CAPITOLO VII:
L’ALLENATORE
IN SECONDA
Parte
I:
Sfuriate
ed incontri inaspettati
/Beat it - Fall out
boys/
La confusione maggiore
fu scatenata un paio di giorno dopo proprio dal piantagrane per
eccellenza, colui che in un modo o nell’altro riusciva a far parlare
sempre di sé e che era sempre nel mirino di chiunque.
L’elemento
peggiore della società non era come poteva sembrare Francesco e nemmeno
il nuovo arrivato.
Quello che
creava più grattacapi in assoluto era proprio l’allenatore ed anche in
quell’occasione, a pochi giorni dall’inizio del ritiro, era stato così.
José ne aveva
fatta un’altra delle sue e l’arrivo sostenuto di Katia, la manager
della società, ne diede conferma.
Vedendola
arrivare carica di una furia gelida, i ragazzi si sgomitarono
cominciando a parlottare in pieno allenamento, interessati più a cosa
sarebbe successo che a non far arrabbiare il loro mister, cosa che di
solito mettevano sopra ogni cosa.
- Ehi Fabio, ho
vinto la scommessa! - Disse Francesco all’amico con un ghigno divertito
ben stampato in faccia.
- Non avevi
detto così poco… - Ribattè quindi l’altro contrariato.
- Di che
parlate? - Si inserì Riky non capendo al volo cosa succedesse come i
suoi due amici.
- E’ andato via
il secondo del mister! - Rispose Fabio senza staccare gli occhi dal
bordo del campo, dove José e Katia si stavano fronteggiando dando
spettacolo.
- Davvero?! -
Disse allibito Ricardo senza credere a ciò che sentiva, catalizzò anche
la sua attenzione sui due che discutevano animatamente. Bè, José era
animato mentre Katia la solita regina dei ghiacci.
- Guardala…
dall’aria più supponente del solito si capisce che è infuriata col
mister! - Notò Francesco asciugandosi col polso un rivoletto di sudore
dal mento.
Gli occhi color
mare leggermente allungati, simili a quelli di un gatto attento, si
puntarono sull’algida manager squadrandola nei dettagli come nemmeno
con una partita di calcio faceva.
- Sì, vedo,
vedo… - Fece allora Fabio malizioso annuendo vicino all’amico: - vedo
come la stai spogliando! - Francesco alzò un sopracciglio senza
distogliere lo sguardo dalla donna e per nulla offeso, ammise candido:
- E’ un bel
vedere… -
- E dev’essere
anche un bel toccare! - Alimentò Fabio consapevole di non stare
sbagliando. Capiva al volo quando il suo amico ne puntava una, non che
ci volesse molto in effetti… ma era stupito. Con Katia di solito
c’erano solo scontri poco ortodossi.
“Probabilmente
la fissa così solo quando lei non lo nota… deve essere una posa, la
loro… fanno finta di odiarsi per nascondere che in realtà si
scoperebbero fino alla fine del mondo!”
E consapevole
che ci aveva azzeccato, lo sentì commentare contrariato:
- Troppo fredda
per i miei gusti. Soprattutto troppo stronza. Però che sia bella non lo
nego. - Non si faceva problemi ad ammettere quel che pensava e lo
faceva con una tale semplicità che i suoi amici non potevano che
ammirare questa dote/difetto.
- Ma tu sei
capace di mandare in bestia un santo! - Replicò Gabriele altrettanto
divertito dal discorso, sempre guardando l’allenatore e la manager
fronteggiarsi in una lotta all’ultimo sangue.
- Sì, ma la sua
dote migliore è che è capace di bruciare un iceberg! - La malizia con
cui Fabio lo disse, diede perfettamente l’idea di che cosa intendesse
con quell’uscita, quindi nessuno replicò ma risero notando
l’espressione compiaciuta del protagonista di tale allusione.
