CAPITOLO XXII:
LE
VERITA' IMPORTANTI
Le
immagini scorrevano nel piccolo display della videocamera vecchio
stile, un macchinario grande rispetto a quelle digitali moderne, da
comporre dove poi si poteva vedere ciò che era stato filmato tramite
la cassettina minuscola su cui era stato registrato. Bastava
inserirla nell'apposito spazio, riavvolgerla e schiacciare il play.
Nel binocolo che si usava per guardare ciò che si riprendeva c'era
il famoso display. Si guardava lì dentro.
Jun
rimase allibito a guardare.
Il
piccolo Genzo neonato era stretto fra le braccia di una sfinita e
strana donna. Strana in quanto era spaesata e non sorrideva, forse
era solo troppo stanca.
Si
concentrò su di lei e dopo aver realizzato che non era per niente
sua madre, era tremendamente somigliante a Genzo. Naturalmente
c'erano differenze sostanziali per il fatto che poi Genzo era un
ragazzo ma non era negabile che fosse la sua vera madre.
Jun
rimase a guardare le scene a lungo prima di capire. Prima di dirselo.
Di accettarlo. Di realizzarlo.
Prima
che il suo cervello si riattivasse.
E
nell'aria qualcosa c'era, qualcosa di strano.
Come
se della polvere si alzasse ora per la prima volta e nel farlo
facesse rendere conto di sé ai presenti che, invece, l'avevano
sempre ignorata.
Non
si era mai accorto che era lì.
Mai.
Eppure
era lì da sempre.
Genzo
poco più in là era alle prese con la foto ingrandita e incorniciata
delle nozze di suo padre.
Suo
padre con un'altra donna.
Una
donna che non era sicuramente la madre di Jun.
Nel
momento in cui lo pensò se ne accorse.
Si
accorse d'aver capito.
Lei
era la sua vera madre.
Era
identica a sé, poteva riconoscerla da solo pur non sapendo della sua
esistenza.
Capelli
ricci e neri, occhi tenebrosi, lineamenti inconfondibilmente
selvaggi.
-
Mia madre...?! - Fu il primo a reagire. Lo disse ad alta voce per
capire che effetto potesse fare e nel sentirlo Jun si riscosse e lo
guardò.
Quando
i due fratelli incrociarono i loro sguardi si rispecchiarono
precisamente l'uno nell'altro nel medesimo identico sentimento di
smarrimento.
Le
sopracciglia inarcate, gli occhi impauriti quasi per la verità a cui
erano stati messi brutalmente davanti.
Jun
gattonò fino a Genzo stringendo la videocamera ancora in funzione e
senza dire niente, non una sola mezza parola, gliela porse.
Era
un fantasma.
Era
pallido e tremava, nel toccargli la mano per prendere l'apparecchio
Genzo lo sentì gelido ma fu subito distratto dalle visioni.
La
sua nascita.
Poteva
essere solo lui quel cosino piccolo, brutto ed urlante.
E
lei era la donna della foto.
Disfatta
e stanca. E strana. Ma sua madre.
Sua
madre.
Lo
stava pensando di nuovo in automatico.
Allora
era proprio così?
-
Ma cosa diavolo... - Genzo voleva fare una domanda di senso compiuto
ma quando rialzò lo sguardo su Jun lo vide che stringeva la foto e
la foto tremava tanto.
Non
poteva capire nemmeno lontanamente lo stato d'animo di suo fratello e
solo quando se lo chiese se ne rese conto.
E
fu tragico.
Fu
maledettamente tragico.
Più
tragico di quanto mai avrebbe immaginato di poter apprendere
qualunque notizia.
-
Non siamo fratelli. - Il pallore di Jun fu totale nel riflettere le
proprie iridi castane in quelle nere dell'altro. E divennero lucidi,
come se un'ondata di gelo lo paralizzasse.
Aveva
bisogno di tempo, di tempo... per capire... capire cosa significava
quella notizia. Quella cosa.
Non
erano fratelli, non aveva legami di sangue con nessuno, non c'erano
effettive connessioni biologiche con nessun essere vivente ed aveva
vissuto quattordici anni della sua vita convinto di essere fratello
di uno che poi non lo era.
Ma
forse il peggio era la menzogna importante rifilata da quello che
aveva imparato ad amare come un vero padre.
Non
c'era più nessuno di cui fidarsi?
