CAPITOLO XIII: 
CONFRONTI

/March on - Good Charlotte/
Se glielo avessero chiesto non avrebbe saputo dire perché l’aveva fermato di preciso, non era una cosa molto razionale e logica ma nell’esatto istante in cui lo fece ritirò la mano senza dire nulla.
Genzo, perplesso e stordito da quel contatto e da quel gesto l’accontentò senza chiedere perché non volesse la luce accesa, quindi chiudendo la porta della palestra lasciò che la pila elettrica illuminasse da sola tutto quell’immenso spazio a loro completa disposizione.
- Dubito che sia qua, comunque… - Disse senza pensarci troppo.
- Chi? - Chiese Karl dimenticando per chi fossero lì.
- Tsubasa! - rispose Genzo ghignando. Lo vide addentrarsi, conosceva a memoria quel posto, con o senza luce si sarebbe mosso tranquillamente senza scontrarsi con niente, quindi lasciandolo al ring di boxe dove giunse con calma, si diresse agli spogliatoi giusto per fare almeno un po’ il suo dovere. Trovandolo vuoto ne uscì subito senza nemmeno dire l’ovvio.
Lo raggiunse poco dopo dove l’aveva lasciato, era salito sopra e nonostante fosse stato al buio non aveva fatto un solo rumore né tanto meno si era fatto male scontrandosi da qualche parte.
L’illuminò, era tutto così suggestivo in quel modo che veniva proprio da chiedersi cosa dovessero fare a quel punto, perché interrompere tutto o anche solo parlare?
Parlare di cosa?
Di quello che era successo proprio lì dove erano ora?
Di cosa si erano detti -gridati?-
Di cosa dovevano parlare?
Non lo sapeva e non gli interessava, l’aveva chiamato perché l’aveva voluto con sé in quella cosa noiosa, perché di tutto quel casino aveva capito che Karl sostanzialmente voleva conoscere le parti più vere e profonde di sé e nonostante lui stesso non le conosceva poiché le aveva chiuse troppo bene, sapeva che l’unico modo per mostrargliele era stare con lui, stare con lui sempre, anche quando non c’era un effettivo motivo o non dovevano fare nulla di speciale, anche senza parlare di quello che si erano detti. 
Questo era tutto ciò a cui con Jun era venuto a capo in tutto il tempo che era rimasto a parlare con lui quelle sere.
Non sapeva cosa c’era sotto quelle maschere di spacconeria e antipatia che si metteva in faccia ma appurato che lui non era solo quello perché nessuno era solo così come appariva in un primo momento, come si poteva tirare fuori il resto?
Non si era mai voluto guardare ma magari se si fosse fatto vedere da qualcuno, questo qualcosa l’avrebbe visto, qualcosa che lui non sapeva -o non voleva- vedere…
Mise giù la bottiglia di birra ancora a metà e salendo a sua volta sul ring, continuò ad illuminare in basso in modo da dare una visuale parziale ed in penombra di entrambi, i visi a stento si distinguevano ma si conoscevano così bene che non faceva molta differenza.
- L’ultima volta che siamo stati quassù insieme me ne hai dette e date parecchie… - Disse Genzo con un mezzo ghigno, il tono però era basso e pensieroso. 
Sperava solo che Karl lo capisse da solo, non aveva voglia di chiedergli aiuto per capire sé stesso, a lui non interessava capirsi, sarebbe potuto andare avanti tutta la vita in quel modo, con quell’apparenza di caratteraccio viziato, ottuso e narcisista e basta, si piaceva, non trovava problemi nell’essere così. Se non che, ovviamente, rimanendo in quel modo non avrebbe potuto avere l’unico che in vita sua aveva voluto, Karl.
Questi non rispose, non era una domanda effettiva in fondo e Genzo non sapendo cosa fare e come farsi capire, come dirglielo, cominciò a far passare il tempo con la prima cosa che gli venne in mente, mimando, con pila stretta nel pugno, dei colpi veloci di boxe. 
Karl si perse ad osservarlo con la luce che si muoveva veloce in quel modo strano, quasi ubriacante.
Gli piaceva guardarlo mentre si allenava, era come se ballasse, aveva un movimento fluido e veloce che si sposava perfettamente con la forza e amava soprattutto quel suo lato. La forza. Quando faceva pugilato era al top, in piena forma ed era difficile staccargli gli occhi di dosso, specie quando era in divisa d’allenamento, ovvero con pantaloni corti e canottiera. Vedere come i muscoli ben formati si tendevano e guizzavano ai suoi movimenti, come poi la pelle si imperlava di sudore creando un invitante effetto doccia… si leccò le labbra e Genzo captò il suo disagio nonostante non stesse fermo. Stava dando pugni a casaccio ma gli occhi non si erano staccati da lui un istante.
