CAPITOLO XXXII:
LA VOGLIA DI
VIVERE
Mano a mano che
Hikaru faceva i video, li mostrava a Jun, non erano già elaborati,
ma glieli faceva vedere perchè doveva scegliere le canzoni.
Con Karl era
titubante su cosa fare.
Aveva fatto Ken,
Takeshi, Tsubasa e Taro. Erano state storie toccanti, anche se non al
livello di Karl. Karl non lo voleva inserire nel documentario, però
la sua storia era così forte che sentiva, ogni volta che vi pensava,
la necessità di parlarne con qualcuno e condividere.
Fu così che
colse la palla al balzo quando Jun, dopo aver visto gli altri video
fatti, chiese candidamente:
- E Karl? -
Hikaru abbassò lo sguardo come colto in fallo.
- Karl l'ho
fatto ma... - Jun notò immediatamente il cambio di tono e di
sguardo, si sentiva quasi in colpa per qualcosa.
- Non vuoi
inserirlo nel documentario? - Chiese delicatamente, capendo al volo
la situazione. Hikaru annuì. - E' una storia tanto brutta? - Hikaru
sospirò.
- E' molto
delicata, penso che non sia il caso. Sai, le altre sono più o meno
ok. Cioè alcune sono toccanti, ma non sono proprio... come posso
dire? - Jun non riusciva a capire bene cosa cercava di dire, in cosa
fosse inadatta.
- Ma subiva
violenze? Perchè se è questo sappi che allora dovresti evitare
anche Kojiro... - Hikaru alzò subito la testa e lo guardò torvo,
sorpreso.
- Davvero? - Jun
annuì cercando di risultare discreto. Se voleva lo era, ma doveva
anche saper convincere Hikaru che forse era meglio evitarlo.
- Sì, io non so
di preciso tutto, so che ha avuto un'infanzia brutta, preda di
violenze, però non so bene... non ne parla... - Hikaru alla fine
decise di raccontargli un po' la storia di Karl senza andare troppo
nei dettagli. Jun ci rimase davvero male, non si aspettava certo una
cosa simile.
Colpito da
quello che gli aveva detto, si perse a guardare le proprie mani come
se potesse trovarvi delle risposte.
- L'umana
sopportazione è qualcosa che va oltre ogni limite immaginabile... -
Hikaru annuì
concorde su quello che stava dicendo. Ci aveva pensato molto, turbato
dalla sua storia.
Quello che gli
era successo era davvero brutto e non poteva immaginare di ascoltare
un'altra storia simile o magari peggiore.
- Io non voglio
obbligare nessuno ovviamente, se accettano la mia intervista
significa che se la sentono... Kojiro ha accettato, è il prossimo. -
Jun si strinse nelle spalle.
- Se se la sente
va bene, ti dicevo che però se non intendi mettere certe storie, la
sua potrebbe essere fra queste... - Hikaru si morse il labbro
indeciso mentre guardava lo schermo del computer su cui aveva
scaricato i video e messi su una USB dove rielaborava i lavori.
Erano nella sala
informatica, al momento.
- Vedrò quando
me la dirà, se mi sembra troppo non la metto. Valuterò sul
momento... - Jun annuì contento di quella soluzione.
Hikaru aveva una
sua sensibilità che a guardarlo poteva sembrare incredibile, nessuno
gliel'avrebbe mai associata, eppure lo era.
Sicuramente se
la sarebbero gestita bene.
- Anche tu e
Genzo... se non ve la sentite non siete obbligati... - Fece poi
mentre chiudeva tutto e prendeva la sua chiavetta USB.
- A me va bene,
non sono problemi, vedi con Genzo. Pensavi di farci insieme? -
Hikaru scosse il
capo.
- Volevo farvi
separatamente. Poi cercherò qualche altro elemento in giro per la
scuola, sai, elementi isolati dove l'amicizia non è arrivata, e
vedrò se vogliono collaborare. Poi l'ultimo sarò io. - Jun,
accompagnandolo fuori, annuì serio ed interessato ai suoi programmi
di regista.
Era piacevole
passare il tempo con lui, specie se in fase creativa.
Alla fine musica
e film erano praticamente dello stesso mondo, a loro modo. Si
incastravano bene e si ritrovavano delle ore a parlarne, spaziando
anche al di fuori del progetto di Hikaru.
Questo
sicuramente non giocava a favore della cotta di quest'ultimo per Jun,
ma non ci avrebbe mai provato.
