CAPITOLO XXXII:
LA VOGLIA DI VIVERE

/Wasted love – Steve Angello ft Dougy/
Mano a mano che Hikaru faceva i video, li mostrava a Jun, non erano già elaborati, ma glieli faceva vedere perchè doveva scegliere le canzoni.
Con Karl era titubante su cosa fare.
Aveva fatto Ken, Takeshi, Tsubasa e Taro. Erano state storie toccanti, anche se non al livello di Karl. Karl non lo voleva inserire nel documentario, però la sua storia era così forte che sentiva, ogni volta che vi pensava, la necessità di parlarne con qualcuno e condividere.
Fu così che colse la palla al balzo quando Jun, dopo aver visto gli altri video fatti, chiese candidamente:
- E Karl? - Hikaru abbassò lo sguardo come colto in fallo.
- Karl l'ho fatto ma... - Jun notò immediatamente il cambio di tono e di sguardo, si sentiva quasi in colpa per qualcosa.
- Non vuoi inserirlo nel documentario? - Chiese delicatamente, capendo al volo la situazione. Hikaru annuì. - E' una storia tanto brutta? - Hikaru sospirò.
- E' molto delicata, penso che non sia il caso. Sai, le altre sono più o meno ok. Cioè alcune sono toccanti, ma non sono proprio... come posso dire? - Jun non riusciva a capire bene cosa cercava di dire, in cosa fosse inadatta.
- Ma subiva violenze? Perchè se è questo sappi che allora dovresti evitare anche Kojiro... - Hikaru alzò subito la testa e lo guardò torvo, sorpreso.
- Davvero? - Jun annuì cercando di risultare discreto. Se voleva lo era, ma doveva anche saper convincere Hikaru che forse era meglio evitarlo.
- Sì, io non so di preciso tutto, so che ha avuto un'infanzia brutta, preda di violenze, però non so bene... non ne parla... - Hikaru alla fine decise di raccontargli un po' la storia di Karl senza andare troppo nei dettagli. Jun ci rimase davvero male, non si aspettava certo una cosa simile.
Colpito da quello che gli aveva detto, si perse a guardare le proprie mani come se potesse trovarvi delle risposte.
- L'umana sopportazione è qualcosa che va oltre ogni limite immaginabile... -
Hikaru annuì concorde su quello che stava dicendo. Ci aveva pensato molto, turbato dalla sua storia.
Quello che gli era successo era davvero brutto e non poteva immaginare di ascoltare un'altra storia simile o magari peggiore.
- Io non voglio obbligare nessuno ovviamente, se accettano la mia intervista significa che se la sentono... Kojiro ha accettato, è il prossimo. - Jun si strinse nelle spalle.
- Se se la sente va bene, ti dicevo che però se non intendi mettere certe storie, la sua potrebbe essere fra queste... - Hikaru si morse il labbro indeciso mentre guardava lo schermo del computer su cui aveva scaricato i video e messi su una USB dove rielaborava i lavori.
Erano nella sala informatica, al momento.
- Vedrò quando me la dirà, se mi sembra troppo non la metto. Valuterò sul momento... - Jun annuì contento di quella soluzione.
Hikaru aveva una sua sensibilità che a guardarlo poteva sembrare incredibile, nessuno gliel'avrebbe mai associata, eppure lo era.
Sicuramente se la sarebbero gestita bene.
- Anche tu e Genzo... se non ve la sentite non siete obbligati... - Fece poi mentre chiudeva tutto e prendeva la sua chiavetta USB.
- A me va bene, non sono problemi, vedi con Genzo. Pensavi di farci insieme? -
Hikaru scosse il capo.
- Volevo farvi separatamente. Poi cercherò qualche altro elemento in giro per la scuola, sai, elementi isolati dove l'amicizia non è arrivata, e vedrò se vogliono collaborare. Poi l'ultimo sarò io. - Jun, accompagnandolo fuori, annuì serio ed interessato ai suoi programmi di regista.
Era piacevole passare il tempo con lui, specie se in fase creativa.
Alla fine musica e film erano praticamente dello stesso mondo, a loro modo. Si incastravano bene e si ritrovavano delle ore a parlarne, spaziando anche al di fuori del progetto di Hikaru.
