CAPITOLO XV:
LA VERITA’
Karl
non si mosse e non fiatò ma non certo per spiarli e stare attento a
cosa si sarebbero detti, solo semplicemente per capire quale sarebbe
potuto essere il momento migliore per farsi notare ed andarsene.
Si
maledì un paio di volte, non voleva essere messo in mezzo a quei
casini, lui voleva vivere una vita scolastica normale senza situazioni
alla Beautiful; perché più cercava di uscirne e più ne era dentro,
invece?
Senza volerli ascoltare, sentì Roberto parlare severo con Tsubasa:
- Cosa c’è che non mi hai ancora detto stanotte, Tsubasa? - Sembrava esasperato e a Karl parve strano.
- Non devi andare dal direttore Mikami! - Esclamò il ragazzo agitato e frenetico.
-
Lo sai che devo. Darò le mie dimissioni e niente potrà impedirmelo,
tanto meno tu visto che sei la causa di questa mia decisione! - Il tono
di Roberto era invece sempre più duro e risoluto, era evidente che
niente avrebbe più potuto fargli cambiare idea.
-
Ma no, non devi, non abbiamo fatto niente, non è successo niente! Mi
hai solo tenuto con te tutta la notte mentre piangevo, mi hai solo
consolato! Non hai fatto niente, perché devi andartene?! - Sembrava
l’argomento discusso per tutte le ore precedenti e Roberto pareva ormai
esasperato dal dirgli sempre le stesse cose. Karl non poteva vederli
perché era tutto buio e i due non avevano acceso la luce, ma dai loro
toni sembrava abbastanza chiaro.
-
Perché è tutto troppo confuso. Il fatto che non abbiamo fatto nulla non
significa che non succederà se non corro ai ripari e francamente,
Tsubasa, non vedo altro modo.Non nascondo che sono confuso nei tuoi
riguardi, ma non riesco a farmi chiarezza con sicurezza. Potevo dire a
Misugi che eri in camera con me, inventarmi una scusa e consegnarti a
lui, sarebbe stato facile e perfetto, però ti ho tenuto perché mi
dispiaceva scaricarti in quello stato… e poi cosa avresti detto? Hai
avuto tutta la notte per calmarti ed assimilare la notizia che me ne
andrò per risolvere i problemi sul nascere. Non sarò quel tipo d’uomo
che non è in grado di tenersi sotto controllo e che rovina tutto. Ci
sono riuscito fino ad ora ed adesso lo farò ancora meglio. - Era vero
che Roberto aveva un gran controllo di sé, non si sbilanciava mai e se
lo faceva significava che lo riteneva giusto e necessario. Era in
generale una persona giusta sia nelle sue posizioni che nelle sue
reazioni ed era sempre piaciuto a tutti i ragazzi a cui insegnava. Per
uno scandalo che non era ancora nato e che forse non sarebbe mai
scoppiato, lui stava forse prendendo una decisione un po’ eccessiva.
Suo malgrado Karl non avrebbe detto niente, non intendeva intervenire
in quella storia. Era Genzo quello che voleva farlo, non lui.
Però si sentì sollevato e contento nel sapere che quella notte non era successo nulla e che avevano solo parlato.
Tsubasa a quel punto sembrò sull’orlo delle lacrime, probabilmente gli era aggrappato addosso:
-
Non andartene per colpa mia, lascerò il club e non mi vedrai, ma non
andartene. La sola idea che ti ho rovinato io la carriera e che ti ho
fatto andare via non me lo perdonerei mai, mai. Vuoi farmi vivere con
questo rimorso? Se dopo aver litigato con Taro fossi andato da qualcun
altro e non da te non sarebbe successo niente! Ero troppo fuori di me
per trattenermi e non dirti quel che provavo, ma non per questo devi
andartene. Ci sono altri modi, non farlo! - Karl non sapeva cosa
pensare, in realtà non voleva nemmeno immaginare sé stesso al posto di
uno dei due. Poteva capire sia uno che l’altro ma era diverso da loro,
non avrebbe mai reagito in quel modo.