Ad
interromperli furono le urla di José che fino ad un momento prima aveva
trattenuto a stento:
- SE MI
AFFIANCHI SOLO INCAPACI COME PENSI CHE FINISCANO!? E’ COLPA TUA CHE NON
NE TROVI UNO DI DECENTE! LE CONOSCI LE MIE ESIGENZE, NON VOGLIO
SMIDOLLATI CHE NON CAPISCONO UN CAZZO DI COME SI STA AL MONDO. CI
VOGLIONO LE PALLE, PER QUESTO LAVORO! E PER INCISO SE NE E’ ANDATO LUI,
IO NON HO FATTO NULLA SE NON FARGLI CAPIRE QUANTO IMBECILLE FOSSE! -
Allora si sentì
anche la voce della ragazza che, anche se non urlava visto che non
sarebbe stato da lei, fu chiara in tutto il campo. Una furia fredda
accompagnata da uno sguardo di totale disapprovazione, altamente
seccata, e disse:
- Nessuno
resiste con te per più di qualche giorno. Fatti delle domande, José!
Non è che il mondo è pieno di incompetenti e solo tu capisci tutto, ma
esattamente il contrario! -
Lei di norma
non si sbilanciava molto, anzi, se ne stava fuori il più possibile
visto che detestava profondamente quell’uomo così pieno di sé e
arrogante, però a volte lui riusciva a tirare fuori il peggio perfino
da Katia.
- E allora
spiegami come mai da quando sono arrivato io la squadra ha già vinto
tutto quello che poteva! Un anno, cara mia. Un anno ci ho messo per
portare tutti voi ai vertici. Evidentemente qualcosa la capisco e se
caccio quelli che per me sono incompetenti e poi vinco, allora
significa che ho ragione a cacciarli! - Non aveva urlato più, ma aveva
parlato ad alta voce, sferzante, acido e velenoso. I fumi gli uscivano
dagli orecchi e gli occhi sprigionavano saette assassine. Non le
metteva le mani addosso solo perché non era nel suo stile, non certo
con una donna.
A lui non
importava niente di chi aveva davanti, se provocato rispondeva a tono,
qualunque cosa dovesse dire la diceva, senza riguardi per nessun motivo
al mondo.
Riteneva
infatti che nessuno fosse migliore di lui, come lui non lo era di
nessuno.
Ad eccezione
degli imbecilli patentati!
- Rimani qua
solo perché vinci, altrimenti ti avrei già spedito a calci in culo
all’inferno! - Tendenzialmente lei non usava un lingiaggio volgare, ma
per lui talvolta faceva un‘eccezione. In quei momenti pareva
irriconoscibile.
- Allora penso
che rimarrò ancora a lungo! - La sua sicurezza trapelava ad ogni
parola, gesto, atteggiamento e sguardo. Era talmente convinto di sé
stesso, che la parola ‘esame di coscienza’ non sapeva nemmeno cosa
significasse.
- Un tentativo,
José. Te ne concedo solo uno. Se mi fai scappare anche questo nuovo
vice che ti mando, ti arrangi e stai solo! -
- Prospettiva
allettante! - Replicò allora convinto che fosse meglio da soli che male
accompagnati. La luce nei suoi occhi verde nocciola era talmente
maligna da togliere la voglia di avere l’ultima parola perfino a Katia,
che considerava quel genere di cose solo delle sciocchezze.
Concluso la
loro animata conversazione, la donna, che era più alta dell’uomo, se ne
andò con la promessa che a giorni sarebbe arrivato il nuovo secondo e
che non voleva più dover tornare al ritiro.
- Peccato,
sarebbe un bel vedere… - Aveva infatti replicato alla fine José in
modalità demente-maniaco. Quando era in quella fase, era impossibile
ragionarci… non che in altri casi invece lo fosse…
- Perfettamente
d’accordo! - Disse Francesco fra sé e sé, ammettendo che se era solo
per guardarla andava più che bene.
