CAPITOLO VIII:
MOMENTO
FRA FRATELLI
Lasciato
Genzo nel proprio letto dopo essersi assicurato che dormisse, si
raddrizzò e finalmente respirò con calma.
Solo
allora ebbe tempo di realizzare cosa fosse successo, prima non ne
aveva nemmeno avuto il tempo.
“Era
ora che si decidesse a chiedere aiuto.”
Pensò
con un certo sollievo Jun.
Non
era presunzione, la sua, solo che era rimasto tranquillo nell’ombra
ad osservare il fratello e sin dall’inizio aveva saputo che sarebbe
finita male, con Karl.
Se
non aveva ceduto subito alle evidenti avances di Genzo il motivo
poteva essere solo che non lo ricambiava, anche se non pensava che il
punto fosse così semplice, quel ragazzo sembrava tutto all’infuori
di quello.
Però
non aveva mai voluto intromettersi nei suoi affari, era una specie di
patto implicito che si erano fatti: sostenersi a vicenda ma senza
invadersi. Lasciavano sempre che l’altro facesse le proprie scelte
e solo quando veniva a chiedere esplicitamente aiuto, lo si poteva
dare.
Era
così che erano cresciuti e certo di difetti non ne avevano pochi,
però non erano dei pazzi assassini criminali e forse lo dovevano
proprio a questo equilibrio che erano riusciti ad instaurare fra
loro.
Ripresosi
si dedicò all’ospite che si accorse avere ancora in camera, a
Genzo avrebbe pensato il mattino seguente.
Quando
realizzò di essere rimasto solo con Hyuga si chiese cosa potesse
farne di lui… mandarlo via sarebbe stato ineducato e non voleva
assolutamente dare quell’impressione.
Ma
poteva dire che era solo per quello che lo tratteneva con abilità
mettendosi a fare conversazione?
Non
ebbe di nuovo tempo per pensarci ed anche se detestava agire senza
riflettere e ponderare adeguatamente, alla fine lo fece consapevole
che Hyuga non era uno molto paziente; se non gli avesse subito
offerto un motivo per restare sarebbe andato via.
E
si rese conto, in due secondi, di voler che rimanesse.
Cominciò
chiedendogli l’origine del loro incontro in corridoio… insomma,
com’erano finiti in camera sua in quelle condizioni?
Sorvolò
abilmente sul motivo per cui stavano amoreggiando in quel modo
trovando l’argomento imbarazzante e si focalizzò quasi senza pietà
sul soprannome che Genzo aveva usato per definirlo.
Sì,
perché era praticamente chiaro che con ‘tigre’ si riferisse a
lui!
Quando
gli chiese delucidazioni senza l’intenzione di stuzzicarlo, lo vide
imbarazzarsi e capì che per qualche strano motivo aveva trovato un
punto focale su cui conversare.
Inizialmente
non capì come mai si innervosisse tanto, ma trovandolo delizioso
continuò impietosamente a mettere il dito nella piaga. Un po’ per
capire come mai si rivoltasse tanto, un po’ perché era
effettivamente un ottimo svago.
In
breve la testa sfuggì totalmente da suo fratello che dormiva della
grossa sul letto di fianco a loro sistemati nelle due poltroncine e
si impegnò più che mai per gestire la conversazione a suo
piacimento.
Del
resto una delle sue caratteristiche era proprio quella: riuscire a
gestire chiunque e qualunque situazione.
Però
quando ad un certo punto Hyuga gli chiese delucidazioni circa una
cosa che evidentemente non aveva capito, si trovò stranamente quasi
preso in contropiede e non se ne spiegò il motivo, ma naturalmente
fu bravo a mascherare il proprio stato d’animo.
-
Sono una tigre? - Jun strinse impercettibilmente le braccia intorno
alle ginocchia che aveva tirato su, anche se non era una posizione
particolarmente elegante gli serviva per farsi coraggio. Non era
facile stare con lui, non dopo quella sera nell’aula di musica.
-
Sì… - Comunque non ci vedeva niente di male nell‘analizzarlo
e provando a pensare ad un approfondimento accettabile, scavò
velocemente in lui e tirò fuori le proprie considerazioni avute sul
ragazzo dal primo momento in cui l‘aveva incontrato: - si capisce
che hai passato qualcosa di brutto nella vita che ti ha indurito e
reso aggressivo. Attacchi tutti per primo, per non essere attaccato.