Probabilmente
se lui fosse stato l’insegnante e Genzo l’alunno e si fossero
innamorati l’avrebbero vissuta in segreto o forse sarebbe riuscito a
controllarsi facendosi vedere freddo ed indifferente. Era bravo in
quello, la sua specialità. Ma loro erano troppo spontanei, nonostante
Roberto aveva dimostrato un ottimo controllo; dopotutto Tsubasa aveva
ragione: non si erano nemmeno baciati. Dirsi che si stavano innamorando
non era niente, erano sempre e solo i fatti che contavano. Le parole il
più delle volte erano solo parole, nulla, fumo nel vento. Così lui le
considerava, per questo preferiva parlare meno e agire di più e
comunque solo se proprio doveva.
-
No, Tsubasa. Io voglio essere sicuro al cento percento che non
succederà niente nemmeno in futuro e questo è l’unico modo. Mi dispiace
che avrai rimpianti e rimorsi ma sei giovane e li supererai. Te ne
dimenticherai e ti innamorerai di qualcun altro molto presto. O magari
tornerai col tuo Taro, cosa possiamo saperne, noi? Io so quanto gli
vuoi bene, sei solo giovane e confuso, pieno di sentimenti forti che ti
creano un gran caos, ma non sai veramente cosa provi di preciso per me
e per lui. Probabilmente mi vedi solo come il padre che non hai mai
avuto veramente e mi ammiri al punto da considerarmi la persona più
importante della tua vita e non capisci di cosa si tratta quindi lo
confondi. Però so cos’è per me e mi basta. Non voglio avere tentazioni,
non ne voglio e basta. -
Karl
pensò di nuovo che questo fosse un ragionamento tipico da adulto mentre
quello di Tsubasa tipico da ragazzo e che sommariamente aveva
probabilmente ragione Roberto, in ogni caso non erano affari suoi e
sperando che se ne andassero subito, rimase ancora fermo ed in silenzio
nel buio della palestra.
- Ti prego, Roberto… - Supplicò un’ultima volta Tsubasa.
-
No Tsubasa. - Disse infine l’insegnante perentorio. Non avrebbe
assolutamente cambiato idea e con quella convinzione, uscì dalla
palestra lasciando Tsubasa ancora dentro.
Karl
rimase fermo nella speranza di sentire la porta riaprirsi e vederlo
andarsene, ma così non fu e sospirando seccato si decise a venire allo
scoperto. In fondo era solo Tsubasa.
Si alzò e tossì seccato. Aspettare ed ascoltare i fatti degli altri non era la sua specialità.
Quando Tsubasa capì che c’era qualcuno chiese con voce rotta dal pianto:
- Chi c’è? - Si sentiva tutto il suo panico, qualcuno era lì ed aveva sentito tutto…
Per
un momento Karl ebbe dispiacere per lui, un solo momento. Poi
arrivatogli davanti accese il primo fascio di luce e si videro. Tsubasa
piangeva ma ancor più era sconvolto dal vederlo lì, era chiaro che non
sapesse cosa pensare a quel punto e Karl non gli diede tempo di
rifletterci oltre poiché con la sola voglia di togliersi da quella
situazione assurda, disse freddo e scostante, gli occhi azzurri severi:
-
Se sei in un luogo pubblico e per di più buio, assicurati che non ci
sia nessuno. - Fosse stato per lui non gli avrebbe detto altro, facendo
per superarlo ed uscire Tsubasa gli prese il braccio e lo fermò
chiedendogli incerto:
-
Tutto qua? Hai sentito tutto, non hai niente altro da dire? Lo dirai a
qualcuno? - Non aveva idea di cosa era successo fuori mentre lui era
nella tempesta dei propri sentimenti, quindi dando per scontato che
nessuno lo sapesse glielo domandò. Karl lo guardò girato a tre quarti,
lo sguardo sottile e sempre scostante, sembrava lo stesse rimproverando.
-
Non sono affari miei. E comunque Misugi ha capito tutto quando è
passato dal Roberto ieri sera, quindi lo sanno anche Hyuga e Genzo. Poi
l’hanno detto a me ma non credo lo sappiano altri. - Essenziale e
sbrigativo, voleva solo andarsene a spiegare la situazione a Genzo
visto che voleva conoscerla per bene.
Tsubasa
rimase in silenzio ma non sembrava intenzionato a mollarlo. Almeno
aveva smesso di piangere per lo shock di essere stato scoperto. Cercava
di riflettere senza successo, era troppo in confusione per riuscirci,
aveva bisogno di calmarsi.
-
Non so cosa fare… - Mormorò piano abbassando lo sguardo, non riusciva
più a sostenere quello dell’altro, troppo forte e accusatore.