Uscendo dal
campo, Katia ad un certo punto si fermò e si girò cercando impettita
qualcuno fra i ragazzi, quando lo trovò gli puntò il dito contro e con
l’aria di una regina severa che non ammetteva repliche, disse a
Francesco:
- E il discorso
vale anche per te! Se mi fai venire di nuovo per una delle tue solite
trovate infantili, te ne pentirai! - Poi cambiò direzione e puntò anche
Luis: - Vale anche per te! -
Che avesse la
sensazione di ammonire dei bimbetti iperattivi troppo idioti per i suoi
canoni, era evidente. Peccato che certe cose, a qualcuno, piacevano più
di atteggiamenti dolci e tranquilli.
- Ti piacerebbe
che ti facessi venire, eh? - Lo disse a mezza voce, con un ghigno
sadico e l’aria provocatoria, Katia però se ne andò ignorandolo senza
far capire se avesse sentito o meno.
- E te la
faresti davvero, allora? - Gli chiese Fabio diretto e curioso, una
volta che la matrigna cattiva se ne era andata. Non riusciva proprio a
capire cosa volesse il suo amico che la guardava ancora con bramosia.
- Nemmeno se mi
pagherebbe lei! - Rispose quindi cambiando subito tono, diretto e con
le idee chiare. - Ti ho detto, è troppo fredda e saccente. Le reginette
non le sopporto. -
- Fa paura… -
Commentò Ricardo con un velo di timore verso la manager. Gli altri
intorno a lui allora distolsero lo sguardo dall’uscita del campo per
posarla sull’attaccante più giovane, lo guardarono con scetticismo ma
poi divertiti risero immaginando un improbabile scontro fra il
piccoletto e la cattiva per eccellenza.
/Twice - Plan de fuga/
Come annunciato,
qualche giorno dopo arrivò il nuovo secondo allenatore di José Veloso.
Tale Julio
Ferrari ebbe il grande pregio di sorprendere sin da subito il diavolo
che avrebbe dovuto affiancare.
Quando José e
la squadra arrivarono in campo la mattina per iniziare i consueti
allenamenti, trovarono una figura in piedi nel campo a palleggiare
assorto, aveva le mani in tasca.
Tutti si
fermarono subito senza spiegarsene il motivo, forse per la curiosità di
assistere all’ennesimo spettacolo che avrebbe fornito loro il mister
avendo a che fare con uno sconosciuto che osava utilizzare il SUO
campo. La cosa più sensazionale fu che anche José rimase fermo in
silenzio a guardare questo nuovo arrivato che, con una padronanza di
palla invidiabile, faceva una serie di palleggi di piedi alternati al
ginocchio, alla testa, alle spalle, al petto e perfino alla schiena.
Come se stesse
facendo una specie di danza.
Movimenti
semplici, precisi, mirati ed eleganti.
Poi, dopo un
po’ che ne faceva, si spostò cominciando, sempre palleggiando in
alternanza, a camminare verso una delle due aree d’attacco. Con calma,
senza correre o agitarsi.
Sembrava così
assorto in quel che faceva da non accorgersi di tutti loro che lo
fissavano con un interesse sempre crescente, catturati dalla sua
bravura tanto da chiedersi come mai non fossero stati informati
dell’arrivo di un altro giocatore.
Del resto era
giovane, avrebbe perfettamente potuto essere uno di loro.
Dopo essersi
piazzato dove aveva voluto, il giovane palleggiò di tacco e facendo una
campana alta sopra la sua testa che cadde perfetta sul suo ginocchio,
rialzò la palla, quindi si girò spalle alla porta e lasciandosi cadere
all’indietro, la calciò in una perfetta rovesciata senza eccessivi
virtuosismi, ma comunque da manuale.
La sfera di
cuoio si insaccò in rete con una media potenza, all’incrocio dei pali.
Tutti batterono
le mani, non che senza avversari fosse particolarmente difficile
un’azione simile, però persino un analfabeta di calcio avrebbe capito
che era uno di classe in quello sport. Lo si capiva subito e bastava
poco per inquadrare quelli davvero bravi.
