CAPITOLO XXXI:
UN MISTERO SVELATO

/20 years – Placebo/
Hikaru glielo chiese a pranzo e dal momento che avevano un po' di pausa prima del doposcuola e delle attività di club, Karl senza dire niente né far capire se fosse contrariato o concorde, seguì il regista nel posto da lui scelto.
Per Karl, Hikaru scelse la biblioteca.
Voleva un posto che desse un certo tono, che fosse tranquillo e soprattutto lontano da qualunque possibile orecchio discreto.
La biblioteca gli parve perfetto specie perchè non c'era mai nessuno, gli studenti non erano tutti dei gran studiosi, specie nell'orario di pausa del pranzo.
Si sedettero ad uno dei lunghi tavoli da studio dove si potevano consultare i libri e fare i compiti. Karl si sistemò sulla sedia in una posa eretta e normale, i gomiti sul tavolo in attesa che Hikaru cominciasse. Non si riusciva proprio a capire se fosse agitato o cos'altro potesse provare, sapeva che stava per fargli domande personali, ma magari confidava nel poter rifiutarsi di rispondere.
Hikaru accese la videocamera e dopo aver raccolto le idee, cominciò inquadrando i particolari del ragazzo prima di rivelare il suo viso.
- E' seduto al tavolo in una posa del tutto neutra, i gomiti sul tavolo, la schiena eretta, le mani giunte in attesa. Dall'espressione non trapela nulla, non si può dire se sia a suo agio o meno. Semplicemente aspetta. - Hikaru fece una pausa ad effetto, Karl non fece una piega. Poi inquadrò il viso e rivelò chi era:
- Eccoci qua con Karl, il misterioso. -
Aveva cercato un titolo che non lo offendesse. Non poteva chiamarlo 'il gelo incarnato' o qualcosa di simile, per cui si limitò a porre l'attenzione su quello che di lui appariva più evidente. Ovvero il mistero che gli girava intorno.
Di lui nessuno sapeva niente.
- Ciao Karl! - Salutò piano e amichevole senza esagerare. Il tono era perfetto e Karl salutò con un cenno del capo.
- Poche parole introduttive per un ragazzo di cui nessuno sa nulla. Karl, ti va di parlare un po' di te? - Karl non alzò un sopracciglio scettico però sicuramente avrebbe voluto farlo.
- Puoi essere più specifico? - Ovviamente non poteva essere facile come lo era stato per Ken. Hikaru trattenne un imprecazione e rimanendo in sé, corresse il tiro.
- Da dove vieni? Com'è stata la tua vita prima di arrivare qua dentro? - Più specifico di così si moriva. Per un momento il cuore curioso di Hikaru cominciò a battere forte. Da un lato temeva non avrebbe risposto, dall'altro voleva assolutamente sapere chi era Karl!
A quel punto, seppure con poca voglia, rispose senza lasciar trasparire nulla del proprio stato d'animo.
- Non sono giapponese, ma non so da dove vengo. Sono stato trovato davanti ad una chiesa di questa stessa città quando ero ancora in fasce. - Disse finalmente. Hikaru fece una piccola esultanza interiore per la risposta ottenuta, poi si fece serio intuendo che per essere così chiuso, non potesse averne passate di belle.
- Sei cresciuto in un convento o qualcosa di simile? -
- Sì, in un convento di suore che avevano una casa famiglia per orfani. C'erano bambini di ogni età, sia piccoli come me che più grandi. -
Hikaru pensò che fosse faticoso in quanto gli tirava fuori le informazioni con le pinze; era ovvio che dovesse approfondire da solo, ma Karl diceva il minimo indispensabile, per cui si rassegnò a riempirlo di domande.
- Che tipo di infanzia hai passato? Sei stato adottato? - Karl scosse il capo. - Come mai? -
- Ero straniero, avevo i capelli quasi bianchi, la pelle chiarissima, gli occhi azzurri. Il mio aspetto mi rendeva diverso, come se fossi affetto da qualcosa. - Hikaru capì al volo il resto dell'intervista.
- Per cui sei rimasto lì finchè non sei venuto qua? - Per Hikaru giungere lì in istituto era una cosa positiva perchè per lui lo era stato, però sapeva quanto potesse essere travagliato il viaggio per arrivarci.
Karl annuì ancora senza dire altro e il ragazzo fece un'altra domanda.
