CAPITOLO XXII:
LE VERITA' IMPORTANTI

/Who are you – John Murphy/
Le immagini scorrevano nel piccolo display della videocamera vecchio stile, un macchinario grande rispetto a quelle digitali moderne, da comporre dove poi si poteva vedere ciò che era stato filmato tramite la cassettina minuscola su cui era stato registrato. Bastava inserirla nell'apposito spazio, riavvolgerla e schiacciare il play. Nel binocolo che si usava per guardare ciò che si riprendeva c'era il famoso display. Si guardava lì dentro.
Jun rimase allibito a guardare.
Il piccolo Genzo neonato era stretto fra le braccia di una sfinita e strana donna. Strana in quanto era spaesata e non sorrideva, forse era solo troppo stanca.
Si concentrò su di lei e dopo aver realizzato che non era per niente sua madre, era tremendamente somigliante a Genzo. Naturalmente c'erano differenze sostanziali per il fatto che poi Genzo era un ragazzo ma non era negabile che fosse la sua vera madre.
Jun rimase a guardare le scene a lungo prima di capire. Prima di dirselo. Di accettarlo. Di realizzarlo.
Prima che il suo cervello si riattivasse.
E nell'aria qualcosa c'era, qualcosa di strano.
Come se della polvere si alzasse ora per la prima volta e nel farlo facesse rendere conto di sé ai presenti che, invece, l'avevano sempre ignorata.
Non si era mai accorto che era lì.
Mai.
Eppure era lì da sempre.
Genzo poco più in là era alle prese con la foto ingrandita e incorniciata delle nozze di suo padre.
Suo padre con un'altra donna.
Una donna che non era sicuramente la madre di Jun.
Nel momento in cui lo pensò se ne accorse.
Si accorse d'aver capito.
Lei era la sua vera madre.
Era identica a sé, poteva riconoscerla da solo pur non sapendo della sua esistenza.
Capelli ricci e neri, occhi tenebrosi, lineamenti inconfondibilmente selvaggi.
- Mia madre...?! - Fu il primo a reagire. Lo disse ad alta voce per capire che effetto potesse fare e nel sentirlo Jun si riscosse e lo guardò.
Quando i due fratelli incrociarono i loro sguardi si rispecchiarono precisamente l'uno nell'altro nel medesimo identico sentimento di smarrimento.
Le sopracciglia inarcate, gli occhi impauriti quasi per la verità a cui erano stati messi brutalmente davanti.
Jun gattonò fino a Genzo stringendo la videocamera ancora in funzione e senza dire niente, non una sola mezza parola, gliela porse.
Era un fantasma.
Era pallido e tremava, nel toccargli la mano per prendere l'apparecchio Genzo lo sentì gelido ma fu subito distratto dalle visioni.
La sua nascita.
Poteva essere solo lui quel cosino piccolo, brutto ed urlante.
E lei era la donna della foto.
Disfatta e stanca. E strana. Ma sua madre.
Sua madre.
Lo stava pensando di nuovo in automatico.
Allora era proprio così?
- Ma cosa diavolo... - Genzo voleva fare una domanda di senso compiuto ma quando rialzò lo sguardo su Jun lo vide che stringeva la foto e la foto tremava tanto.
Non poteva capire nemmeno lontanamente lo stato d'animo di suo fratello e solo quando se lo chiese se ne rese conto.
E fu tragico.
Fu maledettamente tragico.
Più tragico di quanto mai avrebbe immaginato di poter apprendere qualunque notizia.
- Non siamo fratelli. - Il pallore di Jun fu totale nel riflettere le proprie iridi castane in quelle nere dell'altro. E divennero lucidi, come se un'ondata di gelo lo paralizzasse.
Aveva bisogno di tempo, di tempo... per capire... capire cosa significava quella notizia. Quella cosa.
Non erano fratelli, non aveva legami di sangue con nessuno, non c'erano effettive connessioni biologiche con nessun essere vivente ed aveva vissuto quattordici anni della sua vita convinto di essere fratello di uno che poi non lo era.
Ma forse il peggio era la menzogna importante rifilata da quello che aveva imparato ad amare come un vero padre.
Non c'era più nessuno di cui fidarsi?
