CAPITOLO II:
LA COSA GIUSTA
Dopo un bussare
tremendamente insistente, la porta della sua camera si aprì senza il
permesso del proprietario che uscendo infastidito dal bagno con un
accappatoio dopo una doccia mattutina veloce, si ritrovò stravaccato
sul proprio letto un Genzo che con le scarpe sul materasso l’aspettava.
Notando la versione di Karl con così poco addosso, si leccò le labbra
con un sorriso malizioso ed accattivante. Non servì parlasse, Karl capì
al volo i suoi pensieri sporchi sulla propria persona e senza
dimostrare minimamente il proprio imbarazzo, lo ignorò come se non ci
fosse.
Genzo però
non era dello stesso avviso. Essere ignorato equivaleva ad un invito a
importunarlo il più possibile e lo colse al volo.
- Buongiorno…
sono passato a prenderti… come mai non sei pronto? - Ma non fu quel che
disse, piuttosto COME. Sembrava una proposta indecente…
lui ed il suo tono basso e suadente accompagnato da quello sguardo così
nero e penetrante. Anche se aveva un accappatoio addosso, a Karl pareva
di essere nudo.
Increspò
appena la fronte, tanto si concesse, quindi gli diede la schiena e si
morse il labbro. Era bruciante ma piuttosto che farglielo capire,
sarebbe imploso morendo all’istante.
- Per fare il
corridoio e scendere le scale fino alla mensa non mi perdo mica. Non
serve che mi invadi ogni santa mattina. - Parlando più del suo solito,
dimostrò ancora una volta che la teoria di Genzo non era poi tanto
campata per aria.
Karl non
parlava mai se non a monosillabi e se costretto. Il fatto che mettesse
più di due parole in croce solo con lui era molto significativo.
- Ma come, ed
io che mi sveglio prima solo per te! - Lo ammise con naturalezza,
stendendosi meglio sul letto, accomodandosi con le mani dietro alla
nuca spettinata. Sembrava un gatto.
- Lo so, ma
puoi anche farne a meno. - Continuava a dargli la schiena scegliendo i
vestiti da indossare, consapevole che se si fosse spogliato lì sarebbe
stata la fine.
- Oh, non
potrei mai privarmi di uno dei miei spettacoli preferiti… - Fece allora
il moro sensualmente, fissandogli il fondoschiena che purtroppo
rimaneva ostinatamente coperto.
Karl sospirò
insofferente ma non disse più nulla, dileguandosi di nuovo in bagno e
chiudendosi dentro a chiave onde evitare spiacevoli sorprese.
Bè,
spiacevoli non proprio, in realtà…
Una volta
solo, appoggiò la testa alla porta e sospirò sbilanciandosi in
un’espressione lievemente stanca nonostante si fosse svegliato da
appena una mezz’ora ed avesse già fatto la doccia.
Genzo era
sfiancante, la sua sola presenza gli tirava via tante di quelle energie
che si sentiva un perfetto idiota a stargli accanto. Eppure non
riusciva a staccarsi. O meglio, anche se ci provava l’altro non glielo
permetteva.
“Però
se volessi davvero, saprei come togliermelo dai piedi.”
Quello fu il
suo unico pensiero su cui si sbilanciò. Nemmeno da solo si permetteva
tanti slanci, come avesse paura che l’altro riuscisse a leggergli anche
il pensiero, oltre che le sue non espressioni ed i suoi atteggiamenti
minimali.
Non sapeva
come faceva, ma Genzo era davvero l’unico che nel suo totale niente,
capiva tutto quello che esso significava.
Sapeva di
avere un ottimo controllo di sé e di non fare mai espressioni
particolari, eppure per lui parevano tutte diverse le une dalle altre.
Come faceva?
Se l’era
sempre chiesto e non l’aveva mai capito.
Tuttavia non
poteva ignorare il fatto che fosse troppo presuntuoso ed arrogante.
