CAPITOLO XVI:
IL TEMPO DI ESSERE FELICI
Jun non aveva idea di cosa dovesse chiedergli Karl ma nel momento in cui rivelò l’argomento, capì dove voleva andare a parare.
Doveva aver capito qualcosa di lui, probabilmente voleva assicurarsi che fosse giusto.
Il
ragazzo più piccolo di tre anni stava seduto ancora nel letto, sotto le
coperte, ma aveva la schiena dritta e le ginocchia tirate su, lo
guardava con aria adulta e composta. Non sembrava per nulla un
quattordicenne.
-
Dimmi pure. Cosa vuoi sapere di mio fratello? - Posto che non era
sicuro avrebbe potuto rispondere, di cose gliene aveva già dette, si
era intromesso troppo e se Genzo avesse saputo come sarebbe andato su
tutte le furie. Sebbene la sua capacità principale fosse convincere gli
altri a fare quel che voleva, non era il caso di sfruttare tale dote in
ogni momento.
Karl,
seduto nella poltroncina che aveva spostato accanto al letto, era
altrettanto composto ma più rigido. Lo fissava coi suoi occhi azzurri
seri e distanti, Jun si chiese cosa stesse passando, consapevole che in
quell’istituto probabilmente in pochi sapevano essere loro stessi, con
quello che la maggior parte avevano passato.
-
Penso di aver capito di cosa si tratta ma ho un dubbio. - Sembrava
calmo e sicuro ma se aveva un dubbio non lo poteva essere veramente…
era una persona con un ottimo controllo e forse era solo terrorizzato
dall’idea di farsi coinvolgere nelle cose che lo circondavano. Doveva
avere una paura folle di farsi toccare. Toccare interiormente.
Chissà come mai, si chiese distrattamente prima di rispondere:
-
Ti ascolto, se posso cercherò di aiutarti. - Non gli interessava
veramente Karl ma siccome Karl interessava a Genzo doveva darsi pena
per ascoltarlo, per lo meno.
Il ragazzo straniero dai capelli biondi ed ordinati, finalmente si decise a rispondere:
-
Genzo è sé stesso solo con te? Ho speranze che sia sé stesso anche con
me? Penso che nessuno lo conosca meglio di te. Voglio solo sapere
questo. -
Jun
rimase colpito dalla domanda, si sarebbe aspettato qualcosa di più
articolato e meglio spiegato. Batté le palpebre un paio di secondi
prima di rispondere, pensò velocemente cosa potesse dirgli e poi,
sempre ricambiando il suo sguardo diretto e preciso, chiese affettato:
- Posso sapere cosa pensi che sia quel ’sé stesso’? -
Karl
ci pensò, rimase in silenzio per un po’ anche lui, non aveva voglia di
spiegargli tutto ed iniziare una conversazione così articolata, non si
sentiva nemmeno a suo agio a parlare con Jun, però era ovvio che
dovesse.
-
E’ protettivo e si preoccupa. Ci tiene. Ma per ora l’ho visto così solo
con te ed in privato. Io penso che non possa esserlo anche con altri. -
Più che altro ne aveva il terrore e Jun lo capì ma non si lasciò
distrarre, non voleva invadere il suo spazio, non era suo il dovere di
buttare giù quel muro di ghiaccio.
Sospirò e non fece una piega, alla fine rispose:
- Lui si comporta così solo con me perché per ora non ha trovato nessun altro di cui fidarsi. -
- In altre parole devo conquistarmi la sua fiducia e scoprire da solo se è capace di essere così umano anche con me? -
Jun
sorrise. Definire il lato interiore di Genzo come umano e non sensibile
era davvero buffo e anomalo ma non sindacò sui termini e alzando le
sopracciglia come per dire che era chiaro, concluse la conversazione
con Karl.
Aveva
fatto anche troppo, se Genzo avesse saputo anche di quel loro dialogo
non ne sarebbe stato contento. Non voleva intromissioni da parte di
nessuno ed in tutta onestà pensava che fosse facile, per gli altri,
avere rapporti buoni con Genzo passando prima per Jun. Troppo facile e
troppo comodo farsi dire da lui le cose complicate da capire.
Alla fine Karl si alzò in silenzio e pensieroso, non mostrò turbamento sebbene probabilmente lo era.
Mise a posto la poltroncina e chinando il capo lo salutò e lo ringraziò, dopo di che se ne andò in silenzio.