Karl non voleva proprio entrarci più di così ma sapeva che non poteva nemmeno andarsene come nulla fosse.
-
Niente, hai già fatto abbastanza. Vattene in camera e fatti vedere vivo
da Misaki, avrà pianto tutta la notte. - Tsbasa rialzò lo sguardo come
se gli avesse dato uno schiaffo in pieno viso.
- Come fai a dirlo? - era una delle prime volte che parlavano, non avevano mai avuto contatti visto quando scostante fosse Karl.
-
Eravamo in sei a cercarti ieri sera e lui era disperato e preoccupato
per te. Non puoi spingere le persone a certi livelli. - Lo disse anche
pensando a Genzo, Jun e Roberto stesso. Per Karl certe cose erano
semplicemente inconcepibili.
Tsubasa
rimase in silenzio seppure sempre aggrappato al suo braccio, sembrava
che le sue parole dure e di rimprovero gli stessero facendo bene in un
certo modo, come se lo stessero risvegliando, finalmente. Lo sguardo si
perse oltre le sue spalle come se si immaginasse lo stato del compagno
ed un senso di colpa si lesse nei suoi occhi pieni di lacrime congelate.
-
Sta al tuo posto una volta per tutte. - Un pugno in pieno stomaco
sarebbe stato meglio e proprio a quel punto Tsubasa tornò a guardarlo
come se fosse finalmente sveglio dopo una notte di sonnambulismo. Dopo
il primo momento di panico e disorientamento, stava tornando a
distinguere la realtà dal sogno. Infine diede l’ultima stoccata
scrollandosi la mano dal braccio con un gesto secco:
-
A Roberto ci penserà Genzo. - Nel momento in cui lo disse seppe che
sarebbe stato così e nonostante le reazioni di Genzo fossero piuttosto
istintive e quindi poco prevedibili, Karl seppe con certezza che
avrebbe fatto di tutto per aiutare Roberto e convincerlo a restare.
Nonostante tutto ne era certo nel profondo.
Tsubasa
non lo fermò e non disse niente ma una nota di speranza si accese nel
guardare la sua ampia schiena andarsene oltre la porta.
Peggio di così non avrebbe potuto sentirsi, ma quel ragazzo aveva ragione e su questo non c’erano dubbi.
Aveva
passato dei segni e se non era arrivato ad un livello eccessivamente
grave era solo per merito di Roberto. Forse non era tutto perduto,
finito e rovinato. Forse in qualche modo si poteva sistemare. Forse… ma
capì che affinchè succedesse non doveva più mettersi in mezzo ma anzi
lasciare fare agli altri.
“Avrei dovuto chiedere aiuto a Genzo e Hikaru dall’inizio…” Pensò
con colpevolezza e risentimento verso sé stesso. I suoi due migliori
amici avrebbero potuto aiutarlo ed evitargli tutto quel caos.
Andare
da loro invece che da Roberto per dirgli che forse era innamorato di
lui e metterlo quindi in crisi o comunque in una situazione
estremamente difficile era stato da egoisti sconsiderati; col senno di
poi poteva anche capire l’insegnante, ma ugualmente non voleva se ne
andasse.
A cosa provava realmente per lui ci avrebbe pensato un altro giorno, con più calma, lontano da quelle tempeste interiori.
Jun l’aveva appena svegliato, quando Karl rientrò senza bussare nella loro camera.
Essendo
ancora nel letto insieme che cercavano la forza di rialzarsi, quando lo
vide Genzo rotolò brutalmente giù dal letto come se cadesse con
intenzione. Il tonfo delle ginocchia fece provare dolore per empatia
persino a Jun rimasto sul materasso a fissare il fratello che si
suicidava sul pavimento da solo, la sua espressione encomiabile era
talmente stupita che Karl si sarebbe fermato ad ammirarlo se non avesse
avuto una fretta del diavolo. Ok che a guardarlo non si capiva, ma la
fretta l’aveva veramente.
-
Che diavolo combini? - Chiese Karl a Genzo ancora a terra che si
massaggiava le ginocchia imprecando come uno scaricatore di porto.
-
Tu che cazzo hai da entrare in questo modo nelle camere degli altri?! -
Rispose truce e accusatore Genzo mentre Jun si affacciava preoccupato.
Karl
scosse il capo preferendo non addentrarsi nello strano mondo di Genzo.
Per lui era stupido buttarsi giù dal letto solo per non farsi vedere a
dormire col fratello. L’aveva già visto prima!