Erano coloro
che non avevano la mania di strafare ma che facevano sembrare
facilissimo tutto quel che facevano.
Il ragazzo si
accorse finalmente della loro presenza e da terra si girò a guardarli
sorpreso senza capire come fosse possibile che non li avesse visti
prima.
Non provò
imbarazzo per l’applauso ma lo ritenne un’esagerazione che non
commentò. Il primo a farsi avanti fu proprio l’allenatore.
José senza
sapere quel che dovesse pensare, sovrastò il ragazzo seduto sull’erba e
da lì, fissandosi a vicenda, si rese conto che era effettivamente
piuttosto giovane.
Aveva i capelli
castano mogano lisci ed ordinati che gli ricadevano ai lati del viso e
sulla fronte, lineamenti lontanamente latini, pallido, occhi di un
curioso color arancione, buon fisico allenato ma non esageratamente
muscoloso, vestiva sportivo e ordinato.
Corrugò la
fronte e chiese quanti anni avesse invece che il nome.
Come primo
contatto non era di certo molto normale, suo malgrado l’altro rispose
con gentilezza, sorridendo:
- Trent’anni. -
José non
capiva… non era stato informato dell’arrivo di un altro componente
della squadra, in realtà aspettava un altro inetto di secondo
allenatore.
A quello capì e
sgranando gli occhi con evidente sorpresa, esclamò:
- Mica sei il
mio secondo! - Come se non potesse essere possibile chissà per quale
motivo.
Il giovane
sorrise radioso:
- Sì, perché? -
José non sapeva come si omettevano certi pensieri, quindi lo disse
diretto e sfrontato:
- Perché sei
troppo giovane e sembri bravo nel calcio! - Come a dire che i vice
erano incapaci in quello sport, cosa non sempre vera!
Capendo il
messaggio, rise ancora più forte ma senza prendersi gioco di lui, come
se apprezzasse veramente la sua sincerità e non ne fosse invece
infastidito od intimorito.
Di norma i
secondi allenatori erano più grandi di quel ragazzo a terra, non capiva
dove fosse l’intoppo. Come mai non era un giocatore?
- Spero di non
deludere le aspettative! - Fece allegramente senza nemmeno l’ombra
dell’intimidazione che solitamente suscitava in tutti quelli che si
presentavano per il suo ruolo.
Si puntò sulle
mani per alzarsi ed in quello José gli tese la sua per aiutarlo, con
sommo stupore di tutti. L’altro gliela prese e si tirò su, quindi una
volta in piedi, lo sovrastava di qualche centimetro, continuando a
guardarsi e studiarsi, uno con la più totale tranquillità del mondo e
l’altro con circospezione, si presentarono.
- Piacere, io
sono Julio Ferrari. -
- José Veloso…
- E normalmente avrebbe solo borbottato che sicuramente già sapeva chi
lui fosse e non si sarebbe presentato. Ma lui agiva istintivamente
quindi se in quell’occasione gli era venuta così, non si faceva domande
anche per quello… ne aveva abbastanza d’altro tipo.
- Julio
Ferrari… trent’anni… da dove vieni? - Sembrava quasi gentile e questo
continuava a sconvolgere gli altri giocatori fermi sul bordo del campo
paralizzati da quella versione umana di José. Di solito poteva essere
così con tutti tranne che coi suoi secondi.
- Sono italo
brasiliano. Cioè padre italiano e madre brasiliana. Ma sono nato e
cresciuto in Italia. - Parlava molto gentilmente e rispettosamente, ma
senza timore. Teneva lo sguardo alto, fiero e diretto in quello
penetrante e accattivante di José che comunque qualcosa continuava a
non quadrargli, anche se non capiva cosa…
- Io e te
dobbiamo parlare come si deve… - Concluse quindi José stringendo gli
occhi infastidito perché non riusciva a capire qualcosa di quel
ragazzo, poi, come se si svegliasse solo in quel momento, si rese conto
di essere nel campo e che i suoi aspettavano di iniziare gli
allenamenti, quindi girandosi verso di loro schierati a fissarlo
sfacciati ed incuriositi cambiò radicalmente espressione e modi, infine
sbraitò loro contro:
- VOLETE UN
INVITO SCRITTO O PENSATE CHE PRIMA DI DOMANI INIZIATE IL RISCALDAMENTO?
