, altamente seccata, e disse:
- Nessuno resiste con te per più di qualche giorno. Fatti delle domande, José! Non è che il mondo è pieno di incompetenti e solo tu capisci tutto, ma esattamente il contrario! -
Lei di norma non si sbilanciava molto, anzi, se ne stava fuori il più possibile visto che detestava profondamente quell’uomo così pieno di sé e arrogante, però a volte lui riusciva a tirare fuori il peggio perfino da Katia.
- E allora spiegami come mai da quando sono arrivato io la squadra ha già vinto tutto quello che poteva! Un anno, cara mia. Un anno ci ho messo per portare tutti voi ai vertici. Evidentemente qualcosa la capisco e se caccio quelli che per me sono incompetenti e poi vinco, allora significa che ho ragione a cacciarli! - Non aveva urlato più, ma aveva parlato ad alta voce, sferzante, acido e velenoso. I fumi gli uscivano dagli orecchi e gli occhi sprigionavano saette assassine. Non le metteva le mani addosso solo perché non era nel suo stile, non certo con una donna.
A lui non importava niente di chi aveva davanti, se provocato rispondeva a tono, qualunque cosa dovesse dire la diceva, senza riguardi per nessun motivo al mondo.
Riteneva infatti che nessuno fosse migliore di lui, come lui non lo era di nessuno.
Ad eccezione degli imbecilli patentati!
- Rimani qua solo perché vinci, altrimenti ti avrei già spedito a calci in culo all’inferno! - Tendenzialmente lei non usava un lingiaggio volgare, ma per lui talvolta faceva un‘eccezione. In quei momenti pareva irriconoscibile.
- Allora penso che rimarrò ancora a lungo! - La sua sicurezza trapelava ad ogni parola, gesto, atteggiamento e sguardo. Era talmente convinto di sé stesso, che la parola ‘esame di coscienza’ non sapeva nemmeno cosa significasse.
- Un tentativo, José. Te ne concedo solo uno. Se mi fai scappare anche questo nuovo vice che ti mando, ti arrangi e stai solo! -
- Prospettiva allettante! - Replicò allora convinto che fosse meglio da soli che male accompagnati. La luce nei suoi occhi verde nocciola era talmente maligna da togliere la voglia di avere l’ultima parola perfino a Katia, che considerava quel genere di cose solo delle sciocchezze.
Concluso la loro animata conversazione, la donna, che era più alta dell’uomo, se ne andò con la promessa che a giorni sarebbe arrivato il nuovo secondo e che non voleva più dover tornare al ritiro.
- Peccato, sarebbe un bel vedere… - Aveva infatti replicato alla fine José in modalità demente-maniaco. Quando era in quella fase, era impossibile ragionarci… non che in altri casi invece lo fosse…
- Perfettamente d’accordo! - Disse Francesco fra sé e sé, ammettendo che se era solo per guardarla andava più che bene.
Uscendo dal campo, Katia ad un certo punto si fermò e si girò cercando impettita qualcuno fra i ragazzi, quando lo trovò gli puntò il dito contro e con l’aria di una regina severa che non ammetteva repliche, disse a Francesco:
- E il discorso vale anche per te! Se mi fai venire di nuovo per una delle tue solite trovate infantili, te ne pentirai! - Poi cambiò direzione e puntò anche Luis: - Vale anche per te! -
Che avesse la sensazione di ammonire dei bimbetti iperattivi troppo idioti per i suoi canoni, era evidente. Peccato che certe cose, a qualcuno, piacevano più di atteggiamenti dolci e tranquilli.
- Ti piacerebbe che ti facessi venire, eh? - Lo disse a mezza voce, con un ghigno sadico e l’aria provocatoria, Katia però se ne andò ignorandolo senza far capire se avesse sentito o meno.
- E te la faresti davvero, allora? - Gli chiese Fabio diretto e curioso, una volta che la matrigna cattiva se ne era andata. Non riusciva proprio a capire cosa volesse il suo amico che la guardava ancora con bramosia.
- Nemmeno se mi pagherebbe lei! - Rispose quindi cambiando subito tono, diretto e con le idee chiare. - Ti ho detto, è troppo fredda e saccente. Le reginette non le sopporto. -
- Fa paura… - Commentò Ricardo con un velo di timore verso la manager. Gli altri intorno a lui allora distolsero lo sguardo dall’uscita del campo per posarla sull’attaccante più giovane, lo guardarono con scetticismo ma poi divertiti risero immaginando un improbabile scontro fra il piccoletto e la cattiva per eccellenza.