La tua non è altro che una difesa. Sembri un animale feroce, sia
nello sguardo, che nei modi di fare, che nell’essere. La tigre è
la più tremenda e indomabile. Secondo me tu le somigli molto. - Poi
rimase un attimo in silenzio, piegò la testa di lato ricordando quel
bacio a fior di labbra inaspettato che l’aveva messo in subbuglio,
tornò a sentirsi avvampare e sperò vivamente di non averlo dato a
vedere, poi seguendo un’intuizione portata proprio da quel gesto
insolito per uno aggressivo come lui, continuò assorto: - però un
segreto c’è. -
Vide Kojiro drizzarsi e tendersi verso di lui,
poi con bramosia di sapere, chiese:
- Cos’è? - Jun si sporse a
sua volta istintivamente, come ipnotizzato da chi probabilmente stava
ipnotizzando a sua volta, avevano entrambi un’espressione
estremamente intensa anche se diversa l’una dall’altra. Si
immerse nei suoi occhi neri come la pece, selvaggi come una tigre e
tormentati come un passato doloroso. L’attirava incredibilmente,
per un qualche motivo incomprensibile.
- Il segreto per arrivare a
te. - Non lo disse tanto per dire, quello che continuava a turbarlo
era che lo stesse esprimendo ad alta voce; era lieto però di
riuscirci con esterna calma. In realtà aveva uno strano batticuore
crescente eppure era estremamente preso dalla situazione, si
sentivano come ovattati in un altro mondo, separati da tutto, dal
passato e dal presente, senza nessun intruso lì vicino.
- Qual è?
- Domandò ancora Kojiro sempre più teso, sembrava proprio pendesse
dalle sue labbra ed era padrone di un fascino nuovo proprio perché
così diverso da sempre. Di parola in parola si trovarono ad
avvicinarsi senza accorgersene, solo col bisogno di ascoltare e di
penetrare. Cancellando tutto.
Perché volevano toccarsi dentro e
quello era il momento ed il modo. Jun non voleva pensarci, ma lo
sapeva perfettamente. Non serviva rifletterci, in realtà. Era fin
troppo chiaro, a quel punto.
- Amarti. - Quanto erano vicini,
ora?
Tanto da avere i rispettivi respiri sulla pelle.
Il
cuore che galoppava come un matto.
Il
sangue che scorreva veloce.
- Io non so cosa vuol dire. -
Ricevendo conferma di ciò che aveva sempre sospettato, si sentì
pieno di una fortissima voglia di spiegargli cosa fosse e di secondo
in secondo gli parve quasi che diventasse un vero e proprio bisogno
personale.
Non
perse tempo a sconvolgersi, in realtà lo vissero al rallentatore ma
fu tutto velocissimo.
E
forse fu proprio perché, di nuovo, non ebbe tempo di pensare, che
Jun agì in quel determinato modo.
Del
resto come spiegargli cos’era l’amore?
I
sentimenti?
Il
sentire quel calore dentro portato da un dolcissimo contatto profondo
con un’altra persona… qualcosa che in realtà non aveva mai
provato nemmeno lui, in quel modo.
Alla fine gli venne spontaneo
solo un modo e fu così che Jun mise definitivamente da parte la
ragione, lasciando spazio unicamente all’istinto.
Spostò
lo sguardo dagli occhi neri e selvatici alle labbra chiuse quasi
imbronciate, sembravano morbide e calde. Anche la sua pelle gli dava
quell’idea, al contrario della propria che era sempre fredda.
A
quel punto non c’era quasi più distanza fra loro, non gli rimase
che avvicinarsi per quel soffio e posare le labbra sulle sue.
L’accarezzò piano e calmo, poi decise che non poteva bastare per
fargli capire almeno un po’ l’amore, quindi uscì timidamente con
la lingua dal proprio territorio raggiungendo il suo, lo inumidì e
quando il contatto fu accettato e si infilò nella sua bocca schiusa,
lo trovò subito ben disposto a proseguire la seconda fase di quel
bacio.
L’altra
volta per Kojiro era stato il primo, infatti non aveva avuto la
minima idea di come si facesse e aveva solo toccato le sue labbra,
questa però rispondeva apertamente con un certo trasporto dopo il
primo momento di smarrimento e sorpresa.