Tipici
modi suoi. Non che gli dispiacessero… Jun pensò che se tutti fossero
stati così, sarebbe stato decisamente meglio rapportarsi.
“Certo, perché non necessita un coinvolgimento effettivo!”
Se
per Karl era difficile arrivare a conquistarsi la fiducia di Genzo e
per Genzo dunque lo era aprirsi a qualcun altro che non fosse suo
fratello, per Jun era impossibile fare le medesime cose con qualunque
altro essere umano. Inteso. Che non fosse Genzo.
Si era svegliato con la curiosità di sapere come fosse poi andata tutta la storia di quella notte.
Insomma, quell’istituto era meglio di un qualunque telefilm -che non aveva mai visto in vita sua ma aveva ben immaginato-.
Ne succedevano di tutti i tipi, di cotte e di crude, e non c’era mai da annoiarsi.
Non era uno particolarmente pettegolo, ok, però quei giri erano proprio divertenti!
Fu
così che per prima cosa, appena uscito dalla camera, bussò nella camera
accanto per rapire Hikaru e farsi raccontare le ultime novità.
In poche ore di notte di sicuro dovevano essercene state parecchie.
Gli aprì un insonnolito Hikaru, doveva aver dormito proprio poco.
Oltretutto stava proprio in camera coi due protagonisti delle avventure.
-
Ehi, sei pronto? - Hikaru sembrava proprio esasperato, aveva delle
brutte occhiaie, gli occhi gonfi e piccoli e sembrava più che
barcollante. - Ma stai bene? - Chiese notando la sua brutta cera.
- No ma preferisco venire via prima che mi suicido! -
Kojiro ghignò e vedendolo uscire chiudendosi la porta dietro di sé, si incamminarono per i corridoi.
- Non hai dormito un cazzo, eh? - Chiese capendo che il problema era quello.
Hikaru a quello si voltò verso l’amico e fissandolo peggio che mai, rispose a grugniti:
- Ti sembro uno che ha dormito? -
- Hai fatto da fazzoletto umano per quell’altro? - Non si sarebbe mai ricordato il nome di Taro.
Hikaru sospirò drammaticamente strofinandosi il viso, non ce la faceva veramente più.
-
Tsubasa non è rientrato in camera per tutta la notte e lui è rimasto lì
ad elencare tutte le possibilità. È convinto fosse da Roberto, voleva
andare a controllare ma figurati se ce lo portavo! -
-
Pensi che non fosse là? - Sulle prime Kojiro pensò di dirgli tutto, poi
si ricordò le parole di Jun e si decise a viverla da esterno pur
sapendo tutto. Non erano fatti suoi in ogni caso.
-
Certo che era là! Dove diavolo vuoi che fosse? Ha tanti amici, è vero,
ma nessuno da cui andrebbe se fosse disperato e sconvolto! Solo
Roberto! Era da lui ma non potevo portare Taro e mostrarglielo! Dai,
poi come lo raccoglievo? Mi serviva una carriola! - Kojiro rise ancora
stupito sia di riuscire a farlo così tanto che dalla perspicacia di
Hikaru. Era davvero sveglio, per questo gli piaceva quel tipo.
-
Spero che dorma tutto il giorno. - Aggiunse poi cupo, sospirando
stanco: - Gli ho detto di non andare a lezione che avrei avvertito io i
professori. Così almeno per un po’ sono a posto. -
-
Non lo sopporti? - Non gli era chiaro cosa provassero gli altri, Kojiro
non era così acuto se non altro perché non gli interessava molto.
Quando voleva saperlo lo chiedeva direttamente senza sforzarsi di
arrivarci da solo.
-
No, non è questo, è un caro amico, una persona in gamba, d’oro… però è
così emotivo che quando si butta giù è terribile! - Era vero, era una
caratteristica degli emotivi, per di più Taro era un emotivo molto
forte. L’aggiunta che era gay non lo aiutava molto, visto che viveva
tutto amplificato!
Kojiro non l’avrebbe mai capito ma non ci teneva molto.
- Non è rientrato, quell’altro, allora? - Chiese ancora riferendosi a Tsubasa.
Hikaru scosse il capo.