/Twice - Plan de fuga/
Come annunciato, qualche giorno dopo arrivò il nuovo secondo allenatore di José Veloso.
Tale Julio Ferrari ebbe il grande pregio di sorprendere sin da subito il diavolo che avrebbe dovuto affiancare.
Quando José e la squadra arrivarono in campo la mattina per iniziare i consueti allenamenti, trovarono una figura in piedi nel campo a palleggiare assorto, aveva le mani in tasca.
Tutti si fermarono subito senza spiegarsene il motivo, forse per la curiosità di assistere all’ennesimo spettacolo che avrebbe fornito loro il mister avendo a che fare con uno sconosciuto che osava utilizzare il SUO campo. La cosa più sensazionale fu che anche José rimase fermo in silenzio a guardare questo nuovo arrivato che, con una padronanza di palla invidiabile, faceva una serie di palleggi di piedi alternati al ginocchio, alla testa, alle spalle, al petto e perfino alla schiena.
Come se stesse facendo una specie di danza.
Movimenti semplici, precisi, mirati ed eleganti.
Poi, dopo un po’ che ne faceva, si spostò cominciando, sempre palleggiando in alternanza, a camminare verso una delle due aree d’attacco. Con calma, senza correre o agitarsi.
Sembrava così assorto in quel che faceva da non accorgersi di tutti loro che lo fissavano con un interesse sempre crescente, catturati dalla sua bravura tanto da chiedersi come mai non fossero stati informati dell’arrivo di un altro giocatore.
Del resto era giovane, avrebbe perfettamente potuto essere uno di loro.
Dopo essersi piazzato dove aveva voluto, il giovane palleggiò di tacco e facendo una campana alta sopra la sua testa che cadde perfetta sul suo ginocchio, rialzò la palla, quindi si girò spalle alla porta e lasciandosi cadere all’indietro, la calciò in una perfetta rovesciata senza eccessivi virtuosismi, ma comunque da manuale.
La sfera di cuoio si insaccò in rete con una media potenza, all’incrocio dei pali.
Tutti batterono le mani, non che senza avversari fosse particolarmente difficile un’azione simile, però persino un analfabeta di calcio avrebbe capito che era uno di classe in quello sport. Lo si capiva subito e bastava poco per inquadrare quelli davvero bravi.
Erano coloro che non avevano la mania di strafare ma che facevano sembrare facilissimo tutto quel che facevano.
Il ragazzo si accorse finalmente della loro presenza e da terra si girò a guardarli sorpreso senza capire come fosse possibile che non li avesse visti prima.
Non provò imbarazzo per l’applauso ma lo ritenne un’esagerazione che non commentò. Il primo a farsi avanti fu proprio l’allenatore.
José senza sapere quel che dovesse pensare, sovrastò il ragazzo seduto sull’erba e da lì, fissandosi a vicenda, si rese conto che era effettivamente piuttosto giovane.
Aveva i capelli castano mogano lisci ed ordinati che gli ricadevano ai lati del viso e sulla fronte, lineamenti lontanamente latini, pallido, occhi di un curioso color arancione, buon fisico allenato ma non esageratamente muscoloso, vestiva sportivo e ordinato.
Corrugò la fronte e chiese quanti anni avesse invece che il nome.
Come primo contatto non era di certo molto normale, suo malgrado l’altro rispose con gentilezza, sorridendo:
- Trent’anni. -
José non capiva… non era stato informato dell’arrivo di un altro componente della squadra, in realtà aspettava un altro inetto di secondo allenatore.
A quello capì e sgranando gli occhi con evidente sorpresa, esclamò:
- Mica sei il mio secondo! - Come se non potesse essere possibile chissà per quale motivo.
Il giovane sorrise radioso:
- Sì, perché? - José non sapeva come si omettevano certi pensieri, quindi lo disse diretto e sfrontato:
- Perché sei troppo giovane e sembri bravo nel calcio! - Come a dire che i vice erano incapaci in quello sport, cosa non sempre vera!
Capendo il messaggio, rise ancora più forte ma senza prendersi gioco di lui, come se apprezzasse veramente la sua sincerità e non ne fosse invece infastidito od intimorito.
Di norma i secondi allenatori erano più grandi di quel ragazzo a terra, non capiva dove fosse l’intoppo. Come mai non era un giocatore?