- Come sono stati gli anni lì in casa famiglia? -
- Era gestita da suore, per cui c'erano regole rigide. Non si poteva parlare a sproposito, solo se direttamente interpellati. C'erano una serie di cose da non fare e da fare assolutamente, orari e cose del genere. C'era la preghiera del mattino e della sera che si faceva inginocchiati sul cemento. C'erano gli orari per tutto, per svegliarsi, per dormire, per mangiare... per lavarsi... per andare al bagno... - Hikaru sentì l'atmosfera cambiare e stiracchiarsi, come se il muro di ghiaccio venisse graffiato. Aveva la sensazione che non fosse il caso di proseguire, ma con una vocina sottile, chiese:
- Per andare al bagno? -
Karl annuì gelidamente.
- C'erano gli orari anche per quello. Se ti veniva da fare i bisogni fuori orario te la tenevi e se la facevi addosso venivi punito. - Hikaru ebbe paura di quella domanda.
- Che punizione... -
- Ce n'erano molte, a seconda del tipo di sgarro. Per quello ti facevano stare cinque minuti in ginocchio sui sassi. Senza protezioni. Se invece parlavi senza essere interpellato, dovevi tenere su dei secchi pieni d'acqua e se la facevi cadere, te la rovesciavano tutta a terra e tu dovevi pulire per bene. Se eri in giro in un orario in cui non era consentito, ti facevano stare fermo in giardino senza giacca. Se era inverno congelavi, se era estate morivi dal caldo. Per altri generi di sgarri c'erano altri tipi di punizione, come pulire le diverse ali del convento, il bagno... cose così... - Hikaru ascoltò ancora qualche genere di punizione e di regole, poi chiese l'ovvia domanda.
- Tu sei stato punito? - Karl annuì. - Ti va di raccontare qualche episodio? -
Non capì se gli andasse o meno, ma Karl cominciò a raccontare e si sorprese di sentire la sua voce per così tanto.
- Da quando ho memoria mi ricordo che ero incontinente, me la facevo addosso. Così mi ritrovavo sempre inginocchiato sui sassi. Visto che sembravo non capire la lezione, hanno cominciato a farmici dormire sopra la notte. Visto che non capivo e continuavo a non controllare la vescica, mi hanno fatto vedere da un dottore, dopo molto tempo che si verificava la cosa. Il dottore disse che era un problema psicosomatico e mi prescrisse delle sedute da uno psicologo infantile. Parlando con lui è venuto fuori che non avendo vissuto i soliti episodi dei neonati e dei bambini, questo aveva avuto esiti di quel genere. Sai, l'attaccamento ai genitori, il senso d'appartenenza e protezione, cose di quel tipo. - Karl ne parlava con professionalità, come se fosse una specie di seduta quella stessa e Hikaru parlò liberamente.
- Quindi si trattava di una conseguenza all'abbandono, diciamo... -
Karl annuì sempre senza cambiare espressione.
- I primi mesi di vita sono i più importanti e passarli coi genitori che si prendono cura di te, ti da equilibrio e stabilità. Se questo non succede ti senti perso e la cosa lavora nei bambini in modi diverso. Io ero diventato incontinente. -
- E quindi i primi tempi hai dormito sui sassi, in pratica.... quanto è passato prima che capissero che andavi curato? -
Karl ci pensò e poi rispose come avrebbe potuto fare con una risposta sul tempo atmosferico.
- Avevo sei anni che sono stato curato. - Silenzio. Hikaru prima di impallidire si assicurò d'aver capito bene.
- Tu eri sempre stato incontinente fino ad allora? - Karl annuì ed allora si espresse con libera costernazione. - Per cui hai passato sei anni così? - Ancora annuì.
Hikaru era impressionato. Dormire sui sassi, stare ore in ginocchio sugli stessi... non riusciva ad immaginare cosa potesse significare. Lui era vissuto da solo allo stato brado, ma non era stato fondamentalmente maltrattato. Non riusciva a capire che in realtà seppur diverse, erano entrambe violenze.
- Dopo le cose sono migliorate? - Solo a undici anni si poteva andare nel loro istituto, per cui era rimasto lì dentro per altri cinque anni.
Karl, indifferente, rispose.
- Non sono migliorate. E comunque nei primi sei anni avevo avuto altri problemi oltre a quelli. - Ammettere che aveva avuto problemi lo trovò sorprendente.