La location
scelta da Hikaru per intervistare Kojiro fu il ring di pugilato, era
sera e le attività erano concluse, la cena finita e i ragazzi
girovagavano fra la sala comune o sala relax che dir si volesse e le
camere.
L'atmosfera
all'interno delle varie sale dei club, era molto intima e spettrale,
tutt'altra cosa che di giorno, quando erano piene di persone che si
allenavano o che facevano le loro attività.
Sembrava di
essere arrivati in un altro mondo, un'altra dimensione.
I due si
sedettero, Kojiro in un angolo del ring, Hikaru davanti a lui. Gambe
incrociate, uno la videocamera digitale in mano, l'altro le bende per
fasciarsi le mani prima di mettersi i guantoni. In parte c'erano
anche quelli.
Kojiro si era
voluto portare qualcosa per tenersi occupato mentre parlava, aveva
chiesto ad Hikaru cosa poteva prendere e lui, pensandoci, gli aveva
proposto qualcosa che avesse a che fare col pugilato.
La scelta fu
molto scenografica e piacque ad Hikaru che comunque gli fece subito
la fatidica domanda.
- So che la tua
storia è particolare, se non vuoi che la inserisca davvero nel
documentario che probabilmente sarà visto, se tutto va bene da tutta
la scuola, pensavo di non riprenderti in viso, ma solo le mani ed
eventualmente mascheravo la tua voce da renderti irriconoscibile
all'ascolto. Probabilmente farò così anche per Karl, glielo devo
proporre, ci devo lavorare un po' su ma eventualmente è una
soluzione. Lui non vorrebbe rientrare nel documentario. - Spiegò
Hikaru. Kojiro alzò le spalle fingendosi menefreghista.
- Non ho niente
da nascondere! Non sono io a dovermi vergognare per quella merda che
è stata la mia vita prima di venire qua! Che vedano il mio viso e
sappiano, non me ne fotte un cazzo! - Hikaru sorrise, caratteri
completamente diversi. Karl era il suo esatto opposto, infatti andava
d'accordo con Genzo, tutto il contrario di Kojiro che invece si
prendeva a pugni.
- Bene! - Fece
quindi Hikaru attivando la videocamera con un gran sorriso. - Allora
cominciamo! - Kojiro rimase in silenzio in attesa, momentaneamente le
mani erano ferme, non giocavano con quel che si era portato, le bende
ferme, l'aria non troppo felice, tendeva al cupo ma era
un'inclinazione quasi normale, ormai.
- E' sera e qua
siamo solo noi due, un'atmosfera sinistra per raccontare qualcosa che
vi si adatta bene. Pensando a lui mi è venuto in mente un solo
posto, il ring di pugilato. Fra le mani le bende ed i guantoni. -
Hikaru fece l'introduzione, poi presentò il soggetto. - Siamo qua
con Kojiro Hyuga, la rivelazione di pugilato, colui che ha passato
più tempo in punizione che a lezione! - Kojiro fece un ghigno
divertito che Hikaru gradì. Gli fece il primo piano delle mani
ancora ferme per poi passare al viso, i lineamenti selvatici, la
pelle abbronzata, gli occhi scuri da tigre, perennemente arrabbiati
anche se magari rideva felice. Un che di costante tormento sempre
addosso. I capelli neri erano lunghi fino alle spalle ed erano
lasciati un po' a loro stessi, non ci stava molto dietro.
Alimentavano la sua aria selvaggia.
- Ciao Kojiro. -
Disse.
- Mmm... -
Rispose mugugnando sentendosi un cretino a fare quella cosa. Sapeva
perchè era importante, però si sentiva cretino lo stesso, infatti
guardava ovunque tranne che la telecamera od Hikaru.
- Raccontaci un
po' della tua vita prima di entrare in istituto. - Fece allora Hikaru
passando subito al punto. Si trattava di quello, la differenza da
prima a dopo, se una differenza c'era stata. C'era chi prima se l'era
passata comunque bene o allo stesso modo.
Kojiro si indurì
molto, assottigliò gli occhi e trapassò lo spazio oltre le spalle
di Hikaru, si obbligò, si violentò per rispondere. Non ne voleva
parlare ma pensava che gli potesse fare bene... anzi, lo sapeva. Jun
glielo aveva detto. Era una cosa positiva per lui, una specie di
terapia.