- Spero di non deludere le aspettative! - Fece allegramente senza nemmeno l’ombra dell’intimidazione che solitamente suscitava in tutti quelli che si presentavano per il suo ruolo.
Si puntò sulle mani per alzarsi ed in quello José gli tese la sua per aiutarlo, con sommo stupore di tutti. L’altro gliela prese e si tirò su, quindi una volta in piedi, lo sovrastava di qualche centimetro, continuando a guardarsi e studiarsi, uno con la più totale tranquillità del mondo e l’altro con circospezione, si presentarono.
- Piacere, io sono Julio Ferrari. -
- José Veloso… - E normalmente avrebbe solo borbottato che sicuramente già sapeva chi lui fosse e non si sarebbe presentato. Ma lui agiva istintivamente quindi se in quell’occasione gli era venuta così, non si faceva domande anche per quello… ne aveva abbastanza d’altro tipo.
- Julio Ferrari… trent’anni… da dove vieni? - Sembrava quasi gentile e questo continuava a sconvolgere gli altri giocatori fermi sul bordo del campo paralizzati da quella versione umana di José. Di solito poteva essere così con tutti tranne che coi suoi secondi.
- Sono italo brasiliano. Cioè padre italiano e madre brasiliana. Ma sono nato e cresciuto in Italia. - Parlava molto gentilmente e rispettosamente, ma senza timore. Teneva lo sguardo alto, fiero e diretto in quello penetrante e accattivante di José che comunque qualcosa continuava a non quadrargli, anche se non capiva cosa…
- Io e te dobbiamo parlare come si deve… - Concluse quindi José stringendo gli occhi infastidito perché non riusciva a capire qualcosa di quel ragazzo, poi, come se si svegliasse solo in quel momento, si rese conto di essere nel campo e che i suoi aspettavano di iniziare gli allenamenti, quindi girandosi verso di loro schierati a fissarlo sfacciati ed incuriositi cambiò radicalmente espressione e modi, infine sbraitò loro contro:
- VOLETE UN INVITO SCRITTO O PENSATE CHE PRIMA DI DOMANI INIZIATE IL RISCALDAMENTO? - Dopo di quello i ragazzi scattarono come dei soldati iniziando a correre in gruppo, parlottando e chiedendosi chi lui fosse. Furono illuminati poco dopo per farli smettere di supporre inutilmente: - E’ il nuovo secondo, Julio Ferrari. Ora finitela di fare i pettegoli! - Vedendo che si mettevano più di lena, si voltò verso gli altri preparatori suoi colleghi e ordinò di cominciare senza di lui, infine con un colpetto della testa che indicava a Julio di seguirlo, lo precedette all’interno dell’edificio che fiancheggiava il campo, contenente spogliatoi, palestra e una sorta di sala riunioni.
Si accomodò scomposto in una sedia davanti al tavolo lungo e vide il giovane sedersi elegantemente davanti a lui osservandolo con enorme tranquillità.
Lo fissò in silenzio un lungo istante, assorto e quasi corrucciato, con quel suo delizioso broncio talvolta ai limiti dell’infantile.
Stava riflettendo.
Rifletteva sul fatto che i lineamenti di quel tipo fossero candidamente belli e che sommariamente, anche a modi, postura, tono e linguaggio sembrasse una specie di principe; sul fatto che era troppo giovane per fare già il vice allenatore; sul fatto che si capiva fosse bravo proprio come calciatore; sul fatto che qualcosa in lui non quadrava e non sapeva cosa; sul fatto che non avesse paura di lui.
Rifletteva su una marea di cose, ma principalmente proprio sul fatto che stesse riflettendo tanto su un elemento che normalmente non avrebbe calcolato nemmeno di striscio. Ed ora non solo ci pensava con tanta curiosità, ma se l’era preso in privato per parlarci e conoscerlo!
Era una cosa che coi suoi secondi non si era mai dato pena di fare.
José instaurava un rapporto fantastico coi suoi giocatori, ma coi membri dello staff spesso si parlava a malapena, non gli interessava costruire qualcosa con loro che non fosse inerente al calcio.
Con la squadra invece ci teneva molto ed era estremamente presente, costruiva una relazione di fiducia e anche se era l’unico che riusciva a terrorizzarli, era anche l’unico con cui spesso si confidavano.
Un anno.
Un solo anno per creare tutto quello.
