CAPITOLO XIV: 
SOTTO LA MASCHERA

/ Hells bells - ACDC /
Non mise in discussione nemmeno per un secondo le parole di Jun, non l’aveva mai fatto, la fiducia cieca che nutriva in lui era qualcosa di anomalo per chiunque poiché arrivava a fare cose discutibili solo perché era suo fratello a dirglielo.
Quella volta non mise in discussione le sue parole e non tanto per la forza e la certezza con cui le disse ma semplicemente perché a dirglielo era stato lui.
Non fu una questione di crederci o no, fu una questione che doveva saperne di più. 
Si parlava di Roberto, una sorta di punto di riferimento esterno. Esterno in quanto non membro della sua famiglia, quindi comunque maggiormente affidabile anche solo per quello e per il fatto che semplicemente a Genzo piaceva e per piacergli qualcuno doveva essere speciale perché non gli piacevano tutti, anzi. 
Jun capì al volo le sue intenzioni e capì anche che non sarebbe riuscito a fermarlo e chiedendosi perché non glielo avesse detto in compagnia di Karl o Kojiro, pensò subito al passo successivo a quello che sarebbe successo, perché con la mente era incapace di non correre molto più avanti del presente e del futuro prossimo.
Come un giocatore di scacchi che andava oltre di tre mosse, Jun ancora prima che Genzo decidesse all’effettivo il da farsi e avesse una reazione di senso compiuto che andasse oltre lo shock e la rielaborazione furiosa delle sue parole, lo lasciò ed uscì dalla camera.
Genzo lo guardò esterrefatto andarsene in modo anomalo. Prima si piazzava fra lui e la porta nella vana speranza di fermarlo e poi andava via lasciandolo solo?
Pensò solo fugacemente poiché il secondo dopo senza nemmeno riflettere sul significato profondo delle parole di Jun e sui suoi pareri espressi in abbondanza, aveva infilato l’uscio per correre verso la zona dei dormitori degli insegnanti che si fermavano lì a dormire. 
Non tutti lo facevano, alcuni abitavano in zona e tornavano a casa ma c’era chi per comodità aveva accettato l’alloggio in istituto.
Era quasi completamente buio e non si era nemmeno preso la briga di prendersi il cellulare od una torcia per illuminare i propri passi, ma correva a rotta di collo e con la testa completamente vuota, riusciva a pensare ripetutamente solo una cosa con un bisogno impellente assurdo.
“Me lo deve dire in faccia! Me lo dirà! Solo dopo che me l’avrà detto reagirò, mi schiererò e farò qualcosa. Ma me lo deve dire lui!”
Non si fermò a riflettere che comunque lui era un allievo, un ragazzino, un signor nessun nonostante figlio del direttore e studente dell’insegnante sotto torchio. 
Non si fermò a riflettere nemmeno sul fatto che l’altro era un adulto in diritto di vivere la propria vita e fare le sue scelte indipendentemente dagli altri che in ogni caso non c’entravano niente.
Non pensò a niente, assolutamente a niente e non perché lui risaputamente aveva un’alta considerazione di sé e si credeva molto più di quello che non era, bensì perché non gliene importava assolutamente un cazzo della morale, del giusto, dell’etica, della logica, della sensatezza e di tutte le puttanate che solitamente un essere umano doveva considerare prima di agire in qualunque situazione.
Corse volendo solo andare da Roberto per chiederglielo diretto e sentirselo dire in faccia. Voleva solo quello. Ignorava il motivo preciso, ignorava ciò che pensava di ottenere, ignorava ciò che poi avrebbe voluto o potuto fare. Ci avrebbe pensato dopo, ma prima, prima di tutto, prima di insultarlo anche solo mentalmente oppure difenderlo o lasciarlo stare, doveva saperlo da lui e non perché non credesse a suo fratello. A lui ci credeva. Ma voleva che Roberto glielo dicesse di persona, punto e basta.
Era forse irrazionale e contraddittorio sotto molti punti di vista, ma quello era lui.
Genzo. Impulsivo e precipitoso.
Quando si sentì afferrare per le braccia e strattonare con una forza senza pari, il secondo successivo era sbattuto brutalmente contro il muro ed un corpo solido lo premeva togliendogli il fiato.