'Quando
riuscirai a parlarne con gli altri, significa che non ti farà più
male. Lì saprai di essertene liberato.'
Kojiro lo voleva
disperatamente, per cui con forza ed una gran dose di coraggio,
riesumò dal fondo più oscuro di sé stesso quella che era la sua
storia.
Si guardò di
nuovo dentro e fu lì che iniziò ad arrotolarsi e srotolarsi la
benda bianca elastica nelle mani, prima la destra e poi la sinistra,
in una continua alternanza. Hikaru passò a mostrare quel che faceva,
poi dopo un tempo infinito, la sua voce roca e brusca iniziò a
parlare, l'aria arrabbiata.
- Sono stato
abbandonato alla nascita, i servizi sociali mi hanno fatto passare di
affidamento in affidamento, nessuno riusciva ad occuparsi di me a
lungo, nessuno voleva adottarmi. Da quando ho ricordi, sono sempre
stato scaricato poco tempo dopo il mio arrivo. Non andavo d'accordo
con nessuno, rendevo a tutti la vita impossibile. -
- Eri un
iperattivo? - Chiese Hikaru per farsi un'idea di quel che era. Kojiro
scosse il capo.
- No, ma avevo
quella di mettere alla prova quelli che mi stavano intorno, per
vedere se ci tenevano davvero a me o se era una finta. Ho sempre
sentito questo rifiuto spontaneo nei miei confronti. Penso che non
piacevo dal primo sguardo perchè non sorridevo mai, ero sempre
imbronciato. Questo metteva subito le distanze ed io li mettevo alla
prova per vedere quanto resistevano prima di arrendersi. Duravano
poco. -
- Perchè facevi
così? - Kojiro si strinse nelle spalle.
- Se avessi
trovato quello che mi sopportava nonostante tutto, significava che ci
tenevano sul serio. Volevo trovare uno che mi accettasse davvero e
non solo per i soldi! -
- Gli
affidamenti sono accompagnati con un contributo, solo quando adotti
perdi il contributo... - Spiegò Hikaru, Kojiro annuì sospirando. La
visione di quel bambino problematico per scelta era chiara. Si
sentiva respinto dal primo sguardo perchè non sorrideva amabilmente,
quindi lui innervosito da questo rifiuto spontaneo, si comportava
male di proposito per metterli alla prova. Nessuno comunque aveva
durato.
- Il mio gioco
ha funzionato finchè non sono arrivato in una famiglia più stronza
di me. Ero ormai grandino. Non dev'essere stato per tanto tempo, ma
mi sono sembrati anni. Quando sei in prigione perdi il contatto con
la realtà. - Hikaru impallidì, non respirava, non osava nemmeno
fare mezza domanda. Kojiro ora aveva le bende su entrambe le mani e
stringeva i pugni, poco dopo prese i guantoni ed iniziò a tormentare
quelli. - Quando venivano i controlli sembravamo una famiglia felice,
appena se ne andavano era l'inferno. - Kojiro si fermò fissandosi i
guantoni e le mani, un blocco che gli impediva di raccontare
precisamente tutto il resto. Fino a lì era stato facile, ora
arrivava la parte difficile. Doveva farlo, doveva liberarsene. Dirlo
a Jun era un conto, di lui era innamorato. Ma dirlo ad altri,
renderlo pubblico, dimostrare che non gli importava più, che l'aveva
superato... quello era importante. Doveva riuscirci, eppure si
sentiva di nuovo preso a pugni, di nuovo gli bruciava la pelle a
contatto con la cintura con cui gli dava giù, di nuovo sentiva
quella puzza di vomito, escrementi, polvere e muffa. Di nuovo
rivedeva quel viso odioso.
Tremò per un
momento e Hikaru si chiese se dovesse interromperlo.
- Ti picchiava?
- Chiese Hikaru provando a dargli una mano. Kojiro si risvegliò,
alzò lo sguardo sottile specchio di quell'inferno a cui aveva
accennato, feroci lame incandescenti.
- Mi
schiavizzava! - Hikaru impallidì e faticò a tenere ferma la
videocamera. Tolse lo sguardo dal display che lo inquadrava e guardò
direttamente Kojiro che ora lo fissava diretto. Vedendo la sua aria
sconvolta, trovò in qualche modo la forza di andare avanti.
La gente ne
passava di cotte e di crude, ognuno aveva le sue, ma a certi orrori
in pochi ci arrivavano. O per lo meno pochi li superavano.