A
quella domanda che si fece largo nel caos, un caos autentico che
nemmeno quando aveva capito di provare qualcosa per Kojiro aveva
provato, Genzo gli mise una mano sulla guancia.
Aveva
l'impressione che fosse troppo pallido e che non stesse bene.
Impressione corretta.
Era
gelido.
Testato
ciò si perse nell'espressione smarrita. Era perso per la prima volta
in vita sua e gli parve di tornare indietro nel tempo, alle volte in
cui parlavano della morte e di loro madre.
Sua
madre.
Anche
per lui era un trauma ma vedere che Jun stava male gli faceva mettere
tutto da parte, tutto. Era molto più importante lui...
-
Ehi... - Mormorò allora piano abbassando il capo per essere alla
stessa altezza dei suoi occhi. Un gesto tenero in un certo senso. Jun
ingrandì in qualche modo lo sguardo come se aleggiasse una speranza.
La speranza che potesse dargli una risposta. - Siamo fratelli lo
stesso! Uno stupido legame di sangue non ci dice cosa siamo. Lo
sappiamo noi, lo sentiamo noi. Siamo fratelli e basta. - Ecco cosa
aveva avuto bisogno di sentire.
Che
l'unica certezza della sua vita rimanesse tale anche se in modo
diverso da quello che aveva pensato fino a quel momento.
A
quel punto Jun fece per la prima volta un'azione di riflesso e senza
controllarsi si gettò fra le sue braccia nascondendo il viso contro
il suo petto. Come tanti anni fa avevano fatto, da bambino, quando
avevano parlato della madre.
Trovò
calore e conforto e si rese conto di quanto vero fosse tutto quello.
Di
quanto fraterno fosse quell'abbraccio.
Di
quanto luminoso e forte ed incrollabile fosse il suo faro nella
notte, in mezzo ad un mare in tempesta.
Nei
veri momenti di bisogno Genzo c'era sempre stato e non contava che
poi il sangue fosse lo stesso o no. Quello che lui era stato lo era
stato comunque e lo sarebbe stato ancora. Niente poteva farli
smettere o cancellare tutto.
Aveva
bisogno di capirlo, di aggrapparsi a ciò e lo fece con tutto sé
stesso per non affondare.
Ne
aveva avuto bisogno subito. Immediatamente. Appena realizzato.
Al
resto ci avrebbero pensato dopo, ma la cosa più importante nel
capire che non erano veramente fratelli, era sapere che comunque fra
loro non cambiava niente.
Genzo
lo tenne a sé mentre lo sguardo gli cadeva sulla foto a terra.
Suo
padre e quella che a quanto pareva era sua madre.
Dov'era?
Perchè non c'era più? Era morta? E perchè suo padre non gli aveva
mai detto niente?
L'aveva
nascosta in quel modo cancellando ogni traccia, gli aveva fatto
credere che la madre di Jun fosse anche la sua ed aveva faticato
immensamente, da piccolo, ad accettarla. Quegli eventi l'avevano
forgiato e cambiato dandogli un carattere diffidente verso il genere
umano, aveva imparato a coprirsi con una maschera di strafottenza
proprio per quel vissuto. E non era la verità.
Era
comunque una menzogna.
Per
un istante provò ad immaginare cosa sarebbe cambiato nel sapere la
verità.
Tutto,
forse.
Non
avrebbe mai considerato quel bambino suo fratello, non si sarebbe mai
sentito responsabile di lui, nelle sofferenze affrontate non si
sarebbe mai dato tanta pena per lui. Forse non avrebbe mai avuto quel
rapporto con lui. Un rapporto che dall'esterno mantenevano composto
ed anche piuttosto scostante e che poi in privato diventava stretto e
intimo.
Perchè
solo loro due dovevano sapere quanto si volevano bene e quanto
importanti erano l'uno per l'altro.
E
fuori nessuno poteva sapere com'erano loro veramente. Come stavano.
Cosa c'era sotto le loro maschere.
Sembravano
geneticamente fratelli per tutte queste somiglianze eppure non erano
vere. Erano solo coincidenze oppure influenze vicendevoli dovute
all'ambiente comune in cui erano cresciuti.
Quanto
li aveva cambiati rispetto a ciò che sarebbero dovuti essere?
Quanto
una bugia simile, forse anche a fin di bene, aveva mutato le loro
vite?