-
Spero che sappia cosa fa. - Disse tempestoso ma Kojiro si chiese se si
riferiva a Tsubasa o a Roberto. Quando raggiunsero la mensa dove molti
alunni erano già arrivati e si servivano la colazione in coda,
sentirono subito un chiacchiericcio molto acceso. Non dovettero fare
molta attenzione per capire di cosa si parlava…
-
Ma è vero che Roberto ha dato le dimissioni e poi le ha ritirate? - Era
la domanda più comune. Poi c’erano molte risposte confuse, c’era chi
diceva di sì, chi di no, chi non so e chi faceva il nome di Genzo.
Ma nessuno quello di Tsubasa, per fortuna.
Hikaru e Kojiro si guardarono sorpresi.
- Ha dato le dimissioni? - Fece il primo sorpreso.
- Ma no cazzo! E chi ci allena, poi? - Fu l’enorme preoccupazione dell’altro. Hikaru lo fulminò con sguardo battagliero:
-
E chi se ne frega di quello! È più importante chiedersi se le ha date
per colpa di Tsubasa! Significa che hanno davvero una relazione? -
Disse sussurrando piano per non farsi sentire. Non ci aveva creduto pur
intuendo che Tsubasa avesse passato la notte da lui, ma non era chiaro
ora il motivo per cui avesse voluto dare le dimissioni.
-
Parla per te! A me non fotte un cazzo se si scopa un alunno! Io voglio
che continui ad allenarmi! Mi piace, insegna bene! Finalmente non ho
più voglia di uccidere tutti quelli che incontro, da quando faccio
boxe! -
Hikaru
si sorprese delle sue parole… era un punto di vista interessante ma che
sapeva non avrebbero avuto tutti. Ma a parte quello, era davvero strano
sentirlo affezionato a qualcuno. Se Roberto era entrato perfino nelle
sue grazie, bisognava davvero pensare che ci fosse più di un buon
motivo. Sicuramente era una persona che meritava, in gamba e abbastanza
intelligente da capire cosa fosse giusto fare.
- Ma le ha ritirate… - Fece poi Hikaru… capendo il resto del discorso che si udiva in giro.
- E che cazzo c’entra Genzo Wakabayashi? - Chiese Kojiro senza capirci più niente.
Dovevano esserci stati molti più sviluppi di quel che immaginava!
Quando
cercarono meglio trovarono Genzo e Karl seduti insieme, di Roberto
nessuna traccia, Tsubasa in disparte con un’aria da funerale che
fingeva di aver voglia di mangiare e…
- Jun Misugi non c’è! - Esclamò Kojiro, l’unico di cui gli interessasse qualcosa non era presente!
Hikaru rise.
-
Su tutti quelli coinvolti in questo casino ti interessi dell’unico che
lo è di meno? - Kojiro però lo guardò con una smorfia minacciosa da
‘fatti i cazzi tuoi’. Infatti poi senza rispondere se ne andò dalla
mensa pensando che non poteva non vederlo proprio quel giorno, dopo
quello che era successo quella notte. Per ciò che li riguardava.
“Che
cazzo me ne fotte poi di Tsubasa, Roberto, Genzo e quell’altro tipo che
dorme in camera disperato? Mi divertiva sapere le novità ma l’unico che
vale la pena vedere e seguire veramente è Jun! Chi se ne frega degli
altri?”
Davanti
all’eventualità di non vederlo, Kojiro ridimensionò le sue priorità e
mise da parte colazione, pettegolezzi e soap opere varie.
Hikaru
rimase solo a prendere il proprio vassoio e dirigersi verso i tavoli e
sospirando ridacchiò ancora fino a che non decise di fare ancora il
buon samaritano e sedersi con Tsubasa.
L’avrebbe rimproverato come meritava. Qualcuno gliene doveva dire quattro!
Taro gli aveva rovinato la notte, dopotutto!
Andò dritto da Jun senza pensare che sarebbe potuto andare da Genzo a chiedere perché suo fratello non si faceva vivo.
Non gli interessava avere notizie da terzi, doveva averle lui di prima mano!
Dopo
aver bussato attese pochi secondi ma vedendo che non apriva nessuno,
provò ad entrare lo stesso. La porta era chiusa, dedusse che non fosse
lì. Ci sperò. Poi si ricordò che la sera l‘aveva trovato in camera di
Genzo e che probabilmente aveva passato la notte da lui, quindi
cambiando destinazione ripeté l‘operazione. Seccato, vedendo che non
rispondeva nessuno di nuovo, aprì ugualmente ben sapendo che doveva per
forza essere lì dentro. In realtà poteva anche essere nell’aula di
musica ma prima della colazione non andava da nessun’altra parte, ormai
conosceva i suoi tempi a memoria.