- Dopo di quello i ragazzi scattarono come dei soldati iniziando a
correre in gruppo, parlottando e chiedendosi chi lui fosse. Furono
illuminati poco dopo per farli smettere di supporre inutilmente: - E’
il nuovo secondo, Julio Ferrari. Ora finitela di fare i pettegoli! -
Vedendo che si mettevano più di lena, si voltò verso gli altri
preparatori suoi colleghi e ordinò di cominciare senza di lui, infine
con un colpetto della testa che indicava a Julio di seguirlo, lo
precedette all’interno dell’edificio che fiancheggiava il campo,
contenente spogliatoi, palestra e una sorta di sala riunioni.
Si accomodò
scomposto in una sedia davanti al tavolo lungo e vide il giovane
sedersi elegantemente davanti a lui osservandolo con enorme
tranquillità.
Lo fissò in
silenzio un lungo istante, assorto e quasi corrucciato, con quel suo
delizioso broncio talvolta ai limiti dell’infantile.
Stava
riflettendo.
Rifletteva sul
fatto che i lineamenti di quel tipo fossero candidamente belli e che
sommariamente, anche a modi, postura, tono e linguaggio sembrasse una
specie di principe; sul fatto che era troppo giovane per fare già il
vice allenatore; sul fatto che si capiva fosse bravo proprio come
calciatore; sul fatto che qualcosa in lui non quadrava e non sapeva
cosa; sul fatto che non avesse paura di lui.
Rifletteva su
una marea di cose, ma principalmente proprio sul fatto che stesse
riflettendo tanto su un elemento che normalmente non avrebbe calcolato
nemmeno di striscio. Ed ora non solo ci pensava con tanta curiosità, ma
se l’era preso in privato per parlarci e conoscerlo!
Era una cosa
che coi suoi secondi non si era mai dato pena di fare.
José instaurava
un rapporto fantastico coi suoi giocatori, ma coi membri dello staff
spesso si parlava a malapena, non gli interessava costruire qualcosa
con loro che non fosse inerente al calcio.
Con la squadra
invece ci teneva molto ed era estremamente presente, costruiva una
relazione di fiducia e anche se era l’unico che riusciva a
terrorizzarli, era anche l’unico con cui spesso si confidavano.
Un anno.
Un solo anno
per creare tutto quello.
Solo da questo
si poteva capire che tipo fosse quell’uomo.
Ed ora sembrava
stesse cercando di fare la medesima cosa con quel Julio, come fosse
anche lui un calciatore e non un membro del suo staff. Non era normale
e se ne rendeva conto lui per primo.
Dopo averlo
scrutato a fondo in un modo che avrebbe messo in soggezione o imbarazzo
chiunque e notando che invece lui era imperturbabilmente sorridente,
paziente, davanti a lui a ricambiare il suo sguardo diretto, si decise
a parlare:
- Come mai così
giovane e bravo non giochi ma alleni? -
E parlando come
suo solito, ovvero senza pensare prima di parlare, andò esattamente al
famoso punto che non gli quadrava. Se ne rese conto dopo aver fatto la
domanda sfacciata.
Vide Julio
mantenere una calma placida che non aveva visto in nessuno che dovesse
rispondere alle sue provocazioni, quindi semplicemente senza sorridere
ma comunque mantenendosi gentile ed educato, rispose:
- Ho un
impedimento fisico che mi ha stroncato la carriera appena ero entrato
nel professionismo. Così siccome la mia passione per il calcio era
grande, ho voluto rimanere lo stesso in questo modo, solo cambiando
parte. - Lo spiegò diplomaticamente e con un controllo invidiabile,
come se stesse facendo un colloquio di lavoro come altri. Però a José
non sfuggì quel piccolo guizzo nei suoi occhi dall’incredibile colore
felino.