Ed
in meglio od in peggio?
Cosa,
cosa significava veramente tutto quello?
Genzo
aveva una necessità smodata di saperlo. Per lui non era in dubbio il
sentimento presente che provava per Jun, non nutriva lo stesso
terrore suo.
Lui
aveva il bisogno di sapere cosa aveva cambiato quella notizia. Quella
menzogna.
Cosa
davvero profondamente ed intimamente significava non conoscere
l'esistenza della sua vera madre.
E
si perse in quei pensieri mentre l'abbracciava e lo cullava, un
vortice incredibile di domande.
E
lo sguardo assente posato su di lei e su suo padre da giovane.
Lo
sguardo che, in quelle domande, lentamente, divenne sempre più
feroce.
La
polvere si era alzata del tutto ed ora aveva creato una nube
incredibile tutt'intorno. Era tutto nebbioso, non si vedeva. Era
questo il problema. Non si vedeva niente.
Genzo
da perso e pensieroso divenne lentamente feroce e agguerrito.
Quella
luce nera dalle sfumature rosse per la furia quasi omicida avrebbe
fatto rabbrividire chiunque e quando Kojiro ed Hikaru arrivarono
trafelati, dopo aver capito dov'erano i due fratelli, si fermarono
davanti a quella scena.
Una
videocamera a terra, una foto accanto, un vestito da sposa dall'altra
parte, un armadio aperto e loro due accucciati che si abbracciavano.
E
lo sguardo furibondo come quello di una pantera pronta a sbranare.
Kojiro
impallidì spaventato per la prima volta da qualcosa che non era suo
padre.
Era
la fine.
Come
lo poteva fermare?
Ma
poi, si chiese... doveva fermarlo?
Dannazione,
Jun era sconvolto e lui era furioso e tutto per una menzogna simile.
Che quell'uomo al sicuro nel suo ufficio per una volta si prendesse
le sue responsabilità.
Mandarli
lì sotto sapendo di quel terribile segreto... e poi prendere in giro
quelli che dovevano essere figli. Jun come adottivo ma lo era lo
stesso. E Genzo, sangue del suo sangue, nascondergli d'avere un'altra
madre, fargli credere d'averne avuta una che non era la sua...
Mikami
aveva fatto un tale casino che non intendeva per niente al mondo
mettersi in mezzo e fermare un probabile omicidio. Qualunque cosa
sarebbe successa erano fottutamete affari loro e questa era la sola
maledetta verità che contava.
Lui
aveva cercato di fare il possibile per Jun ma prima o poi l'avrebbe
saputo.
Ora
contava solo lui, lui e nessun'altro.
Genzo
si accorse della sua presenza e muovendosi al rallentatore e con una
delicatezza che associata al suo viso nessuno avrebbe mai compreso,
si alzò con Jun e carezzandogli la testa lo scostò da sé per
affidarlo a Kojiro. Lo prese di riflesso senza pensarci, lo cinse e
Jun per un momento si lasciò prendere riconoscendolo. Lo sentiva
forte. Lo sentiva protettivo. Lo faceva stare bene.
Fu
un momento, il suo caos, a distrarlo.
Appena
Genzo lo lasciò fece un passo indietro, indurì il volto
ulteriormente e sempre con quella luce rossa nello sguardo furioso,
disse a denti stretti. Un tono basso e penetrante.
-
Che nessuno si intrometta. - Dopo di questo scattò. Non corse.
Genzo
camminò.
Camminò
veloce e sostenuto, come se marciasse verso una guerra inevitabile e
sanguinosa.
Marciò
con la stessa intensità e nessuno, nel vederlo stranamente andarsene
con una tale espressione spaventosa osò fermarlo e chiedergli
qualcosa.
Karl
si preoccupò subito ma con logica inoppugnabile andò da Kojiro, Jun
ed Hikaru a chiedere spiegazioni. Era chiaro che loro sapessero.
Non
servì parlare.
La
foto lo fece da sola.
-
La madre di Genzo? - Era una mezza affermazione.
Quando
la sua voce si levò dietro di loro i tre si voltarono e Jun tornò.
Tornò
in quel momento e s staccò da Kojiro, in breve gli altri li
raggiunsero e chiesero spiegazioni che fornì Hikaru e solo al
termine di queste Karl esclamò fra sé e sé.