Questo sicuramente non giocava a favore della cotta di quest'ultimo per Jun, ma non ci avrebbe mai provato.

/Iridescent – Linkin Park/
La location scelta da Hikaru per intervistare Kojiro fu il ring di pugilato, era sera e le attività erano concluse, la cena finita e i ragazzi girovagavano fra la sala comune o sala relax che dir si volesse e le camere.
L'atmosfera all'interno delle varie sale dei club, era molto intima e spettrale, tutt'altra cosa che di giorno, quando erano piene di persone che si allenavano o che facevano le loro attività.
Sembrava di essere arrivati in un altro mondo, un'altra dimensione.
I due si sedettero, Kojiro in un angolo del ring, Hikaru davanti a lui. Gambe incrociate, uno la videocamera digitale in mano, l'altro le bende per fasciarsi le mani prima di mettersi i guantoni. In parte c'erano anche quelli.
Kojiro si era voluto portare qualcosa per tenersi occupato mentre parlava, aveva chiesto ad Hikaru cosa poteva prendere e lui, pensandoci, gli aveva proposto qualcosa che avesse a che fare col pugilato.
La scelta fu molto scenografica e piacque ad Hikaru che comunque gli fece subito la fatidica domanda.
- So che la tua storia è particolare, se non vuoi che la inserisca davvero nel documentario che probabilmente sarà visto, se tutto va bene da tutta la scuola, pensavo di non riprenderti in viso, ma solo le mani ed eventualmente mascheravo la tua voce da renderti irriconoscibile all'ascolto. Probabilmente farò così anche per Karl, glielo devo proporre, ci devo lavorare un po' su ma eventualmente è una soluzione. Lui non vorrebbe rientrare nel documentario. - Spiegò Hikaru. Kojiro alzò le spalle fingendosi menefreghista.
- Non ho niente da nascondere! Non sono io a dovermi vergognare per quella merda che è stata la mia vita prima di venire qua! Che vedano il mio viso e sappiano, non me ne fotte un cazzo! - Hikaru sorrise, caratteri completamente diversi. Karl era il suo esatto opposto, infatti andava d'accordo con Genzo, tutto il contrario di Kojiro che invece si prendeva a pugni.
- Bene! - Fece quindi Hikaru attivando la videocamera con un gran sorriso. - Allora cominciamo! - Kojiro rimase in silenzio in attesa, momentaneamente le mani erano ferme, non giocavano con quel che si era portato, le bende ferme, l'aria non troppo felice, tendeva al cupo ma era un'inclinazione quasi normale, ormai.
- E' sera e qua siamo solo noi due, un'atmosfera sinistra per raccontare qualcosa che vi si adatta bene. Pensando a lui mi è venuto in mente un solo posto, il ring di pugilato. Fra le mani le bende ed i guantoni. - Hikaru fece l'introduzione, poi presentò il soggetto. - Siamo qua con Kojiro Hyuga, la rivelazione di pugilato, colui che ha passato più tempo in punizione che a lezione! - Kojiro fece un ghigno divertito che Hikaru gradì. Gli fece il primo piano delle mani ancora ferme per poi passare al viso, i lineamenti selvatici, la pelle abbronzata, gli occhi scuri da tigre, perennemente arrabbiati anche se magari rideva felice. Un che di costante tormento sempre addosso. I capelli neri erano lunghi fino alle spalle ed erano lasciati un po' a loro stessi, non ci stava molto dietro. Alimentavano la sua aria selvaggia.
- Ciao Kojiro. - Disse.
- Mmm... - Rispose mugugnando sentendosi un cretino a fare quella cosa. Sapeva perchè era importante, però si sentiva cretino lo stesso, infatti guardava ovunque tranne che la telecamera od Hikaru.
- Raccontaci un po' della tua vita prima di entrare in istituto. - Fece allora Hikaru passando subito al punto. Si trattava di quello, la differenza da prima a dopo, se una differenza c'era stata. C'era chi prima se l'era passata comunque bene o allo stesso modo.
Kojiro si indurì molto, assottigliò gli occhi e trapassò lo spazio oltre le spalle di Hikaru, si obbligò, si violentò per rispondere. Non ne voleva parlare ma pensava che gli potesse fare bene... anzi, lo sapeva. Jun glielo aveva detto. Era una cosa positiva per lui, una specie di terapia.