Come poteva fare per farsi capire senza dover usare parole svenevolmente imbarazzanti e da sciocco?
Ti dispiacerebbe stare con me per capire cosa non riesco a capire da solo, cioè chi sono e tutte queste palle qua?
Sostanzialmente quello che, comunque, vuoi che io tiri fuori per poter stare con me?
Gli tornò alla mente la domanda che gli aveva rivolto Jun quella sera prima che venissero interrotti…
‘Ma ne vale la pena? Scavare in sé in questo modo, cercare quei lati nascosti con tanta difficoltà, passare l’inferno per capirsi e sostanzialmente non proprio cambiare ma almeno modificarsi un po’, buttare giù quella maschera comoda e sicura… fare tutta questa fatica… vale la pena?’ Ma anche se non era riuscito a rispondere, suo fratello aveva già avuto la risposta in tasca, glielo aveva letto nello sguardo acuto da yakuza.
“Ne vale la pena. Ogni fatica di merda, pur di avvicinarmi a lui. L’unico che io voglia davvero.”
Pensò infatti arrivandogli davanti colpendo l’aria. Si fermò improvviso e Karl sussultò ma non si mosse, non sarebbe stato da lui dimostrare agitazione, dopo quella sfuriata dell’altro giorno non ci sarebbe stato verso di vederlo di nuovo fuori dalle righe. A quel punto gli venne in mente una cosa a cui diede voce senza rifletterci…
- Mi spieghi perché sei sempre così trattenuto a tutti i costi? Sembra che tu abbia il terrore di lasciarti andare. - 
Karl si sorprese di quella domanda improvvisa che non c’entrava affatto, ma almeno si era fermato, anche se gli era praticamente attaccato. Poca la distanza che incorreva fra i due e nessuno si sarebbe mosso, troppo orgogliosi.
- Hai visto cosa succede quando perdo il controllo. - Rispose con semplicità e senza scomporsi. Genzo dovette convenire con lui, aveva ragione in effetti…
- Bè… io non so cosa ci sia dentro di me, so solo che c’è qualcosa, è vero. Ma l’ho nascosto, ok? Il punto è… - 
- Non sai come tirarlo fuori? - Chiese spontaneo Karl rendendosi conto che stava di nuovo uscendo dalle righe per l’emozione che quel momento, lì con lui, in quel posto, al buio, gli stava trasmettendo.
- No, non tanto quello. Penso di poterci riuscire volendo, con l’aiuto di qualcuno, magari… no, è che… penso di non riconoscere la differenza, no? Non capire che diavolo sia quello che c’è lì. - Poi aggiunse dopo qualche istante, avvicinandosi impercettibilmente. - E poi… - Ma si chiese se non fosse troppo stupido da dire. Karl mosse quel mezzo passo che rimaneva, istintivamente. Voleva sapere tutto quello che aveva da dirgli, finalmente parlava, parlava veramente e non per finta. Si sfioravano, la pila illuminava ancora in basso e loro due si vedevano quasi a stento, però l’azzurro degli occhi dell’ascoltatore brillava, quasi.
- Poi? - Un po’ di ansia dietro all’esortazione. Un po’… Genzo capì che se lo meritava. Si meritava la sua sincerità totale, anche se avrebbe poi fatto veramente la figura dell’idiota.
- E poi penso di essere io a non voler vedere. Mi sto tenendo di proposito i paraocchi e mi nascondo dietro ai miei atteggiamenti da spaccone, non voglio vedere, credo; come dicevi tu. Ma… - 
Se non avesse finito l’avrebbe di nuovo preso a pugni, come poteva tenerlo così sulle spine?
Si strofinò le labbra cercando di controllarsi ancora ma era quasi un tentativo disperato. Sentiva il suo respiro sulla pelle del viso e rabbrividiva perché anche il suo odore era lì ad inebriarlo. Aveva fatto la doccia, era l’odore del suo bagnoschiuma, però gli era sempre piaciuto. 
- Ma? - Faticava anche a non muovere le mani per prenderlo e toccarlo.
- Ma voglio farlo perché tu ne vali la pena. - Lo disse alla fine diretto e semplice così com’era, senza cercare di metterla giù meno da sciocchi e si sentì tanto leggero quanto più stupido. Argomenti da femmine, si disse. Ora? Ora cosa avrebbe fatto lui?