-
Lo ammazzerà. E non posso biasimarlo. - Nessuno poteva sapendo la
sua storia, una storia di dominio pubblico da sempre.
Jun
si pulì velocemente le guance e alzando gli occhi al cielo invocò
mentalmente sua madre.
Che
l'aiutasse ad affrontare quella situazione.
Poi
si rivolse a Kojiro e con una pacatezza raggelante vista la crisi
appena affrontata, disse piano:
-
Io vado da loro, tu intervieni solo se è proprio necessario. Lo
saprai da solo. - Dopo di questo se ne andò davanti agli occhi
allibiti ed increduli di tutti.
Come
faceva a stare così bene?
Non
l'avevano visto terrorizzato fra le braccia di Genzo e poi di Kojiro.
Solo Hikaru l'aveva visto e rimase ammutolito.
Una
padronanza tale di sé non l'aveva mai vista in nessuno.
Crollare
e recuperare in così poco.
Se
non altro ora sapeva che era umano anche lui. Anche se davvero fuori
dal comune lo stesso.
Kojiro
restò un attimo stordito come tutti davanti a quella reazione, dopo
di che partì anche lui qualche minuto dopo al suo seguito,
accompagnato naturalmente da Karl.
I
due in completo silenzio uscirono dalla cantina e non dissero niente
né lì né poi.
Rimasti
Hikaru con Tsubasa, Taro, Ken e Takeshi, in silenzio, si guardarono
capendo la gravità della situazione, poi Tsubasa prese in mano le
cose e disse pacato e calmo ma con fermezza:
-
Direi di sistemare questo angolo e poi di andare nelle camere in
attesa. A volte ci sono coperchi che non vanno aperti. Questa cantina
doveva restare così com'era. - Taro sospirò e Ken rispose con
amarezza riferendosi magari ad un vissuto personale.
-
Ed invece vanno aperti, questi coperchi! Vivere nella menzogna non è
vivere una vera vita. Vivi una vita falsa e quando te ne rendi conto,
perchè prima o poi te ne rendi conto, stai davvero di merda. E
avresti solo voluto che quel dannato coperchio qualcuno l'aprisse
prima. - Takeshi gli carezzò il braccio sapendo a cosa si riferiva
ed Hikaru si tenne per sé il proprio pensiero.
Taro
cominciò a sistemare tutto per primo ed a ruota andarono anche gli
altri.
Kojiro
e Karl arrivarono che Jun era già entrato e rimasero fermi davanti
alla porta dello studio di Mikami, tesi e silenziosi, ad aspettare un
qualunque segno che gli dicesse di intervenire. Sperando sentitamente
che non ce ne fosse bisogno.
Qualcosa
sarebbe di certo cambiato, dopo quella sera. Qualcosa di molto
importante.
Genzo
aveva camminato spedito e veloce, giunto al suo studio aveva aperto
la porta senza bussare e per far capire quanto bisognoso fosse di
quel colloquio sbatté la porta violentemente.
Mikami,
chino su delle carte, saltò sulla sedia e alzò lo sguardo.
-
Genzo che diav...- Ma notò subito l'espressione furiosa e quasi
terrificante.
Stringeva
i pugni lungo i fianchi e le labbra erano serrate, gli occhi sottili,
due fessure.
Respirava
pesantemente e veloce come avesse il fiatone.
Ma
non era così.
-
Cosa è successo? - Genzo alzò la mano in segno di silenzio, lui
dritto nella sedia non si mosse, il ragazzo mosse qualche passo e
raggiunta la scrivania si appoggiò sopra. C'era un computer con
relativa tastiera e monitor, carte, soprammobili vari, penne, libri,
cartelline.
Si
chinò e lo guardò dritto negli occhi, la mascella contratta.
-
Come si chiama mia madre? - Mikami capì all'istante che aveva
compreso tutto e per un momento si perse per cercare di capire come
avesse fatto.
-
Pensavo di essermene sbarazzato... - Genzo in quello, con uno scatto
imprevedibile, strisciò le mani sulla superficie dura del tavolo e
buttò a terra carte e libri con un unico gesto secco.
Mikami
si appoggiò indietro quasi spaventato per un momento da quel ragazzo
che non riconosceva.
Impallidì
ed allora la porta si aprì e fece entrare Jun.
Un
Jun pallido a sua volta ma più padrone di sé.
Vide
la scena e capì che Genzo avrebbe anche messo le mani addosso a suo
padre.