- Di cosa si
tratta? - Fece capendo che era una domanda indiscreta ma non
importandogliene nulla.
Come il giovane
rispose alla sua domanda, riuscì ad identificare subito quel guizzo.
Era tristezza.
Solo un istante
fugace, ma a lui non era sfuggito.
- Malattia del
pericardio. Soffro di cuore. È una… -
-
…malformazione del muscolo cardiaco difficilissima da diagnosticare.
Viene fuori solo quando si comincia una seria attività fisica regolare,
altrimenti si può vivere una vita intera senza sapere di averla. Però
è… -
- …incurabile.
- Si terminarono le frasi a vicenda provocandosi stupore. Più che
stupore si lessero un evidente dolore che entrambi però tentarono di
nascondere e domare con maestria.
Uno esterno non
l’avrebbe notato, ma il fatto di star provando per una volta la stessa
cosa li portò a comprendersi profondamente in un istante. Capirono
anche questo.
E ne rimasero
profondamente colpiti, senza però volerlo dimostrare.
Si fissarono
come inebetiti realizzando cosa fosse che non tornava l’uno all’altro e
che in entrambi c’era molto più di ciò che non apparisse.
Poi dopo un po’
di silenzio che sospendeva il tempo stesso, Julio si azzardò ad
interromperlo con delicatezza:
- Anche lei…? -
Ma José scosse subito il capo con decisione.
- No, no… non
io… ma mi sono imbattuto in una cosa simile. Non uguale, in realtà, più
grave. Mi ha portato a conoscere tutti gli altri livelli di malattie
cardiache. -
Julio piegò le
labbra in un sincero dispiacere, capendo cosa intendesse e cosa
significasse, quindi sospirando proseguì sempre con leggerezza, senza
essere fastidioso:
- In realtà non
è grave per uno non sportivo. Basta fare una vita sedentaria e sana ed
evitare lo stress. È che non si guarisce. Si convive con questa
malattia. Ci sono accorgimenti che migliorano la condizione ma… -
Ancora una volta José, immerso in ricordi e pensieri dolorosi e
lontani, concluse per lui:
- …l’operazione
è troppo rischiosa e delicata e non vale la pena rimetterci la vita. Lo
fai per la tua famiglia? - Julio finalmente si irrigidì trovandosi
impreparato ad una domanda simile, così strana.
Si passò le
mani fra i capelli e dopo aver guardato la stanza che vedeva per la
prima volta, tornò su José indeciso per la prima volta da quando si
erano incontrati. Il più grande assorbiva ogni singolo gesto e
movimento.
- Sì, io… - Ma
questa volta non riuscì a fare finta di niente, quindi increspando
appena le sopracciglia, gli chiese: - Perché me lo chiede? -
José piegò le
labbra e la testa in un’espressione indecifrabile, quindi alzando le
spalle rispose semplicisticamente:
- Se io non
avessi avuto legami con nessuno ma solo il mio obiettivo di giocare a
calcio come professionista, mi sarei operato lo stesso, al tuo posto.
Ma non l’avrei fatto se avessi avuto qualcuno a cui sarei mancato. È un
terno al lotto quell’operazione e ha successo solo in pochissimi casi.
Se ci si tiene il cuore così com’è e si elimina la fatica fisica, si
campa cent’anni tranquillamente! È questa la scelta che hai fatto. Per
la famiglia, immagino… - Lui l’avrebbe fatta solo per quella.
Julio lo fissò
assorto non riuscendo ad immaginare bene chi potesse aver sofferto di
cuore tanto da renderlo talmente sensibile all’argomento. Si capiva che
non era un tipo facilmente impressionabile, anche se non era proprio
quello il termine corretto. Non era una questione di impressionabilità.