A quella domanda che si fece largo nel caos, un caos autentico che nemmeno quando aveva capito di provare qualcosa per Kojiro aveva provato, Genzo gli mise una mano sulla guancia.
Aveva l'impressione che fosse troppo pallido e che non stesse bene. Impressione corretta.
Era gelido.
Testato ciò si perse nell'espressione smarrita. Era perso per la prima volta in vita sua e gli parve di tornare indietro nel tempo, alle volte in cui parlavano della morte e di loro madre.
Sua madre.
Anche per lui era un trauma ma vedere che Jun stava male gli faceva mettere tutto da parte, tutto. Era molto più importante lui...
- Ehi... - Mormorò allora piano abbassando il capo per essere alla stessa altezza dei suoi occhi. Un gesto tenero in un certo senso. Jun ingrandì in qualche modo lo sguardo come se aleggiasse una speranza. La speranza che potesse dargli una risposta. - Siamo fratelli lo stesso! Uno stupido legame di sangue non ci dice cosa siamo. Lo sappiamo noi, lo sentiamo noi. Siamo fratelli e basta. - Ecco cosa aveva avuto bisogno di sentire.
Che l'unica certezza della sua vita rimanesse tale anche se in modo diverso da quello che aveva pensato fino a quel momento.

/ The second Low: Isolated System - Muse /
A quel punto Jun fece per la prima volta un'azione di riflesso e senza controllarsi si gettò fra le sue braccia nascondendo il viso contro il suo petto. Come tanti anni fa avevano fatto, da bambino, quando avevano parlato della madre.
Trovò calore e conforto e si rese conto di quanto vero fosse tutto quello.
Di quanto fraterno fosse quell'abbraccio.
Di quanto luminoso e forte ed incrollabile fosse il suo faro nella notte, in mezzo ad un mare in tempesta.
Nei veri momenti di bisogno Genzo c'era sempre stato e non contava che poi il sangue fosse lo stesso o no. Quello che lui era stato lo era stato comunque e lo sarebbe stato ancora. Niente poteva farli smettere o cancellare tutto.
Aveva bisogno di capirlo, di aggrapparsi a ciò e lo fece con tutto sé stesso per non affondare.
Ne aveva avuto bisogno subito. Immediatamente. Appena realizzato.
Al resto ci avrebbero pensato dopo, ma la cosa più importante nel capire che non erano veramente fratelli, era sapere che comunque fra loro non cambiava niente.
Genzo lo tenne a sé mentre lo sguardo gli cadeva sulla foto a terra.
Suo padre e quella che a quanto pareva era sua madre.
Dov'era? Perchè non c'era più? Era morta? E perchè suo padre non gli aveva mai detto niente?
L'aveva nascosta in quel modo cancellando ogni traccia, gli aveva fatto credere che la madre di Jun fosse anche la sua ed aveva faticato immensamente, da piccolo, ad accettarla. Quegli eventi l'avevano forgiato e cambiato dandogli un carattere diffidente verso il genere umano, aveva imparato a coprirsi con una maschera di strafottenza proprio per quel vissuto. E non era la verità.
Era comunque una menzogna.
Per un istante provò ad immaginare cosa sarebbe cambiato nel sapere la verità.
Tutto, forse.
Non avrebbe mai considerato quel bambino suo fratello, non si sarebbe mai sentito responsabile di lui, nelle sofferenze affrontate non si sarebbe mai dato tanta pena per lui. Forse non avrebbe mai avuto quel rapporto con lui. Un rapporto che dall'esterno mantenevano composto ed anche piuttosto scostante e che poi in privato diventava stretto e intimo.
Perchè solo loro due dovevano sapere quanto si volevano bene e quanto importanti erano l'uno per l'altro.
E fuori nessuno poteva sapere com'erano loro veramente. Come stavano. Cosa c'era sotto le loro maschere.
Sembravano geneticamente fratelli per tutte queste somiglianze eppure non erano vere. Erano solo coincidenze oppure influenze vicendevoli dovute all'ambiente comune in cui erano cresciuti.
Quanto li aveva cambiati rispetto a ciò che sarebbero dovuti essere?
Quanto una bugia simile, forse anche a fin di bene, aveva mutato le loro vite?
Ed in meglio od in peggio?