Lui era uno di
quei sopravvissuti, ne era fiero, orgoglioso. Lui era ancora vivo, ma
la gente che lo guardava e lo odiava perchè aveva un brutto
carattere, non immaginava cosa aveva passato e superato.
Lo giudicavano
un pazzo, ma non avevano assistito alla vera pazzia.
Lui sapeva come
ci si sentiva a sopravvivere all'inferno, per questo aveva il diritto
di camminare a testa alta e a spingere chi non si spostava nel suo
cammino.
Era ora di
gridarlo e farlo sapere a tutti che lui era un maledetto
sopravvissuto e che nessuno, nessuno aveva il diritto di criticarlo
solo perchè non era gentile. Lui poteva essere quel che voleva, si
era conquistato quel diritto!
- La mia camera
era la cantina. Non c'era un letto, c'era una brandina senza
materasso ed una coperta vecchia, puzzolente e piena di pulci. Con me
vivevano i topi, passavo il tempo a cercare di ucciderli. Se dovevo
pisciare o cagare dovevo farlo in un secchio che cercavo di tenere
chiuso per non morire di puzza. Ovviamente la puzza mi faceva morire
comunque. Puzza di escrementi, di muffa che respiravo regolarmente.
Io stesso ero impregnato di quella puzza.
Quando era
troppa e saliva su in casa, mi permettevano di uscire per pulire il
secchio. Facevo le pulizie per loro, le faccende di casa. Niente
scuola, niente hobby, niente esterno. E se non facevo qualcosa come
volevano, o mi lamentavo, mi picchiava. Aveva tanti modi per farlo.
La cintura come una frusta, il ferro incandescente del fuoco, calci,
pugni... mi picchiava tanto che poi quando mi buttava nel mio buco
vomitavo, quindi c'era anche la puzza del mio vomito. Non potevo
lavarmi mai se non quando dovevo pulire il giardino quando pioveva.
Mi sono venuti i pidocchi e tutte quelle schifose malattie dello
sporco. Mi sistemavano quando venivano i servizi sociali a
controllare, gli unici momenti in cui sembravo una persona. Non
potevo parlare, non potevo chiedere nulla, dovevo fare tutto, tutto,
e poi stare zitto e tornarmene nel mio buco puzzolente. Nessun
contatto col mondo, niente di niente. Nemmeno la televisione. Passare
dei mesi così ti fa scordare tutto quello che hai vissuto prima, le
cose che hai imparato, quello che hai visto. Non ricordavo più
niente, mi sembrava di essere lì da sempre, di non avere vissuto
altro che quello. La mia testa stava regredendo, mi stavo chiudendo
in me stesso per non sentire più nulla. - Hikaru era sotto shock, ma
vedeva la furia e la forza con cui raccontava tutto, come se non ne
potesse più, come se avesse voluto dirlo da moltissimo tempo e solo
ora avesse trovato la forza.
Hikaru capì che
era un'autentica liberazione, che per lui dirlo, parlarne e renderlo
pubblico era la fine di un libro intero di orrori, era la vera
rinascita. Quindi non interruppe e lasciò che i suoi orrori
uscissero.
- Come ce l'hai
fatta? - Chiese poi con un filo di voce. Kojiro lo guardò come se si
risvegliasse dall'incubo, intorpidito distese i muscoli contratti del
viso e ricordando come ci era riuscito, quasi sorrise guardando il
suo amico.
- Mi davano da
mangiare il minimo per non farmi morire, ma facevo la fame. Una volta
sono svenuto perchè mi avevano fatto lavorare troppo e non ho retto.
Mi ha preso a calci per farmi svegliare, questo mi ha spinto a stare
privo di conoscenza per alcuni giorni, credo. Non mi svegliavo più.
In quel periodo ho sognato tutto quello che avevo dimenticato. Ero
sempre stato forte, non mi ero mai arreso e mai lasciato andare, per
cui non c'erano mai stati dei veri momenti di distacco. Ma lì ero al
mio limite, non ne potevo più. Quindi in quel limbo, in quel coma o
qualunque cosa sia stato, ho rivisto le mie precedenti esperienze,
gli altri affidamenti che non erano stati il mio massimo desiderio,
ma che confronto a quello che stavo passando erano il paradiso. Mi
resi conto che c'era un'altra vita al di là di quella, che non ero
destinato a quello tutta la mia esistenza. Desiderai ardentemente
tornare indietro in uno qualunque di quei posti, giurai a me stessi
che non avrei messo più alla prova nessuno, non avrei mai fatto lo
stronzo. Giurai che sarei rimasto nel primo nuovo posto in cui sarei
capitato, purchè fosse migliore di quello lì. Quando mi svegliai
feci di tutto per uscirne. Loro erano dei carcerieri perfetti, non
riuscivo a fargliela. Quando provavo a scappare mi riprendevano
sempre e mi picchiavano il doppio. Allora cercai un altro sistema.