La
porta questa volta si aprì e quando entrò lo vide mettersi a sedere di
scatto spaventato dall’intrusione e quando vide che era lui sembrò
rilassarsi poco.
-
E’ questo il modo? - Disse subito severo cercando di sistemarsi i
capelli spettinati, seppure rimanendo seduto nel letto. Cercò di capire
da solo perché fosse ancora a dormire ma Jun non gli diede indizi per
cui non gli rimase che chiedere, ignorando la sua domanda stizzito.
-
Che hai, perché non ti sei alzato? - Chiese infatti bruscamente
avvicinandosi. Solo quando gli fu abbastanza vicino da vederlo bene
nonostante la penombra della stanza, capì che aveva una brutta cera e
che era particolarmente pallido. Probabilmente aveva un po’ di febbre…
- Stai male? - Chiese infatti sentendosi strano a fare la stessa
domanda a due persone diverse in poco tempo. Eppure diverso era anche
lo stato d’animo con cui lui stesso l’aveva chiesto. L’interesse nel
volerlo sapere, era diverso.
Jun accese la luce del comodino e finalmente si guardarono bene.
-
Sì, ho un po’ di febbre ma nulla di particolare… - Rispose sperando che
poi Kojiro uscisse. Poi si rese conto che in ogni caso non era normale
che entrasse in camera per sapere cosa avesse… - E tu perché mi
cercavi? - Chiese pensando infatti che ci fosse un’emergenza.
Kojiro si strinse nelle spalle.
-
Non c’eri in mensa… - Normale, no? Poi gli toccò anche la fronte per
sapere se la febbre fosse alta: - Non è il caso di chiamare tuo padre o
chi diavolo è che si occupa di te? - Sapendo del suo cuore cominciava
ad essere schifosamente apprensivo. Si sentiva un perfetto imbecille ma
non cambiava nulla. Jun vedendolo così interessato e preoccupato
sorrise sornione rilassandosi al suo tocco. La fronte era calda ma non
troppo, era comunque delizioso quella tigre nei panni di un essere
umano impensierito!
-
No, si preoccuperebbe come un ossesso inutilmente. Mi basterà riposare
un po’ e mi riprenderò. Nemmeno Genzo è preoccupato! - Il che era
sensazionale, per lui, ma Kojiro non poteva sapere che in privato era
ossessivo con la sua salute.
Al
sentirlo nominare Kojiro si ricordò di tutto il putiferio che vigeva là
fuori e sedendosi nel bordo del letto, senza trovarci niente di male e
facendo come se fosse camera sua, chiese non considerando per nulla la
strana espressione tesa e stupita di Jun -che per inciso era davvero
grazioso tutto arruffato in quel modo-:
-
A proposito! Che è quel casino là fuori? Ti lascio che non vuoi dire
niente a nessuno e ritrovo Roberto che dà dimissioni e poi le ritira,
Tsubasa in mensa ma da solo come un cane e il nome di Genzo sulla bocca
di tutti. Cosa diavolo è successo, si può sapere? -
Jun
che comunque sapeva tutto, sorrise compiaciuto del successo di suo
fratello… aveva convinto Roberto a restare. Se le cose stavano come gli
aveva detto Karl, ovvero che non era successo niente fra lui e Tsubasa,
non c’era ragione per andarsene. Sapeva quanto molti dei ragazzi che
allenava gli erano affezionati.
-
Genzo ha preso una buona decisione… - Commentò ad alta voce. Kojiro
l’osservò torvo per capire e lui spiegò la notte e la mattina passata.
Al termine del racconto l’altro esclamò spontaneo:
- Ah ecco! Alla fine un casino assurdo per un cazzo! Ed io che speravo di assistere a qualche scandalo divertente! -
Jun
si fece sfuggire un risolino divertito, non si smentiva mai, era così
spontaneo e diretto nelle sue reazioni che non sapeva proprio
nascondere cosa pensava e cosa voleva.
- Meglio così, no? - Kojiro si strinse nelle spalle e tornò di nuovo a lui.