Sicuramente
sapeva cosa faceva, sicuramente l’impressione che aveva avuto
prima, ovvero che suo fratello gli avesse insegnato un po’ di cose,
era vera.
Però
non provò alcuna gelosia, dopotutto stava andando a suo favore.
Come
ebbe quel pensiero andò totalmente in tilt e non capì più niente,
soprattutto come, da che si baciavano con calma l’uno nella propria
poltrona, a che Kojiro gli aprì le braccia, gli tirò giù le gambe
e gli salì sopra a cavalcioni, senza poggiarsi totalmente di peso.
Era
quasi prepotente nel tenergli il viso fra le mani ed impedirgli di
scappare, lo premeva contro di sé e gli toglieva il fiato facendogli
girare la testa.
Quel
modo di farlo suo era totalmente diverso e sconvolgente, incredibile.
Nemmeno lui aveva ricevuto un bacio simile, con Yayoi erano sempre
gesti d’affetto molto contenuti, nulla di lontanamente paragonabile
a quello.
Era
così… così prepotente… deciso… caldo… rendendosi conto che
era bollente e che la lezione sui sentimenti gliela stava dando
Kojiro, senza volerlo, una potente scarica elettrica l’attraversò
riportandolo brutalmente alla realtà.
Cosa
stava facendo?
Si
baciava con un altro ragazzo seduto sopra di sé e lo faceva con
trasporto e totale resa incondizionata. Con un po’ di insistenza
avrebbe potuto andare oltre e ci sarebbe stato.
Lui.
Jun
Misugi.
Fidanzato
con Yayoi Aoba, un’altra ragazza.
Non
aveva mai avuto contatti simili prima e questo sembrava talmente
piacevole da portarlo totalmente alla deriva, ma la verità era che
aveva degli obblighi, non era giusto né bello quello che stava
facendo, qualunque motivo avesse avuto.
Si
disse se non fosse impazzito e non avendo idea di dove avesse trovato
la forza, lo spinse via allontanandolo con decisione. O presunta
tale.
In
realtà tremava e dopo un primo momento, appena l’altro scese, si
raggomitolò su sé stesso tornando ad abbracciarsi le ginocchia,
quindi nascose il viso su di esse e si lasciò andare alla confusione
più totale.
Non
capiva più niente e non aveva nemmeno idea di come apparisse.
Improvvisamente
non sapeva nemmeno perché l’avesse fatto e gli avesse permesso di
esagerare a quel modo, sapeva solo che era stato tremendamente bello
e che non aveva provato niente del genere prima.
-
Devo pensare… - Disse flebile sperando vivamente di non essere
stato troppo brutale o maleducato. Sapeva che non era una reazione
splendida, ma per il momento si stava sforzando di rimanere in sé e
non era certo una passeggiata.
Voleva
solo piangere.
Stare
da solo e piangere al sicuro, lontano da chiunque esistesse là
fuori, soprattutto da Kojiro che gli aveva fatto sentire quello che
aveva solo sospettato potesse esserci ma che non aveva mai provato.
Quel
sentirsi vivo, vivo come non mai.
Quella
passione bruciante.
Quell’eccitazione.
Quel
volere di più nonostante fosse sbagliato.
Sì
che lo era, ma perché?
Sapeva
che lo era e questo bastava.
Ora
non riusciva a pensare lucidamente e a ricordare le cose importanti,
doveva stare solo, aveva bisogno di piangere.
Aveva
solo bisogno di piangere.
Un
bisogno disperato.
Da
morire.
Non
osò alzare la testa per guardarlo e si convinse che non ci sarebbe
mai più riuscito, però non voleva fare scenate e già lì apparire
così debole e turbato era insopportabile, ma non poteva farci
niente.
Quando
sentì la porta sbattere i suoi polmoni presero una fortissima
boccata d’aria e poi tornò di nuovo in apnea.
Strinse
gli occhi forte e lasciò che le lacrime rigassero le sue guance
mentre si sentiva meschino ed oltre a quello anche un completo
disastro.
Aveva
sempre sbagliato tutto?
Cos’è
che non aveva mai capito?
Ma
soprattutto stava con una ragazza ed aveva baciato un altro, non era
stato corretto, per niente.
Si
sentiva sporco e meschino, uno che ingannava il prossimo e non solo
Yayoi, anche Kojiro stesso. Perché sapeva d’averlo prima provocato
e poi rifiutato in quel modo.