Fu questione di pochissimi istanti, il tempo di un battito di ciglia e nell’ombra che li circondava riconobbe Karl ma non perché lo vedesse bene, era troppo scarsa l’illuminazione. Lo riconobbe perché aveva braccia forti e pelle fredda. E poi il respiro sul viso che sapeva di menta. Aveva la fissa di lavarsi i denti ad ogni pasto e poi la mattina e la sera prima di dormire. Qualcosa di poco romantico da considerare, ma Genzo lo riconobbe anche per quello. Dentifricio alla menta.
- Karl, lasciami. Devo andare da lui! Me lo deve dire in faccia! - Ringhiò cercando di riprendere fiato e articolare una frase convincente.
- Perché? Dopo che te lo dice che fai? - Eccola lì la persona logica e razionale che riusciva a mantenere la sua freddezza e sensatezza anche in situazioni tese. Genzo l’avrebbe invidiato o magari gli avrebbe chiesto come ci riusciva, ma lì andò dritto come un treno con l’animo in subbuglio che gli impediva di capire e ragionare lucidamente.
- Ci penserò sul momento! Io devo saperlo da lui, non può essere mio fratello che non c’entra un cazzo a dirmelo! - 
- Non gli credi? È per questo che vuoi saperlo da lui? Non credi a Jun? - Chiese diretto senza dargli il tempo di respirare e pensare perché tanto sarebbe stato inutile. Doveva prenderlo per sfinimento, lo conosceva bene.
- E’ proprio perché credo a Jun che voglio me lo dica Roberto! Sono io, io uno dei suoi allievi migliori! Io quello con cui ha un rapporto diverso perché sono quello che gli do più filo da torcere perché sbruffone ed indisciplinato! Io che do retta solo a lui fra tutti gli adulti che conosco e solo perché lo stimo! Io che andrei da lui a piangere se litigassi con te e con Jun insieme! Io che gli ho affidato una parte di me perché mi piace, mi fido, mi trovo bene con lui… e voglio sentirlo da lui, voglio sapere perché, come può, cosa farà, cosa pensa, cosa prova. Solo dopo mi schiererò, solo dopo penserò, solo dopo dirò qualcosa. Non voglio dire niente finchè non ce l’avrò davanti e non l’avrò ascoltato! Quindi ora lasciami che devo andare da lui! - Karl, colpito dal suo discorso, esitò comunque. Si chiese se in quelle condizioni, cioè così coinvolto, si sarebbe effettivamente limitato ad ascoltare e basta. Non che Roberto non sapesse difendersi, non era questo il punto.
Il punto era che poi Genzo se ne sarebbe potuto pentire, qualunque cosa poi avrebbe potuto fare, visto che era troppo fuori di sé e che quando si agiva in quegli stati d’animo poi ci si pentiva sempre sistematicamente.
- Karl, a te non te ne fotte un cazzo come a molti altri del club. Sono cazzi suoi, no? Oppure molti gli punterebbero il dito e griderebbero allo scandalo come dei bigotti del cazzo. Io prima di fare una delle due cose o anche prima di schierarmi dalla sua parte, voglio sapere. Voglio sapere tutto e bene perché ci tengo e se ci tengo voglio sapere come si deve e nessuno può essere un messaggero esterno. Voglio parlarci, non me ne fotte se non sono nessuno, se sono solo un suo allievo, se sono un ragazzo… non me ne fotte, io ci tengo e voglio saperlo! Mi fido di poche persone e lui è fra questi, quindi si deve prendere la responsabilità di essermi entrato nelle grazie! - 
Era vero che comunque loro due avevano un rapporto diverso da quello che l’insegnante aveva con gli altri, era quasi paritario in un certo senso perché Roberto aveva capito subito come doveva fare a porsi con uno problematico come Genzo, di conseguenza non ci aveva pensato su due volte a metterlo al suo stesso livello. Erroneamente o meno comunque era servito a farsi ascoltare da lui ed era stato importante.
- Fallo domani. Ora non sei lucido, non capiresti comunque niente delle sue ragioni e tu vuoi sentirle per poterlo capire. Quindi per favore, fallo domani. - Con fermezza gli disse quello e come se gli avesse trovato l’interruttore giusto, il ragazzo smise di spingere con tutta la forza che possedeva, non certo poca.