Aveva dei
pregi, anche se solo lui probabilmente li conosceva, ma quei difetti
per lui erano troppo pesanti. Doveva capire che non poteva avere quel
che voleva solo perché… bè, era lui a volerlo!
Era una
questione di principio.
Si credeva
chissà chi, un principino viziato, ma non era più di lui e se lui
diceva di no, no doveva essere e l’altro doveva anche accettarlo.
Pura utopia,
in realtà.
Trattandosi
di Genzo sapeva che non poteva essere così. Non lo sarebbe mai stato.
Accettare,
specie un rifiuto, non era nel suo vocabolario.
Peccato che
Karl non fosse una bambola.
Specie non
era la SUA bambola, anche se quel pervertito pareva pensarlo.
“Si
scotterà lui, perché se pensa che io ceda si sbaglia di grosso. Su
questo non transigo. Non è nessuno, deve iniziare a capire cosa
significa la parola rispetto.”
E a costo di
fare violenza su sé stesso e contrastare ogni suo basso istinto, non
avrebbe mai ceduto. Anche se spesso era quello che voleva di più.
- Potevi
suggerirmi… - Disse Genzo seccato mentre con Karl si dirigeva in mensa
per il pranzo.
Il ragazzo
dai capelli biondi ed ordinati non lo degnò nemmeno di uno sguardo,
limitandosi a dire con la solita freddezza:
- Devi
imparare a cavartela da solo anche nelle cose che non ti garbano! -
Genzo sbuffò
infastidito:
- Quando
parli così sembri mio fratello! -
- Avresti
solo da imparare da lui. - Ribatté allora sempre con noncuranza
varcando la soglia dell’enorme sala e dirigendosi alla fila per
prendere il pranzo.
Al moro non
piacque la sua allusione ed interpretandola a modo suo, rispose con
stizza:
- Se ti piace
tanto mettiti con lui! - La gelosia fu chiara come acqua di ruscello e
Karl sorrise fra sé e sé senza darlo a vedere.
- Se mi
volesse sarei il primo a propormi. Peccato che è fidanzato ed è
eterosessuale! - Ancora una volta dimostrava di essere disposto, più o
meno bene, a parlare solo con Genzo e questi pur notandolo non poteva
compiacersi, non se sparava cavolate di quel tipo. Fra tutte quelle che
poteva dire per cercare di infastidirlo, quella era la peggiore e lo
sapeva bene.
Jun, per
Genzo, era una sorta di punto debole.
- Quello è
etero come me! - Fece sbuffando di nuovo sminuendo l’ultimo punto e non
prendendo nemmeno in considerazione l’altro. Per lui essere fidanzati
non significava nulla!
- Tu sei
bisessuale. - Puntualizzò Karl come se niente fosse, concludendo la
fila coi vassoi pieni.
- Appunto! -
- Ma lui ha
avuto solo Aoba. - Ancora questo precisare l’ovvio… il moro corrugò la
fronte e si imbronciò. Perché non andava oltre? Lo faceva di proposito
ed era chiaro, ma era davvero seccante. Sapeva cosa intendeva però
faceva finta di non capirlo. Però non era questo a mandarlo in bestia,
bensì che stesse implicitamente corteggiando Jun consapevole che era la
cosa peggiore che potesse fare e non perché lui era un altro ragazzo,
ma perché era SUO FRATELLO!
- Sai cosa
voglio dire! - Fece allora sgarbato tagliando corto. - Non sa di
esserlo ma lo è anche lui. Bisessuale dico. E se ti piace tanto provaci
e fagli scoprire questo mondo vasto che si sta perdendo! - Lo disse
come per ammonirlo a non farlo, oltre che provocarlo. Karl evitava
accuratamente di fare tutto ciò che Genzo gli diceva, per puro spirito
di contraddizione, per ridimensionarlo -così asseriva lui-. La reazione
era che Genzo, proprio per questo, gli proponeva le cose che ci teneva
non facesse.