Sapeva
di essere lui quello da biasimare.
Jun
era innanzitutto un tremendo critico verso sé stesso.
Si
morse il labbro forte e nel dolore interiore che sentì, la mente
volò a sua madre.
Un
piccolo e fugace pensiero:
“Perdonami,
ho infranto la promessa… non mi sono comportato bene, questa
volta.”
Jun
rimase tutta la notte rannicchiato sulla poltrona a pensare, fino a
che, con le lacrime che non volevano smettere di scendere -senza
spiegarsene poi il reale motivo di tanta disperazione-, si
addormentò.
La
mattina seguente alle prime luci dell’alba il primo a svegliarsi
con una gran voglia di vomitare, cosa che la sera prima non aveva
fatto e che ora pagava, fu Genzo.
Aprendo
gli occhi gli sembrò di essere nel momento del trapasso, quando
prima di sentire il sollievo si soffriva come cani.
Mille
lame affilate lo trapassavano per ogni centimetro di carne e la testa
sembrava posseduta dalla -magnifica- voce urlante di Chester dei
Linkin Park.
Convinto
di sentire anche le proprie ossa scricchiolare, si alzò con lo
stomaco attorcigliato che si muoveva con diecimila mattoni dentro che
stavano costruendo un grattacielo durante un terremoto dandogli una
nausea allucinante, come se non bastasse la testa gli girava
vorticosamente da steso, figurarsi quando si sarebbe tirato su.
Non
aveva smaltito fisicamente l’alcool ma per lo meno era lucido e
cosciente, capace più o meno di intendere e di volere.
Quando
provò ad alzarsi per andare a vomitare di forza, si fermò
rendendosi conto di non essere in camera propria e non ricordando
minimamente cosa fosse successo la notte precedente, corrugò la
fronte sentendosi addosso una puzza atroce di vodka.
Immaginò
che dovesse essersi ubriacato, anche perché i sintomi li conosceva
ed erano quelli, poi dedusse anche che probabilmente in qualche modo
-e non voleva proprio indagare oltre- era finito da Jun. Riconobbe la
foto sul suo comodino e dicendosi che riconoscere volti e stanze era
positivo, cercò il fratello con aria confusa.
Se
gli aveva occupato il letto tutta la notte lui dove era stato?
Lo
cercò per la stanza sperando vivamente che non fosse in qualche
sistemazione scomoda, ma con orrore e contrarietà vide che era
proprio così.
Raggomitolato
su sé stesso nella poltrona, il viso nascosto fra le braccia
incrociate sulle ginocchia, tutto piegato di lato pareva dormisse.
Quanto
male doveva stare, in quella posizione?
Avrebbe
potuto andare in camera sua…
Storse
la bocca e fece una serie di smorfie di varia natura, un po’ per i
dolori ed un po’ per disaccordo, infine si alzò e barcollante come
fosse ancora ubriaco giunse al ragazzo. Si appoggiò ai braccioli
della poltrona e scuotendolo con tutta la delicatezza che gli riuscì
-più brusco di così non poteva essere-, lo chiamò con voce roca
d’oltretomba.
-
Jun! Jun, vai nel letto! - Se fosse stato in forze l’avrebbe messo
lui stesso dal momento che il fratello pesava la metà e che i propri
allenamenti di boxe a qualcosa servivano, ma non sarebbe stato in
grado di alzare uno spillo, così finendo per posare la fronte sulla
sua testa con fare stremato, fece un secondo tentativo spingendo come
fosse una campana da suonare.
-
Jun, porco cazzo, svegliati! Mica hai avuto un infarto! - Questo
funzionò ed il giovane si mosse, ma quando aprì gli occhi e lo
guardò spaventato per un risveglio così traumatico, Genzo sussultò.
Certo
non erano entrambi un gran bello spettacolo da vedere!
Consumati,
turbati e addirittura allucinati, si notava subito la pessima nottata
di tutti e due.
Infatti
all’unisono e con voce tremendamente simile, dissero:
-
Stai male? - Domanda ovvia in entrambi i casi visto quanto era
evidente!
Genzo
non facendocela più a stare in piedi si accasciò davanti a Jun e
prendendosi il viso fra le mani se lo strofinò cercando di
riattivarsi. L’altro abbassò le gambe districandosi e il maggiore
si appoggiò sopra coi gomiti inginocchiandosi a terra, senza avere
la forza di piazzarsi nell’altra poltrona accanto.