Karl nell’esatto istante in cui glielo disse capì cosa aveva cercato di comunicargli per tutta la serata e dando dell’idiota sia a sé che a lui si calmò, ritrovò la propria tranquillità e sebbene il cuore andasse come un treno, seppe immediatamente cosa fosse da fare lì e lo fece, anche con facilità in effetti.
- Se vuoi ti aiuto io a vedere… se quel che c’è è orrendo non ti dirò nulla, se invece è bello te lo dirò, ok? - Si abbassò al suo livello di semplicità capendo che ormai erano capaci di parlare solo così per non fraintendersi e quindi litigare sempre.
Fu così che Genzo con una leggerezza interiore che rasentò l’assurdo, con una gioia incontaminata che gli saliva da dentro perché era stato capito come aveva spasmodicamente sperato per tutto il tempo, gli prese il viso con una mano, quella libera, e gli sfiorò le labbra con esuberanza ma senza superare il limite. Quella soglia non la invase, rimase nel suo e si limitò a sentirle morbide nonostante l’apparenza. E piacevoli. Fredde ma morbide. Le proprie erano calde anche per lui e gli trasmise quella scossa che gli servì.
Non fu altro, solo un piccolo ringraziamento sentito e spontaneo perché a parole non sarebbe mai stato capace, poi si separò, fece un passo indietro e inghiottendo per ritrovare la propria calma, disse:
- Speravo che lo proponessi. - Karl capì che dietro a questo oltre che ad un grazie c’era anche un ‘non supererò più i limiti se non vorrai anche tu’. 
Trattenne a stento un sorriso ma Genzo forse lo percepì e limitandosi ad un ultima cosa, lo seguì giù dal ring:
- Mi chiedevo quando me l’avresti chiesto. - Perché anche se non l’aveva chiesto propriamente era come se l’avesse fatto e l’altro si sentì una volta di più capito. 
“Decisamente la cosa migliore, a quanto pare…”
Si disse uscendo dalla palestra, seppure a malincuore. 
Era giusto così, per il resto era presto, sarebbe stato forzato e non effettivamente appropriato, ma non potevano nemmeno immaginare che quel momento sarebbe arrivato prima di quel che avevano pensato.

/Furiously Dangerous - Ludacris/
Il primo a vedere il custode aggirarsi per il piano fu Jun il quale prese di riflesso Kojiro per il braccio e fece per spingerlo in parte. Invano vista la forza dell’altro che non si mosse nemmeno di un millimetro. 
- Che diavolo hai? - Chiese a voce quasi alta senza capire cosa gli fosse preso tutto d’un tratto. 
Jun spense il cellulare in modo che non facesse luce e ancora aggrappato al suo braccio nella speranza che si decidesse a fare ciò che qualcuno gli diceva, per una volta, sussurrò piano:
- C’è il custode! - Kojiro allora lo vide in fondo al corridoio con la sua torcia elettrica, una volta per notte faceva il giro dei piani per controllare che fosse tutto a posto, poi tornava al suo posto, al piano terra, a pisolare davanti ai monitor.
Il ragazzo a quel punto fu reattivo quanto lo era sul ring e prendendo per le braccia lo spinse contro una rientranza nel corridoio, se erano fortunati il custode avrebbe girato prima ma non avrebbe dovuto sentire movimenti e rumori da quella parte.
Dunque lo schiacciò svelto contro l’angolo e gli tappò la bocca, era una cosa di riflesso che faceva quando lui ed Hikaru andavano in giro di notte per passare il tempo quando avevano entrambe le camere occupate dalle rispettive coppie che dimoravano in esse.
Si tappavano a vicenda le bocche per impedire parlassero accidentalmente.
Jun rimase basito da quella sua reazione pronta e ritrovatosi fra lui ed il muro cominciò a preoccuparsi quando capì che non si sarebbe mosso tanto facilmente.
Guardava verso il corridoio ma quando mollò la presa sulla bocca sussurrando che doveva essere andato, non si spostò e agganciando il suo sguardo rimase precisamente lì dov’era, con molta ferma intenzione, per di più.
Jun si rese conto di cosa aveva fatto nel comporre le coppie di ricerca in quel modo solo in quel momento, lì per lì non ci aveva fatto caso, era solo che non avrebbe retto Taro in quelle condizioni e perché non conosceva bene Hikaru. Sostanzialmente aveva voluto far stare soli Genzo e Karl, in fondo…
Ma ora che era lì in quella posizione si rendeva conto di essersi scavato la fossa da solo. 
Si chiese come fare per liberarsi nel momento in cui cercò di spingerlo via. Le mani rimasero sul suo petto realizzando quanti muscoli si fosse fatto e quanto impossibile sarebbe stato smuoverlo con la forza.