-
Non me ne importa veramente. Era solo curiosità. Mi interessa più
sapere cosa pensi di quello che è successo fra noi stanotte. - Così
dicendo partì all’attacco, tipico suo. Non sapeva aspettare troppo e
per i suoi canoni aveva atteso troppo tempo, di spazio gliene aveva
concesso fin troppo, ora doveva dargli le sue risposte. Non poteva
assolutamente rendersi conto che in realtà gliene aveva dato poco, di
tempo, e che per Jun non era affatto sufficiente. Infatti stringendosi
le ginocchia al petto, da sotto le coperte, si irrigidì nel cambiare
argomento ed arrossendo inevitabilmente si accorse di essere più
spontaneo con lui rispetto che con chiunque altro. Del resto era
difficile non esserlo con uno che inquisiva con aggressiva convinzione
e sfacciataggine gli altri.
-
Ho avuto altro a cui pensare, se permetti… - No che non permetteva ed
il suo sguardo corrucciato e seccato glielo fece capire molto bene.
-
Bè, pensaci adesso, no? - Non avrebbe mai mollato, ovviamente, e Jun si
sentì messo alla corda. Non poteva così su due piedi con lui che lo
guardava a quel modo… quando aveva avuto quel contatto con lui quella
notte era stato tutto molto veloce ed intenso… non era riuscito a
pensare e ragionare e se ci rifletteva ora si sentiva anche peggio.
Come poteva chiedergli la lucidità di pensare a loro due?
-
Non è così facile, Kojiro, io… - Cercò di prendere tempo, cercò la
calma, cercò le parole, cercò un paio di cose ma mentre lui le cercava,
l’altro si avvicinava continuando ad attaccare senza la minima
intenzione di lasciargli tutto quello che chiedeva.
Era stufo di aspettare, voleva quello che voleva e lo voleva ora e subito.
A tutti i costi.
Era
stato anche troppo bravo e paziente a fargli fare tutto a modo suo e a
lasciargli tempo per pensare, ora basta. Ora si faceva a modo suo.
Ora
li separavano pochi centimetri, un braccio intorno alle sue gambe
rannicchiate, lo sguardo intenso e aggressivo che lo metteva in un
angolo.
Voleva farcela.
Era stufo di aspettare.
Voleva quel ragazzo ad ogni costo ed anche se avesse dovuto violentarlo, quella volta l’avrebbe preso.
-
Cos’hai da pensare? Ti piace quando stiamo insieme… - Ed era
sorprendentemente delicato nel parlare in quel modo e nel non usare
termini più volgari e diretti, ma lui si riferiva davvero all’insieme
del tempo che passavano insieme. Anche quando parlavano e basta, anche
quando non facevano niente di erotico…
Jun
lo fissò con occhi sgranati, respirava corto, voleva mantenere il suo
solito contegno ma ormai era praticamente impossibile, gli stava troppo
addosso, sentiva il suo fiato sul viso e sembrava proprio seriamente
intenzionato a baciarlo, quella volta.
-
Sì ma non c’è solo questo… quando ci siamo baciati l’altra volta ti ho
chiesto tempo perché non so buttarmi, devo assimilare quello che c’è
fra noi, capire di cosa si tratta… - Avrebbe parlato ancora se ormai le
labbra di Kojiro non fossero state impazienti sulle sue, non lo violò
oltre, rimase ad aspettare che lo respingesse o l’accettasse, voleva
capire al lato pratico se sotto pressione si opponeva o no.
Lui
riteneva infatti che l’istinto fosse l’unica cosa di cui fidarsi. Se
l’impulso lo faceva scattare in un modo piuttosto che in un altro era
quello che contava.
Jun
ne rimase esterrefatto, ad aspettare di sentire la sua lingua venirgli
incontro, ma col cervello completamente e tragicamente spento reagì
proprio come sperava Kojiro.
Istintivamente.
Aprendo le labbra a sua volta, unendosi maggiormente a lui e infilandosi con la lingua alla ricerca della sua.
Una vittoria importante per Kojiro che ebbe tutte le risposte che cercava e molte ne diede all’altro.
Rispose
subito al bacio con la sua solita irruenza, surclassando la timida
calma di Jun. Fu una danza sensuale, una lotta fra eleganza e passione
che diede vita ad un equilibrio perfetto fra le parti.
Finalmente le mani di Kojiro risalirono ai lati del suo viso e lo tennero a sé per impedirgli, ormai, di respingerlo e scappare.
Era quello ciò che voleva, non c’era spazio per niente altro.
Il resto erano solo stupide insulse ed inutili parole!