Funzionavano
esattamente al contrario e solo uno dall’esterno probabilmente si
sarebbe accorto di quanto idioti fossero.
Il fatto era
che se per Genzo si poteva capire qualcosa, per Karl era proprio
impossibile, ermetico ed impassibile come pochi.
C’era solo da
chiedersi quanto sarebbero andati avanti così.
Karl non si
sarebbe degnato comunque di rispondergli, anche se non fossero stati
interrotti da uno dei lati più infantili e fastidiosi dell‘altro.
Non ci
avrebbe mai provato con Jun anche se gli piaceva come persona e lo
apprezzava moltissimo. In realtà non avevano nemmeno mai avuto contatti
di alcun tipo se non qualcosa di molto cordiale.
Del resto,
nessuno aveva mai avuto contatti di alcun genere col biondo di origini
straniere ed il motivo era semplice.
A Karl
piaceva solo Genzo, peccato che lo ritenesse troppo pieno di sé per
farglielo sapere!
Con aria di
indifferenza totale notò che si stava accapigliando con quello di un
paio di giorni prima, incontrato davanti all’istituto e decidendo che
questa volta se la sarebbe cavata da solo poiché non era il suo baby
sitter, prese anche il suo vassoio e si diresse al tavolo senza nemmeno
ascoltare le ridicole argomentazioni per cui ora litigavano.
Si sedette a
mangiare nell’indifferenza sperando solo che entrasse un po’ di sale in
zucca a quel megalomane esagitato, ma non guardò né la rissa che
scoppiò fra i due, né la cupola di persone che li attorniava e li
incitava a proseguire.
Infantili.
Tutti.
Dal primo
all’ultimo.
Ma nel
culmine di queste sue considerazioni vide entrare l’unico che,
probabilmente, si salvava da quella manica di immaturi.
Come lo vide
varcare la soglia e attraversare la mensa col suo passo sicuro e
sostenuto, capì che finalmente la pagliacciata sarebbe finita, quindi
sempre nel silenzio più totale e senza nemmeno guardare Genzo, uscì con
calma dalla sala passando completamente inosservato.
Doveva
crescere.
Genzo doveva
crescere molto più di così.
Tanto Karl
era severo con sé stesso, tanto lo era con chi gli interessava. E tanto
uno gli interessava, tanto più aumentava la sua severità.
Uscendo dalla mensa,
Jun si sentì raggiungere poco dopo da una presenza che riconobbe ancora
prima di vedere.
Come da lui
previsto si sentì prendere per il gomito e girare con maleducazione,
poi un ‘ehi’ ancor più maleducato ed uno sguardo battagliero che lo
insultava senza usare parole.
- Cosa c’è
Genzo? - Chiese Jun educatamente come niente fosse, senza nemmeno
divincolarsi dalla presa ferrea del fratello.
Sembrava
davvero fuori di sé.
- C’è che non
devi metterti in mezzo ai miei affari! Ti puoi far male! - Sbottò
infatti bruscamente.
Al momento in
corridoio non c’erano molti e quei pochi seppure incuriositi di quel
faccia a faccia fra celebrità, gli stettero alla larga sapendo che non
era aria.
- Vuoi dire
nelle tue discussioni fisiche molto animate totalmente fuori luogo? -
Chiese sostenuto Jun senza abbassare tono e sguardo, fiero e altero.
Genzo gli lasciò il braccio rendendosi conto di star stringendo troppo,
ma non distolse lo sguardo iracondo dal suo provocatorio e saccente.
Detestava quando guardava così anche lui e Jun lo sapeva perfettamente,
per questo lo faceva, o per lo meno il moro ne era convinto.
- Quello che
sono! Non importa! Me la cavo e tu invece non puoi certo venir
picchiato per sbaglio, lo sai! - Il fratello minore alzò un
sopracciglio fissandolo con scetticismo, lo provocava in ogni istante e
a lui dava il sangue alla testa.