- Kojiro, ti dispiace? - Che poi non era mai stato ben chiaro quando avevano cominciato a chiamarsi per nome, in effetti… l’altro le buone maniere non le aveva mai imparate e probabilmente l’aveva contagiato -solo in quello.-
La voce era ferma, non aveva paura però capiva bene che se non si fosse tolto subito poi si sarebbero dimenticati della loro ricerca, non che fosse la cosa più importante del mondo, ma Jun aveva bisogno di più tempo per pensare a loro due.
Kojiro non aveva pazienza e fu così che avendolo davanti tutto il resto gli passò di testa, completamente.
Lo sentiva morbido sotto il proprio corpo e non era poi tanto teso o combattivo, sembrava quasi che glielo chiedesse implicitamente.
Erano completamente al buio e gli occhi abituati all’oscurità cominciavano appena a vedere qualcosa, ma si sentivano e questo bastava.
I respiri vicini, la consapevolezza di avere i visi a pochi centimetri l’uno dell’altro, sarebbe bastato quel soffio per sentire la consistenza fisica delle labbra che aveva avuto per poco.
Le rivoleva, provò una sete inaudita e la voglia prepotente si fece largo in sé.
- Certo che mi dispiace, sto molto meglio qua così! - Rispose deciso e senza peli sulla lingua. Jun sospirò spazientito, nel momento in cui si era ritrovato intrappolato in quel modo aveva saputo subito che sarebbe finita così. Cercava invano di spingerlo via ma non ci metteva nemmeno troppa voglia, doveva ammetterlo.
Lo sosteneva così bene… 
Sentì le mani sciogliersi dalle braccia per scendere alla vita, ora non era proprio che lo intrappolasse come prima, certamente gli stava addosso ma non da soffocarlo e impedirgli di sgusciare via.
Aveva raggiunto la pelle sotto la stoffa del pigiama leggero e nero ed era così sensibile che lo sentì sussultare e trattenere il fiato, voleva molto di più e lo sapeva.
- Kojiro, per favore… - Sussurrò con compostezza cercando ancora di controllarsi e rimanere calmo, però sentì il fiato sulle labbra e gli fece capire quanto erano davvero vicini e vacillò.
Non esisteva che si sarebbe spostato ora, si disse Kojiro, non senza avere qualcosa in cambio e quando col viso deviò sul lato raggiungendo l’orecchio, gli sussurrò contro basso e roco:
- Cosa? - Sapeva cosa intendeva ma sapeva anche cosa voleva. Era così difficile viverla e basta? Per lui era stato facile… una volta libero si era impossessato della propria vita, semplicemente, vivendo tutto quello che gli era venuto sotto mano a pieno ritmo ed era stato fantastico.
A quel punto Jun non sapeva più rispondere e confuso come poche volte ricordava di essere stato, sentì le labbra scendere sul collo che gli concesse piegando il capo dall’altra parte. Era più bello di quel che avesse mai osato pensare, inaudito ed incredibile.
La consistenza della sua pelle oltre che sotto le dita anche sotto le labbra e poi il sapore, il SUO sapore, non uno in particolare che gli ricordasse chissà cosa.
Era caldo, morbido, liscio e il suo cuore batteva impazzito per quella vena che gli stava succhiando.
Era troppo bello per farlo smettere e non ci sarebbe stata forza al mondo in grado di strapparlo via.
Lo sentiva abbandonato a quel contatto ubriacante, lo sentiva stordito, lo sentiva eccitato, sentiva che voleva di più e l’avrebbe accontentato lì e subito, non aveva mai avuto freni e la famosa decenza non era nata con lui.
Quando decise che gli avrebbe dato molto di più con una mano si mosse e scese in mezzo fra i due bacini a contatto, quando si insinuò sotto i pantaloni leggeri del pigiama Jun sgranò gli occhi e come se si fosse svegliato bruscamente scattò immediatamente di lato come un campione di ginnastica e schiacciato dall’altra parte del corridoio si mise a respirare a fatica e non certo per un problema di cuore.
Kojiro stupito di quella fuga eccellente si riprese subito ghignando divertito, gli piaceva lottare per conquistarsi le prede.
Fece per raggiungerlo ma quando gli fu di nuovo quasi davanti, Jun tese le braccia davanti a sé per fermarlo ed impedirglielo, a quel punto Kojiro dovette arrendersi all’evidenza. A quel punto mancava solo che urlasse ed allora non avrebbe certo potuto fare quello che voleva.
Sbuffò ed alzò le mani come in segno di resa e seccato, alzando gli occhi al cielo contrariato, disse:
- E va bene, e va bene! Non adesso! - Fece brusco. 