Cosa, cosa significava veramente tutto quello?
Genzo aveva una necessità smodata di saperlo. Per lui non era in dubbio il sentimento presente che provava per Jun, non nutriva lo stesso terrore suo.
Lui aveva il bisogno di sapere cosa aveva cambiato quella notizia. Quella menzogna.
Cosa davvero profondamente ed intimamente significava non conoscere l'esistenza della sua vera madre.
E si perse in quei pensieri mentre l'abbracciava e lo cullava, un vortice incredibile di domande.
E lo sguardo assente posato su di lei e su suo padre da giovane.
Lo sguardo che, in quelle domande, lentamente, divenne sempre più feroce.
La polvere si era alzata del tutto ed ora aveva creato una nube incredibile tutt'intorno. Era tutto nebbioso, non si vedeva. Era questo il problema. Non si vedeva niente.
Genzo da perso e pensieroso divenne lentamente feroce e agguerrito.
Quella luce nera dalle sfumature rosse per la furia quasi omicida avrebbe fatto rabbrividire chiunque e quando Kojiro ed Hikaru arrivarono trafelati, dopo aver capito dov'erano i due fratelli, si fermarono davanti a quella scena.
Una videocamera a terra, una foto accanto, un vestito da sposa dall'altra parte, un armadio aperto e loro due accucciati che si abbracciavano.
E lo sguardo furibondo come quello di una pantera pronta a sbranare.
Kojiro impallidì spaventato per la prima volta da qualcosa che non era suo padre.
Era la fine.
Come lo poteva fermare?
Ma poi, si chiese... doveva fermarlo?
Dannazione, Jun era sconvolto e lui era furioso e tutto per una menzogna simile. Che quell'uomo al sicuro nel suo ufficio per una volta si prendesse le sue responsabilità.
Mandarli lì sotto sapendo di quel terribile segreto... e poi prendere in giro quelli che dovevano essere figli. Jun come adottivo ma lo era lo stesso. E Genzo, sangue del suo sangue, nascondergli d'avere un'altra madre, fargli credere d'averne avuta una che non era la sua...
Mikami aveva fatto un tale casino che non intendeva per niente al mondo mettersi in mezzo e fermare un probabile omicidio. Qualunque cosa sarebbe successa erano fottutamete affari loro e questa era la sola maledetta verità che contava.
Lui aveva cercato di fare il possibile per Jun ma prima o poi l'avrebbe saputo.
Ora contava solo lui, lui e nessun'altro.
Genzo si accorse della sua presenza e muovendosi al rallentatore e con una delicatezza che associata al suo viso nessuno avrebbe mai compreso, si alzò con Jun e carezzandogli la testa lo scostò da sé per affidarlo a Kojiro. Lo prese di riflesso senza pensarci, lo cinse e Jun per un momento si lasciò prendere riconoscendolo. Lo sentiva forte. Lo sentiva protettivo. Lo faceva stare bene.
Fu un momento, il suo caos, a distrarlo.
Appena Genzo lo lasciò fece un passo indietro, indurì il volto ulteriormente e sempre con quella luce rossa nello sguardo furioso, disse a denti stretti. Un tono basso e penetrante.
- Che nessuno si intrometta. - Dopo di questo scattò. Non corse.
Genzo camminò.
Camminò veloce e sostenuto, come se marciasse verso una guerra inevitabile e sanguinosa.
Marciò con la stessa intensità e nessuno, nel vederlo stranamente andarsene con una tale espressione spaventosa osò fermarlo e chiedergli qualcosa.

/Dark Paradise – Lana Del Rey/

Karl si preoccupò subito ma con logica inoppugnabile andò da Kojiro, Jun ed Hikaru a chiedere spiegazioni. Era chiaro che loro sapessero.
Non servì parlare.
La foto lo fece da sola.
- La madre di Genzo? - Era una mezza affermazione.
Quando la sua voce si levò dietro di loro i tre si voltarono e Jun tornò.
Tornò in quel momento e s staccò da Kojiro, in breve gli altri li raggiunsero e chiesero spiegazioni che fornì Hikaru e solo al termine di queste Karl esclamò fra sé e sé.
- Lo ammazzerà. E non posso biasimarlo. - Nessuno poteva sapendo la sua storia, una storia di dominio pubblico da sempre.