'Quando riuscirai a parlarne con gli altri, significa che non ti farà più male. Lì saprai di essertene liberato.'
Kojiro lo voleva disperatamente, per cui con forza ed una gran dose di coraggio, riesumò dal fondo più oscuro di sé stesso quella che era la sua storia.
Si guardò di nuovo dentro e fu lì che iniziò ad arrotolarsi e srotolarsi la benda bianca elastica nelle mani, prima la destra e poi la sinistra, in una continua alternanza. Hikaru passò a mostrare quel che faceva, poi dopo un tempo infinito, la sua voce roca e brusca iniziò a parlare, l'aria arrabbiata.
- Sono stato abbandonato alla nascita, i servizi sociali mi hanno fatto passare di affidamento in affidamento, nessuno riusciva ad occuparsi di me a lungo, nessuno voleva adottarmi. Da quando ho ricordi, sono sempre stato scaricato poco tempo dopo il mio arrivo. Non andavo d'accordo con nessuno, rendevo a tutti la vita impossibile. -
- Eri un iperattivo? - Chiese Hikaru per farsi un'idea di quel che era. Kojiro scosse il capo.
- No, ma avevo quella di mettere alla prova quelli che mi stavano intorno, per vedere se ci tenevano davvero a me o se era una finta. Ho sempre sentito questo rifiuto spontaneo nei miei confronti. Penso che non piacevo dal primo sguardo perchè non sorridevo mai, ero sempre imbronciato. Questo metteva subito le distanze ed io li mettevo alla prova per vedere quanto resistevano prima di arrendersi. Duravano poco. -
- Perchè facevi così? - Kojiro si strinse nelle spalle.
- Se avessi trovato quello che mi sopportava nonostante tutto, significava che ci tenevano sul serio. Volevo trovare uno che mi accettasse davvero e non solo per i soldi! -
- Gli affidamenti sono accompagnati con un contributo, solo quando adotti perdi il contributo... - Spiegò Hikaru, Kojiro annuì sospirando. La visione di quel bambino problematico per scelta era chiara. Si sentiva respinto dal primo sguardo perchè non sorrideva amabilmente, quindi lui innervosito da questo rifiuto spontaneo, si comportava male di proposito per metterli alla prova. Nessuno comunque aveva durato.
- Il mio gioco ha funzionato finchè non sono arrivato in una famiglia più stronza di me. Ero ormai grandino. Non dev'essere stato per tanto tempo, ma mi sono sembrati anni. Quando sei in prigione perdi il contatto con la realtà. - Hikaru impallidì, non respirava, non osava nemmeno fare mezza domanda. Kojiro ora aveva le bende su entrambe le mani e stringeva i pugni, poco dopo prese i guantoni ed iniziò a tormentare quelli. - Quando venivano i controlli sembravamo una famiglia felice, appena se ne andavano era l'inferno. - Kojiro si fermò fissandosi i guantoni e le mani, un blocco che gli impediva di raccontare precisamente tutto il resto. Fino a lì era stato facile, ora arrivava la parte difficile. Doveva farlo, doveva liberarsene. Dirlo a Jun era un conto, di lui era innamorato. Ma dirlo ad altri, renderlo pubblico, dimostrare che non gli importava più, che l'aveva superato... quello era importante. Doveva riuscirci, eppure si sentiva di nuovo preso a pugni, di nuovo gli bruciava la pelle a contatto con la cintura con cui gli dava giù, di nuovo sentiva quella puzza di vomito, escrementi, polvere e muffa. Di nuovo rivedeva quel viso odioso.
Tremò per un momento e Hikaru si chiese se dovesse interromperlo.
- Ti picchiava? - Chiese Hikaru provando a dargli una mano. Kojiro si risvegliò, alzò lo sguardo sottile specchio di quell'inferno a cui aveva accennato, feroci lame incandescenti.
- Mi schiavizzava! - Hikaru impallidì e faticò a tenere ferma la videocamera. Tolse lo sguardo dal display che lo inquadrava e guardò direttamente Kojiro che ora lo fissava diretto. Vedendo la sua aria sconvolta, trovò in qualche modo la forza di andare avanti.
La gente ne passava di cotte e di crude, ognuno aveva le sue, ma a certi orrori in pochi ci arrivavano. O per lo meno pochi li superavano.