Jun sospirò abbassando le braccia, quindi si strofinò il viso e cercò il proprio auto controllo che per un momento era andato decisamente alla deriva.
Come faceva a pensare lucidamente se lui lo mandava sempre così fuori di sé?
E dire che nessuno ci era mai riuscito…
- Ri… riprendiamo la ricerca, per piacere. - Disse alla fine tremante, quanto difficile fosse stato non lo poteva immaginare. No, non mandarlo via ma resistergli. 
Quando ripresero a camminare Jun si rese conto che le gambe gli tremavano e che il calore nelle proprie parti basse non si era ancora calmato, ringraziando il buio sperò che prima di subito tornasse tutto a posto. Non era quello il suo modo di agire, buttarsi a capofitto alla cieca senza riflettere. Non ci riusciva proprio.
- Ok, questa è la camera. - Disse ad un certo punto Jun fermandosi davanti ad una camera in particolare.
Kojiro si ricordò il motivo per cui erano in giro, sospettavano che Tsubasa se la facesse con Roberto, l’insegnante del club di lotta, di conseguenza erano lì per sgamarli.
Jun avrebbe detto che erano lì solo per assicurarsi che così non fosse, ma era la stessa cosa.
Con un ghigno divertito cancellò l’episodio eccitante e seccante di prima e si appiattì alla porta con l’orecchio.
- Ed ora che ti metti a fare? - Chiese piano Jun inebetito. 
- Secondo te? - Chiese ironico.
- Spii? - 
- No, rifletto sull’universo! - Jun strinse le labbra contrariato, suo malgrado si avvicinò. 
Se avessero sentito due persone erano al cinquanta percento fregati, mentre altrimenti… bè, in ogni caso anche il silenzio non avrebbe significato nulla, potevano star già dormendo dopo aver ampiamente consumato!
- Senti qualcosa? - Chiese Jun avendo insito in sé le buone maniere che comunque gli impedivano di spiare troppo sfacciatamente.
- Sì! - Mormorò quasi contento l‘altro che quelle famose buone maniere non le aveva nemmeno per sbaglio.
- Cosa? - Il cuore di Jun cominciò ad andare veloce, non era uno scherzo…
- Due voci di sicuro! - 
- Bene! Le distingui? - 
- E certo, sono cip e ciop e se aspetti un secondo ti dico anche quale è cip! - rispose seccato Kojiro. Jun lo guardò con un sopracciglio alzato e infastidito. 
- L’ironia non è gradita, qua la situazione è grave! - Rispose piccato e saccente.
- Come diavolo faccio a distinguerle attraverso una porta chiusa? Oltretutto non è che conosco bene quella di Tsubasa, cazzo! - Jun sospirò esasperato e spingendo da parte Kojiro con un movimento comunque aggraziato, si appoggiò a sua volta. Pur sentendosi un ladro e la peggiore persona del mondo, doveva pur capire chi era dentro, no? 
Quando aderì l’orecchio al legno col viso rivolto a quello del compagno che lo fissava seccato ma attento per capire cosa si dicessero, entrambi finalmente, nel silenzio completo che si erano decisi a fare, percepirono voci e parole… purtroppo fin troppo precise ed inequivocabilmente familiari, almeno per Jun.
- Non voglio che te ne vai! - Stava dicendo una voce adolescenziale rotta dal pianto.
- E’ inevitabile, Tsubasa, mi dispiace ma a questo punto non posso che fare così. - E quella era di certo di Roberto che, onde evitare dubbi, aveva anche usato il nome del suo interlocutore.
Kojiro ghignò vittorioso come se avesse vinto alla lotteria mentre Jun si raggelò e quando lo vide non fece più caso a ciò che si dicevano dentro ma si perse a fissare la sua espressione e la sua reazione a dir poco interessante ed inquietante.