Quando venivano gli assistenti sociali, loro facevano finta che tutto
andasse bene e mi terrorizzavano obbligandomi a non mostrare la
verità, però lì decisi di giocarmi il tutto per tutto. Ero
abbastanza grande ed in me da capire che se mostravo agli assistenti
l'orrore, non avrebbero potuto attuare le minacce che mi davano.
Per prima cosa,
quando vidi che mi ripulivano, cominciai a fare il diavolo, cercai di
aggredirli, questo li mandò fuori di testa e lui, il padre, mi
picchiò. Sua moglie gli diceva di non farlo che dovevano venire a
vedermi, ma io ero stato troppo impudente aggredendolo, non potevo
passarla liscia. Così più lo insultavo, più mi picchiava. Mi
ridusse una maschera. Per quanto lei mi curò non mi rese
presentabile. L'assistente arrivò, tentarono di tirare su una scusa.
Lui non mostrava la mano con cui mi aveva dato giù, ma io non ne
potevo più, cominciai a gridare la verità, alzai la sua mano e
gliela mostrai, poi corsi a fargli vedere il mio maledetto buco con
la mia maledetta merda nel secchio, la mia maledetta branda, gli
mostrai la cintura con cui mi frustava ed i segni sulla schiena. Non
riuscivano a fermarmi e zittirmi e a quel punto non ci furono più
dubbi. Il fatto è che ero cresciuto troppo per tenermi sotto
controllo, mi avevano terrorizzato mentalmente, ero succube ed
obbediente, ma ora ero cresciuto tanto da capire che se mi fossi
liberato di loro, non avrebbero mai potuto attuare le minacce con cui
mi tenevano in pugno. Ormai ero troppo grande. Così lottando con
unghie e con denti, mi liberai di quell'inferno. Mi portarono fuori
da lì, incriminarono loro per maltrattamenti. Mi curarono e mi
mandarono qua. - Appena concluse quella parte, Kojiro si calmò, il
cuore smise di scoppiargli nel petto e smise di stringere i guantoni.
La foga con cui aveva detto tutto, la rabbia, la furia scemarono con
una velocità repentina nel ricordare cos'era successo una volta
arrivato lì. Aveva incontrato Jun.
Hikaru aveva lo
stomaco contratto in una morsa di ferro, pensava che se avesse
parlato avrebbe vomitato, era cadaverico, ma si fece forza. Se Kojiro
era riuscito in quell'impresa, lui poteva finire la sua intervista.
- Come è andata
qua? - Kojiro pensando a cosa dire, si distese in un sorriso
spontaneo, forse uno dei primissimi effettivi. Dopo aver ricordato
quell'inferno, dopo averlo rivissuto, pensare alla sua vita di ora
gli faceva quell'effetto. Un effetto fantastico.
- Qua è stato
il paradiso a confronto. Sono tornato agli studi, ho trovato un modo
per sfogare la mia rabbia repressa, il pugilato, ma cosa ancor più
importante ho trovato dei veri amici. Inizialmente ho faticato ad
integrarmi, tendevo ad allontanare tutti per partito preso, sempre
per metterli alla prova. Poi però queste persone sono state più
tenaci della mia stronzaggine ed hanno fatto presa in me. - Hikaru
sorrideva, ora. Lieto di essere arrivato alla parte bella. Anche per
lui fu come un enorme peso in meno. Ognuno aveva avuto le sue brutte
conseguenze, ma quelle di Kojiro erano state atroci. Eppure le aveva
superate tutte.
- E' stata dura?
-
- Durissima. Non
riuscivo a fidarmi. Non riuscivo ad aprirmi. Ho sempre gli scatti
anche se faccio boxe. Non riesco a trattare bene le persone e sono
sempre in punizione, ma di base ho capito che con qualcuno vale la
pena essere sé stessi. Che ci sono alcuni pazzi che non mi
respingono perchè sono uno stronzo, che per qualche ragione piaccio
in qualche modo, insomma, sono accettato con i miei mille difetti.