-
Ero in palestra al buio e sono entrati Roberto e Tsubasa. Non mi hanno
visto ed hanno parlato. Questa notte non è successo niente fra loro,
Tsubasa si è dichiarato ma era sconvolto perché aveva litigato con
Misaki, quindi non era lucido. Roberto l’ha tenuto perché aveva paura
che dicesse qualcosa di troppo se l’avrebbe lasciato a te. - Fece poi
rivolto a Jun che ascoltava attento.
Sia
lui che Genzo erano arruffati e con i segni dei cuscini ancora sui
visi, ma sentendo l’argomento sembravano essersi svegliati
improvvisamente.
Karl proseguì sbrigativo ed essenziale, di cose ne doveva dire e non aveva voglia di perdersi in dettagli inutili.
-
Roberto vuole comunque andarsene, sta andando a dare le dimissioni al
direttore. Tsubasa voleva convincerlo a non farlo. Il coach ha paura
che rimanendo possa scoppiare comunque uno scandalo o che possa
prendersi per Tsubasa perché comunque prova qualcosa per lui ma è
confuso e non è sicuro. Ha paura di non riuscire a continuare a
controllarsi. - Jun non disse nulla, rimase in silenzio senza far
trapelare un solo minimo sentimento da sé mentre Genzo divenne di
pietra. A quel punto sembrava tutto chiaro, le motivazioni c’erano, i
dettagli anche. Poteva decidere da che parte stare, poteva alzarsi e
reagire, dire qualcosa, fare qualcosa.
-
Genzo, hai capito? Roberto sta per andarsene e fondamentalmente per
niente! Non hai niente da dire? - A quello Genzo sembrò riattivarsi e
come punto da una tarantola prese i pantaloni della tuta e se li mise
in fretta e furia. Senza badare alla maglia si mise le ciabatte di Jun
poiché non trovava le proprie, poi spingendo Karl di lato per farsi
largo, uscì correndo dalla camera.
Continuavano
tutti a dirgli le cose al posto di Roberto ma Genzo voleva saperle solo
da lui, non voleva saperlo dagli altri. Credeva ciecamente a Jun e Karl
ma Roberto era diverso, voleva guardarlo negli occhi e sentire le sue
parole con le proprie orecchie.
Non poteva andarsene e basta.
Quando
arrivò davanti all’ufficio di suo padre, mise la mano sulla maniglia ma
non dovette spingere perché si aprì da sola e quando vide il viso serio
del coach che si rimetteva gli occhiali scuri, tutto si fermò per un
secondo.
La frenesia scemò e rimase solo una tensione che l‘avrebbe tagliato in due di netto.
Genzo
gli bloccò il passaggio, strinse i pugni lungo i fianchi e tese tutti i
muscoli, la mascella era contratta e lo sguardo duro e furioso, il
fiatone rimarcò la voglia di gridare ma non era non era rabbia quella
che leggeva nel suo sguardo, era qualcos’altro di molto più profondo e
particolare che nessuno aveva ancora capito.
-
Lo so che per te non sono nessuno e che non mi devi niente, ma per me
tu sei qualcuno, invece, quindi ho bisogno di saperlo. Te lo chiederò
solo una volta e ti crederò. Ma sii sincero. Cosa è successo fra te e
Tsubasa? - Roberto sussultò nel capire che Genzo sapeva tutto,
chiedendosi come fosse successo si rispose che suo fratello doveva aver
compreso al volo la situazione quella notte e doveva aver condiviso con
lui.
Se
voleva colpirlo non l’avrebbe biasimato, poteva benissimo sentirsi
tradito in un certo modo… Genzo era fra quelli che si erano aperti solo
a lui, che si fidavano solo di lui fra tutti gli adulti non solo di
quell’istituto ma in generale.
Sapeva
quanto Genzo tenesse a lui a suo modo e gli dispiaceva che fosse venuto
a saperlo, specie da altri. Probabilmente era furibondo per non esserci
stato al momento giusto a fermare Tsubasa e impedirgli di essere
precipitoso come sempre. O magari perché voleva che fosse tutto diverso.
Roberto
scosse la testa, non era quello il posto per parlarne ma sapeva che
doveva farlo, a lui glielo doveva. Era forse l’unico di tutto il club
che ci teneva a saperlo.