Si
avvicinò e senza toccare nessuno alzò le mani in segno di calma, si
mise fra i due, di fianco alla scrivania che fortunatamente li
separava.
-
Ci hai detto di non aprire gli armadi chiusi a chiave, tu sapevi che
c'era il rischio. Mi piacerebbe anche capire come diavolo ti sia
saltato in testa di mandarci laggiù sapendolo, se non volevi che lo
scoprissimo. Ma mi preme più sapere come diavolo si chiama mia
madre. E poi voglio anche tutta la storia. Quella vera. - Parlava
ancora basso e controllato ma sembrava la quiete prima della
tempesta. Entrambi vedevano dietro di lui una nube carica di grandine
e vento tempestosi ed elettromagnatici. Non potevano permettere che
si abbattesse.
-
Pensavo di essermene sbarazzato davvero, non mi ricordavo che fosse
lì! Sai quanto tempo fa ho chiuso tutto là sotto? Me ne ero
dimenticato! Ti ho detto di non aprire gli armadi chiusi a chiave
perchè so che solitamente se li chiudiamo a chiave un motivo c'è,
non ci ho pensato dannazione... -
-
Ah significa che ci sono un sacco di segreti là sotto?! - Genzo
rispose ironico alzandosi dritto e Jun si inserì.
-
Papà penso sia ora di parlarne tralasciando i dettagli di come siamo
finiti là sotto... - Jun cercava di tenere in mano la situazione ma
era molto agitato anche lui.
-
Papà? Sai, mi viene da ridere! Io sono il tuo vero figlio e mi viene
da vomitare all'idea di chiamarti padre, tu pensa un po'! - Jun si
strofinò le labbra nervoso non sapendo come fare e Mikami era ancora
spaesato per l'improvvisa situazione in cui era finito. Genzo batté
il pugno violentemente sulla scrivania, improvviso, furioso.
-
DIMMI CHI CAZZO E' LEI!? -
Mikami
appoggiò i gomiti e si strofinò il viso, rituffarsi in
quell'inferno in modo tanto improvviso non era bello e soprattutto
voleva aver tempo per pensare bene alle parole da dirgli, era brutto.
Era orrendo quello che doveva dirgli.
-
Ho avuto i miei motivi per fare ciò che ho fatto ed in tutta onestà
non me ne pento, era un modo per proteggerti, è stato il primo che
mi è venuto in mente e... - Genzo saltò oltre l'ostacolo che li
separava, improvviso, fulmineo, e lo prese per la camicia avvicinando
minaccioso il viso al suo, poi a due centimetri urlò con Jun che lo
raggiungeva da dietro cercando invano di tirarlo via:
-
NON TI HO CHIESTO PERCHE'! A QUELLO CI ARRIVIAMO DOPO! RISPONDI ALLA
MIA CAZZO DI DOMANDA! VOGLIO LA STORIA! VOGLIO LA MIA STORIA! HO IL
DIRITTO DI SAPERLO! CAZZO, MI HAI NASCOSTO DI AVERE UN'ALTRA MADRE!
CI HAI FATTO CREDERE DI ESSERE FRATELLI, CI HAI PRESO PER IL CULO E
TUTTO QUELLO CHE SAI DIRE ORA E' CHE AVEVI I TUOI MOTIVI? ED ORA COME
PENSI DI PROTEGGERCI? FANCULO, E' ORA DI PARLARE! - Jun lo tirò per
le braccia e lo alzò, poteva anche tirargli un pugno conoscendolo.
Genzo
si lasciò fare solo perchè era lui, poi si mise davanti e
assicurandosi di avere Genzo a portata di mano, disse rivolto a
Mikami ancora in seria difficoltà per quello che doveva dire.
-
Ti prego... ti prego... ha ragione. È il minimo che ci racconti
tutto... tu... tu non hai idea di come ci siamo sentiti... di come ci
sentiamo... noi... è ora di saperlo. - La voce gli tremò e fu
quello, fu sapere che erano stati male, fu capire che Jun forse aveva
pianto o forse stava per piangere, che gli diede coraggio.
-
Non è una bella storia e non è facile da ascoltare. - Genzo fece
per andargli contro ancora oltre Jun che lo spinse con fermezza.
-
PARLA PORCA PUTTANA! MI HAI NASCOSTO LA MIA VERA MADRE, LO CAPISCI?