Jun si pulì velocemente le guance e alzando gli occhi al cielo invocò mentalmente sua madre.
Che l'aiutasse ad affrontare quella situazione.
Poi si rivolse a Kojiro e con una pacatezza raggelante vista la crisi appena affrontata, disse piano:
- Io vado da loro, tu intervieni solo se è proprio necessario. Lo saprai da solo. - Dopo di questo se ne andò davanti agli occhi allibiti ed increduli di tutti.
Come faceva a stare così bene?
Non l'avevano visto terrorizzato fra le braccia di Genzo e poi di Kojiro. Solo Hikaru l'aveva visto e rimase ammutolito.
Una padronanza tale di sé non l'aveva mai vista in nessuno.
Crollare e recuperare in così poco.
Se non altro ora sapeva che era umano anche lui. Anche se davvero fuori dal comune lo stesso.
Kojiro restò un attimo stordito come tutti davanti a quella reazione, dopo di che partì anche lui qualche minuto dopo al suo seguito, accompagnato naturalmente da Karl.
I due in completo silenzio uscirono dalla cantina e non dissero niente né lì né poi.
Rimasti Hikaru con Tsubasa, Taro, Ken e Takeshi, in silenzio, si guardarono capendo la gravità della situazione, poi Tsubasa prese in mano le cose e disse pacato e calmo ma con fermezza:
- Direi di sistemare questo angolo e poi di andare nelle camere in attesa. A volte ci sono coperchi che non vanno aperti. Questa cantina doveva restare così com'era. - Taro sospirò e Ken rispose con amarezza riferendosi magari ad un vissuto personale.
- Ed invece vanno aperti, questi coperchi! Vivere nella menzogna non è vivere una vera vita. Vivi una vita falsa e quando te ne rendi conto, perchè prima o poi te ne rendi conto, stai davvero di merda. E avresti solo voluto che quel dannato coperchio qualcuno l'aprisse prima. - Takeshi gli carezzò il braccio sapendo a cosa si riferiva ed Hikaru si tenne per sé il proprio pensiero.
Taro cominciò a sistemare tutto per primo ed a ruota andarono anche gli altri.

Kojiro e Karl arrivarono che Jun era già entrato e rimasero fermi davanti alla porta dello studio di Mikami, tesi e silenziosi, ad aspettare un qualunque segno che gli dicesse di intervenire. Sperando sentitamente che non ce ne fosse bisogno.
Qualcosa sarebbe di certo cambiato, dopo quella sera. Qualcosa di molto importante.

/Losing my religion - Lacuna Coil/
Genzo aveva camminato spedito e veloce, giunto al suo studio aveva aperto la porta senza bussare e per far capire quanto bisognoso fosse di quel colloquio sbatté la porta violentemente.
Mikami, chino su delle carte, saltò sulla sedia e alzò lo sguardo.
- Genzo che diav...- Ma notò subito l'espressione furiosa e quasi terrificante.
Stringeva i pugni lungo i fianchi e le labbra erano serrate, gli occhi sottili, due fessure.
Respirava pesantemente e veloce come avesse il fiatone.
Ma non era così.
- Cosa è successo? - Genzo alzò la mano in segno di silenzio, lui dritto nella sedia non si mosse, il ragazzo mosse qualche passo e raggiunta la scrivania si appoggiò sopra. C'era un computer con relativa tastiera e monitor, carte, soprammobili vari, penne, libri, cartelline.
Si chinò e lo guardò dritto negli occhi, la mascella contratta.
- Come si chiama mia madre? - Mikami capì all'istante che aveva compreso tutto e per un momento si perse per cercare di capire come avesse fatto.
- Pensavo di essermene sbarazzato... - Genzo in quello, con uno scatto imprevedibile, strisciò le mani sulla superficie dura del tavolo e buttò a terra carte e libri con un unico gesto secco.
Mikami si appoggiò indietro quasi spaventato per un momento da quel ragazzo che non riconosceva.
Impallidì ed allora la porta si aprì e fece entrare Jun.
Un Jun pallido a sua volta ma più padrone di sé.
Vide la scena e capì che Genzo avrebbe anche messo le mani addosso a suo padre.