Solo da questo si poteva capire che tipo fosse quell’uomo.
Ed ora sembrava stesse cercando di fare la medesima cosa con quel Julio, come fosse anche lui un calciatore e non un membro del suo staff. Non era normale e se ne rendeva conto lui per primo.
Dopo averlo scrutato a fondo in un modo che avrebbe messo in soggezione o imbarazzo chiunque e notando che invece lui era imperturbabilmente sorridente, paziente, davanti a lui a ricambiare il suo sguardo diretto, si decise a parlare:
- Come mai così giovane e bravo non giochi ma alleni? -
E parlando come suo solito, ovvero senza pensare prima di parlare, andò esattamente al famoso punto che non gli quadrava. Se ne rese conto dopo aver fatto la domanda sfacciata.
Vide Julio mantenere una calma placida che non aveva visto in nessuno che dovesse rispondere alle sue provocazioni, quindi semplicemente senza sorridere ma comunque mantenendosi gentile ed educato, rispose:
- Ho un impedimento fisico che mi ha stroncato la carriera appena ero entrato nel professionismo. Così siccome la mia passione per il calcio era grande, ho voluto rimanere lo stesso in questo modo, solo cambiando parte. - Lo spiegò diplomaticamente e con un controllo invidiabile, come se stesse facendo un colloquio di lavoro come altri. Però a José non sfuggì quel piccolo guizzo nei suoi occhi dall’incredibile colore felino.
- Di cosa si tratta? - Fece capendo che era una domanda indiscreta ma non importandogliene nulla.
Come il giovane rispose alla sua domanda, riuscì ad identificare subito quel guizzo. Era tristezza.
Solo un istante fugace, ma a lui non era sfuggito.
- Malattia del pericardio. Soffro di cuore. È una… -
- …malformazione del muscolo cardiaco difficilissima da diagnosticare. Viene fuori solo quando si comincia una seria attività fisica regolare, altrimenti si può vivere una vita intera senza sapere di averla. Però è… -
- …incurabile. - Si terminarono le frasi a vicenda provocandosi stupore. Più che stupore si lessero un evidente dolore che entrambi però tentarono di nascondere e domare con maestria.
Uno esterno non l’avrebbe notato, ma il fatto di star provando per una volta la stessa cosa li portò a comprendersi profondamente in un istante. Capirono anche questo.
E ne rimasero profondamente colpiti, senza però volerlo dimostrare.
Si fissarono come inebetiti realizzando cosa fosse che non tornava l’uno all’altro e che in entrambi c’era molto più di ciò che non apparisse.
Poi dopo un po’ di silenzio che sospendeva il tempo stesso, Julio si azzardò ad interromperlo con delicatezza:
- Anche lei…? - Ma José scosse subito il capo con decisione.
- No, no… non io… ma mi sono imbattuto in una cosa simile. Non uguale, in realtà, più grave. Mi ha portato a conoscere tutti gli altri livelli di malattie cardiache. -
Julio piegò le labbra in un sincero dispiacere, capendo cosa intendesse e cosa significasse, quindi sospirando proseguì sempre con leggerezza, senza essere fastidioso:
- In realtà non è grave per uno non sportivo. Basta fare una vita sedentaria e sana ed evitare lo stress. È che non si guarisce. Si convive con questa malattia. Ci sono accorgimenti che migliorano la condizione ma… - Ancora una volta José, immerso in ricordi e pensieri dolorosi e lontani, concluse per lui:
- …l’operazione è troppo rischiosa e delicata e non vale la pena rimetterci la vita. Lo fai per la tua famiglia? - Julio finalmente si irrigidì trovandosi impreparato ad una domanda simile, così strana.
Si passò le mani fra i capelli e dopo aver guardato la stanza che vedeva per la prima volta, tornò su José indeciso per la prima volta da quando si erano incontrati. Il più grande assorbiva ogni singolo gesto e movimento.
- Sì, io… - Ma questa volta non riuscì a fare finta di niente, quindi increspando appena le sopracciglia, gli chiese: - Perché me lo chiede? -
José piegò le labbra e la testa in un’espressione indecifrabile, quindi alzando le spalle rispose semplicisticamente:
- Se io non avessi avuto legami con nessuno ma solo il mio obiettivo di giocare a calcio come professionista, mi sarei operato lo stesso, al tuo posto. Ma non l’avrei fatto se avessi avuto qualcuno a cui sarei mancato. È un terno al lotto quell’operazione e ha successo solo in pochissimi casi. Se ci si tiene il cuore così com’è e si elimina la fatica fisica, si campa cent’anni tranquillamente! È questa la scelta che hai fatto. Per la famiglia, immagino… - Lui l’avrebbe fatta solo per quella.