CHE DIAVOLO HA FATTO? -
Mikami
a quel punto si alzò di scatto e gridò a sua volta perdendo la
testa e la calma.
-
HA CERCATO DI UCCIDERTI, ECCO COSA HA FATTO! - il silenzio che calò
all'istante fu la cosa più pesante mai sentita.
Fu
assoluto e la polvere che stava a tutti sugli occhi sembrò diradarsi
lentamente da una folata strana di vento.
Jun
lo guardò come se capisse e Genzo dovette sedersi. Improvvisamente
le forze gli mancavano, le ginocchia si piegarono. Stava diventando
tutto troppo per lui. Il cedimento che prima aveva avuto Jun lui lo
stava avendo in quel momento.
Anche
Mikami tornò a sedersi e lo sguardo si perse. Si perse nel tornare
indietro di diciassette anni. Un tuffo doloroso che aveva sperato di
poter cancellare in qualche modo.
Si
strofinò il viso, di nuovo, con pesantezza. Sospirò ed alla fine si
decise mentre Jun si sedeva accanto a Genzo per impedirgli di
scattare ancora.
-
Lei... lei soffriva di depressione post parto. Può succedere
purtroppo. Non poteva vederti, stare con te... ha avuto un totale
rigetto di te... ed io cercavo di fare il possibile ed affrontare la
situazione ma ero impreparato e non sapevo cosa fare. Non sapevo cosa
succedeva... un giorno ti ho lasciato solo con lei per fare qualcosa
velocemente, sono tornato subito e... e quando sono tornato lei era
lì che premeva il cuscino sul tuo viso. Eri già svenuto, eri
cianotico, stavi morendo!
L'ho
spinta via, lei era sotto shock, penso non si fosse nemmeno resa
conto di cosa aveva fatto... è... è come se la sua mente si fosse
spezzata! Impazzita proprio... sono riusciti a salvarti per un pelo e
dopo quella volta lei è stata rinchiusa in clinica. Solo che invece
che migliorare è peggiorata. Non lo so... forse ho scelto il posto
sbagliato, forse era destinata così... forse quello è stato
l'inizio di una vera follia... fatto sta che non è più tornata a
casa, è stata trasferita quando ha tentato il suicidio numerose
altre volte ed io ero a pezzi, non ho più voluto saperne di lei dopo
che ti ha quasi ucciso. Non so dove sia e come stia. Si chiamava
Kyoko Mujiwara. Non l'ho più sentita. Ho deciso di non dirti niente
perchè ho pensato potesse essere traumatico sapere che tua madre era
impazzita ed aveva cercato di ucciderti e che ora era in una clinica
e non voleva vederti. Sua madre era la psichiatra che l'aveva in cura
la prima volta. Mi è stata vicino. Per prassi quando succedono casi
simili devono seguire anche la famiglia, mi ha aiutato molto e ci
siamo innamorati, ma lei era sposata. Abbiamo avuto una storia
clandestina che è andata avanti un bel po'. Tu non puoi ricordarti
di lei perchè eri davvero piccolo e quando sei cresciuto un po'
abbiamo deciso di interromperci. Lei ha fatto la sua vita, ha avuto
Jun e suo marito è tragicamente morto. Ci siamo rivisti in quel
periodo, l'ho cercata per farle le condoglianze e ci siamo resi conto
di amarci ancora. Così siccome tu non sapevi ancora niente della tua
vera madre, per dartene una e darti un'infanzia migliore di quella
che avevi avuto e che avresti avuto se ti avessi detto la verità, ho
deciso di dire che era lei la tua vera madre e che ti aveva avuto in
una relazione nascosta con me mentre era sposata con suo marito. La
storia che sapete tutti. Poi il destino ha voluto portarmela via ed
io... io ho considerato lei la mia unica vera moglie. L'unica donna
che posso dire di aver sempre amato senza mai pentirmene. Non c'è un
giorno che non mi manchi. Però Genzo... un giorno forse mi scuserò
per averti nascosto una cosa simile. A tutti e due. Però ho agito
solo per te, per proteggerti e non distruggerti. Volevo darti quella
serenità, una vita normale, una madre come tutti che ti amava, una
vera famiglia... volevo farti felice ed anche se il destino non ha
voluto, io ci ho provato. Ci ho provato davvero... -
Il
silenzio di nuovo tornò. Era strano, come silenzio. Pesante?
