AD OGNI COSTO
CAPITOLO
I:
FRATELLI
Quello
era il classico idiota, l’aveva inquadrato subito, non gli ci era
voluto che uno sguardo per capirlo. Anche se non avesse fatto quella
scenata davanti al cancello solo perché c’erano dei tipi che lo
fissavano come meritava, sarebbe stato chiaro.
Spintonarlo
al suo passaggio gli era venuto naturale, non ci aveva nemmeno pensato.
D’altronde lui non ne aveva mica bisogno… sapeva perfettamente che
tutto quello che usciva da sé andava più che bene. Era una persona
talmente sicura da non avere mai esitazioni di alcun genere, quindi non
perdeva tempo a pensare prima di agire.
Agiva
direttamente.
Non
l’aveva nemmeno sentito sbraitargli dietro, aveva solo lontanamente
sentito la sua voce infuriata, poi si era sentito afferrare per un
braccio ed in men che non si dicesse ecco il suo pugno arrivargli sullo
zigomo!
Sorpresa
allo stato puro, era stato solo per quello che l’aveva colpito
altrimenti non ci sarebbe stato verso, visti i suoi riflessi.
Anche
se si sforzava sempre di separare il pugile dal ragazzo più o meno
comune, sapeva di essere difficile da prendere a pugni.
A
quel punto due cose gli parvero cristalline: quello era un idiota ed
era un idiota nuovo che non lo conosceva, visto che altrimenti non si
sarebbe mai azzardato a fare una mossa tanto stupida.
Tutti
sapevano che lui era il campione di boxe della sua categoria, chi mai
si azzardava a farci a botte?
Sapeva
che doveva trattenere la propria forza, ma lì per lì provò solo un
indomabile istinto di colpire il pezzente con quanta più ne avesse,
però all’ultimo alleggerì il diretto che infranse contro il suo occhio.
La
soddisfazione che ne uscì non la sentiva da molto, considerando che
aveva solo dato una lezione ad uno stupido.
Si
chiese brevemente come fosse possibile, ma non ci perse molto tempo.
Consapevole che con uno come quello si poteva fare liberamente a pugni,
si sentì fermare da due mani ferree.
Una
presa che riconobbe all’istante e che solo per quello lo placò.
Scariche
elettriche lo percorsero, come ogni volta in cui lo toccava.
-
Genzo, smettila. - La sua voce fredda e lapidaria lo raggiunse
calmandolo definitivamente, ma prima di dargli retta si concesse un
ultimo sguardo di fuoco estremamente penetrante con il ragazzo che
aveva osato colpirlo in viso.
Era
un tipo che pareva davvero una tigre selvatica, capelli mori sul
selvaggio andante che coprivano il collo, carnagione scura, occhi neri
come la pece e sottili come rasoi. Sembrava forte anche se chiaramente
non faceva nessuna disciplina di combattimento come lui e soprattutto
era più piccolo di qualche anno.
Non
lo degnò ulteriormente e affiancando Karl si avviò insieme all’amico
nell’istituto Toho.
Alzò
gli occhi di tenebra su quelli di ghiaccio del giovane accanto che
camminava fiero e sostenuto proprio come lui. Non lo ricambiava ma non
serviva, sapeva perfettamente cosa pensava anche se lo nascondeva come
nessun altro.
-
So che non ti piace quando faccio così, però certa gente ha bisogno di
una lezione o non cresce! - Lo disse con arroganza e vide le iridi
azzurre fare un guizzo nello sguardo lontano anni luce da lì, per un
momento fu presente e solo per posarsi sull’accattivante coetaneo. Il
fatto che fosse un bel ragazzo e che fosse il figlio del direttore non
lo autorizzava a fare certe stupidaggini, tali erano per lui.
-
Senti da che pulpito! - Karl non aveva mai mascherato la sua opinione
severa sul moro che riteneva troppo libertino, infantile, prepotente,
arrogante e con una valanga di altri difetti.
Eppure
era il suo unico amico, l’unica presenza che accettava nella sua vita.
Non
poteva proprio capire come mai, anche se per Genzo era la cosa più
semplice di quel mondo.
Karl
era innamorato di lui e si sapeva che l’amore era cieco!
Gli
aveva espresso quella teoria un sacco di volte ed ognuna di esse, il
biondo dai capelli ordinati e lisci, la pelle chiarissima e l’aria più
scostante ed indifferente che avesse mai visto, l’aveva demolito con
uno sguardo vuoto ed un semplice ‘sei il solito presuntuoso’, il che
era vero, diceva sempre il bel tenebroso, ma non rispondeva alla sua
uscita.