Era
semplicemente rimasto colpito.
Parlava con una
serietà e consapevolezza che toccavano dentro e i due si trovarono a
scrutarsi in profondità sebbene si fossero solo appena incontrati.
Ma talvolta
poteva succedere solo fra sconosciuti. Era la conclusione di José.
- Bè, sì… se
non ce l’avessi fatta i miei ne sarebbero morti. Ma davvero. Io… sono
tutto ciò che hanno e spesso sono stato la loro unica ragione di vita…
- José annuì come se capisse perfettamente ciò che diceva e
condividesse la sua scelta finale.
Per quanto il
proprio futuro fosse importante, non poteva esserlo a discapito di chi
ci amava, era convinto che ci fossero dei limiti che nessuno con il
proprio egoismo potesse passare. Non se c’erano dei rapporti
importanti.
E c’erano.
- Eri portato,
vero? - Fece poi il più grande con un sorriso paterno che nessuno gli
aveva mai visto. - Per il calcio, intendo. -
- Sono
cresciuto col destino tracciato, mi dicevano tutti… chiunque mi vedesse
giocare, anche se ero piccolo, mi diceva che sarei diventato una stella
del calcio. Poi sono riuscito ad entrare nel mondo del professionismo,
in una squadra di serie A, ma paradossalmente proprio intensificando la
mia attività fisica mi è esplosa la malattia al cuore che non sapevo di
avere. La società con cui giocavo mi fornì i migliori medici possibili,
ma la scelta fu questa. Operazione molto difficile con una possibilità
che andasse male molto alta, mentre che andasse bene e guarissi molto
bassa. Non me la sono sentito di giocare coi sentimenti dei miei. Gli
devo tutto, mi amavano troppo. - Serio, carico di un dolore adulto, più
adulto dell’età che aveva.
Consapevole di
aver superato tutto, anche se parlarne era sempre doloroso, specie con
chi era evidente capiva per esperienza personale.
Però non gli
chiese niente, lo vide annuire comprendendo la sua scelta con un netto
dispiacere che in pochi potevano vantarsi di vedere in lui, un
dispiacere che probabilmente era più per sé stesso e quella storia che
non voleva raccontare, per cui rispettò il suo silenzio. Se avrebbe
voluto condividere, l’avrebbe fatto.
José non lo
fece, ma non smise di guardarlo un solo istante.
- Eri bravo. -
E questa non era una domanda ma un’affermazione, come se il suo istinto
glielo avesse fatto capire da solo. Julio non rispose sentendosi come
se si fosse confessato dopo molti anni.
- Posso
comunque rimanere nel mondo del calcio, sono stato fortunato, ho
trovato molti ingaggi ed ora sono addirittura qua. Spero che vada bene.
Prendo dalla vita quello che mi dà, non cerco di prendermi quello che
non vuole darmi. E non mi faccio domande. - Era comunque un modo di
vivere totalmente diverso da quello di José che invece lottava come un
matto per ottenere quel che voleva, qualunque cosa fosse, anche se
tutto e tutti glielo negavano.
La parola resa
e accettazione non erano nel suo vocabolario e tendenzialmente non
apprezzava né capiva chi invece era così diverso da lui. Però lì, e non
seppe dire proprio come, sconvolgendosi infatti per quello, lo capì e
lo apprezzò.
Pensando solo
ad una cosa.
Un pensiero
quasi fugace su cui però sarebbe tornato di nuovo, una volta solo,
tormentandosi fino allo sfinimento:
“Se
non lotti tu, lotterò io.”
Ma non poteva
essere una presa di posizione per uno praticamente sconosciuto con cui
scopriva di avere una cosa importante in comune. E lo sapeva bene.
Lo sapeva bene,
o meglio l’avrebbe capito in seguito, che era una presa di posizione
unicamente per sé stesso, per quella storia che non si era sentito
ancora di raccontargli ma che sapeva prima o poi l’avrebbe condivisa e
probabilmente solo con lui.