- Del tipo? -
- Del tipo... come tutti i bambini avevo voglia di giocare e divertirmi, ma non si poteva perchè l'ora gioco non era contemplata nel regolamento. C'era solo lo studio, la preghiera ed il lavoro. Con lavoro si intendevano varie faccende all'interno del convento. C'era ad esempio un orto da coltivare, delle bestie da tenere pulite e cose di questo genere. - Hikaru si stava immaginando molto bene il modo in cui era stato forgiato quel carattere di ferro.
- Quindi punizioni ogni volta che provavi a giocare? - Karl annuì. - E che punizioni c'erano per quello? -
- Dormire nella stalla con le bestie. -
- Immagino hai imparato a non divertirti più... - Karl strinse le spalle.
- Ho imparato a non fare più niente contro il regolamento molto presto. Però non trovavo il senso del pregare. Capivo il senso dello studio e del lavoro, ma della preghiera per me era un mistero. - Hikaru ormai aveva chiaro il perchè ora avesse quel carattere freddo e controllato e capì che non era vero che non provava, non pensava e non aveva voglia di fare niente. Era solo che soffocava tutto dentro di sé.
- Ma lo facevi lo stesso? -
- Chiedevo perchè si doveva pregare, ma mi dicevano che si faceva e basta. Io però non capivo. -
- Beh, non tutti credono in Dio, se non viene spiegato, penso che sia difficile capirlo... - Questa non era una domanda, stava diventando una conversazione ma eventualmente avrebbe tagliato delle parti, dopo.
- Sì, certo... però quando sei piccolo sei curioso e vuoi capire e visto che ingoiavo tutto, almeno qualcosa la dovevo soddisfare. Così insistevo su quella strada, battevo su quel dente. Finii con un'insolazione per la punizione causata dalle mie continue domande. Stetti male per giorni. - Silenzio. Hikaru aveva come una sensazione.
- Sì è risolta in qualche modo? -
- Visto che continuavo sempre a fare quelle domande e che ricevevo di conseguenza quelle punizioni ammalandomi di continuo, un giorno venni convocato dalla madre superiora per capire cosa mi succedesse. Io gli spiegai che volevo solo capire perchè bisognava pregare, lei allora disse che si pregava per ringraziare Dio per quello che ci aveva dato e per chiedergli ciò che desideravamo, cose come la salute, la realizzazione personale. Chiedergli che ci sostenesse e ci stesse vicino. Così io dissi che secondo me non aveva senso pregare qualcuno che non esisteva, che mi sembrava di parlare col vento. Per cui volevo almeno capire il senso di quel che dovevo fare. - Hikaru non lo interruppe e Karl proseguì sempre monocorde. - Lei mi guardò come se fossi posseduto dal demonio, credo se ne convinse seriamente, mi benedì ma aveva paura di toccarmi. Dopo mi evitò, ma mi affidò alle cure di una suora. Ora capisco che era la suora addetta ai casi particolari. Sai, i casi che credevano posseduti o influenzati dal diavolo. - Lo disse ancora come se parlasse della trama di un film che non l'aveva coinvolto in modo particolare. Hikaru sapeva cosa veniva, aveva visto i famosi film in questione. Sapeva che una volta per spingere il maligno ad abbandonare il corpo, questi veniva maltrattato.
- Ha cominciato a maltrattarti? - Chiese con un filo di voce mentre dentro di sé sentiva un magone. Era la paura. Paura di sentire quello che stava per dirgli.
- Sì. - Silenzio. - Mi maltrattava, mi dava sulla schiena con una cinghia, mi teneva nudo per giornate intere senza farmi mangiare, gettandomi secchiate di acqua gelida. Poi quando perdevo i sensi e non ce la facevo più, lei pensava che io fossi liberato, così mi lasciava andare, mi curava e mi rimandava con gli altri ordinandomi di non dire niente perchè se se ne parlava, poi il maligno tornava. Non bisognava farne parola con nessuno. -
- Non lo dici come se fosse un episodio isolato... - Capì Hikaru. Karl lo penetrò con uno sguardo che questa volta divenne tagliente e accusatore, lo penetrò e lo raggelò.
Non l'aveva mai visto con uno sguardo simile e Hikaru ne ebbe paura, venne attraversato da dei brividi e quella sensazione non l'avrebbe mai dimenticata.