Non so come sia possibile. È così e basta. - Hikaru si mise a
ridere in silenzio, poi riuscì a continuare mentre Kojiro faceva
l'aria da 'quando ti va continui'.
- Effetto
amicizia... gli altri trovano in noi qualcosa di positivo che noi non
vediamo e passano sopra a tutti gli altri difetti. Questo fa sì che
ci si leghi a vicenda. - Kojiro si aprì in un sorriso che sembrava
più un ghigno, si sentiva incredibilmente meglio, leggero, un altro.
Riusciva anche a sorridere. Era quello l'effetto dell'essersi
liberato sul serio? Per quello Jun glielo diceva da molto di parlarne
con gli altri? Solo ora capiva...
- E' qualcosa di
più... se io qua dentro fossi rimasto solo ed isolato, se non avessi
legato con nessuno, penso che sarebbe incominciato un altro inferno.
Qua ci istruiscono per permetterci di farcela da soli una volta
adulti, ci proteggono dal male e ci insegnano a proteggerci, però
solo questo non basta. - Hikaru si perse ed inarcando le sopracciglia
chiese spiegazioni.
- Cosa vuoi
dire? -
- Voglio dire
che oltre alla realizzazione personale, oltre al farcela con le
nostre forze e a vivere bene senza umiliazioni, c'è la qualità
della vita. Posso uscire di qua, trovare un lavoro, vivere con le mie
forze e vivere bene. Ma da solo... che qualità è? Come vivrei da
solo? Chi diavolo è felice da solo? Ci servono gli amici, un
fidanzato... sono queste cose che fanno davvero la differenza! È
questo che ho imparato in questo anno qua. - Hikaru rimase senza
parole nel sentirlo, sicuramente non si sarebbe aspettato da lui una
tale conclusione, ma era perfetta.
Decise di non
aggiungere nulla di più e con aria soddisfatta e contenta, concluse:
- Allora come si
dice in questi casi... 'fate l'amore e non fate la guerra!' -
Kojiro a questo
rispose con un ghigno divertito.
- Beh, seguirò
il consiglio! - Hikaru chiuse per poi stendersi ridendo. La prima
parte dell'intervista era stata atroce, ma la conclusione era stata
molto meglio. In realtà rideva anche per allentare la forte tensione
accumulata.
Kojiro si tolse
i guantoni e si stese accanto a lui allungando i muscoli della
schiena.
- Che shock! -
commentò dopo un po' sospirando.
- Ora sai tutto.
- Disse Kojiro con leggerezza, come se quanto detto non fosse poi
così importante. Hikaru lo occhieggiò girando la testa.
- Non avrei mai
immaginato una cosa simile... - Ammise onesto. Kojiro alzò le
spalle.
- Lo so. - Disse
sicuro.
- Sono contento
che ce l'hai fatta e che sei qua. - Fece poi con semplicità. Kojiro,
sempre senza guardarlo e fissando l'alto soffitto della palestra,
rispose.
- Ed io sono
contento che tu quel giorno mi hai accolto diventando la mia guida
qua dentro. - il primo giorno di Kojiro lì dentro, Hikaru lo aveva
intercettato spiegando che i suoi compagni di camera, Ken e Takeshi,
erano una coppia. Poi era partito a spiegargli il resto. Piano piano
si erano trovati sempre più a fare le cose insieme, come le lezioni
di recupero, i pasti in mensa e a riempire i momenti vuoti in attesa
che i rispettivi compagni di camera finissero 'le loro cose', le
notti. Per non parlare delle conseguenti punizioni, sempre insieme.
- Ne abbiamo già
passate molte insieme... - Disse Hikaru ricordandone un paio e
ridendo. Anche Kojiro fece altrettanto. Esplorare la scuola di notte
era una cosa divertentissima.
- In pratica sei
stato il mio primo amico. È tutto partito da te e da quel tuo
'Sarebbe carino bussare'. - Hikaru ricordò che l'aveva beccato
mentre cercava di entrare in quella che era la sua camera, proprio
mentre Ken e Takeshi stavano probabilmente facendo sesso. L'aveva
fermato in tempo dicendogli come stavano le cose.
Da lì, da
quella semplice battuta fatta senza pensare, era partito tutto.