Si avvicinò e senza toccare nessuno alzò le mani in segno di calma, si mise fra i due, di fianco alla scrivania che fortunatamente li separava.
- Ci hai detto di non aprire gli armadi chiusi a chiave, tu sapevi che c'era il rischio. Mi piacerebbe anche capire come diavolo ti sia saltato in testa di mandarci laggiù sapendolo, se non volevi che lo scoprissimo. Ma mi preme più sapere come diavolo si chiama mia madre. E poi voglio anche tutta la storia. Quella vera. - Parlava ancora basso e controllato ma sembrava la quiete prima della tempesta. Entrambi vedevano dietro di lui una nube carica di grandine e vento tempestosi ed elettromagnatici. Non potevano permettere che si abbattesse.
- Pensavo di essermene sbarazzato davvero, non mi ricordavo che fosse lì! Sai quanto tempo fa ho chiuso tutto là sotto? Me ne ero dimenticato! Ti ho detto di non aprire gli armadi chiusi a chiave perchè so che solitamente se li chiudiamo a chiave un motivo c'è, non ci ho pensato dannazione... -
- Ah significa che ci sono un sacco di segreti là sotto?! - Genzo rispose ironico alzandosi dritto e Jun si inserì.
- Papà penso sia ora di parlarne tralasciando i dettagli di come siamo finiti là sotto... - Jun cercava di tenere in mano la situazione ma era molto agitato anche lui.
- Papà? Sai, mi viene da ridere! Io sono il tuo vero figlio e mi viene da vomitare all'idea di chiamarti padre, tu pensa un po'! - Jun si strofinò le labbra nervoso non sapendo come fare e Mikami era ancora spaesato per l'improvvisa situazione in cui era finito. Genzo batté il pugno violentemente sulla scrivania, improvviso, furioso.
- DIMMI CHI CAZZO E' LEI!? -
Mikami appoggiò i gomiti e si strofinò il viso, rituffarsi in quell'inferno in modo tanto improvviso non era bello e soprattutto voleva aver tempo per pensare bene alle parole da dirgli, era brutto. Era orrendo quello che doveva dirgli.
- Ho avuto i miei motivi per fare ciò che ho fatto ed in tutta onestà non me ne pento, era un modo per proteggerti, è stato il primo che mi è venuto in mente e... - Genzo saltò oltre l'ostacolo che li separava, improvviso, fulmineo, e lo prese per la camicia avvicinando minaccioso il viso al suo, poi a due centimetri urlò con Jun che lo raggiungeva da dietro cercando invano di tirarlo via:
- NON TI HO CHIESTO PERCHE'! A QUELLO CI ARRIVIAMO DOPO! RISPONDI ALLA MIA CAZZO DI DOMANDA! VOGLIO LA STORIA! VOGLIO LA MIA STORIA! HO IL DIRITTO DI SAPERLO! CAZZO, MI HAI NASCOSTO DI AVERE UN'ALTRA MADRE! CI HAI FATTO CREDERE DI ESSERE FRATELLI, CI HAI PRESO PER IL CULO E TUTTO QUELLO CHE SAI DIRE ORA E' CHE AVEVI I TUOI MOTIVI? ED ORA COME PENSI DI PROTEGGERCI? FANCULO, E' ORA DI PARLARE! - Jun lo tirò per le braccia e lo alzò, poteva anche tirargli un pugno conoscendolo.
Genzo si lasciò fare solo perchè era lui, poi si mise davanti e assicurandosi di avere Genzo a portata di mano, disse rivolto a Mikami ancora in seria difficoltà per quello che doveva dire.
- Ti prego... ti prego... ha ragione. È il minimo che ci racconti tutto... tu... tu non hai idea di come ci siamo sentiti... di come ci sentiamo... noi... è ora di saperlo. - La voce gli tremò e fu quello, fu sapere che erano stati male, fu capire che Jun forse aveva pianto o forse stava per piangere, che gli diede coraggio.
- Non è una bella storia e non è facile da ascoltare. - Genzo fece per andargli contro ancora oltre Jun che lo spinse con fermezza.
- PARLA PORCA PUTTANA! MI HAI NASCOSTO LA MIA VERA MADRE, LO CAPISCI? CHE DIAVOLO HA FATTO? -
Mikami a quel punto si alzò di scatto e gridò a sua volta perdendo la testa e la calma.