Bruciò
nel sentire la sua lingua muoversi piano contro la propria che invece
voleva divorarselo, la frenesia aumentò di respiro in respiro ed una
volta accesa la miccia, la miccia di uno come lui, non ci fu
assolutamente verso di spegnarla o controllarla.
Kojiro
lo spinse, nel baciarlo, fino a stenderlo nel letto e salendogli sopra
Jun fu lieto di avere le coperte a separarli altrimenti sarebbe stata
la fine.
Eppure nessuno dei due era capace di ragionare e smettere o controllare quello che dopotutto era solo un bacio.
O forse molto di più.
Forse proprio la vittoria di Kojiro, come lui la stava infatti vivendo.
Il
ritmo aumentò all’interno delle loro bocche e quando le mani di Kojiro
cercarono un maggiore contatto volendo scendere oltre le parti
scoperte, questi cercò disperatamente di riprendere il controllo della
situazione, ma fu tardi poiché l’altro si scostò di lato per togliere
le coperte ed avere tutto l’accesso che voleva.
Jun
non voleva o meglio pensava non fosse il caso, che fosse presto, che
era il solito precipitoso e che correva un po’ troppo, ma alla fine
quando le sue labbra passarono sul suo collo ad assaggiarlo con
irruenza e sicurezza, non riuscì a pensare e si limitò a circondargli
il collo con le braccia.
Kojiro,
di nuovo steso su di lui senza l’ingombro delle lenzuola, sentì
precisamente tutto il suo corpo caldo sotto di sé che lo chiamava e lo
desiderava, quindi non sentì ragioni che dopotutto non arrivarono mai.
Alla
fine lui stesso lo voleva e aveva dovuto cedere, buttare via quel
maledetto muro di controllo onnipotente che pensava di dover mantenere
su tutto e tutti. Sé stesso per primo.
Anche se si lasciava andare al piacere fisico con un altro ragazzo che male poteva esserci?
Lui proprio non lo capiva e per evitare cambiasse idea, gli diede ulteriori argomentazioni alla sua tesi.
Infilate
le mani sotto la maglia del pigiama, gliel’alzò scoprendogli il petto,
quando scivolò sotto per poterlo far suo con la bocca, si fermò
all’altezza del suo cuore quando, col tocco delle labbra sensibili, lo
sentì battere come impazzito. Si fermò ricordandosi come un fulmine a
ciel sereno che quel ragazzo soffriva di cuore e che non si poteva
scherzare.
“Mica non voleva per paura di un attacco di cuore?”
Di cose lui non ne sapeva molte, poteva solo immaginare ed era normale pensare che se un cuore battesse tanto potesse scoppiare.
Jun
riemerse dal piacere che aveva appena cominciato a sentire e non
capendo perché si era fermato, fu faticoso per lui nuotare in quella
confusione annebbiante. Alzato il capo lo guardò con aria interrogativa
e confusa, quindi con voce roca chiese:
- Cosa c’è? - In ogni caso che si fermasse non era normale.
-
Il tuo cuore… sembra debba uscirti! - Jun arrossì e sorrise intenerito
insieme, quindi alzandosi sui gomiti per osservarlo meglio, gli carezzò
la guancia con una mano. Era la prima volta che viveva cose simili ma
come poteva non trovarlo estremamente dolce in quella sua nuova
preoccupazione?
Anche
prima che era venuto a vedere perché non c’era in mensa… lo capì solo
in quell’istante, fissandolo negli occhi neri e pieno di un universo
caotico ma sicuramente da esplorare. Non era solo una questione fisica.
Non c’era solo attrazione. Kojiro non insisteva tanto solo perché era
attratto da lui, gli piaceva davvero.
Non
gli era mai successo di essere al centro del mondo di qualcuno fino a
quel punto e soprattutto non in un modo tanto dolce e impacciato
insieme.
- Non è nulla… sono solo emozionato ed eccitato… -
A
Kojiro non era mai successo di sentire qualcuno così eccitato, con
Genzo era stato diverso, non aveva percepito niente di lui se non le
sue mani e le sue parti intime… insomma, aveva subito tutto il piacere
del mondo, ma non aveva mai capito cosa avesse provato lui.
Era la prima volta che lo sentiva e non pensava potesse succedere così. Era confuso.