-
Vieni. - Disse passandogli accanto. Lo condusse nella propria camera
volendo evitare i posti pubblici il più possibile e quando chiuse la
porta lasciò passare qualche secondo per riflettere. Non sapeva nemmeno
cosa dovesse dirgli di preciso, non era un giustificarsi, era solo un
essere onesti con qualcuno che teneva a lui quanto alla sincerità.
Genzo
era fermo in mezzo alla stanza a fissarlo come se avesse due fucili al
posto degli occhi, uno sguardo tale da adulto non glielo aveva mai
visto, sembrava tun’altra persona, come se fosse maturato tutto d’un
tratto.
-
Non è successo niente, stanotte. Non so cosa ti abbia detto tuo
fratello ma Tsubasa è venuto in lacrime e confuso a dirmi che forse era
innamorato di me e che non sapeva come fare. Abbiamo parlato molto, ho
cercato di capirlo ma più andavamo avanti e più sembrava convincersi
che ero la persona più importante perché non poteva fare a meno di me e
che se glielo avessi chiesto sarebbe andato ovunque. Cose tipiche della
melodrammaticità dei ragazzi della sua età. - Che poi era anche quella
di Genzo, rifletterono entrambi. Ma perché uno sembrava tanto più
grande dell’altro? Non si rispose e proseguì sospirando in difficoltà.
Come spiegare quello che aveva provato? - Ad ogni modo non è successo
nulla. -
- Allora perché te ne vai? - Il primo sparo. Quel ragazzo sapeva mirare molto bene e non aveva paura di premere il grilletto.
Roberto
si sedette stanco nel letto, non aveva chiuso occhio un solo istante e
aprirsi a quel modo quando non l’aveva mai fatto nemmeno con sé stesso,
sembrava come venire al mondo per la prima volta ma da adulti, qualcosa
di ancor più difficile. Non era uno che si confidava e che parlava
molto, però assorbiva ogni cosa che lo circondava.
Aveva
assorbito Tsubasa più di ogni altro e forse perché era impossibile non
rimanere colpiti dal suo talento e dal suo entusiasmo, da quel suo modo
di fare che in un modo o nell’altro si faceva amare da tutti. Però non
riusciva ad essere lucido e razionale al suo riguardo. Non ce la faceva
proprio.
C’era qualcosa in Tsubasa che lo legava a sé veramente, ma cosa fosse non poteva capirlo.
Si
tolse gli occhiali scuri e rivelò i suoi occhi verdi magnetici e
smarriti, si prese il viso fra le mani e se lo strofinò cercando
lucidità.
-
Me ne vado per non complicare la situazione. Tsubasa dice che non si
farà più vedere e che lascerà il club ma non è giusto che un talento
simile non combatta più e soprattutto voglio essere sicuro al cento
percento che qualunque cosa sia, non vada avanti assolutamente. Voglio
togliere ogni pericolo di mezzo. -
- Perché ti consideri un pericolo? Cosa provi per lui? -
Il secondo sparo. Roberto non alzò lo sguardo. Era la domanda del secolo e stringendosi nelle spalle rispose con sincerità.
-
Non lo so. Non riesco ad essere lucido e a capirlo con certezza. A dare
i nomi alle cose giuste. Lui è così preso e convinto ed esuberante che
non lascia tempo agli altri per pensare con la loro testa, impone le
sue idee, i suoi modi, le sue convinzioni persino agli adulti e tutti
si ritrovano in un attimo a fare quello che vuole o a seguirlo e
accondiscendere. Provo qualcosa di forte per lui, non mi è indifferente
e nemmeno al livello di tutti gli altri allievi. Nemmeno tu lo sei ma è
diverso. Ti considero uno dei miei migliori allievi, come lui, e
nonostante mi dai molti grattacapi e fatichi a tenerti al tuo posto,
non sconfini. Lui sconfina. Potrebbe essere come un figlio, potrebbe
essere di più, potrebbe essere tutto. Io ora non riesco a capirlo, non
riesco a pensare, non riesco ad essere razionale. Per questo devo
andarmene. Perché se è veramente quel di più che provo per lui allora
non va bene, ci sono delle regole sia morali che d’istituto e devo
porre fine a tutto. Non voglio correre ai ripari dopo che scoppia un
casino, non sono quel tipo di persona, Genzo. -
Solo
nel chiamarlo per nome rialzò lo sguardo per vederlo, si stupì quasi di
essersi aperto tanto con un ragazzo e non se ne capacitò di quell’aura
di maturità che aveva improvvisamente intorno.