- HA CERCATO DI UCCIDERTI, ECCO COSA HA FATTO! - il silenzio che calò all'istante fu la cosa più pesante mai sentita.


/Many of horror – Biffy Clyro/
Fu assoluto e la polvere che stava a tutti sugli occhi sembrò diradarsi lentamente da una folata strana di vento.
Jun lo guardò come se capisse e Genzo dovette sedersi. Improvvisamente le forze gli mancavano, le ginocchia si piegarono. Stava diventando tutto troppo per lui. Il cedimento che prima aveva avuto Jun lui lo stava avendo in quel momento.
Anche Mikami tornò a sedersi e lo sguardo si perse. Si perse nel tornare indietro di diciassette anni. Un tuffo doloroso che aveva sperato di poter cancellare in qualche modo.
Si strofinò il viso, di nuovo, con pesantezza. Sospirò ed alla fine si decise mentre Jun si sedeva accanto a Genzo per impedirgli di scattare ancora.
- Lei... lei soffriva di depressione post parto. Può succedere purtroppo. Non poteva vederti, stare con te... ha avuto un totale rigetto di te... ed io cercavo di fare il possibile ed affrontare la situazione ma ero impreparato e non sapevo cosa fare. Non sapevo cosa succedeva... un giorno ti ho lasciato solo con lei per fare qualcosa velocemente, sono tornato subito e... e quando sono tornato lei era lì che premeva il cuscino sul tuo viso. Eri già svenuto, eri cianotico, stavi morendo!
L'ho spinta via, lei era sotto shock, penso non si fosse nemmeno resa conto di cosa aveva fatto... è... è come se la sua mente si fosse spezzata! Impazzita proprio... sono riusciti a salvarti per un pelo e dopo quella volta lei è stata rinchiusa in clinica. Solo che invece che migliorare è peggiorata. Non lo so... forse ho scelto il posto sbagliato, forse era destinata così... forse quello è stato l'inizio di una vera follia... fatto sta che non è più tornata a casa, è stata trasferita quando ha tentato il suicidio numerose altre volte ed io ero a pezzi, non ho più voluto saperne di lei dopo che ti ha quasi ucciso. Non so dove sia e come stia. Si chiamava Kyoko Mujiwara. Non l'ho più sentita. Ho deciso di non dirti niente perchè ho pensato potesse essere traumatico sapere che tua madre era impazzita ed aveva cercato di ucciderti e che ora era in una clinica e non voleva vederti. Sua madre era la psichiatra che l'aveva in cura la prima volta. Mi è stata vicino. Per prassi quando succedono casi simili devono seguire anche la famiglia, mi ha aiutato molto e ci siamo innamorati, ma lei era sposata. Abbiamo avuto una storia clandestina che è andata avanti un bel po'. Tu non puoi ricordarti di lei perchè eri davvero piccolo e quando sei cresciuto un po' abbiamo deciso di interromperci. Lei ha fatto la sua vita, ha avuto Jun e suo marito è tragicamente morto. Ci siamo rivisti in quel periodo, l'ho cercata per farle le condoglianze e ci siamo resi conto di amarci ancora. Così siccome tu non sapevi ancora niente della tua vera madre, per dartene una e darti un'infanzia migliore di quella che avevi avuto e che avresti avuto se ti avessi detto la verità, ho deciso di dire che era lei la tua vera madre e che ti aveva avuto in una relazione nascosta con me mentre era sposata con suo marito. La storia che sapete tutti. Poi il destino ha voluto portarmela via ed io... io ho considerato lei la mia unica vera moglie. L'unica donna che posso dire di aver sempre amato senza mai pentirmene. Non c'è un giorno che non mi manchi. Però Genzo... un giorno forse mi scuserò per averti nascosto una cosa simile. A tutti e due. Però ho agito solo per te, per proteggerti e non distruggerti. Volevo darti quella serenità, una vita normale, una madre come tutti che ti amava, una vera famiglia... volevo farti felice ed anche se il destino non ha voluto, io ci ho provato. Ci ho provato davvero... -
Il silenzio di nuovo tornò. Era strano, come silenzio. Pesante? Tragico? Drammatico?