- Non lo è stato. - Quello ebbe la potenza di un proiettile. - Successe altre volte, perchè anche se ero con gli altri, la mia coerenza mi spingeva a non pregare come tutti. Sentivo sempre più risentimento verso quel Dio che mi facevano pregare, che non capivo e che non credevo ma che comunque mi faceva tanto male. Era colpa sua. E non ne potevo parlare con nessuno. Dovevo tenere quello, dovevo tenere tutto il resto, dovevo evitare di fare quello che mi piaceva, non potevo parlare in generale, dovevo seguire le regole. La pressione a quel punto cominciava a salire e non ce la facevo a fingere. Non ne ero capace. Così capivano che non pregavo e tornavano a farmi il trattamento. -
Hikaru non ne voleva sapere più e sperò che fosse finita.
- Come sei stato spostato qua? -
- In quella casa si poteva rimanere fino a quanto si voleva, non c'era un obbligo od un limite. Per cui non venni trasferito per un motivo d'età. Venni trasferito perchè dopo aver tenuto tutto, troppo, per ben undici anni... io esplosi. - Altro silenzio, un silenzio pesante che sapeva del silenzio che c'era dopo lo scoppio di una bomba, quando poi resta morte e desolazione.
- Cosa... cosa successe? -
- Mi rifiutai di fare il primo sacramento. Non volevo saperne proprio. Così quando mi chiesero perchè, dissi a voce alta e senza esitare che non credevo in Dio. Quando vidi la suora che veniva a prelevarmi per il trattamento, non resistetti e cominciai a gridare furiosamente che erano loro quelli malvagi, quelli che seguivano il diavolo, e che non potevano torturarmi solo perchè non credevo in qualcuno che non esisteva, che dovevano lasciarmi libero e che auguravo loro di patire tutto quello che avevano fatto patire a me! Quello fu un crollo nervoso che mi portò all'apatia, decisero che non potevo essere 'curato', come dicevano loro, e mi consegnarono ai servizi sociali affinchè se la vedessero loro. -
Hikaru era agghiacciato, il momento in cui aveva detto quell'ultima parte, Karl era stato come un angelo sterminatore, il suo sguardo si era caricato di un odio ancestrale che gli aveva dato conferma. Lui provava, provava molto, solo che soffocava fino a che non esplodeva.
- Quindi sei arrivato qua. - Karl annuì e Hikaru provò sollievo per lui. - Qua è andata meglio? -
Karl si strinse nelle spalle tornando indifferente.
- Niente di paragonabile a quello. Ero sempre isolato, nessuno ha mai saputo cosa mi fosse capitato, ai servizi sociali dissero solo che non potevo continuare a stare lì perchè ero problematico, loro mi affidarono subito all'istituto convinti di non potermi far adottare. Ero solo, nessuno si avvicinava perchè ero diverso, ero biondo, pallido con gli occhi azzurri e silenzioso, ma almeno stavo bene ed in pace. - A quel punto si innescò la curiosità.
- Sei riuscito a stare meglio? -
Karl lo guardò con un'aria strana, non proprio indecifrabile ma strana.
- Sono stato meglio quando ho saputo che il convento e la casa famiglia erano bruciati per una fuga di gas. Avevano salvato solo i bambini perchè era notte e dormivano in un'ala isolata dal resto del convento dove stavano le suore. Le suore morirono tutte. - Il gelo. Hikaru si sentì sconvolto perchè la luce degli occhi di Karl aveva assunto note inquietanti. Si capiva quanto male fosse stato per colpa di quel posto, era normale che non potesse aver provato dispiacere, però sentirglielo dire fu la cosa più inquietante mai provata.
Non si poteva sorprendere che fosse così chiuso, misterioso e controllato.
- Quando... - Tossì per la voce roca, quindi pallido e sconvolto, fece la sua domanda. - Sei riuscito a farti degli amici e a voltare pagina? - Karl tornò al suo stato 'normale' e abbassò lo sguardo come se si vergognasse di quel che veniva ora.
- Ad un certo punto è arrivato Genzo. - Questo doveva spiegare tutto, ma Hikaru ora si faceva davvero curioso.
- Hai legato subito con lui? - Karl scosse la testa.