- No, non per colpa mia! Non andartene, ti prego… - 
- Non lo farò, Tsubasa. Non rimarrò qua a questo punto, non dopo quello che mi hai detto. E poi io… - 
- Tu cosa? Non posso essere io quello che ti fa andar via, non farlo… - 
- Potevo far finta di niente se tu non fossi venuto qua stasera e non me l’avessi detto, ma ora non posso nascondere la testa sotto la sabbia, non sono così piccolo ed immaturo, non farò questo tipo di errore. - 
- Allora fa finta che non sia venuto, che non ti abbia detto che andrei anche all’inferno se me lo dicessi tu. Fa finta che non ti abbia detto che credo di essere innamorato di te. Fa finta di niente… non posso stare qua senza di te, ti prego… non voglio che tu faccia niente, ma non andartene. Viviamo come prima, tu il maestro io l’allievo e basta. Solo questo. Ti prego… non lasciarmi… - 
- Non esistono le finzioni, Tsubasa, esiste solo la realtà. Tu provi qualcosa di troppo forte per me, così tanto che hai lasciato Taro ed ora sei disposto a tutto pur di stare con me. Potrei farti fare qualunque cosa, ma non è giusto, non va bene così, almeno uno deve rimanere lucido e quello sono io, sono troppo grande ed anche se gli anni che ci separano non sono tanti, ora pesano, tu ne hai solo diciassette ed oltretutto io sono il tuo maestro, insegno qua, non posso fare finta di niente se mi dici una cosa del genere. - 
- Ma perché vai via tu! Non posso andare via io dal club? Non ti disturberò più, farò come se non esistessi, non ti parlerò, non ci vedremo… ma non andartene… - 
- Non posso, non posso perché… - Ma proprio mentre stava per dirlo, fu Jun a parlare, un sussurro tagliente.
- Ne è innamorato anche lui. - Kojiro sgranò gli occhi sia per le parole che per il tono ma quando lo vide bussare si raddrizzò e impietrito rimase immobile ad osservare la scena senza la minima idea di che cosa avrebbe fatto. Non era una situazione normale e perfino lui ora lo capiva, lo sguardo di Jun era gelido e duro come non l‘aveva mai visto nessuno.
Ed ora?
Cosa intendeva fare?
Intromettersi così?
Lui che era comunque solo un ragazzo?
Forse era impazzito ma tremendamente curioso di quella situazione, rimase attento a tutto non riuscendo proprio ad immaginare come andassero gestite quelle cose. Lui se ne sarebbe andato facendosi i fatti propri ma Jun cosa pensava di fare?
Quando la porta si aprì di uno spiraglio e dall’interno illuminato si vide il viso di Roberto dall’aria tesa e cupa, Jun con fermezza e astio chiese altero:
- Tsubasa è qua? - Ma non era una vera domanda e Roberto che era Roberto, uno tutto d’un pezzo che non era capace di scalfirsi con nulla, vacillò. Fu un attimo davvero breve e quasi impercettibile che tuttavia entrambi i ragazzi notarono a conferma di ciò che stava succedendo.
I due si capirono, c’era tensione nell’aria, una tensione adulta e fredda che salì quando Roberto rispose con durezza: 
- No, non è qua, perché lo cercate? - 
Kojiro capì la gravità della situazione solo in quel momento mentre Jun non fece una piega e sostenendo quello sguardo penetrante come fosse al suo pari, fece con quella sua aria superiore, sintomo di quanto stesse biasimando colui che aveva davanti. 
- E’ sparito da qualche ora dopo aver furiosamente litigato con Taro, il suo compagno, - e l’uso di quel termine non fu a caso poiché avrebbe dovuto dire ‘compagno di camera’ per metterla giù normale - ed ora in sei di noi lo stiamo cercando in tutto l’istituto, siamo preoccupati. - 
Roberto vacillò di nuovo ma fu ancora solo un istante che non sfuggì a nessuno dei due, quando rispose tornò brusco e sbrigativo: 
- No, non è passato di qua, non so cosa dirti ma se vi trovano in giro potreste incontrare guai, state attenti… - Lo disse nel tentativo di sembrare un insegnante permissivo e Jun decise di dimostrarsi anch’egli per chi era.
- Oh, non si preoccupi, siamo io e Genzo in giro, non ci diranno nulla, siamo i figli del direttore. - Fu lì, esattamente lì che in quello scambio di sguardi avuto davanti ad uno stupito Kojiro, che si lanciarono una sfida consapevoli e coscienti  del fatto che Jun li aveva scoperti e che gli dava una possibilità, di certo una sola, per fare la cosa giusta. 
Dopo di questo si congedò scusandosi educatamente per l’interruzione e senza dire altro se ne andò a testa alta e con la sua camminata sostenuta che parlava più di ciò che non aveva detto.
Kojiro gli fece solo un cenno prima di andarsene e seguirlo a sua volta, ma capì che Roberto era, per dirla come la pensò, praticamente nella merda.

Quando raggiunse Jun che camminava più spedito del solito, gli chiese seriamente interessato alla questione ma non a quella in sé bensì solo al modo in cui Jun l’avrebbe gestita.
- Ed ora cosa pensi di fare? - 
Jun non si fermò e non si girò ma rispose senza esitare, come se sapesse già tutto.