- Penso che le
storie migliori inizino sempre per caso, che ne dici? - Kojiro alzò
le spalle e lo guardò.
- Che ne so! -
Il suo solito tatto.
- Potresti
sforzarti e dire qualcosa di altrettanto sentimentale! - Kojiro gli
diede un pugno allo stomaco, leggero, che lo fece comunque piegare in
due.
- E' abbastanza
sentimentale? - Hikaru tossicchiando alzò la mano.
- Ricordami di
non chiederti mai pareri! - Ma la risata di Kojiro gli piacque molto
e gli fece passare facilmente il dolore allo stomaco.
Dopotutto in
amicizia era così. Si passava sopra a tutto, difetti compresi, per
quel qualcosa di incomprensibile che finiva per piacere.
Continuando a
scherzare insieme, Hikaru pensò che dopotutto Kojiro era forse
quello che l'aveva avuta peggio di tutti, ma che vedendo com'era ora
dava proprio da pensare che i miracoli, dopotutto, esistevano.
“Kojiro, la
voglia di vivere. Dovrebbe diventare una materia scolastica,
servirebbe a molti!”
Non era una
persona felice e solare, ma la forza interiore che aveva impiegato
per risalire le sue tenebre, non le aveva mai viste in nessuno.
Quella per lui era la qualità migliore che un essere umano potesse
avere.
Kojiro si infilò
nella camera di Jun, ormai lo faceva liberamente senza bussare. Jun
sapeva che poteva vedersi arrivare in camera solo due persone, suo
fratello od il suo ragazzo.
Era seduto sul
letto, le gambe stese davanti a sé, elegantemente incrociate, la
schiena alta sulla spalliera, fra le mani un lettore mp3, degli
auricolari alle orecchie. Stava mandando avanti ed ascoltando delle
canzoni, le stava scegliendo. Quando lo vide si tolse un auricolare
ma non spense la musica, continuò ad uscire e a sentirsi anche da
fuori.
Lo guardò con
attenzione, Kojiro aveva una strana aria. Lui sapeva che aveva fatto
l'intervista con Hikaru, si era chiesto come sarebbe andata e cercava
di capirlo dal suo viso, non era comunque facile. Non era arrabbiato,
però si capiva che era rimasto turbato.
- Come è
andata? - Chiese prima ancora di salutarlo. Kojiro si stese nel letto
a pancia in giù circondando le gambe di Jun con un braccio e
appoggiandovi la testa sopra, come poteva fare un animale domestico,
cane o gatto che fosse.
Alzò le spalle.
- Bene. - Disse
vago. Jun sorrise, ebbe l'impressione d'avere su di sé un gatto
randagio. Gli mise una mano fra i capelli in disordine, dalla nuca
scese sulla schiena e cominciò ad accarezzarlo.
- E' stato
liberatorio? - Chiese sapendo come in teoria doveva andare. Kojiro
annuì, gli occhi sempre chiusi a godersi quel bellissimo momento e
quelle sensazioni splendide.
- Molto. -
- Gli hai detto
tutto? - Kojiro annuì.
- Esorcismo
compiuto. Non pensavo potesse essere così bello farlo. - Jun sorrise
di nuovo orgoglioso di lui e felice per quell'enorme passo in avanti
fatto.
- Lo sapevo! -
- Ho battuto
quel bastardo! - Concluse riferendosi a suo padre affidatario. - L'ho
battuto sul serio, porca puttana! -
Jun si chinò e
gli baciò la nuca.
- E' finita sul
serio, ora andrà molto meglio... -
Kojiro si alzò
facendo leva sulle mani una per parte delle sue gambe, si alzò come
facesse le flessioni e ricambiò il bacio ma sulle labbra, gliele
posò leggere sopra e rimase vicinissimo, lo incatenò col suo
sguardo davvero libero e pulito, non più pieno di ombre e tormenti.
- Va meglio da
quando ho messo piede qua dentro. - Jun sorrise dolcemente.
- Anche io mi
sento meglio da quando tu hai messo piede qua dentro... in qualche
modo mi hai cambiato la vita... -
Kojiro rimase
così a guardarlo e a parlargli, la mente a quel primo giorno
nell'istituto. Un passato non molto remoto.
- E'
sorprendente cosa ha fatto l'amicizia. Parlarne con Hikaru, incidere
tutto su un nastro... -
- SD. - Lo
corresse involontariamente Jun, era più forte di lui. Kojiro piegò
la testa di lato allontanandosi di qualche centimetro.