- Per nulla. Io lo ignoravo ma lui doveva farsi notare e stimolare qualcosa in tutti, non importava che fosse rispetto, ammirazione o paura... lui voleva che comunque io reagissi. Posso dire che è stato lui e la sua insopportabile insistenza a far presa in me. Lentamente, non so come, lo accettai. Ci accettammo. Diventammo amici. - Hikaru sperava approfondisse, ma probabilmente non avrebbe ottenuto più di quello.
- Quindi siete passati dagli scontri all'amicizia? -
- Non ci scontravamo, con me non ti scontri. Mi avevano insegnato a non rispondere alle provocazioni, a non discutere, a non reagire. Quindi era lui che mi seguiva e mi provocava in tutti i modi, anche con scherzi cattivi. Poi un giorno, all'ennesimo, dopo che era riuscito a superare i miei altissimi limiti, lo presi a pugni in una delle mie famose esplosioni. Questo penso mi fece conquistare il suo rispetto ed il suo interesse. Non mi lasciò perdere, ma non mi ruppe più le palle. Credo mi vedesse al suo pari e credo che ero l'unico. Solo con me non era più sbruffone e attaccabrighe... e nemmeno tanto odioso. Anche se io non l'avevo davvero accettato, non gli avevo parlato né nulla, lui, semplicemente, si sedette al tavolo della mensa con me e si mise vicino al mio banco e cominciò a trattarmi così, come il suo unico amico. Fu lui a farmi mettere in camera da solo, la camera accanto alla sua. Perchè gli avevo detto che odiavo avere un compagno di camera. -
Hikaru fece un sorriso sollevato che ci fosse una parte bella della sua storia.
- Allora l'amicizia ha avuto un ruolo positivo nella tua vita. - Karl lo guardò con attenzione prima di rispondere, poi piegò la testa.
- Penso si possa dire così. -
- Adesso hai altri amici oltre a lui? -
Anche a questo ci pensò.
- Gli amici di Genzo. - Tornò di poche parole e la conversazione tornò ad essere difficoltosa, per cui Hikaru decise di concluderla.
- Quindi sei contento di aver lasciato entrare l'amicizia nella tua vita? Ora stai meglio, come ti senti, insomma? -
Anche a questo dovette pensarci e solo lì si raddrizzò sulla sedia, si appoggiò allo schienale ed incrociò le braccia pensieroso.
- Sto bene. Ormai il mio carattere è questo, gli atteggiamenti inculcati non cambieranno mai, però mi sento bene, tutto qua. Non ho la sensazione di dover esplodere da un momento all'altro, non mi pare di ingoiare particolari grossi rospi. Perchè penso che se avessi qualcosa da dire, qualcosa che magari non mi andrebbe bene... beh, ora so che la posso dire a queste persone fidate e che la cosa rimarrebbe qua. E magari potrebbero darmi una mano. Per cui sì, sto bene. - Era esattamente quello che gli serviva, lieto d'aver raggiunto l'obiettivo, annuendo con un sorriso contento, lo ringraziò per aver condiviso la sua esperienza con lui per poi chiudere la videocamera.
Il silenzio rimase successivamente, Karl non si mosse e Hikaru nemmeno, continuò a rigirarsi la videocamera fra le mani serio, pensieroso, sapendo che Karl si era aperto ed aveva detto delle cose perchè si fidava di lui e lo considerava un amico.
- Genzo sa di tutto questo? - Karl annuì. Il tono era molto serio.
- Immagino tu preferisca che nessuno veda questo video. - Karl aspettò che Hikaru alzasse i suoi occhi, quando lo fece, senza espressioni intimidatorie, disse:
- Lo preferirei. - Così Hikaru, sospirando, annuì a sua volta.
- Ok, non lo metterò nel documentario, rimarrà fra noi. - Karl non fece cenno di muoversi, continuò a guardarlo e senza scomporsi disse:
- Se lo vedono gli altri va bene, ma non vorrei lo vedessero altre persone al di fuori di loro - Aveva anche parlato di Genzo in modo specifico, anche senza poi dire che si erano messi insieme. Hikaru lo capiva, ma sorrise nel realizzare che era come aveva detto nell'intervista. Sapeva che poteva dire quello che pensava e desiderava, se voleva, ma solo ai suoi amici. Dirlo a lui, rivelarsi a lui significava che era davvero parte dei suoi amici e questo fu una terapia più per Hikaru che per Karl.
- Non credo lo farò vedere agli altri, non avrebbe senso... - Vide Karl sollevato da quella sua decisione, per quanto potesse mostrarsi tale, così Hikaru sorrise alzandosi e stiracchiandosi.