Karl tirò un sospiro di sollievo e solo durante la notte avrebbe riflettuto su quella fissa di fare le cose a mente fredda e non a caldo, per poter mantenere il controllo di sé.
Era così atroce perdere il controllo?
Non avrebbe trovato risposta.

/Just breath  - Pearl Jam /
Quando tornò in camera sua, Jun era seduto nella poltrona che solitamente era piena di vestiti. I vestiti erano stati riposti tutti in ordine mentre al loro posto c’era suo fratello che era anche riuscito ad addormentarsi.
Richiuse la porta dietro di sé e sospirò ormai calmo, se non altro quella sfuriata con Karl era servita a distendergli i nervi.
Si avvicinò ad osservarlo alla luce fioca dell’abat-jour: aveva una brutta cera e si oscurò nel constatare che associata al fatto che dormiva non era un bel segno… figurarsi se non l’avrebbe aspettato sveglio per sapere l’esito.
Gli toccò la fronte con il dorso della mano ma non capendo se fosse calda o meno gli scostò i capelli e posò le labbra per capirlo. 
Subito la temperatura leggermente più elevata gliele riscaldò, non doveva essere troppo alta ma il necessario per affaticarlo dopo una notte passata sveglio in giro per l’istituto a cercare un’idiota innamorato del suo professore. La storia più vecchia del mondo, fra l’altro. 
Di notte oltretutto non era caldo l’istituto ed avevano tutti girato in pigiama. Incoscientemente. Bè, lui incoscientemente, era lui quello malato di cuore che certe cose non poteva farle. 
Jun la notte doveva dormire e stare caldo, non affaticarsi per farsi giretti, agitarsi ed arrabbiarsi, pure!
“Non è che può dormire nella poltrona!”
Era rannicchiato ma non sembrava molto comodo, come riuscisse a dormire era un mistero.
Avere la febbre ed essere affaticato non era comunque sinonimo di mal di cuore, però Jun l’aveva visto crescere sotto una campana di vetro sotto cui l’avevano posto sia lui che suo padre, di conseguenza ora era una fissa rimastagli impossibile da togliere.
Prendendolo per il braccio lo scosse cercando di essere delicato, quindi mormorando un basso ‘ehi’, riuscì a svegliarlo in poco tempo.
Quando Jun aprì gli occhi velati, vide subito che non stava veramente bene e incupendosi ancor di più, lo aiutò ad alzarsi.
- Hai la febbre, vieni nel letto e dormi come si deve! - 
Jun confuso cercò di capire quanto tempo fosse passato ma non trovando l’orologio nel comodino capì che non era in camera sua ma in quella di Genzo. Cercò di raccapezzarsi meglio ma prima di farlo venne condotto con decisione sul letto, quando fu steso venne coperto. A quel punto cominciò a parlare cupo:
- Non ho fatto niente. Domani lo trovo e ci parlo con calma. Ora dormi e non pensare a niente. Non puoi fare le scampagnate in giro per l’istituto solo con un ridicolo pigiama, dannazione! - Si capiva che era preoccupato e che si vergognava di esserlo, parlava in quel modo burbero che a Jun faceva impazzire infatti scacciando ogni pensiero ed arrabbiatura precedenti, si rilassò sul cuscino e rannicchiato sotto le coperte calde gli sorrise con dolcezza in quel modo che sapeva riservare solo a suo fratello e comunque solo raramente. Bè, ora non è che stesse molto bene…
Genzo si disse che era così tenero solo per la febbre ma ne approfittò scompigliandogli i capelli castano autunnale come da piccolo faceva spesso per tranquillizzarlo.
- Dormi. Io sto nella poltrona. - Non ci avrebbe minimamente pensato ad andare nella sua camera per dormire nel letto, Jun aveva la febbre, tutto il resto passava in secondo piano. Era sempre così in quei casi e sempre sarebbe stato.
Forse.
Jun dopo che aveva chiuso gli occhi, all’udire ciò li riaprì e contrariato si fece indietro nonostante fosse un letto singolo ed aprendo le coperte disse perentorio con un tono che non ammetteva repliche:
- Vieni qua sotto e non fare l’eroe che non lo sei! - Ogni tanto bisognava ricordarglielo. 