Lui era uno di quei sopravvissuti, ne era fiero, orgoglioso. Lui era ancora vivo, ma la gente che lo guardava e lo odiava perchè aveva un brutto carattere, non immaginava cosa aveva passato e superato.
Lo giudicavano un pazzo, ma non avevano assistito alla vera pazzia.
Lui sapeva come ci si sentiva a sopravvivere all'inferno, per questo aveva il diritto di camminare a testa alta e a spingere chi non si spostava nel suo cammino.
Era ora di gridarlo e farlo sapere a tutti che lui era un maledetto sopravvissuto e che nessuno, nessuno aveva il diritto di criticarlo solo perchè non era gentile. Lui poteva essere quel che voleva, si era conquistato quel diritto!
- La mia camera era la cantina. Non c'era un letto, c'era una brandina senza materasso ed una coperta vecchia, puzzolente e piena di pulci. Con me vivevano i topi, passavo il tempo a cercare di ucciderli. Se dovevo pisciare o cagare dovevo farlo in un secchio che cercavo di tenere chiuso per non morire di puzza. Ovviamente la puzza mi faceva morire comunque. Puzza di escrementi, di muffa che respiravo regolarmente. Io stesso ero impregnato di quella puzza.
Quando era troppa e saliva su in casa, mi permettevano di uscire per pulire il secchio. Facevo le pulizie per loro, le faccende di casa. Niente scuola, niente hobby, niente esterno. E se non facevo qualcosa come volevano, o mi lamentavo, mi picchiava. Aveva tanti modi per farlo. La cintura come una frusta, il ferro incandescente del fuoco, calci, pugni... mi picchiava tanto che poi quando mi buttava nel mio buco vomitavo, quindi c'era anche la puzza del mio vomito. Non potevo lavarmi mai se non quando dovevo pulire il giardino quando pioveva. Mi sono venuti i pidocchi e tutte quelle schifose malattie dello sporco. Mi sistemavano quando venivano i servizi sociali a controllare, gli unici momenti in cui sembravo una persona. Non potevo parlare, non potevo chiedere nulla, dovevo fare tutto, tutto, e poi stare zitto e tornarmene nel mio buco puzzolente. Nessun contatto col mondo, niente di niente. Nemmeno la televisione. Passare dei mesi così ti fa scordare tutto quello che hai vissuto prima, le cose che hai imparato, quello che hai visto. Non ricordavo più niente, mi sembrava di essere lì da sempre, di non avere vissuto altro che quello. La mia testa stava regredendo, mi stavo chiudendo in me stesso per non sentire più nulla. - Hikaru era sotto shock, ma vedeva la furia e la forza con cui raccontava tutto, come se non ne potesse più, come se avesse voluto dirlo da moltissimo tempo e solo ora avesse trovato la forza.
Hikaru capì che era un'autentica liberazione, che per lui dirlo, parlarne e renderlo pubblico era la fine di un libro intero di orrori, era la vera rinascita. Quindi non interruppe e lasciò che i suoi orrori uscissero.
- Come ce l'hai fatta? - Chiese poi con un filo di voce. Kojiro lo guardò come se si risvegliasse dall'incubo, intorpidito distese i muscoli contratti del viso e ricordando come ci era riuscito, quasi sorrise guardando il suo amico.
- Mi davano da mangiare il minimo per non farmi morire, ma facevo la fame. Una volta sono svenuto perchè mi avevano fatto lavorare troppo e non ho retto. Mi ha preso a calci per farmi svegliare, questo mi ha spinto a stare privo di conoscenza per alcuni giorni, credo. Non mi svegliavo più. In quel periodo ho sognato tutto quello che avevo dimenticato. Ero sempre stato forte, non mi ero mai arreso e mai lasciato andare, per cui non c'erano mai stati dei veri momenti di distacco. Ma lì ero al mio limite, non ne potevo più. Quindi in quel limbo, in quel coma o qualunque cosa sia stato, ho rivisto le mie precedenti esperienze, gli altri affidamenti che non erano stati il mio massimo desiderio, ma che confronto a quello che stavo passando erano il paradiso. Mi resi conto che c'era un'altra vita al di là di quella, che non ero destinato a quello tutta la mia esistenza. Desiderai ardentemente tornare indietro in uno qualunque di quei posti, giurai a me stessi che non avrei messo più alla prova nessuno, non avrei mai fatto lo stronzo. Giurai che sarei rimasto nel primo nuovo posto in cui sarei capitato, purchè fosse migliore di quello lì. Quando mi svegliai feci di tutto per uscirne. Loro erano dei carcerieri perfetti, non riuscivo a fargliela. Quando provavo a scappare mi riprendevano sempre e mi picchiavano il doppio. Allora cercai un altro sistema. Quando venivano gli assistenti sociali, loro facevano finta che tutto andasse bene e mi terrorizzavano obbligandomi a non mostrare la verità, però lì decisi di giocarmi il tutto per tutto. Ero abbastanza grande ed in me da capire che se mostravo agli assistenti l'orrore, non avrebbero potuto attuare le minacce che mi davano.
