CAPITOLO V:
ULTIMI
TENTATIVI
Il
giorno successivo Genzo si trovò più sorpreso che mai nel rivedere
Karl che l’aspettava come al solito per andare insieme in mensa a
fare colazione.
Fra
tutte le mille reazioni che si era immaginato durante tutta la notte
in bianco, quella era stata l’unica mai considerata. Eppure era lì
ad aspettarlo.
Genzo
aveva trascorso le ore notturne sveglio ed aveva un aspetto
evidentemente sciupato, gli occhi arrossati e le occhiaie profonde,
per non parlare del suo broncio naturale ora accentuato dieci volte
di più.
Rimase
un attimo fermo davanti alla propria porta a guardare il compagno che
a sua volta ricambiava lo sguardo con uno come al solito
apparentemente indifferente.
Sembrava
tranquillo, come se niente fosse successo… e lui che era stato
convinto di averlo perso per sempre!
Oppure
era lì per dirgli di nuovo che gli faceva schifo?
Per
un momento la sua mente fu una lavagna nera e rimase bloccato a
fissarlo quasi inebetito, fu Karl stesso a parlare per primo con il
suo tono di sempre:
-
Non mi interessa quello che è successo ieri. Non deve ripetersi più.
Non voglio tornare sull’argomento. - Quando realizzò cosa
intendeva con quelle parole dure che non ammettevano repliche, al
moro venne quasi un colpo ed espressivo com’era non trattenne lo
stupore.
Gli
stava dando una seconda occasione.
Lui.
Il
ghiacciolo per eccellenza.
L’intransigente
numero uno.
Non
poté non pensare in un fiume in piena che quello poteva significare
solo una cosa estremamente evidente.
Karl
era innamorato di lui quanto lui lo era di Karl.
E
non era solo una pia illusione o l’impuntarsi di un ragazzo
viziato, ne era proprio convinto, cioè più di sempre.
Quello
ebbe il potere di rischiararlo repentinamente e come se fosse uno
schizofrenico assunse uno dei suoi famosi ghigni strafottenti di chi
sapeva che aveva ragione, proprio quelli che Karl amava ed odiava
allo stesso tempo, quindi gli andò davanti e con ironia disse:
-
Come sua maestà desidera! - Un semplice modo per sdrammatizzare e
nulla di più, ma per Karl fu molto di più. In quel preciso istante
capì che non avrebbe ancora affrontato la realtà e che le cose
sarebbero solo tornate come prima, invece che migliorare.
Si
chiese, mentre si avviavano insieme alla mensa, se non avesse
sbagliato a tornare da lui come niente fosse.
Mentre
rifletteva su quello anche Genzo lo faceva in un insolito silenzio,
dalla sua espressione ancora smaccatamente sadica si poteva
facilmente intuire che stesse pensando a qualcosa di poco
raccomandabile e se Karl l’avesse notata ne sarebbe scappato
picchiandolo prima di fargli fare una delle sue cazzate.
“Ora
un’idea ce l’ho, per sbloccare una volta per tutte la
situazione!”
Se
Karl aveva problemi ad ammettere che era attratto da lui, l’avrebbe
messo in condizione di scoprirsi platealmente e c’era solo un
metodo efficace per arrivare a quell’obiettivo.
Farlo
ingelosire.
Ancora
non sapeva con chi, ma appena l’avrebbe trovato non ci avrebbe
pensato un secondo di più.
-
Tsubasa, ti rendi conto che non puoi continuare a cambiare disciplina
ogni volta che diventi bravo in quella che fai? - Disse Roberto con
fare appena esasperato rivolto ad un ragazzo di diciassette anni con
pantaloncini e maglietta ed un’aria così serena che veniva da
chiedersi cosa ci facesse in un club di lotta.
-
Perché no? - Chiese senza capire il giovane al suo allenatore.
-
Perché la parte più interessante inizia una volta che diventi bravo
in una di quelle. - Spiegò con pazienza, pazienza che a quanto
pareva aveva solo con lui, l’unico eletto. Di norma era un tipo
molto duro e staccato e soprattutto non si toglieva mai gli occhiali
scuri e tanto meno sorrideva, ma con lui -e solo con lui- faceva
delle eccezioni.
-
E sarebbe? -
-
Le sfide! I combattimenti veri sul ring! Le gare! I campionati! - Si
intromise Genzo, suo coetaneo ed amico, che ascoltava allibito la
conversazione dopo aver appena finito il riscaldamento. Non poteva
credere che il suo amico fosse così fuori dal mondo. - Insomma,
menar le mani sul serio! - Esclamò in conclusione cercando di essere
il più chiaro possibile visto che quello pareva proprio non
arrivarci. Roberto ridacchiò fra sé senza però darlo a vedere,
quindi annuì.