Dopo
un paio di minuti di silenzio Genzo mollò i pugni e aprì le mani,
quindi indietreggiò e si appoggiò alla scrivania rilassando finalmente
i muscoli, Roberto se ne sorprese e rimase in silenzio ad osservarlo e
ascoltarlo.
Quando disse la sua era sempre fermo e sicuro di sé, ma non più arrabbiato e furibondo.
-
Ascolta, non posso essere io a dirti cosa siete però questo è quello
che penso io. Non devi andartene. - E sentirglielo dire fu come se
qualcuno gli togliesse un paletto dal cuore. Riprese respiro senza
accorgersi di averlo trattenuto, lo stomaco si aprì e nell’ascoltarlo
provò una vampata di calore interiore che non seppe definire. - Non è
giusto quello che ha fatto lui. Era confuso e arrabbiato con Taro, come
poteva capire qualcosa in quelle condizioni? Lui è famoso per non
essere capace di pensare prima di agire! Chissà cosa prova veramente,
magari ti vede solo come un padre e non se ne rende conto perché non sa
cosa sono i padri! Non è giusto che per colpa sua tu ci rimetta. Non
sai cos’è nemmeno tu. Roberto, la prima cosa che mi hai insegnato è che
bisogna studiare l’avversario prima di cominciare l’incontro vero e
proprio. Quando si sale sul ring devi capire che tipo di pugile hai
davanti ed in base a quello combattere di conseguenza. Mi hai detto che
non posso attaccare a testa bassa e basta, che devo usare il cervello e
capire. Fallo anche tu prima di prendere la decisione più precipitosa e
rischiosa della tua vita. Se è solo un ragazzo speciale e non ci sono
altri sentimenti di mezzo te ne pentirai a vita di essertene andato e
aver mollato tutto questo. Tutti noi. -
Roberto
si chiese dove tenesse quelle cose, poi riflettendo che lui l’aveva
sempre saputo che aveva ben altro dentro di sé ma che non ne era
cosciente, sospirò con un gran numero di pesi in meno sulle spalle.
Forse era la cosa più assurda averne parlato con un ragazzino ma se poi
le sue risposte erano state quelle, semplici a suo modo ma anche
profonde per la loro verità, lasciò andare tutto quel che rimaneva di
sé.
-
Non voglio andarmene, non voglio assolutamente andarmene ma non voglio
che tutto precipiti. Stanotte per un momento era tutto un casino, non
so… non eravamo noi eppure sì. Mi sentirei un mostro se cedessi, se
succedesse. Ha diciassette anni ed io poco più di venti, non sono
troppi ma quando tu sei un insegnante e lui un alunno pesano, credimi.
Lo sai lo scandalo che scoppierebbe e non è per quello in sé, per le
voci, per i giudizi e per il buon nome dell’istituto. Naturalmente sono
cose che considero, ma mi sentirei male perché sono un insegnante di
cui molti ragazzi si fidano, in tanti del club vengono a confidarsi con
me perché dicono che io sono diverso dagli altri professori. Penso che
tradirei la loro fiducia, in qualche modo, facendolo. Ci sono le cose
che hanno una loro giusta dimensione, nella vita. Bisogna saperle
mantenere ben vivide davanti agli occhi, sempre. Non bisogna perdere di
vista ciò che è veramente importante. -
Fu
allora che Genzo sorrise sollevato confermando quello che aveva sempre
pensato di lui. Che non era come gli altri adulti che avrebbe preso a
pugni dalla mattina alla sera perché non capivano niente degli
adolescenti. Che a lui importava veramente di loro tanto da metterli in
priorità davanti a sé stesso.
Poteva
essere veramente preso da Tsubasa a quel modo, non si poteva biasimare
nessuno se c’erano sentimenti sinceri di mezzo. Però poteva anche
essere qualcos’altro. Poteva essere tutto e niente e prendere
provvedimenti prima di averne bisogno veramente era comunque
un’assurdità.
-
Non fare cazzate, allora. E lascia che quell’idiota se ne vada dal
club! Non può continuare a farsi picchiare da quelli di categoria più
grande perché ha paura di far male agli altri! Non è fatto per
combattere! Che si dia al calcio, dannazione! - Con questo Genzo si
staccò dalla scrivania e con un ghigno accattivante dei suoi gli tese i
pugni nel saluto tipico dei pugili. Roberto sorpreso e sollevato
insieme, sorridendo vagamente divertito da quella sua asserzione, li
colpì coi propri alzandosi dal letto.