Genzo provò a porre resistenza, non voleva che dormisse scomodo ma ad un’occhiata al suo viso risoluto e pallido si decise, quindi infilandosi sotto insieme a lui  si mise su un fianco e allargando le braccia se lo fece accoccolare contro.
Jun lo fece senza battere ciglio e solo da quel gesto capì che forse stava più male di quel che non desse a vedere. Era così coccoloso e arrendevole solo quando stava male.
Lo sentì febbricitante anche nel resto del corpo rilassato, attraverso le stoffe leggere dei pigiami e cingendolo cominciò automaticamente a passargli le mani sulle braccia e sulla schiena per scaldarlo.
Ad un mugolio di piacere capì che cominciava a stare meglio e vedendolo infilare il viso in un angolino contro il suo petto, Genzo si rilassò a sua volta chiudendo la luce del comodino e riuscendo finalmente a farsi cullare a sua volta dal sonno.
Era davvero tardi, dopotutto, e di cose ne erano successe in un giorno solo. Bè, in una notte sola, ma poi pensando anche ai giorni precedenti poteva tranquillamente dire che era un periodo proprio da paura.
Si chiese se il destino l’avrebbe piantata di dargli contro ma poi si ricordò di Karl ed esattamente nel momento in cui lo pensò, Jun ad occhi chiusi ed un tono sottile e morbido gli chiese:
- Come è andata con Karl? - Consapevole che qualcosa dovesse essere successo visto che nessuno dei due aveva un occhio nero.
Genzo ringraziò il buio e le posizioni poiché poté anche arrossire un po’ nel ripensare a quello che era accaduto un’ora prima in palestra con lui. Inghiottendo a vuoto cercò di essere più spavaldo possibile ma con scarsi risultati.
- Bene. Sorprendentemente bene. Ha… ha detto che mi aiuterà a scoprire cosa c’è dentro e che se non è bello quello che trova non mi dirà nulla… - Lo sentì sorridere contento contro il suo petto e si sentì strano perché Jun non era mai così espressivo. Certamente non lo vedeva ma sentiva, sentiva fisicamente che lo era e che stava sorridendo contento per lui e nonostante avrebbe dato oro per vederlo, non lo violò consapevole che probabilmente faceva quell’espressione felice solo perché pensava di non essere notato!
- Sapevo che sarebbe andata bene. - Asserì con una punta di saccenza che solitamente usava sempre. Genzo ghignò e si sentì assurdamente più a suo agio tanto che tornò a chiudere gli occhi e a parlare con lui sull’orlo del sonno, proprio come l’altro.
- E visto che sai tutto… - Fece con ironia. - Cos’è che gli hai detto che giorni fa gli ha fatto cambiare idea? - Non l’aveva dimenticato nemmeno un istante che da quando avevano deciso di chiudere e non parlarsi più senza possibilità di ritorno erano poi successe con Karl un sacco di cose una più incredibile ed insolita dell’altra proprio dopo che Jun ci aveva parlato.
Sapeva che qualunque cosa gli avesse detto aveva colpito così tanto nel segno da mandare più volte fuori rotta Karl, cosa che non gli era mai successo da quando l’aveva conosciuto.
Non poteva non chiedersi ogni volta che parlava con lui e che lo vedeva sempre più vicino e più diverso nei suoi confronti, cosa gli avesse detto.
Lo sentì spegnere il sorriso di gioia e mantenerne uno enigmatico. Non lo vedeva ma lo sentiva ancora, non c’era una sola minima espressione che potesse sfuggirgli nonostante non fosse a portata d’occhio.
- Evidentemente le cose giuste. - Genzo grugnì consapevole che non gliene avrebbe detto nemmeno mezza, di nuovo. 
- Yakuza del cazzo! - Borbottò seccato ma non veramente arrabbiato.
- Genzo, mi hai chiesto aiuto ed io ho detto che te l’avrei dato. Ebbene, l’ho fatto. Accettalo e sii contento, il resto non conta, sono dettagli insignificanti. Goditi il rapporto che hai conquistato con Karl e tranquillizzati! - 
Con questo sperò vivamente la piantasse di farsi tante domande a proposito e alla fine vinse poiché accettando le sue parole sospirò e scacciando ogni pensiero e curiosità, mormorò con voce impastata dal sonno.