Tsubasa
sgranò gli occhi spontaneo e con stupore dichiarò:
-
Ma è proprio per questo che cambio disciplina una volta giunto al
punto di iscrivermi alle gare! - Questo lasciò i due interlocutori
senza parole e guardandolo come avrebbero fatto con un alieno,
asserirono all’unisono:
-
Eh? -
Che
era diverso da tutti, strano ed incomprensibile ai più era risaputo,
ma addirittura matto era nuova!
-
Ma sì… - Fece allora Tsubasa tornando al suo candido sorriso
entusiastico: - mi piacciono le arti da combattimento ma detesto
combattere sul serio, l’idea di far male a qualcuno solo per una
stupida gara non mi piace, anzi, mi blocca. Ci ho provato, eh? Taro
mi aveva convinto a partecipare ad un campionato, ma poi vinto il
primo incontro ho visto come avevo ridotto male l’avversario e mi è
dispiaciuto così tanto che la volta dopo non sono riuscito ad alzare
un dito contro chi avevo davanti.
Se
so che è seriamente non ci riesco, per allenamento è differente…
mi posso fermare quando voglio, controllarmi… e poi mi interessa
imparare e saper fare, non vincere. Cioè non a discapito della
salute altrui! -
Questo
era il discorso più assurdo che si fosse mai sentito e mentre
l’ascoltavano, Genzo e Roberto assumevano sempre più l’espressione
da manicomio convinti che da piccolo dovesse essere caduto sbattendo
forte la testa!
-
Tu sei fuori! - Esclamò a quel punto il giovane ridendo divertito,
ne aveva sentite di stupidaggini ma quella era la migliore,
decisamente!
Meno
divertente lo trovava l’allenatore che scuro in volto -sia per
l’umore che per la carnagione- si tolse i suoi fantomatici occhiali
scuri e sovrastò il ragazzo che rappresentava la sua punta
all’occhiello per il talento che dimostrava in tutte le discipline
di lotta. O per lo meno lo sarebbe stato se si fosse deciso a fare
sul serio e partecipare anche alle gare!
-
Tsubasa, renditi conto che stai dicendo delle cose che non stanno né
in Cielo né in Terra. - Cominciò severo mettendo il ragazzo dai
capelli scuri in soggezione: - Se hai problemi di ansia nelle gare
ufficiali è un conto ed è normale per alcuni. Se invece li hai
perché ti dispiace fare male all’avversario… bè, hai sbagliato
sport! Non puoi praticare arti marziali e pretendere di non
combattere seriamente e non fare male a qualcuno. Cambia disciplina!
- Non era mai arrivato a dirglielo e come lo sentì Tsubasa ci rimase
malissimo risultando infine come un cagnolino dalla coda fra le gambe
e le orecchie basse. Questo però fece ridere più impunemente
l’insensibile Genzo che risollevò la tragicità -per Tsubasa- del
momento, facendo invece rindossare gli occhiali scuri a Roberto che
scosse il capo allibito.
Sospirò
e mettendo una mano sulle spalle di Tsubasa per risollevarlo
-evidentemente non riusciva a vederlo così, doveva essere il suo
unico punto debole, quel ragazzo- disse meno duramente:
-
Io e te più tardi facciamo un discorso, ora continua con il karate,
per favore… - Poi guardò Genzo: - Anche tu, torna ai tuoi soliti
allenamenti e piantala di ridere! - Con lui fu più severo poiché si
divertiva per una cosa che era più che drammatica! Come poteva fare
a meno del suo miglior allievo? Aveva appena appreso che rimaneva di
proposito al suo 50 % solo per coscienza troppo spiccata e sensi di
colpa assurdi!
In
tutta la sua carriera non si era mai imbattuto in una cosa simile.
Genzo
comprese vagamente la situazione e continuando a ghignare da solo,
riprese i suoi esercizi indossando il caschetto, ignorando totalmente
il nuovo arrivato che era appena entrato.
Non
gli diede la minima attenzione e nemmeno lo guardò in faccia, aveva
solo vagamente percepito la sua presenza, solo quando se l’era
ritrovato davanti notò il fisico piuttosto in forma ma al momento di
capire chi fosse non ebbe successo a causa del caschetto che gli
copriva gran parte del viso.
Non
riconoscendolo subito si era messo a testarlo trattenendosi del suo
80 % ma mano a mano che proseguivano la prova sotto lo sguardo
attento ed inquisitore di Roberto, si rendeva conto che anche se non
aveva mai praticato boxe, ci sapeva fare.