Come
poteva dire che Karl era innamorato di lui se non dimostrava nemmeno di
essere vivo, a volte?
Certo,
stava solo con lui, però al di là di quello non c’erano altre
dimostrazioni.
-
Perché? - Oh, sapeva perfettamente come Karl lo vedeva, ma Genzo non
sapeva mai resistere all’idea di stuzzicarlo e farlo parlare. Lo
provocava in ogni modo possibile e quando aveva l’occasione, anche in
QUEL senso.
L’algido
individuo scosse impercettibilmente il capo stringendo appena le labbra
in segno di dissenso, quindi sforzandosi gli rispose:
-
Lo sai bene il perché. - Era consapevole del gioco di Genzo e lo
infastidiva quando lo faceva, perché doveva far di tutto per farlo
reagire e farlo parlare?
-
No, spiegamelo! - Continuò imperterrito il bel giovane dai corti
capelli neri e mossi. Lo fissava insistente con quella sua aria
arrogante e pungente, pronto a coglierlo in fallo.
-
Per te le regole non esistono ma guai se gli altri le infrangono. È
unicamente un tuo diritto. E poi… - Esitò stranamente e l’amico lo
istigò a continuare curioso di sapere cosa voleva dire, quindi alla
fine, ancor più esasperato di prima, Karl lo disse più tagliente che
mai, finalmente guardandolo negli occhi di onice talmente penetranti
quanto sensuali di natura: - e poi sei l’essere più arrogante,
presuntuoso e viziato che io conosca! -
A
quello Genzo parve compiacersi e senza dimostrare il minimo orgoglio
ferito, rispose ghignando:
-
Fortuna che non hai detto fra i tuoi amici, visto che sono l’unico! -
Era vero che lo era, ma questo non lo toccava minimamente.
Emettendo
un lieve sospiro che voleva dire ‘sei sempre il solito’, decise di
chiudere l’argomento, con lui era tempo sprecato.
Gli
piaceva essere così, non sarebbe mai cambiato e a lui, invece, finché
non ci sarebbe riuscito, non avrebbe mai ceduto alle sue avances anche
se lo desiderava come mai nulla in vita sua aveva desiderato.
Giunti
nelle rispettive camere che confinavano, ognuno ne aveva una per sé,
Genzo per ovvie ragioni e Karl perché era il migliore amico di Genzo,
questi si fermò sulla soglia e guardandolo diretto con ancora quel
sorrisetto enigmatico stampato sulle labbra, disse:
-
Che fai? Abbiamo un po’ di tempo prima di cena… potremo fare qualcosa
insieme… - Non fu una vera e propria proposta ma considerando il tipo,
tutto quello che diceva a Karl in realtà lo era e questo il ragazzo lo
sapeva così bene da non cadere mai nella sua rete.
Bisognava
essere abili per non finirci dentro, in effetti, però lui se la cavava
piuttosto bene.
-
Devo sistemare quello che ho preso e rivedere il materiale per domani.
- Un educato e freddo ‘no, grazie’ che seccò parecchio Genzo.
Ogni
volta quella storia… quando si trattava di passare del tempo insieme in
una delle due camere, finiva sempre che Karl scappava!
Chissà
cosa pensava, che lo violentasse?
A
quel pensiero infastidito avuto mentre sbatteva la propria porta,
chiudendosi dentro alla camera senza aggiungere altro, si fermò e
rifletté -strano evento-:
“Però
in effetti, appena riuscirò a stare solo in camera con lui sa bene che
finirò proprio per violentarlo!”
E
non era un pensiero poi tanto scherzoso… certo non l’avrebbe preso con
la violenza, anche perché con uno che faceva karate e che aveva quel
fisico atletico era un po’ impossibile, però avrebbe saputo essere
molto convincente.
Con
un ghigno obliquo sul suo bel viso tenebroso e accattivante, si
dimostrò ancora una volta estremamente sicuro di sé.
Percorrendo
il corridoio, una volta entrato in istituto chiunque lo incrociasse lo
salutava allegramente con una certa gioia di averlo incrociato, lui
ricambiava gentilmente ognuno come fosse in ottimi rapporti con tutti.
Pareva
avere una certa familiarità anche se erano in molti e sembrava
conoscere ognuno.
Era
all’incirca così anche se non era proprio esatto.