- Gli do solo un’occasione, una. Se non la sistemano veramente, e per come la vedo io l’unico modo è come ha detto lui, cioè andarsene, non avrò scelta che affrontarli a viso aperto. - Kojiro per un momento si eccitò all’idea di vedere Jun battagliero ad affrontare apertamente e direttamente quella situazione, già solo quel breve scambio di sottintesi con Roberto era stato interessante, ma vederlo dare battaglia a qualcuno sarebbe dovuto essere qualcosa di fantastico, per come la vedeva lui.
- E lo dirai agli altri? - 
- Genzo ci rimarrebbe troppo male, a Karl ed Hikaru non importerebbe nulla e Taro ci morirebbe. Gli do l’opportunità di sistemarla da soli, sanno che sono stati beccati, quell’uomo non è idiota. - Era fermo, freddo e tagliente, segno di quanto arrabbiato e deluso fosse, quindi Kojiro ghignò di rimando.
Era semplicemente uno spettacolo.

/Giochi proibiti - Aninimo/
Ricongiunti tutti e sei nel luogo in cui si erano divisi, si aggiornarono ognuno con risultati andati a vuoto.
- Niente nemmeno noi, sarà da qualche amico, ne ha tanti, no? - Fece Jun con voce ancora più saccente che gentile.
Genzo colse immediatamente il tono e non se lo fece sfuggire ma con uno sguardo attento e penetrante si limitò a guardarlo e basta.
Kojiro sapeva perfettamente e stupito della maestria con cui mentì si trovò solo più contento di scoprire nuovi lati di quel ragazzi, lati, per inciso, estremamente interessanti. 
Hikaru sospirò e ringraziando gli altri, continuando a circondare l’amico Taro per le spalle che si vedeva essere più a pezzi di prima, si diresse nella propria parte di corridoio per tornare in camera con lui nella speranza che almeno dormisse.
Kojiro li accompagnò essendo loro vicino di stanza e quando i tre rimasero soli, si diressero anche loro verso la propria parte di dormitorio, poco più in là.
Karl in silenzio captò subito qualcosa di strano nell’aria ma non si intromise e Jun gliene fu estremamente grato, non riusciva assolutamente a capacitarsi di ciò che aveva appena scoperto e sebbene fosse una persona molto reattiva che non si scomponeva assolutamente mai per nulla, quello l’aveva scosso e più che scosso infastidito. Infastidito nel profondo.
Non guardava nessuno, non parlava nemmeno in maniera circostanziale per tenere su un momento pesante, anzi, sembrava proprio colui che effettivamente lo appesantiva.
Un alunno ed un adulto, perfetto, poteva succedere, poi loro due avevano solo sei anni di differenza, Tsubasa era grande, peccato che quando uno era maggiorenne e l’altro ancora no quei sei anni apparivano molto di più.
Regolamenti e morale e poi cos’altro?
Quante c’erano contro quella situazione che, sperava fosse così, non era ancora passata ai fatti?
Troppe, ma quella che l’aveva mandato fuori di sé in quel modo -un modo in cui in pochi ci andavano poiché era praticamente artico- era stato quando Roberto l’aveva guardato negli occhi e capendo tutto gli aveva mentito dicendo che Tsubasa non era lì.
Sarebbe stato logico, avrebbe potuto affrontarla meglio. Era il suo insegnante, colui a cui Tsubasa era più legato, in un momento di crisi personale era normale andasse da lui, invece negando la sua presenza lì non solo lo copriva ma lo nascondeva, cosa che rendeva grave la loro situazione quando ancora in realtà non lo era.
Era stato lì che Jun si era infuriato.
Quando gli aveva mentito decidendo di mandare avanti una cosa che stava invece cercando di fermare sul nascere.
La rifiuti?
Bene, saggia decisione, ma quando ti si presenta la scusa perfetta per scrollarti il problema di dosso, coglila.
Dire che era lì e che si era sfogato e chiedere se potevano pensarci loro sarebbe stato l’ideale per mettere le cose in chiaro e piantare dei paletti in profondità. Un no a quella relazione che Tsubasa voleva, un no grande come una casa.
Un no che Roberto, nonostante tutte le sue buone intenzioni a parole, non era stato in grado di attuare all’effettivo.
E non era che poi magari sostenessero una vera relazione fra alunno ed insegnante, Tsubasa era relativamente grande per decidere da solo, poteva andare in fondo se voleva, ma era proprio una questione di ipocrisia, per Jun.
Oltretutto c’era gente come suo fratello che si fidava di lui ed in quel modo come poteva sentirsi?
“Lui educa, con quelle discipline. Educa dei ragazzini che magari vogliono diventare come lui e lo seguono in tutto e per tutto. Ed è il caso che se lo ricordi.”