- Grazie comunque. - Jun, infilata nel fianco la mano che aveva tenuto rannicchiata fra di loro, gli lasciò un’affettuosa carezza fraterna e con una sensazione benevola da parte di entrambi, lo sentì addormentarsi.
“E’ esattamente questo che lui ha dentro e che nessuno conosce e sa. Questo sotto quella maschera di sbruffone. Lui che dorme abbracciato a me per assicurarsi che io stia bene e che la febbre non salga. E poi lui che si confida con me, che mi parla delle sue insicurezze, dei suoi dubbi, di ciò che non capisce ed infine sempre lui che mi ringrazia. Questo almeno Karl lo deve vedere, perché sono sicuro che se lo conoscesse fino a questo punto, non potrebbe mai lasciarlo. Mai. “
Con questo pensiero, si addormentò a su volta.

/Creep - Radiohead/
Non sarebbe mai entrato se non avesse avuto il timore che non gli rispondeva perché era già andato come un caccia ad affrontare Roberto.
Sperava ancora di fargli capire che anche se lui non li capiva, c’erano dei ruoli da rispettare e che Genzo non era sopra le parti perché era il figlio del direttore. Era ancora un’impresa, quel discorso.
Di conseguenza, quando sentì che dall’interno della sua camera non rispondeva, girò la maniglia sperando fosse aperta. Si compiacque di potervi entrare e quando si infilò nella stanza andò subito con lo sguardo sul letto, quando vide una montagnetta ancora sotto le coperte si sentì immediatamente sollevato, poi si diede dell’idiota.
Preoccuparsi tanto per qualcuno in quel modo era davvero imbarazzante…
Sperando di non essere sentito e di poter uscire senza essere notato, gettò un ultimo sguardo in sua direzione ed in quel momento qualcosa attirò la sua attenzione.
Erano due le montagnette sotto le coperte, non una.
Se ne sarebbe andato lo stesso, per carattere se ne sarebbe andato ugualmente se non avessero fatto quel discorso la sera prima dove si erano non proprio messi insieme ma quasi.
Quindi si avvicinò cauto e con la mente completamente annullata sotto la convinzione che Genzo avesse dormito con qualcuno, si chinò e vide.
Rimase comunque senza fiato e senza parole ma non per il motivo che per un tragico istante aveva pensato.
Fra tutte le cose che avrebbe potuto immaginare di vedere, quella mai e poi mai sarebbe stata nella lista.
Impietrito rimase a fissare sotto shock Genzo che dormiva teneramente abbracciato a suo fratello Jun e qualcosa in Karl scattò definitivamente a quel punto, nel guardare tanta dedita dolcezza da parte del maggiore al minore.
“Ecco lì cosa c’è sotto la maschera!”
Pensò solamente al volo. Non riuscì a dire altro, tanto meno a muoversi. Gli occhi azzurri calamitati da quell’immagine dei due fratelli abbracciati e sebbene chiunque si sarebbe sorpreso anche per quell’inedito Jun che appariva come un fragile fratellino bisognoso di affetto, l’attenzione di Karl fu tutta per Genzo che dormiva a quel modo.
“Ma dove lo nascondeva questo lato? Cioè… come può essere tanto insopportabile là fuori quanto premuroso e protettivo qua dentro? Ecco perché Jun ha insistito dicendomi quelle cose sul suo passato. Se non me lo avesse detto non sarei mai tornato indietro e se non l’avessi fatto non avrei mai capito, mai visto, mai saputo… mi sarei perso questo… dannazione, aveva ragione a dire che non potevo lasciarlo prima di conoscerlo veramente. Prima di conoscere questo. Questo per cui uno può passare sopra a tutti gli altri suoi immensi insopportabili difetti, perché dietro c’è qualcosa per cui vale la pena. Vale la pena sopportare e aspettare e lottare.”
Rimase incantato ancora un po’ ad osservarlo abbracciato a suo fratello, dormiva della grossa, non si sarebbe mai accorto di lui e per quanto sconvolgente fosse quell’immagine per più motivi e per quanto avrebbe voluto essere lui al posto di Jun, si rese conto di una domanda simile ad una pallottola che penetrava la carne e le ossa ferendo indelebilmente.
“Ma sarà capace di concedere questo suo lato premuroso e protettivo -per non dire dolce e tenero- anche a me o magari è una cosa riservata solo a suo fratello?”