-
Sicuro? Non è un attacco? - La sua paura emerse apertamente solo allora
e a Jun vennero gli occhi lucidi. Sebbene normalmente detestava sentire
discorsi di qualunque tipo sulla propria malattia e soprattutto essere
un privilegiato, ora lo trovava meraviglioso perché era Kojiro. Kojiro,
non uno chiunque. Uno che solitamente non si interessava a nessuno se
non per maltrattarlo. Uno che… uno che gli piaceva anche a lui, molto
più di quel che avrebbe mai pensato.
-
No… - Fece allora delicatamente, poi con fermezza lo costrinse a
spostarsi di lato, gli prese la mano e gliela mise sul suo, di cuore.
Anche quello batteva impazzito e non se ne era nemmeno reso conto… -
Senti? Anche il tuo va così… si chiama emozione… - Non pensava potesse
succedere in quel modo. Era pronto a tutto ma non a quello e quando
capì come funzionavano quelle cose, Kojiro mise da parte l’eccitazione
e la voglia che l’aveva infiammato poco prima per capire meglio quel
discorso.
-
E’ così che funziona? Quando ci si emoziona il cuore minaccia un
infarto? - Lo chiese schietto e poco romanticamente anche se poi
sembrava dire una cosa molto dolce, Jun sorrise capendo che non
avrebbero ripreso, quindi abbassandosi la maglia si girò sul fianco per
guardarlo in viso alla stessa altezza. Erano stesi e si osservavano,
uno stupito e l’altro più consapevole e quasi divertito. Aperto, in
ogni caso. Kojiro lo ritenne così, finalmente capiva cosa pensava,
almeno un po’. Si sentì subito meglio, come euforico ed infine pensò di
essere sulla via della follia vista la voglia di ridere e piangere
insieme.
-
Non avevo mai provato cose simili, non sapevo che era così… ho provato
qualcosa con Genzo ma è stato tutto fisico… insomma, eccitante e
appagante ma niente di così… folle… - Non sapeva nemmeno come definirlo
e quando Jun rispose con dolcezza che non gli avrebbe mai detto, capì
perché la voce gli stava tremando:
-
Si chiamano sentimenti. Quando fai queste cose con qualcuno che ti
piace veramente e che magari ti ricambia, provi questa esplosione
interiore… ti emozioni, oltre che eccitarti. È diverso per i sentimenti
che provi. Nemmeno a me era mai capitato, pensavo non si potesse… ma
sai cosa mi è successo? - Ormai non poteva fingere di non saperlo, di
ignorarlo o di aver bisogno di tempo per rifletterci. Ormai era tutto
così chiaro…
- Cosa? - Kojiro però non l’avrebbe mai immaginato…
Jun sorrise ancora con quella sua eleganza di fondo ma consapevole e presente, sereno.
-
Ho incontrato te che con aggressiva testardaggine hai voluto capire
com’era vivere, visto che non l’avevi mai fatto veramente e nel farlo
me l’hai mostrato anche a me, me l’hai fatto capire e non solo. Me
l’hai fatto fare. Vivere assolutamente. Ora penso che possiamo andare
avanti a scoprire il resto insieme. Ci saranno sicuramente un sacco di
altre cose che fin’ora ci siamo persi, no? -
Kojiro
capì a sua volta che Jun aveva deciso e che finalmente sarebbe stato
suo e la felicità che provò giurò di non averla in assoluto mai
provata, non capì nemmeno perché si sentiva così stupidamente contento,
euforico, folle all’ennesima potenza, ma sopra ogni cosa si diede
dell’idiota nell’avere voglia di piangere.
Premendo
il viso contro il collo di Jun, sentendosi debole per un momento, un
solo momento, si disse che poteva fidarsi di lui, che con lui andava
bene perché era stato il primo a capirlo e ad arrivargli dentro.
Quei
ricordi così vividi, ricordi di un’infanzia atroce che purtroppo fin
troppi bambini vivevano, stavano giusto giusto venendo vinti in
quell‘istante, per cui gli ci volle qualche istante per lasciarsi
andare a quella debolezza vecchia e antica, una debolezza che un tempo
l’aveva -a suo parere- caratterizzato fin troppo e che ora la stava
proprio buttando via.
Il tempo della sofferenza era definitivamente e veramente finito in quel preciso istante.
Ora era quello di vivere e di essere felici.
Jun
lo cinse e non disse nulla, consapevole del motivo per cui ora piangeva
emozionato, emozionato a sua volta nell’avergli dato ciò che, lo sapeva
bene, nessuno era ancora riuscito a dargli.
La felicità.
A Kojiro non serviva più niente altro.