Erano
loro a credere di conoscerlo e ad essere nelle sue grazie, peccato che
il suo sorriso, la sua gentilezza e il suo salutarli e parlare con loro
se si presentava l’occasione, era appunto solo una cordialità portata
dal modo distinto in cui era stato cresciuto.
La
verità era che i suoi gesti amichevoli e aperti rimanevano alla
superficie, mentre nel suo cuore fragile dal punto di vista della
salute, era lontano da tutti anni luce.
Non
si poteva dire fosse avvolto nel ghiaccio o nelle tenebre.
Lui
semplicemente era irraggiungibile nonostante desse l’idea a tutti di
essere aperto e socievole.
Lo
era, ma solo come posa, per adempiere agli insegnamenti che gli erano
stati inculcati sin da piccolo.
Insegnamenti
che su suo fratello, evidentemente, non avevano avuto molta presa!
Jun
Misugi.
L’amico
di tutti e di nessuno.
Chi
poteva fregiarsi del titolo di amico vero?
Le
persone che avevano a che fare con lui si dividevano in due categorie,
sostanzialmente: quelle che si sentivano a disagio e prese in giro e
quelle che lo adoravano incondizionatamente reputandolo perfetto.
Lui
era consapevole di tutto ma non ci dava peso, non gli faceva in realtà
né caldo né freddo. Poteva dire di essere abbastanza contento di non
dover faticare per farsi accettare e apprezzare, visto che tutti lo
facevano anche se non si sforzava.
Dopotutto
bastava controllarsi e il gioco era fatto.
Non
lo faceva con cattiveria o per prendere effettivamente in giro gli
altri, era solo per la propria pace personale.
Più
lo lasciavano tranquillo credendolo una brava persona amabile e degna
di rispetto, più lui viveva meglio.
Da
solo.
Apparentemente
circondato da mille persone pronte ad ogni suo cenno, in realtà era
volontariamente solo.
Raggiunta
la propria camera si ricordò di dover passare da Yayoi, glielo aveva
promesso prima di uscire a fare le sue compere. Sorrise ricordando il
suo stupore quando le aveva detto che non si faceva accompagnare da
nessuno in macchina ma che si sarebbe mosso a piedi o in pulmino.
Non
ci aveva voluto credere ma lui si era guardato bene dal chiederle di
venire con sé, almeno quando usciva dall’istituto voleva stare per
conto sua anche esteriormente e non solo interiormente.
Era
pesante dover sempre seguire un ruolo che la propria educazione gli
aveva imposto. Spesso si sentiva solo un subdolo aristocratico o
qualcosa del genere, ogni tanto pensava effettivamente di prendere in
giro gli altri ma poi si trovava a soppesare la propria pace con la
chiarezza e gli veniva male solo all’idea di che cosa avrebbe
significato scambiare le due cose.
Esprimere
sé stesso liberamente era una cosa che non aveva mai fatto e che non
sapeva nemmeno fare, non aveva idea di come fosse in realtà.
Arrivista,
magari… nel senso che gli piaceva riuscire bene in ciò che faceva e
sapeva di essere bravo.
Supponente,
poiché era consapevole di essere intelligente sopra la media e di saper
comportarsi meglio di molti altri.
Intransigente,
dal momento che detestava essere contraddetto e se prendeva una
posizione nemmeno il mare lo smuoveva.
Severo,
tanto con sé stesso quanto con gli altri.
La
caratteristica principale che sapeva di avere, però, era la
riservatezza.
Non
sopportava quando qualcuno veniva a sapere di qualcosa che lo
riguardava, specie se lui non lo voleva.
Faceva
sempre di tutto per tenersi per sé tutti i fatti propri.
Sospirò
contrariato all’idea di dover andare dalla sua ragazza per raccontarle
com’era andata, ma del resto glielo aveva promesso e non andarci
avrebbe generato una serie di discussioni che più che tali sarebbero
stati dialoghi, ma rispondere a domande a cui non voleva rispondere,
sapendo di non poterlo evitare nel momento in cui sarebbero state
poste, lo spingeva a prevedere tutto e a comportarsi di conseguenza,
forzando sé stesso a scegliere il male minore.
Dopo
tutto non aveva reali motivi per non vederla.
Quando
fu in camera sua la trovò sola a leggere.
Lei
gli aveva dato il permesso di annunciarsi e di entrare da solo, per cui
non aspettava venisse ad aprirgli.
Yayoi
era una bella ragazza dai capelli rossi lunghi oltre le spalle, lisci
ed ordinati, occhi verdi e gentili, corpo minuto e ben vestito.