Non avrebbe mai dimenticato quello scambio di sguardi, quando gli aveva dato la possibilità di fare quella cosa giusta e dar seguito alle sue parole di ‘non possiamo, non va bene, non è giusto’ e quando poi invece si era tenuto lì Tsubasa guardandolo proprio dritto negli occhi.
Essere preso in giro no, mai, non così.
E non solo.
L’ipocrisia degli adulti era da sempre la cosa che lo faceva uscire più di tutto fuori di sé.
Kojiro che la trovava una cosa divertente a cui assistere non aveva idea di cosa avrebbe visto e se Genzo avesse saputo tutto, invece, quell’idea l’avrebbe avuta eccome e avrebbe fatto di tutto per placarlo e fermarlo. Non dopo essere scoppiato lui stesso, probabilmente.
“Lui fa l’ipocrita e mi prende in giro? Bene, vediamo chi ne viene fuori!”
Pensò alla fine giunto in camera.
Salutato educatamente Karl che andò in camera sua, Genzo si infilò nella propria con prepotenza e fissandolo a braccia conserte e con sguardo accusatore, andò al sodo senza mezzi termini:
- Cosa diavolo hai scoperto? - 
Jun sospirò spazientito, sapeva che l’avrebbe notato.
Chiuse gli occhi con fare aristocratico, si massaggiò le tempie con due dita e poi guardandolo di nuovo alzò le mani avanti a sé per fermarlo, quindi con fermezza e decisione disse:
- Ci penso io, va bene? Tu non fare nulla. - 
Genzo però capì solo quanto grave fosse la situazione e avvicinandosi al fratello quasi minaccioso, lo prese per i polsi e stringendo ringhiò secco: 
- O mi dici che diavolo c’è o ti rompo le dita così non puoi più suonare! - Non l’avrebbe mai fatto ma Jun capì che non aveva scelta perché avere Genzo alle costole era peggio che avere un cane da caccia.
Sospirò e pregando un istante che non andasse là a prendere a pugni quello che aveva sempre considerato uno dei suoi idoli nelle discipline da combattimento, si spostò abilmente di posto e piazzandosi fra lui e la porta fece in modo di prenderlo a sua volta per i polsi. Questo spaventò Genzo che si irrigidì ancor di più e cupo rimase ad ascoltare le parole che lo penetrarono come delle lame affilate.
- Tsubasa era da Roberto. - 
- E allora? È il suo allenatore, il suo idolo. Roberto è l’idolo di molti, andrei anche io da lui se litigassi con te e con Karl nello stesso tempo. - Disse sbrigativo e veloce convinto di doverlo demolire prima di farlo proseguire.
Jun strinse la presa anche se la sua forza non era al suo pari e attirandolo a sé, lo guardò negli occhi da più vicino, quindi serio e penetrante aggiunse: 
- Genzo, li abbiamo sentiti parlare. Tsubasa è innamorato di Roberto e lui lo ricambia. Parlava di voler andarsene proprio perché anche lui prova la stessa cosa e sa che non può e che se rimarrebbe lì finirebbe per stare con lui, alla fine. Però Tsubasa è disperato e non vuole che se ne vada. Quando ho bussato per chiedergli se Tsubasa fosse lì lui mi ha guardato negli occhi, ha capito che io avevo sentito e sapevo ed invece di raccogliere la palla al balzo e mettere subito tutto a posto dandomi Tsubasa per dimostrargli che non c’era storia e che, come diceva, non l’avrebbe vissuta mai e poi mai, mi ha detto che non era lì. E ci siamo capiti, quando gli ho detto che non correvamo rischi a cercarlo a quell’ora perché sono il figlio del direttore. Capisci, Genzo? Se prima era un istinto che combatteva e contrastava convinto a non viverlo, ora l’ha fatto diventare una relazione vera! Non voglio nemmeno pensare se poi stanno facendo davvero qualcosa, ma coprendo e nascondendolo ha dimostrato che non solo quelle erano solo parole e che non intende troncare tutto sul nascere, ma vuole anche tenerselo! -
Alla fine nel momento in cui aveva cominciato era esploso dicendo tutto quello che aveva dentro e non c’era stato bisogno di accusarlo di ipocrisia e falsità, era chiaro che i punti dolenti fossero quelli.
Non che avesse urlato e sbraitato, era rimasto composto ma aveva parlato con una tale incisività che nessuno avrebbe osato replicare o mettere in discussione quello che aveva detto e sentito.
Genzo infatti capì e gli credette ciecamente subito ed il lampo che passò attraverso il suo sguardo ebbe il potere di far rabbrividire addirittura Jun che però non si mosse di lì e non mollò assolutamente la presa sui suoi polsi.