Per prima cosa, quando vidi che mi ripulivano, cominciai a fare il diavolo, cercai di aggredirli, questo li mandò fuori di testa e lui, il padre, mi picchiò. Sua moglie gli diceva di non farlo che dovevano venire a vedermi, ma io ero stato troppo impudente aggredendolo, non potevo passarla liscia. Così più lo insultavo, più mi picchiava. Mi ridusse una maschera. Per quanto lei mi curò non mi rese presentabile. L'assistente arrivò, tentarono di tirare su una scusa. Lui non mostrava la mano con cui mi aveva dato giù, ma io non ne potevo più, cominciai a gridare la verità, alzai la sua mano e gliela mostrai, poi corsi a fargli vedere il mio maledetto buco con la mia maledetta merda nel secchio, la mia maledetta branda, gli mostrai la cintura con cui mi frustava ed i segni sulla schiena. Non riuscivano a fermarmi e zittirmi e a quel punto non ci furono più dubbi. Il fatto è che ero cresciuto troppo per tenermi sotto controllo, mi avevano terrorizzato mentalmente, ero succube ed obbediente, ma ora ero cresciuto tanto da capire che se mi fossi liberato di loro, non avrebbero mai potuto attuare le minacce con cui mi tenevano in pugno. Ormai ero troppo grande. Così lottando con unghie e con denti, mi liberai di quell'inferno. Mi portarono fuori da lì, incriminarono loro per maltrattamenti. Mi curarono e mi mandarono qua. - Appena concluse quella parte, Kojiro si calmò, il cuore smise di scoppiargli nel petto e smise di stringere i guantoni. La foga con cui aveva detto tutto, la rabbia, la furia scemarono con una velocità repentina nel ricordare cos'era successo una volta arrivato lì. Aveva incontrato Jun.
Hikaru aveva lo stomaco contratto in una morsa di ferro, pensava che se avesse parlato avrebbe vomitato, era cadaverico, ma si fece forza. Se Kojiro era riuscito in quell'impresa, lui poteva finire la sua intervista.
- Come è andata qua? - Kojiro pensando a cosa dire, si distese in un sorriso spontaneo, forse uno dei primissimi effettivi. Dopo aver ricordato quell'inferno, dopo averlo rivissuto, pensare alla sua vita di ora gli faceva quell'effetto. Un effetto fantastico.
- Qua è stato il paradiso a confronto. Sono tornato agli studi, ho trovato un modo per sfogare la mia rabbia repressa, il pugilato, ma cosa ancor più importante ho trovato dei veri amici. Inizialmente ho faticato ad integrarmi, tendevo ad allontanare tutti per partito preso, sempre per metterli alla prova. Poi però queste persone sono state più tenaci della mia stronzaggine ed hanno fatto presa in me. - Hikaru sorrideva, ora. Lieto di essere arrivato alla parte bella. Anche per lui fu come un enorme peso in meno. Ognuno aveva avuto le sue brutte conseguenze, ma quelle di Kojiro erano state atroci. Eppure le aveva superate tutte.
- E' stata dura? -
- Durissima. Non riuscivo a fidarmi. Non riuscivo ad aprirmi. Ho sempre gli scatti anche se faccio boxe. Non riesco a trattare bene le persone e sono sempre in punizione, ma di base ho capito che con qualcuno vale la pena essere sé stessi. Che ci sono alcuni pazzi che non mi respingono perchè sono uno stronzo, che per qualche ragione piaccio in qualche modo, insomma, sono accettato con i miei mille difetti. Non so come sia possibile. È così e basta. - Hikaru si mise a ridere in silenzio, poi riuscì a continuare mentre Kojiro faceva l'aria da 'quando ti va continui'.