Vedendolo
entrare si sciolse dalla sua posa elegante e si alzò andandogli
incontro, gli posò un delicato bacio sulle labbra e niente di più, lui
ricambiò alla stessa maniera, molto formale, le sfiorò la guancia con
un dito e lei arrossì, quindi sorrise timidamente e si scostò tornando
a sedersi, invitando il fidanzato a fare altrettanto:
-
Come è andata? - Chiese con un velo di apprensione. Aveva sempre paura
che gli potesse succedere chissà cosa…
Jun
sorrise a sua volta rassicurante, quindi ricordando com’era andata la
sua prima esperienza su un pulmino cambiò completamente espressione, la
luce dei suoi occhi parve momentaneamente accendersi e Yayoi lo notò
incredula e colpita:
-
Bene… ho incontrato un altro ragazzo che prendeva il pulmino per la
prima volta, così abbiamo parlato un po’ ed il tempo è passato
tranquillamente. - Del resto cosa gli sarebbe potuto succedere?
-
Un ragazzo che viene qua? - Chiese incuriosita cercando di capire
meglio la situazione che doveva aver acceso tanto il suo ragazzo.
Jun
non si infastidì nel parlargliene ed anche se così fosse stato, non
l’avrebbe comunque dimostrato:
-
Si è appena iscritto, non sapeva com’era l’istituto e mi ha chiesto
qualche informazione, così l’ho rassicurato. Si chiama Kojiro Hyuga. -
Non gliene avrebbe parlato ma era stato un bell’incontro e voleva
dimostrarle che anche se si muoveva da solo con mezzi pubblici,
potevano succedergli cose belle di cui non doveva sempre preoccuparsi.
E
poi parlare di quello strano ragazzo che per qualche motivo l’aveva
colpito, era come renderlo reale.
Si
chiese fra sé e sé se l’avrebbe mai incontrato lì dentro, dopo tutto
l’istituto era molto grande… non era detto.
Ricordò
tutto il loro incontro, avevano parlato più o meno normalmente, lui non
l’aveva guardato come un Dio sceso in Terra come molti ormai facevano
ed era stato piacevole essere visto come una persona più o meno comune,
pur di ranghi diversi.
Quando
l’aveva visto alzarsi alla loro fermata e girarsi, aveva capito che non
aveva intenzione di passare altro tempo con lui quindi rimanendoci un
po’ male aveva nascosto perfettamente il suo stato d’animo scendendo
silenzioso e veloce come niente fosse.
Era
andato dritto al Toho lì di fronte e non si era voltato indietro per
vedere se lui lo stava seguendo, però avrebbe voluto.
Capiva
che uno così era un tipo solitario e particolare, aveva apprezzato la
sua chiarezza o quella che per lui era parsa tale.
In
realtà solo un ridicolo equivoco dal momento che Kojiro in quel momento
si era girato per prendere il proprio borsone e non per dargli
volutamente le spalle ed invitarlo a togliere il disturbo.
Non
si era fatto toccare da quell’evento, però ripensarci lo stuzzicava… si
chiedeva dove fosse finito, in quale stanza, con chi ed in che aula
sarebbe stato.
E
poi che tipo di storia dovesse aver avuto, perché era lì… avrebbe
voluto fargli più domande ma lui era un tipo riservato e dava per
scontato che se qualcuno voleva parlare dei fatti propri, lo faceva da
sé senza che nessuno lo esortasse.
Il
fatto che lui poi non lo faceva mai nemmeno con la sua ragazza, a
momenti, non significava che anche gli altri fossero così.
Yayoi
rimase ad osservarlo rapita rispettando i suoi silenzi come sempre, si
era chiuso in chissà quale ricordo invalicabile e più di quello che le
aveva raccontato non avrebbe saputo.
Non
avrebbe condiviso maggiormente i suoi pensieri che anche per lei erano
un mistero, però affascinante proprio per questo.
Il
mondo di Jun era un autentico enigma.
C’era
di tutto, in lui, un tutto che si poteva solo immaginare.
Qualcuno
lo reputava snob, subdolo, doppiogiochista e opportunista, ma se lo
tenevano per sé visto la massa che, invece, lo reputava una specie di
angelo fra gli uomini, perfetto, a modo, educato, onesto ed
effettivamente superiore come tutto di sé trapelava, specie la sua aria
e la sua espressione.
Ma
qual era la verità?
Jun…
l’amico di tutti e di nessuno.
Un
autentico mistero.