- E’ appunto
questo che bisogna evitare, che tu te la cavi troppo bene! - Aveva
risposte sempre pronte, era convinto di essere nella ragione, come
sembrava in ogni altro istante della sua vita. Del resto non importava
cosa pensasse davvero ma come appariva. Se dal di fuori sembrava sicuro
di sé gli altri vacillavano e lo lasciavano in pace dandogli retta,
questo era tutto ciò che contava. Genzo era l’unico che non ci cascava
ed anzi quando faceva così si accendeva in modo spropositato.
Però con le
mani ai fianchi lo guardava con i suoi occhi castano autunno
invitandolo ad esagerare anche con lui. Sapeva che non l’avrebbe mai
fatto, però doveva fargli assaggiare ogni tanto il sapore della
sconfitta e per il moro ogni volta che doveva lasciar perdere per
primo, era proprio come una sconfitta.
Jun era
l’unico che poteva avere la meglio su quel ragazzo presuntuoso e chissà
che forse fra lui e Karl non sarebbero prima o poi riusciti a
ridimensionarlo…
- Va al
diavolo, Jun! Se ti fai male non venire da me! -
Perché era
anche vero che coi suoi atteggiamenti supponenti volti a sistemare le
cose oppure a trovare la propria pace, poteva prima o poi finire col
farsi male, ma valeva la pena tentare, almeno secondo lui.
In fondo
quelli erano i suoi modi, non era una persona invadente o che si
imponeva, e nemmeno aggressiva.
Vide il
fratello maggiore sospirare seccato, quindi gli sorrise con un lampo di
dolcezza, un breve istante che vide solo il moro davanti a lui che si
spompò e scuotendo la testa se ne andò.
Il ragazzo
dagli ordinati capelli castani che gli ricadevano morbidamente sulla
fronte, rimase a guardare la schiena ampia del fratello mentre si
allontanava arrabbiato anche se in minor misura.
Sapeva che
era solo spaventato dall’idea di essere lui a fargli male, ma del resto
quello era davvero l’unico modo per fermare quel carro armato che
esagerava sempre.
Anche il suo
amico Karl ci riusciva, il punto era che non voleva nemmeno mettersi e
non riusciva a capirne il motivo.
Si incamminò
verso la propria camera a prendere gli spartiti per l’incontro del club
di musica continuando a pensare. Era una questione di priorità,
dopotutto.
A lui
interessava che Genzo non ammazzasse qualcuno mentre ci faceva a pugni,
ma evidentemente a Karl non gli interessava. Eppure perché accettava la
sua compagnia, se non gli importava?
Concluse
ancora una volta che probabilmente era tutta una posa, quella del
biondo, ma che erano comunque solo affari suoi.
“Quell’Hyuga,
invece… chissà se seguirà il mio consiglio…”
Si disse
cambiando discorso mentre, dopo aver preso il materiale, si dirigeva
nell’aula di musica per la lezione pomeridiana.
Non che fosse
essenziale lo facesse, però uno così selvatico poteva mai eseguire
quelli che poteva vedere come delle specie di ordini?
Probabilmente
no, ma magari avrebbe capito che era una buona idea, chi poteva dirlo…
Varcando la
soglia dell’auditorium che utilizzavano per le prove del club non
carezzò con lo sguardo nessuno dei presenti che invece catalizzarono la
loro attenzione tutta su di lui, il più popolare del gruppo e quello
che attendevano solitamente più degli altri membri.
Era lo scotto
che doveva pagare per poter fare ciò che gli piaceva, era il massimo
che era riuscito ad ottenere. Il massimo nel senso che fra quelli che
conosceva nessuno era un musicista, quindi quelle ore di allenamento
strumentale per lui erano davvero un rifugio nonostante gli sguardi
incuriositi ed adoranti degli altri compagni.