- Effetto amicizia... gli altri trovano in noi qualcosa di positivo che noi non vediamo e passano sopra a tutti gli altri difetti. Questo fa sì che ci si leghi a vicenda. - Kojiro si aprì in un sorriso che sembrava più un ghigno, si sentiva incredibilmente meglio, leggero, un altro. Riusciva anche a sorridere. Era quello l'effetto dell'essersi liberato sul serio? Per quello Jun glielo diceva da molto di parlarne con gli altri? Solo ora capiva...
- E' qualcosa di più... se io qua dentro fossi rimasto solo ed isolato, se non avessi legato con nessuno, penso che sarebbe incominciato un altro inferno. Qua ci istruiscono per permetterci di farcela da soli una volta adulti, ci proteggono dal male e ci insegnano a proteggerci, però solo questo non basta. - Hikaru si perse ed inarcando le sopracciglia chiese spiegazioni.
- Cosa vuoi dire? -
- Voglio dire che oltre alla realizzazione personale, oltre al farcela con le nostre forze e a vivere bene senza umiliazioni, c'è la qualità della vita. Posso uscire di qua, trovare un lavoro, vivere con le mie forze e vivere bene. Ma da solo... che qualità è? Come vivrei da solo? Chi diavolo è felice da solo? Ci servono gli amici, un fidanzato... sono queste cose che fanno davvero la differenza! È questo che ho imparato in questo anno qua. - Hikaru rimase senza parole nel sentirlo, sicuramente non si sarebbe aspettato da lui una tale conclusione, ma era perfetta.
Decise di non aggiungere nulla di più e con aria soddisfatta e contenta, concluse:
- Allora come si dice in questi casi... 'fate l'amore e non fate la guerra!' -
Kojiro a questo rispose con un ghigno divertito.
- Beh, seguirò il consiglio! - Hikaru chiuse per poi stendersi ridendo. La prima parte dell'intervista era stata atroce, ma la conclusione era stata molto meglio. In realtà rideva anche per allentare la forte tensione accumulata.
Kojiro si tolse i guantoni e si stese accanto a lui allungando i muscoli della schiena.
- Che shock! - commentò dopo un po' sospirando.
- Ora sai tutto. - Disse Kojiro con leggerezza, come se quanto detto non fosse poi così importante. Hikaru lo occhieggiò girando la testa.
- Non avrei mai immaginato una cosa simile... - Ammise onesto. Kojiro alzò le spalle.
- Lo so. - Disse sicuro.
- Sono contento che ce l'hai fatta e che sei qua. - Fece poi con semplicità. Kojiro, sempre senza guardarlo e fissando l'alto soffitto della palestra, rispose.
- Ed io sono contento che tu quel giorno mi hai accolto diventando la mia guida qua dentro. - il primo giorno di Kojiro lì dentro, Hikaru lo aveva intercettato spiegando che i suoi compagni di camera, Ken e Takeshi, erano una coppia. Poi era partito a spiegargli il resto. Piano piano si erano trovati sempre più a fare le cose insieme, come le lezioni di recupero, i pasti in mensa e a riempire i momenti vuoti in attesa che i rispettivi compagni di camera finissero 'le loro cose', le notti. Per non parlare delle conseguenti punizioni, sempre insieme.
- Ne abbiamo già passate molte insieme... - Disse Hikaru ricordandone un paio e ridendo. Anche Kojiro fece altrettanto. Esplorare la scuola di notte era una cosa divertentissima.
- In pratica sei stato il mio primo amico. È tutto partito da te e da quel tuo 'Sarebbe carino bussare'. - Hikaru ricordò che l'aveva beccato mentre cercava di entrare in quella che era la sua camera, proprio mentre Ken e Takeshi stavano probabilmente facendo sesso. L'aveva fermato in tempo dicendogli come stavano le cose.
Da lì, da quella semplice battuta fatta senza pensare, era partito tutto.