Julio lo fissò assorto non riuscendo ad immaginare bene chi potesse aver sofferto di cuore tanto da renderlo talmente sensibile all’argomento. Si capiva che non era un tipo facilmente impressionabile, anche se non era proprio quello il termine corretto. Non era una questione di impressionabilità.
Era semplicemente rimasto colpito.
Parlava con una serietà e consapevolezza che toccavano dentro e i due si trovarono a scrutarsi in profondità sebbene si fossero solo appena incontrati.
Ma talvolta poteva succedere solo fra sconosciuti. Era la conclusione di José.
- Bè, sì… se non ce l’avessi fatta i miei ne sarebbero morti. Ma davvero. Io… sono tutto ciò che hanno e spesso sono stato la loro unica ragione di vita… - José annuì come se capisse perfettamente ciò che diceva e condividesse la sua scelta finale.
Per quanto il proprio futuro fosse importante, non poteva esserlo a discapito di chi ci amava, era convinto che ci fossero dei limiti che nessuno con il proprio egoismo potesse passare. Non se c’erano dei rapporti importanti.
E c’erano.
- Eri portato, vero? - Fece poi il più grande con un sorriso paterno che nessuno gli aveva mai visto. - Per il calcio, intendo. -
- Sono cresciuto col destino tracciato, mi dicevano tutti… chiunque mi vedesse giocare, anche se ero piccolo, mi diceva che sarei diventato una stella del calcio. Poi sono riuscito ad entrare nel mondo del professionismo, in una squadra di serie A, ma paradossalmente proprio intensificando la mia attività fisica mi è esplosa la malattia al cuore che non sapevo di avere. La società con cui giocavo mi fornì i migliori medici possibili, ma la scelta fu questa. Operazione molto difficile con una possibilità che andasse male molto alta, mentre che andasse bene e guarissi molto bassa. Non me la sono sentito di giocare coi sentimenti dei miei. Gli devo tutto, mi amavano troppo. - Serio, carico di un dolore adulto, più adulto dell’età che aveva.
Consapevole di aver superato tutto, anche se parlarne era sempre doloroso, specie con chi era evidente capiva per esperienza personale.
Però non gli chiese niente, lo vide annuire comprendendo la sua scelta con un netto dispiacere che in pochi potevano vantarsi di vedere in lui, un dispiacere che probabilmente era più per sé stesso e quella storia che non voleva raccontare, per cui rispettò il suo silenzio. Se avrebbe voluto condividere, l’avrebbe fatto.
José non lo fece, ma non smise di guardarlo un solo istante.
- Eri bravo. - E questa non era una domanda ma un’affermazione, come se il suo istinto glielo avesse fatto capire da solo. Julio non rispose sentendosi come se si fosse confessato dopo molti anni.
- Posso comunque rimanere nel mondo del calcio, sono stato fortunato, ho trovato molti ingaggi ed ora sono addirittura qua. Spero che vada bene. Prendo dalla vita quello che mi dà, non cerco di prendermi quello che non vuole darmi. E non mi faccio domande. - Era comunque un modo di vivere totalmente diverso da quello di José che invece lottava come un matto per ottenere quel che voleva, qualunque cosa fosse, anche se tutto e tutti glielo negavano.
La parola resa e accettazione non erano nel suo vocabolario e tendenzialmente non apprezzava né capiva chi invece era così diverso da lui. Però lì, e non seppe dire proprio come, sconvolgendosi infatti per quello, lo capì e lo apprezzò.
Pensando solo ad una cosa.
Un pensiero quasi fugace su cui però sarebbe tornato di nuovo, una volta solo, tormentandosi fino allo sfinimento:
“Se non lotti tu, lotterò io.”
Ma non poteva essere una presa di posizione per uno praticamente sconosciuto con cui scopriva di avere una cosa importante in comune. E lo sapeva bene.
Lo sapeva bene, o meglio l’avrebbe capito in seguito, che era una presa di posizione unicamente per sé stesso, per quella storia che non si era sentito ancora di raccontargli ma che sapeva prima o poi l’avrebbe condivisa e probabilmente solo con lui.