Tragico? Drammatico?
Jun
e Genzo guardavano in basso ed erano immobili, i respiri erano
l'unico rumore.
Mikami
guardava il vero figlio nella speranza di capire una punta di pietà
ma la cupezza che l'avvolgeva non riusciva a dargli speranza.
Non
poteva pretendere che la prendesse bene, ma ci aveva sperato lo
stesso. Dopotutto aveva agito per le migliori ragioni ed il risultato
era stato tutto sommato buono, visto il legame di quei due ragazzi
cresciuti pensando di essere veri fratelli.
Lui
ed ancora lui nella mente, lui e la sua reazione, lui ed il suo
perdono, lui e le sue parole.
Jun
si sentì di troppo e la voglia di sparire da lì fu immensa. Non era
nessuno. Non esisteva. Non era parte di loro. Non poteva entrarci
più.
Era
finito il periodo della serenità.
Genzo
finalmente alzò lo sguardo, era completamente immobile. Lo guardò
buio e tetro, gli occhi sottili, l'espressione illeggibile.
-
Ci hai distrutto. Non sai cosa hai fatto mentendoci per tutti questi
anni e gettandoci in faccia la verità ora, così. Per sbaglio, non
per intenzione. Tu ci avresti fatto vivere tutta la vita così. Ora
lui come pensi che la viva? Ha saputo che l'unico legame di sangue
non esiste... che ha passato quattordici anni credendo di essere
fratello di uno che non era suo fratello. L'hai usato per farmi stare
meglio ed ora cos'è? Cosa c'entra con noi? Capisci che lui si sta
chiedendo questo? Se solo... se solo fossi stato un po' onesto con
noi... solo questo... - Genzo non diede alcun verdetto, solo si alzò
e uscì dalla stanza senza dire più niente. Vuoto e senza forze. La
voglia di andarsene via da lì e non vedere più quell'uomo.
Ed
il bisogno di pensare e assimilare tutto, capire il significato di
ogni cosa e farlo suo.
Jun,
rimasto solo, lo guardò con uno sforzo inumano per non fare
espressioni particolari e se ne rese conto solo in quel momento che
Genzo aveva ragione. Si sentiva come aveva detto lui. Si era chiesto
cosa c'entrasse con loro, si era sentito di troppo, come se non fosse
mai esistito, come se non avesse più un posto. Prima era stato
diverso. Genzo era il suo posto. Ora era assurdo, ma sapere che non
era suo fratello intimamente aveva cambiato qualcosa. Era
inevitabile. Aveva avuto il terrore di quello, in cantina, e
sentirgli dire che non era così l'aveva sollevato ma alla fine...
alla fine era lì a chiedersi cosa c'entrasse con loro.
-
Jun, non volevo arrivare a questo, io ho solo pensato a lui e... -
Jun si alzò e sospirò. Era dispiaciuto per tutta quella storia ed
avrebbe voluto abbracciare quell'uomo che comunque gli aveva fatto da
padre e che si preoccupava sempre tanto per lui, ma non ci riuscì.
In quel momento non ci riuscì proprio.
-
Non posso dirti io cosa avresti dovuto fare, non ero nei tuoi panni e
solo tu puoi sapere come ci si sente. È facile parlare ora, quella
volta hai agito come hai ritenuto opportuno. Quello che hai sbagliato
davvero è stato continuare a nasconderci nel tempo la verità. Era
una verità importante. Dovevi dircelo quando eravamo pronti a
capirla. Essere tu, capici? Io... abbiamo bisogno di tempo... - Jun
fu incredibilmente onesto eppure al tempo stesso controllato e
diplomatico. Capiva che non si meritava cattiverie dopo un vissuto
simile, ma capiva anche la pesantezza che ora gravava sulle loro
spalle.
Quando
uscì vide Kojiro ed improvvisamente la voglia di crollare fra le sue
braccia lo divorò.
Non
lo fece consapevole che erano in corridoio in mezzo a molte altre
persone che passavano, quindi si trattenne e si avviò verso la
camera seguito da lui.
Silenzioso.
Lento.
Calmo.
Poi,
appena dentro, si perse in lui nel primo autentico sollievo puro
della giornata. Un sollievo come si doveva.
Kojiro
lo strinse e giurò che non l'avrebbe mai lasciato andar via. Mai.