- Penso che le storie migliori inizino sempre per caso, che ne dici? - Kojiro alzò le spalle e lo guardò.
- Che ne so! - Il suo solito tatto.
- Potresti sforzarti e dire qualcosa di altrettanto sentimentale! - Kojiro gli diede un pugno allo stomaco, leggero, che lo fece comunque piegare in due.
- E' abbastanza sentimentale? - Hikaru tossicchiando alzò la mano.
- Ricordami di non chiederti mai pareri! - Ma la risata di Kojiro gli piacque molto e gli fece passare facilmente il dolore allo stomaco.
Dopotutto in amicizia era così. Si passava sopra a tutto, difetti compresi, per quel qualcosa di incomprensibile che finiva per piacere.
Continuando a scherzare insieme, Hikaru pensò che dopotutto Kojiro era forse quello che l'aveva avuta peggio di tutti, ma che vedendo com'era ora dava proprio da pensare che i miracoli, dopotutto, esistevano.
Kojiro, la voglia di vivere. Dovrebbe diventare una materia scolastica, servirebbe a molti!”
Non era una persona felice e solare, ma la forza interiore che aveva impiegato per risalire le sue tenebre, non le aveva mai viste in nessuno. Quella per lui era la qualità migliore che un essere umano potesse avere.

/Iridescent piano version/
Kojiro si infilò nella camera di Jun, ormai lo faceva liberamente senza bussare. Jun sapeva che poteva vedersi arrivare in camera solo due persone, suo fratello od il suo ragazzo.
Era seduto sul letto, le gambe stese davanti a sé, elegantemente incrociate, la schiena alta sulla spalliera, fra le mani un lettore mp3, degli auricolari alle orecchie. Stava mandando avanti ed ascoltando delle canzoni, le stava scegliendo. Quando lo vide si tolse un auricolare ma non spense la musica, continuò ad uscire e a sentirsi anche da fuori.
Lo guardò con attenzione, Kojiro aveva una strana aria. Lui sapeva che aveva fatto l'intervista con Hikaru, si era chiesto come sarebbe andata e cercava di capirlo dal suo viso, non era comunque facile. Non era arrabbiato, però si capiva che era rimasto turbato.
- Come è andata? - Chiese prima ancora di salutarlo. Kojiro si stese nel letto a pancia in giù circondando le gambe di Jun con un braccio e appoggiandovi la testa sopra, come poteva fare un animale domestico, cane o gatto che fosse.
Alzò le spalle.
- Bene. - Disse vago. Jun sorrise, ebbe l'impressione d'avere su di sé un gatto randagio. Gli mise una mano fra i capelli in disordine, dalla nuca scese sulla schiena e cominciò ad accarezzarlo.
- E' stato liberatorio? - Chiese sapendo come in teoria doveva andare. Kojiro annuì, gli occhi sempre chiusi a godersi quel bellissimo momento e quelle sensazioni splendide.
- Molto. -
- Gli hai detto tutto? - Kojiro annuì.
- Esorcismo compiuto. Non pensavo potesse essere così bello farlo. - Jun sorrise di nuovo orgoglioso di lui e felice per quell'enorme passo in avanti fatto.
- Lo sapevo! -
- Ho battuto quel bastardo! - Concluse riferendosi a suo padre affidatario. - L'ho battuto sul serio, porca puttana! -
Jun si chinò e gli baciò la nuca.
- E' finita sul serio, ora andrà molto meglio... -
Kojiro si alzò facendo leva sulle mani una per parte delle sue gambe, si alzò come facesse le flessioni e ricambiò il bacio ma sulle labbra, gliele posò leggere sopra e rimase vicinissimo, lo incatenò col suo sguardo davvero libero e pulito, non più pieno di ombre e tormenti.
- Va meglio da quando ho messo piede qua dentro. - Jun sorrise dolcemente.
- Anche io mi sento meglio da quando tu hai messo piede qua dentro... in qualche modo mi hai cambiato la vita... -
Kojiro rimase così a guardarlo e a parlargli, la mente a quel primo giorno nell'istituto. Un passato non molto remoto.
- E' sorprendente cosa ha fatto l'amicizia. Parlarne con Hikaru, incidere tutto su un nastro... -
- SD. - Lo corresse involontariamente Jun, era più forte di lui. Kojiro piegò la testa di lato allontanandosi di qualche centimetro.