- Grazie del tuo tempo e della tua condivisione, davvero. - Ripeté poi raccogliendo le proprie cose per andarsene. Gli dispiaceva non poter usare quell'intervista, ma non era giusto. Oltretutto era agghiacciante e lunga.
- Grazie a te. - Disse poi. Hikaru si fermò quando aveva proprio voltato le spalle, lo guardò sorpreso e chiese uno spontaneo 'come?'. Karl accennò addirittura ad un piccolo sorriso e Hikaru capì che davvero il vecchio Karl era morto e sepolto e che ora rimanevano solo certi atteggiamenti, come diceva lui, radicati, ma fondamentalmente l'amicizia l'aveva aiutato davvero.
Solo perchè sembrava non provare nulla, non significava che non provava nulla.
Solo perchè parlava poco, non significava che non avesse mai niente da dire.
C'erano volte in cui poteva evitare di esprimere desideri, altre in cui invece li esprimeva.
Solo che erano momenti rari, così rari che quando si verificavano toglievano il fiato e lasciavano la sensazione di essere stato baciati da una fortuna incredibile.
La gioia che sentì dentro Hikaru fu questa.
- Non ne avevo parlato ad altri che non fossero Genzo e farlo con te è stato strano... direi terapeutico. Con Genzo è stato uno sfogo. Con te è stato spontaneo. Ora so che l'ho davvero superato. - Hikaru, con un gran sorriso, alzò le dita a V in segno di vittoria.
-Ehi, servono a questo gli amici! - Così si impresse il sorriso di Karl che non poté registrare e se ne andò.

/Airplanes – BOB ft Hayley Williams/
Rimasto solo, Karl si lasciò cadere contro lo schienale dopo che si era proteso verso Hikaru dall'altra parte del tavolo, quindi sospirò sollevato che fosse finito e sentendosi leggero alzò le mani davanti a sé guardandole tremare. Successivamente chiuse gli occhi quando sentì un tocco sulle sue spalle e qualcuno che lo massaggiava in silenzio.
Genzo si chinò e gli baciò silenzioso la testa, poi Karl gli mise la mano su una delle sue e rimasero così per un po', fermi, senza dirsi nulla.
Poi dopo un po' Genzo chiese serio:
- Stai bene? - Karl annuì, dopo di questo riaprì gli occhi, si assicurò che fossero soli e si girò verso di lui alla ricerca del suo viso. Genzo tornò a chinarsi e lo baciò sulle labbra. Un bacio leggero che fu approfondito senza alcuna malizia, solo la voglia di scambiarsi un po' di dolcezza.
Dopo di questo Genzo lo prese per mano, lo tirò facendolo alzare e lo portò in un angolo ancora più tranquillo della biblioteca sedendosi a terra fra gli scaffali. Karl non ebbe scelta che seguirlo ed una volta a terra, con la schiena ai libri, Genzo gli circondò le spalle col braccio con fare protettivo, gli girò la testa prepotentemente e riprese a baciarlo.
Il braccio con cui gli circondava le spalle era sceso su quello di Karl che aveva a sua volta alzato la mano per allacciare le dita alle sue. Rimasero così a baciarsi, fondendo dolcemente le bocche senza bisogno di dirsi altro fino a quando Karl non si fu sentito lui stesso meglio.
Allora si separò e guardandolo con un'aria apparentemente immutata, realizzò come si sentiva e cosa aveva capito dalla conversazione con Hikaru.
A quel punto non ebbe paura di dirlo, lo guardò dritto negli occhi neri coi suoi azzurri, quindi lo disse semplice ed onesto.
- Sei stato tu a salvarmi davvero. - Non ammetteva repliche e non voleva altro in cambio, Genzo non forzò nulla, lasciò tutto così sapendo quanto rare fossero le sue dichiarazioni.
Quello era il più bel e sorprendente ti amo.
Gli mise l'altra mano sulla guancia, lo carezzò con occhi lucidi e senza vergognarsi di essersi emozionato a quelle sue parole, sorrise orgoglioso di esserlo stato.
- Anche tu non stai facendo un lavoro niente male. - Con questo tornò il secondo miracolo, Karl sorrise di nuovo e Genzo si sentì felice. Felice e sicuro di essere nella strada più giusta.