Jun e Genzo guardavano in basso ed erano immobili, i respiri erano l'unico rumore.
Mikami guardava il vero figlio nella speranza di capire una punta di pietà ma la cupezza che l'avvolgeva non riusciva a dargli speranza.
Non poteva pretendere che la prendesse bene, ma ci aveva sperato lo stesso. Dopotutto aveva agito per le migliori ragioni ed il risultato era stato tutto sommato buono, visto il legame di quei due ragazzi cresciuti pensando di essere veri fratelli.
Lui ed ancora lui nella mente, lui e la sua reazione, lui ed il suo perdono, lui e le sue parole.
Jun si sentì di troppo e la voglia di sparire da lì fu immensa. Non era nessuno. Non esisteva. Non era parte di loro. Non poteva entrarci più.
Era finito il periodo della serenità.
Genzo finalmente alzò lo sguardo, era completamente immobile. Lo guardò buio e tetro, gli occhi sottili, l'espressione illeggibile.
- Ci hai distrutto. Non sai cosa hai fatto mentendoci per tutti questi anni e gettandoci in faccia la verità ora, così. Per sbaglio, non per intenzione. Tu ci avresti fatto vivere tutta la vita così. Ora lui come pensi che la viva? Ha saputo che l'unico legame di sangue non esiste... che ha passato quattordici anni credendo di essere fratello di uno che non era suo fratello. L'hai usato per farmi stare meglio ed ora cos'è? Cosa c'entra con noi? Capisci che lui si sta chiedendo questo? Se solo... se solo fossi stato un po' onesto con noi... solo questo... - Genzo non diede alcun verdetto, solo si alzò e uscì dalla stanza senza dire più niente. Vuoto e senza forze. La voglia di andarsene via da lì e non vedere più quell'uomo.
Ed il bisogno di pensare e assimilare tutto, capire il significato di ogni cosa e farlo suo.

/Requiem - Introitus - Mozart /
Jun, rimasto solo, lo guardò con uno sforzo inumano per non fare espressioni particolari e se ne rese conto solo in quel momento che Genzo aveva ragione. Si sentiva come aveva detto lui. Si era chiesto cosa c'entrasse con loro, si era sentito di troppo, come se non fosse mai esistito, come se non avesse più un posto. Prima era stato diverso. Genzo era il suo posto. Ora era assurdo, ma sapere che non era suo fratello intimamente aveva cambiato qualcosa. Era inevitabile. Aveva avuto il terrore di quello, in cantina, e sentirgli dire che non era così l'aveva sollevato ma alla fine... alla fine era lì a chiedersi cosa c'entrasse con loro.
- Jun, non volevo arrivare a questo, io ho solo pensato a lui e... - Jun si alzò e sospirò. Era dispiaciuto per tutta quella storia ed avrebbe voluto abbracciare quell'uomo che comunque gli aveva fatto da padre e che si preoccupava sempre tanto per lui, ma non ci riuscì. In quel momento non ci riuscì proprio.
- Non posso dirti io cosa avresti dovuto fare, non ero nei tuoi panni e solo tu puoi sapere come ci si sente. È facile parlare ora, quella volta hai agito come hai ritenuto opportuno. Quello che hai sbagliato davvero è stato continuare a nasconderci nel tempo la verità. Era una verità importante. Dovevi dircelo quando eravamo pronti a capirla. Essere tu, capici? Io... abbiamo bisogno di tempo... - Jun fu incredibilmente onesto eppure al tempo stesso controllato e diplomatico. Capiva che non si meritava cattiverie dopo un vissuto simile, ma capiva anche la pesantezza che ora gravava sulle loro spalle.
Quando uscì vide Kojiro ed improvvisamente la voglia di crollare fra le sue braccia lo divorò.
Non lo fece consapevole che erano in corridoio in mezzo a molte altre persone che passavano, quindi si trattenne e si avviò verso la camera seguito da lui.
Silenzioso.
Lento.
Calmo.
Poi, appena dentro, si perse in lui nel primo autentico sollievo puro della giornata. Un sollievo come si doveva.
Kojiro lo strinse e giurò che non l'avrebbe mai lasciato andar via. Mai.