- Cosa? -
- E' una memoria SD, non un nastro. La videocamera è digitale, quindi... - Kojiro gli morse la guancia.
- Piantala di correggermi e fammi parlare! - Proseguì poi seccato sul suo orecchio. Jun alzò istintivamente la spalla, le mani intanto sulle sue braccia tese che lo tenevano alzato in quella posizione, a metà su di lui.
- Scusami. -
- Ci sono tante cose che mi hanno salvato. I servizi sociali che per una volta han fatto il loro fottuto lavoro. Un po' tardi ma ce l'hanno fatta. Questo istituto. Sono salvezze fisiche e concrete. Poi ci sono le salvezze morali, gli amici che non pensavo sarei mai riuscito a farmi. - Jun sapeva dove voleva arrivare e non osò interromperlo. Kojiro tornò davanti al suo viso, lo guardò di nuovo, lo contemplò, Jun si sentì fortemente amato. Poi concluse sicuro e senza vergogna. - Però la salvezza che preferisco, quella che conta di più, è dell'anima. E quella me l'hai salvata tu. - Jun gli mise una mano sulla guancia carezzandolo, contemplandolo allo stesso modo, con orgoglio e dolcezza.
- Io non ho fatto nulla... ti ho solo accolto e ascoltato... e mi sono innamorato! - Kojiro avvicinò ulteriormente il viso fino a sfiorarlo con le labbra.
- E' proprio questo. Mi hai fatto sentire considerato, voluto, desiderato, amato. È questo che mi ha salvato l'anima. - Quello era il suo grazie, non sarebbe stato capace di dirlo e Jun non lo aspettò, ma lasciò che le loro labbra si incontrassero, si schiusero, si fusero insieme alle lingue che ormai erano una cosa sola. Lenti giochi incandescenti, mentre nelle menti rivivevano i ricordi di quello che era stato fra loro, il primo incontro. Autobus verso l'istituto. L'assistente aveva avuto un emergenza e non aveva potuto accompagnarlo, così gli aveva dato un biglietto in mano e gli aveva detto quando scendere e dove andare.
Su quell'autobus Kojiro aveva incontrato Jun che viaggiava da solo, vedendolo disorientato gli aveva parlato tranquillizzandolo. Si era sempre chiesto perchè l'avesse fatto.
Per Jun era stato più un gesto istintivo che altro, l'aveva visto perso e gli aveva parlato, tutto lì.
Ricordava ancora il loro dialogo e a quel punto, proprio mentre si baciavano, scoppiò a ridere. Dovettero separarsi e Kojiro raddrizzandosi lo guardò male.
- Ed ora che hai? - Jun dopo un po' si scusò, però rideva luminoso e non poteva arrabbiarsi.
- Mi sono ricordato quello che hai detto quando ci siamo conosciuti... -
Kojiro alzò le sopracciglia e Jun ripeté imitando la sua voce selvatica.
- La mia vita è solo un mare di merda, tutte le tappe in cui inciampo sono solo cessi di scarico, tutto qui! - Kojiro scoppiò a ridere a sua volta, non lo ricordava bene, ma era una frase da lui.
- Sì è da me! - disse ributtandosi sulle sue cosce che usava come cuscino. Si accomodò e lasciò che il silenzio tornasse mentre ricordava la sala mensa, il momento in cui aveva realizzato che era il fratello dell'essere più odioso di quell'istituto, Genzo.
Quasi un destino, dopotutto.
Di cose ne aveva passate sia fuori che dentro, ovviamente il meglio gli era capitato proprio lì, non rimpiangeva nulla di quel che aveva fatto una volta arrivato.
Dall'auricolare che si era tolto Jun, una musica particolarmente bella risuonò, un pianoforte malinconico. Se lo mise all'orecchio incuriosito ed insieme l'ascoltarono. A metà il dolore cantato con estrema bravura mutò e divenne gioia, il testo parlò di vittoria e luce e rinascita e Kojiro colpito e ammirato, disse:
- E' bellissima, di chi è? -
Jun sorrise. Era una delle sue preferite considerando che non era il suo genere.
- Linkin Park. Iridescent. -
- Proprio bella. -
Jun aveva appena trovato la canzone per l'intervista di Kojiro.