Di nuovo si baciarono e di nuovo, dopo aver rispettivamente elaborato quanto accaduto, ancora vicini come prima, tornarono a parlarsi, senza sciogliersi uno dalle braccia dell'altro. La mano di Karl era sulla sua coscia, le gambe piegate contro di loro, uno rivolto verso l'altro per un quarto.
- Cosa ti ha davvero attirato di me? È stato che ti ignoravo quando suscitavi qualcosa in tutti? - Karl aveva sempre pensato fosse quello, ma Genzo si decise a fargli la rivelazione del secolo.
Con un sorriso sicuro di sé, rispose.
- E' che eri così fisicamente diverso dagli altri. Spiccavi. La prima cosa che ho notato quando sono arrivato in istituto costretto da papà, è stata la tua nuca biondo chiaro, poi ti sei girato e la tua pelle era cadaverica. Dopo ti ho guardato meglio in viso. I lineamenti occidentali. Gli occhi azzurri. Quando ti ho guardato negli occhi mi hai fregato. Ho subito pensato che tu al mio fianco ci saresti stato benissimo! Ho giurato a me stesso che ti avrei preso in qualche modo! Non importava come ed in veste di cosa! - Karl voleva ridere, ma pensò che non se lo meritasse, per cui evitò senza problemi. Scosse solo il capo.
- Perchè dovevi farti notare di più, quindi... -
- Quello... e poi perchè ero convinto avremmo fatto fisicamente una splendida coppia! -
- Puntavi a me in quel senso da subito? - Chiese curioso Karl. Genzo sogghignò.
- No... non proprio... volevo solo poter girare con te e basta. Poi il fatto che mi ignoravi ha pesato molto. Ho scoperto che spiccavi anche per i tuoi modi e per il carattere, oltre che per l'aspetto. Quindi lì poi è stata una questione di principio. - In effetti non ne avevano mai parlato, ma Karl spinto dall'atmosfera confidenziale innescata da Hikaru, chiese senza allontanarsi dal suo viso, pronto a riprendersi a baciarsi.
- E quando ti sono piaciuto in quel senso? -
- Quando ho perso davvero la testa per te? - Karl annuì e Genzo girò il volto guardando in alto per pensarci. Non sapeva se c'era stato un momento preciso, Karlo lo guardò con un po' di ansia e curiosità, ma ovviamente non mostrò nulla.
Poi il compagno lo guardò di nuovo e con un sorrisino dei suoi, disse:
- Penso in effetti d'aver perso la testa per te dal primo istante! Poi ho fatto i capricci, come mio solito, però sì... credo proprio che tu mi piacessi da subito. Solo che ero troppo idiota per ammetterlo! - Karl fece un altro cenno di sorriso appoggiando la testa alla sua spalla, contro l'incavo del suo collo. Qualcosa che si concedeva solo in certi momenti ed ovviamente solo con lui, Genzo preferiva quando faceva così a qualunque altra cosa, persino baciarlo.
Rafforzò le dita e lasciò che l'atmosfera da spaccone calasse per far tornare quella dolce e sentimentale di prima.
Nessuno dei due lo era molto, però a volte ci stava bene. Ogni tanto...
- Mi sono innamorato stando con te ogni giorno, conoscendoti meglio, scoprendo che riuscivo a stimolarti delle reazioni, al contrario di quel che avevo pensato all'inizio. All'inizio credevo di non riuscire a farti reagire, che davvero ti stessi indifferente. Quando mi hai preso a pugni ho capito che non ti avrei mai e poi mai lascito perdere. Lì hai conquistato la mia ammirazione ed il mio rispetto. Poi però stando con te, approfondendo, conoscendoci... giorno dopo giorno... fra litigate, respinte, litigi e lotte varie... dopo tutto quello che è successo... piano piano mi sono innamorato. Non so, non c'è un momento preciso, qualcosa di particolare. Tu hai aiutato me, io ho aiutato te. Tutto piano. Tutto naturalmente. Certe cose semplicemente succedono. - Karl non trovò niente di meglio da aggiungere, si limitò a cercare l'altra sua mano vagante che non era più sul suo viso, la trovò ed intrecciò anche quella. Dopo un po' che rimasero così, Genzo chiese in un piccolo sussurro:
- Stai bene davvero? -
La sua risposta fu la più bella mai sentita.
- Sì. -
Alla fine le lotte avevano davvero senso, si dissero entrambi. Avevano molto senso.