Aveva
proprio l’autentico istinto del pugile e sebbene lui stesso fosse
un fuoriclasse che nelle risse esterne al ring si tratteneva
separando il suo lato di esperto boxista, dimostrando un controllo
fuori dal comune, capì subito di trovarsi davanti ad uno che con i
dovuti aiuti avrebbe fatto strada.
Nello
schivare i suoi pugni a casaccio, si accese in lui in campanello. Era
come se li riconoscesse… quel modo di colpire buttando tutta la sua
rabbia e la sua forza senza misurarsi e ragionare, quella velocità e
potenza specifiche… che ci avesse già fatto a botte nei corridoi?
Cercò di riconoscerlo attraverso il caschetto, ma fra quello ed il
copridenti, non riusciva a visualizzare il suo viso come si doveva.
Aveva
la carnagione un po’ più scura di natura ed i capelli neri fino al
collo, ma più di quello non vedeva.
Ad
un certo punto, mentre continuava esclusivamente a schivare i suoi
colpi, notò la sua impazienza aumentare e capì che non gli piaceva
usassero trattamenti di favore come lui effettivamente stava facendo.
-
Non prendertela, ma se ti colpisco sul serio ti fracasso! - Disse
infatti con strafottenza. Nelle sue intenzioni quella era una
gentilezza, avvertirlo che si tratteneva per non ammazzarlo di pugni
non era una cosa che metteva in chiaro con tutti, però evidentemente
al destinatario di tanta educazione non piacque, infatti reagì
peggio di quel che potesse pensare, ringhiando con voce nota:
-
Non preoccuparti di me, pezzo di merda! Fai quello che fai con tutti!
- Nell’esatto istante in cui parlò -o meglio grugnì-, Genzo lo
riconobbe e senza ricordare il suo nome poiché non l’aveva
minimamente memorizzato anche se Jun li aveva presentati, decise
immediatamente di accontentarlo.
I
riguardi li poteva avere per chi se li meritava… quell’idiota non
era fra quelli e comunque controllandosi perché sapeva che non
poteva massacrarlo davvero come avrebbe voluto, lo assecondò
colpendolo con un pugno ben piazzato.
Il
ragazzo lo ricevette con stupore senza nemmeno vederlo arrivare,
indietreggiò ma non cadde e questo piacque al mittente poiché non
era da tutti rimanere su dopo uno dei suoi pugni di pugile.
-
Questo non era niente confronto a quelli che ho ricevuto in vita mia!
- Sbraitò a quel punto il moro che sembrava più una tigre che un
essere umano e senza pensarci un solo istante lo colpì a sua volta
con una rabbia tripla a quella che aveva usato prima.
Una
rabbia che Genzo capì subito essere indirizzata non certo a sé
stesso ma a qualcun altro che di certo non era stato troppo gentile
con quel tipo schizzato.
Ricevette
il pugno preciso, veloce e violento rimanendo ben saldo sulle gambe,
senza nemmeno indietreggiare, ma comunque carico di stupore.
Li
accolse il silenzio istantaneo di tutta l’ampia palestra, dove
ognuno si fermò per fissarli esterrefatti.
Quando
avevano visto uno nuovo in prova con Genzo non ci avevano dato il
minimo peso, ma sentendo quello ‘stok’ inconfondibile si erano
voltati senza credere che un pivello avesse potuto davvero colpire
quasi con facilità il loro campione di boxe.
Genzo
lo guardò e fu un lampo ma nei suoi occhi neri, per un istante
brevissimo, ci fu quella furia omicida che lo caratterizzava nei suoi
momenti di peggiore buio, quando per sfogare il carico tremendo delle
proprie tenebre andava lì e con quegli esatti occhi cupi e furiosi
massacrava il sacco appeso.
Roberto
lo percepì all’istante e si affrettò a fermare la prova con uno
sbrigativo: - Ok! - su cui aleggiò un vago sorriso.
Era
certamente contento di aver trovato un altro giovane lottatore in
gamba ma a Genzo non gliene importò niente. Si tolse il caschetto
rivelando la propria identità e vide l’altro fare lo stesso
confermando che la voce corrispondeva al viso che aveva riconosciuto.
-
Se avessi saputo che eri tu ci sarei andato giù ancora più pesante!
- Disse tornato calmo e strafottente come suo solito.
-
E’ per questo che ti sei deciso a colpirmi, alla fine. Perché mi
hai riconosciuto! - Grugnì seccato Kojiro sperando di poter
riprendere subito l’incontro.
-
Certo! - Sbottò Genzo con orgoglio, intenzionato a ricoprirlo di
pugni senza pietà la prossima volta che l’avesse rivisto!