- Cosa? -
- E' una memoria
SD, non un nastro. La videocamera è digitale, quindi... - Kojiro gli
morse la guancia.
- Piantala di
correggermi e fammi parlare! - Proseguì poi seccato sul suo
orecchio. Jun alzò istintivamente la spalla, le mani intanto sulle
sue braccia tese che lo tenevano alzato in quella posizione, a metà
su di lui.
- Scusami. -
- Ci sono tante
cose che mi hanno salvato. I servizi sociali che per una volta han
fatto il loro fottuto lavoro. Un po' tardi ma ce l'hanno fatta.
Questo istituto. Sono salvezze fisiche e concrete. Poi ci sono le
salvezze morali, gli amici che non pensavo sarei mai riuscito a
farmi. - Jun sapeva dove voleva arrivare e non osò interromperlo.
Kojiro tornò davanti al suo viso, lo guardò di nuovo, lo contemplò,
Jun si sentì fortemente amato. Poi concluse sicuro e senza vergogna.
- Però la salvezza che preferisco, quella che conta di più, è
dell'anima. E quella me l'hai salvata tu. - Jun gli mise una mano
sulla guancia carezzandolo, contemplandolo allo stesso modo, con
orgoglio e dolcezza.
- Io non ho
fatto nulla... ti ho solo accolto e ascoltato... e mi sono
innamorato! - Kojiro avvicinò ulteriormente il viso fino a sfiorarlo
con le labbra.
- E' proprio
questo. Mi hai fatto sentire considerato, voluto, desiderato, amato.
È questo che mi ha salvato l'anima. - Quello era il suo grazie, non
sarebbe stato capace di dirlo e Jun non lo aspettò, ma lasciò che
le loro labbra si incontrassero, si schiusero, si fusero insieme alle
lingue che ormai erano una cosa sola. Lenti giochi incandescenti,
mentre nelle menti rivivevano i ricordi di quello che era stato fra
loro, il primo incontro. Autobus verso l'istituto. L'assistente aveva
avuto un emergenza e non aveva potuto accompagnarlo, così gli aveva
dato un biglietto in mano e gli aveva detto quando scendere e dove
andare.
Su quell'autobus
Kojiro aveva incontrato Jun che viaggiava da solo, vedendolo
disorientato gli aveva parlato tranquillizzandolo. Si era sempre
chiesto perchè l'avesse fatto.
Per Jun era
stato più un gesto istintivo che altro, l'aveva visto perso e gli
aveva parlato, tutto lì.
Ricordava ancora
il loro dialogo e a quel punto, proprio mentre si baciavano, scoppiò
a ridere. Dovettero separarsi e Kojiro raddrizzandosi lo guardò
male.
- Ed ora che
hai? - Jun dopo un po' si scusò, però rideva luminoso e non poteva
arrabbiarsi.
- Mi sono
ricordato quello che hai detto quando ci siamo conosciuti... -
Kojiro alzò le
sopracciglia e Jun ripeté imitando la sua voce selvatica.
-
La mia vita è solo un mare di merda, tutte le tappe in cui inciampo
sono solo cessi di scarico, tutto qui! - Kojiro scoppiò a ridere a
sua volta, non lo ricordava bene, ma era una frase da lui.
-
Sì è da me! - disse ributtandosi sulle sue cosce che usava come
cuscino. Si accomodò e lasciò che il silenzio tornasse mentre
ricordava la sala mensa, il momento in cui aveva realizzato che era
il fratello dell'essere più odioso di quell'istituto, Genzo.
Quasi
un destino, dopotutto.
Di
cose ne aveva passate sia fuori che dentro, ovviamente il meglio gli
era capitato proprio lì, non rimpiangeva nulla di quel che aveva
fatto una volta arrivato.
Dall'auricolare
che si era tolto Jun, una musica particolarmente bella risuonò, un
pianoforte malinconico. Se lo mise all'orecchio incuriosito ed
insieme l'ascoltarono. A metà il dolore cantato con estrema bravura
mutò e divenne gioia, il testo parlò di vittoria e luce e rinascita
e Kojiro colpito e ammirato, disse:
-
E' bellissima, di chi è? -
Jun
sorrise. Era una delle sue preferite considerando che non era il suo
genere.
-
Linkin Park. Iridescent. -
-
Proprio bella. -
Jun
aveva appena trovato la canzone per l'intervista di Kojiro.