Salutò
cordialmente con un sorriso che non arrivò agli occhi ma che nessuno
notò poiché troppo occupati a vedere in cosa si sarebbe esibito quel
giorno.
Sentirlo
suonare era un vantaggio che in pochi potevano avere.
Le prove dei
club non erano private ma quelle di musica sì e per il semplice fatto
che Jun Misugi aveva disposto lo fossero. Essendo che si trattava di
arte avevano dedotto che con un pubblico più vasto durante le
esercitazioni, si sentisse a disagio e questo era diventato un segno
distintivo non solo suo ma di tutto il club che cercava di imitarlo il
più possibile.
Notava questa
sorta di idolatria verso di lui e naturalmente gli dava molto fastidio,
però c’era da dire che sarebbe potuto essere molto peggio…
Si diresse al
leggio davanti ai violini e senza spiegare cosa avrebbe suonato,
sistemando lo spartito, prese lo strumento e assorto cominciò ad
accordarlo sentendo ancora gli sguardi di tutti addosso.
Funzionava
così.
Jun arrivava
e faceva un pezzo solista a suo piacimento, con lo strumento che
desiderava, gli altri lo assistevano e dopo di ché la lezione iniziava
ufficialmente col maestro che si dava da fare.
Era un
privilegio che davano unicamente a lui e anche se gli andava più che
bene, ogni tanto sentiva il bisogno che qualcuno lo contrastasse
dicendo di fare come tutti gli altri, che non era nessuno di speciale
per avere certi privilegi.
Eppure non lo
facevano mai.
Anche se,
mentre la Renana di Schumann iniziò dalle sue corde esperte, gli venne
in mente un volto che aveva visto in tutto solo due volte.
Kojiro Hyuga.
Lui forse era
l’unico che non lo trattava con riguardo ma era perché non sapeva
niente di lui, probabilmente nemmeno chi fosse.
Genzo era
diverso… si sforzava di non porsi a lui con riguardo, però alla fine
nel farlo risultava proprio quello che invece aveva più attenzioni.
Da un lato
era bello vedere suo fratello così apprensivo, a modo suo, ma
dall’altro era ancora più pesante.
Nemmeno Yayoi
riusciva a vederlo come uno qualunque e non sapeva come fosse
possibile. Certo, era bravo in quello che faceva perché gli piaceva
riuscire bene, era anche educato perché era stato cresciuto così, però
anche molti altri lo erano.
Perché lui
doveva spiccare così?
Poi come se
fosse in linea con la melodia seria che suonava, i battiti del suo
cuore accelerarono emozionati da ciò che creava, come ogni volta che
suonava, dandogli una specie di risposta.
Ecco perché
lo vedevano tutti come un Dio.
Perché
soffriva di cuore.
Come questo
dovesse farlo diventare divino ancora non ci era arrivato e forse non
l’avrebbe nemmeno mai capito.
“Huyga…” pensò
mentre una nota dietro l’altra si susseguiva sulle corde tese del
violino fra le sue mani, la testa dolcemente piegata di lato, gli occhi
chiusi senza nemmeno bisogno di vedere lo spartito aperto. “Finchè non sa nulla di me mi
vede come vorrei mi vedessero tutti. Ci vuole poco per capirlo. Quando
saprà tutta la storia comincerà anche lui a trattarmi in modo diverso.
Peccato…”
Fu così che
decise che non sarebbe dunque valsa la pena di creare un rapporto con
lui… tanto a breve si sarebbe guastato come tutti.
Perché era
sempre stato così, non esistevano eccezioni, non nella sua vita.
Credere che
per una volta potesse essere diverso, era solo un’inutile perdita di
tempo da parte sua.
Se non ci si
aspettava nulla, non si poteva rimane delusi.
Semplicemente.
Però quel
ragazzo lo incuriosiva e non l’avrebbe negato.