Domanda non tanto campata per aria e preda di una gelosia che comunque era assolutamente legittima.
In fondo Genzo aveva mostrato questo suo modo di essere -umano- solo con Jun, cosa gli faceva pensare che avesse mai potuto concederlo anche ad altri? Dopo tutta la fatica che aveva fatto per avvicinarlo ed arrivare a quel punto, doveva gettare la spugna?
Non sarebbe comunque stato da lui specie perché ora come ora, davanti a quello, capiva che lo voleva. Capiva che ne era innamorato. Capiva che non poteva farne a meno.
Lo capiva, capiva che quello era il tassello mancante, ciò che di Genzo non gli tornava. Ora era tutto lì e capendo tutte quelle cose, Karl si disse che sarebbe riuscito ad avere anche quel suo lato ad ogni costo.
“E lui non si rende conto di essere così? Io gli chiedo cosa nasconde dietro la maschera e lui davvero non sa cosa dire? O se ne vergogna e basta?” Si chiese rimanendo ancora fermo lì fisso. Poi ripensò alle volte in cui ne avevano parlato, solo due dopotutto, esclusa la prima sfuriata in palestra. “No, non è che lo nasconde perché se ne vergogna, davvero non sa di esserlo, per lui non lo è, non si considera protettivo e premuroso con quelli a cui tiene. Forse l’unico problema è anche che non tiene a molti. Forse tiene solo a Jun. E dire che pure dall’esterno non sembrano legati per niente. Ma il loro problema è comune, allora. Se Genzo non dimostra nemmeno sotto tortura la sua dolcezza, Jun allora non dimostra la sua fragilità e la sua imperfezione. Ecco perché dall’esterno non solo sembrano tutt’altre persone ma anche fra di loro non sembra ci sia un grande rapporto. Ma due più complicati non potevo incontrarli!”
Alla fine concluse in quel modo consapevole che venirne a capo in breve non sarebbe stato possibile.
Lanciandogli un’ultima occhiata e riempiendosi lo sguardo di quell’immagine estremamente tenera che l’aveva lasciato senza fiato, uscì dalla camera rigido e teso come un violino. Ora aveva decisamente bisogno di un po’ di meditazione. 
Decidendo di saltare la colazione, si diresse di filata verso il piano inferiore dove era la palestra ed entrato non perse tempo a cambiarsi e mettersi comodo, tanto meno accese le luci. 
Al buio del mattino presto, con la luce che scarseggiava ad entrare dalle finestre alte, si accomodò sul solito tappeto di judo e nella posizione della meditazione sospirò un paio di volte e chiuse gli occhi cercando di concentrarsi e togliersi quell’immagine sconvolgente dalla testa, ma domande su domande continuarono a vorticargli per la mente per tutto il tempo e non ci fu verso, quella volta, di ritrovarsi e rilassarsi.
Anche perché ormai l’ossessione di sapere se sarebbe stato capace di tali sentimenti delicati anche con lui era tale, che ben presto sarebbe di nuovo scoppiato, lo sapeva, e lui odiava. Odiava. Scoppiare. Non controllarsi più per lui era la cosa peggiore che potesse succedergli ed ultimamente per colpa di Genzo stava succedendo un po’ troppo spesso.
In quei casi c’era solo una persona con cui riusciva a parlare e a calmarsi un po’ e come evocata dai suoi pensieri, arrivò in palestra senza accendere a sua volta le luci dello stabilimento enorme e spazioso.
Non era solo e quando Karl capì di chi era la seconda voce, impallidì persino lui.
“Ed ora cosa dovrei fare?”
L’unica cosa chiara in quel momento fu che non si erano accorti di lui.
Roberto e Tsubasa non l’avevano visto, del resto con la luce spenta non era molto facile vederci qualcosa.
L’ondata che sentì Karl fu qualcosa di incomprensibile ed in quel momento sperò solo una cosa, quella più assurda possibile.
“Genzo, svegliati e porta giù quel tuo culo sodo! Eri tu che volevi risposte da Roberto, a me non fregava nulla, dannazione! Ma perché sempre a me?”
E sebbene non fosse un tipo facile a panici ed ansie vari, si rese conto che continuando a stare con certa gente sarebbe presto diventato ipocondriaco.
Evento da non perdere.