Una volta in piedi poi tornò serio e con sguardo penetrante concluse:
- Grazie Genzo. -
- Le hai già date a mio padre le dimissioni? - Fece Genzo imbarazzato per i ringraziamenti che non era abituato a sentire.
- Sì. -
- Fila a ritirarle, dannazione, o dovrò spedire mio fratello a fargli il lavaggio del cervello! -
Roberto uscì ridendo cercando di scacciare lo stato confuso e pesante che l’aveva ancorato sul fondo.
- Perché, ci riesce? -
- Oh, non hai idea di quante cose quello yakuza possa far fare agli altri senza che se ne accorgano! -
- Ah ah! Del tipo? -
-
Del tipo convincere nostro padre ad assumere un barbone solo perché era
un ex pugile famoso che ha dovuto abbandonare per un bruttissimo
incidente alla retina che lo renderà cieco fra un paio d’anni! -
Roberto
capì che parlava di lui, lavorava lì da due anni e grazie alle sue
credenziali e alle capacità anche in altre discipline da combattimento
avevano potuto aprire il club di lotta che al momento contava un sacco
di ragazzi più o meno affezionati e contenti del loro coach.
-
E scommetto che Jun è stato convinto da te! - Genzo ridacchiò
orgoglioso di sé ricordando quando aveva incontrato per caso in strada
proprio Roberto, uno dei suoi idoli.
-
Non potevo lasciarti là! Ti avrei piuttosto assunto come allenatore
personale, se mio padre non ti prendeva! - Convinto che avrebbe potuto
farlo…
L’aveva
davvero voluto fortemente tanto da riuscire ad obbligarlo a prendersi
cura di sé e rimettersi in sesto. Doveva molto a quel ragazzo, in
realtà...
“Come potevo rifiutarmi di spiegargli tutto e di aprirmi a lui?” Si chiese proseguendo insieme nel corridoio fra ricordi e persino qualche risata sempre più libera e rilassata.
“Spero
vivamente che Karl riesca a vedere tutto questo perché sarebbe un
peccato per lui perderselo. In pochi possono avere questo Genzo.”
Concluse
Roberto ammirato di quello che sapeva sarebbe diventato una persona
molto più in gamba di quanto tutti ora non sarebbero stati disposti a
scommettere.
Non
potevano dire che si sarebbero aspettati quella reazione da Genzo, ma
si sentirono comunque sollevati nel vedere che aveva reagito. Jun non
si preoccupò e capì che non sarebbe dovuto intervenire.
Rimasto
solo con un Karl apparentemente tranquillo, convinto che se ne sarebbe
andato per seguire l’amico, lo vide con sua enorme sorpresa chiudere la
porta e rimanere lì con lui.
Aveva
appena concluso il capitolo ‘Roberto’ con una certa soddisfazione e
sollievo interiori nel venire a sapere che dopotutto aveva fatto la
cosa giusta e che non l’aveva deluso, non era in una tempesta interiore
e la febbre doveva essergli andata via, ma sapeva di non avere una gran
bella cera. Ebbe la tentazione di guardarsi allo specchio per darsi una
sistemata ma all’idea di alzarsi si sentì peggio, quindi rimase seduto
sul letto cercando di comporsi al meglio.
Essere
visto in quelle condizioni non gli piaceva, men che meno da uno con cui
dopotutto non aveva rapporti, ma cercando di salvare il salvabile e
capendo che Karl aveva qualcosa di importante da dirgli, alzando un
sopracciglio e tirando su i ginocchi sotto le coperte, si dimostrò
pronto, disposto e sempre con quel suo tocco d’impenetrabilità.
- Dimmi pure. - Disse piano con un immaginario muro di vetro eretto all’istante fra loro due.
Karl
incrociò le braccia al petto assumendo un’aria tipicamente sua, molto
fredda e scostante. Sembrava facessero a gara a chi era più sulle sue,
dall’esterno apparve una cosa ridicola e forse Karl se ne rese conto o
forse cambiò spontaneamente senza accorgersene. Fatto fu che le sciolse
e avvicinando la poltroncina al letto in modo da sedersi davanti Jun,
disse controllato:
- Devo parlarti di Genzo. -
Ebbe all’istante tutta la sua attenzione più sincera.