Quel
tipo lo urtava proprio, aveva dei modi così fastidiosi che appena lo
vedeva non riusciva più a controllarsi. Era come se in un certo
senso minacciasse il suo territorio e quindi sentisse il bisogno di
rimarcarlo in ogni modo possibile, anche se a pensarci bene non
sapeva di che tipo di territorio potesse trattarsi. Non certo Karl.
Non
poteva ancora saperlo, non all’epoca, ma il suo istinto non aveva
sbagliato di nuovo visto che considerava territorio proprio anche suo
fratello Jun, attualmente nelle mire di Kojiro.
Ad
interrompere quel contatto visivo da ‘ti uccido all’istante’,
fu Roberto che rimise tutti ai propri lavori e fece avvicinare i due
spiegando che, siccome si conoscevano e che Genzo era esperto mentre
Kojiro molto dotato ma acerbo, il primo sarebbe stato il personal
trainer del secondo. Ordinando di lavorare insieme anche oltre il
tempo regolare del club per mettere il nuovo arrivato al pari con gli
altri, li lasciò soli senza lasciarli replicare.
Genzo
di primo acchito si schifò dell’idea di dover passare tanto tempo
con quello stronzo, poi però guardandolo con attenzione, specie
soffermandosi sul suo corpo niente male per essere un quattordicenne
che non aveva mia fatto sport, lasciò che la propria mente -a volte
ai limiti del malato- formasse una di quelle idee poco convenzionali
e da paura.
Mentre
si scrutavano per capire come sopravvivere a quello che si sarebbe
prospettato un periodo difficilissimo, il più grande assunse sempre
più una di quelle espressioni poco raccomandabili ed il suo ghigno
fu quanto di peggio Kojiro avesse mai visto; avrebbe comunque
compreso presto quali fossero le sue intenzioni nel guardarlo in quel
modo da proposta indecente, con fare estremamente seducente di
natura.
La
scena non sfuggì a Karl che nel club faceva judo, ma naturalmente
nessuno notò i suoi occhi affilati come lame di ghiaccio trapassare
il nuovo arrivato e quell’idiota del suo amico.
Che
non smettesse di pensare a Karl un istante era risaputo, ma che nel
fare sesso -o qualcosa che ci andava decisamente vicino- con qualcun
altro si immaginasse il suo corpo, questa era nuova.
Fino
a quel momento era andato con molte persone ed essendo bisessuale non
si era creato problemi né coi maschi né con le femmine. Però era
sempre riuscito a controllarsi, all’incirca, e a non immaginare di
avere di continuo il corpo di chi desiderava davvero.
Ora
non era così.
Da
quando aveva deciso di ‘farsi’ Kojiro per ingelosire Karl, la sua
mente era stata costantemente piena di lui.
Aveva
guardato la tigre davanti a sé e si era chiesto se fosse ancora
vergine, aveva realizzato che lo era e che probabilmente non aveva
fatto niente di tutto quello e dal suo bacio si era reso conto anche
che era incapace pure in quel settore. Gli era piaciuto essere il suo
insegnante sessuale, oltre che di pugilato, il suo ego si era nutrito
ampiamente e l’aveva indirizzato con esperienza sapendoci
decisamente fare.
L’aveva
avuto fra le sue mani praticamente inerme ed era riuscito a fargli
tutto quello che aveva voluto divertendosi non poco, invitandolo a
prendersi il resto delle lezioni supplementari quando voleva, ma una
volta solo sotto la doccia degli spogliatoi, si era trovato a
liberare sé stesso con le sue stesse mani.
Era
stata una tortura, anche se piacevole comunque -il sesso lo era
sempre!-
Aveva
pensato a Karl e toccato Kojiro. L’aveva toccato ed era impazzito
nel figurarsi il biondo nudo sotto la doccia. Se l’era immaginato e
aveva desiderato divorarselo e possederlo in ogni modo possibile. Ma
aveva sentito la voce di Kojiro gemere ed il suo corpo -e non quello
di Karl- tendersi e godere e aveva lottato per ricordarselo.
Ricordarsi
che quello era solo Kojiro, un passatempo, un mezzo per ingelosire
Karl e arrivare a lui. Kojiro e non Karl.
Fu
la volta più difficile di Genzo ed una volta solo poté liberare
tutta la propria tortura e scivolare fra le piastrelle, sotto il
getto dell’acqua calda, e concludere da solo pensando unicamente e
apertamente a colui che voleva davvero.
Dopo
aver raggiunto anche lui l’apice -da solo- si piegò appoggiando la
fronte sulla parete del box della doccia e sospirando insofferente,
mormorò:
-
Sto impazzendo… non posso continuare così… - E davvero si chiese
fino a quanto si potesse desiderare una persona, completamente e
profondamente, senza averla e rimanere anche sani.