Sospirarono
e attesero che il mondo smettesse di suonare la Toccata e fuga di
Bach, quindi rimanendo in quella posizione insolita per loro, si
guardarono con stupore per ciò che leggevano nello sguardo altrui.
Preoccupazione
per chi avevano davanti.
Erano
in pensiero a vicenda ed i propri rispettivi guai erano belli che
dimenticati.
-
Come stai? - Chiese Jun notando che Genzo si era appollaiato ai
propri piedi perché non era in grado di reggersi oltre. Lo sentiva
come un peso morto sulle ginocchia e la cosa lo rendeva apprensivo
tanto da scordare il motivo per cui gli bruciavano tanto gli occhi
che sentiva gonfi.
-
Male! - Non sapeva mentire, non a lui. Jun sorrise divertito dalla
sua schiettezza e con dolcezza, uno stato d’animo che dimostrava
solo a lui e solo di rado, gli carezzò fraterno la fronte
sistemandogli un po’ i capelli che sembravano un campo di
battaglia. Genzo si lasciò placidamente fare e si sentì come
rinascere -anche se stava comunque ancora malissimo-, gli piaceva
quando suo fratello aveva quelle dimostrazioni nei propri confronti,
erano davvero rare e solitamente si imbarazzava e basta, ma quando le
aveva era sempre perché gli servivano quindi diventava come un
agnellino.
Rimasero
un po’ in silenzio a contemplarsi da vicino, in quella posizione
strana e affettuosa, quindi Jun fece cadere la mano e sospirò:
-
Ci hai dato dentro con l’alcool stanotte. Ti… ti ricordi
qualcosa? - Chiese vago non sapendo nemmeno cosa sperare viste tutte
le cose successe in quelle ore traumatiche.
Genzo
si oscurò cercando di ricordare ed in quello la testa gli fece un
male atroce, ma delle immagini, o meglio delle parole, gli tornarono
alla mente e subito dopo si ricordò che la voce associata ad esse
era quella di Jun.
Parole
qua e là e poi solo una effettivamente importante.
-
Ho deciso di chiudere con Karl. Non mi vuole. Non c’è verso.
Basta. - Disse quindi ricordandolo e volendo farne a meno. Fu dura da
dire e lo fece laconico ed incisivo senza dilungarsi troppo. Poi si
aggrappò al resto di quel che aveva ricordato, qualcosa di
decisamente migliore: - E tu hai detto che mi avresti aiutato. -
Non
sorrideva, era più cupo che mai, non si vergognava nemmeno di
niente, non ne aveva la forza, però fissava gli occhi di suo
fratello alla ricerca di quell’aiuto che era certo gli avesse già
dato in qualche modo, in un modo che non ricordava ancora ma che
sicuramente era stato.
Jun
piegò le labbra in un segno di dispiacere, poi sorrise incoraggiante
ricordando bene ogni cosa.
-
Andrà tutto bene, ce la farai. Hai molti amici che hai trascurato
per lui, vedrai che sapranno starti vicino e darti quello di cui hai
bisogno ora. A volte non puoi fare tutto da solo, devi lasciare che
qualcuno dia alcuni pugni al posto tuo. Non sei solo. In questi
momenti l’unica cosa che ti può aiutare è la presenza di chi ti
vuole bene per quello che sei. Non so quanti sono, fra i molti amici
che hai, ma qualcuno di sicuro c’è. Sta con loro. Ti renderanno
tutto più sopportabile. - Infine piegò la testa di lato e gli fece
un’altra fugace carezza di nuovo con quel suo fare fraterno davvero
molto dolce e amorevole, un lato di sé che nessuno gli avrebbe mai
visto. - E poi quando penserai di non farcela, come ieri sera,
vieni da me. Ma prima di affogare nella vodka. -
Genzo
lo ascoltò guardandolo dal basso della sua postazione e si accorse
di essere quasi in adorazione di quello che gli appariva come un
angelo. Sapeva bene che in realtà non lo era perché conosceva i
suoi lati nascosti, i suoi difetti e quella sua fissa di fare il
bravo ragazzo per non deludere loro madre. L’aveva sempre
considerata una cavolata immensa, ma non si era mai intromesso, non
poteva capirlo, aveva vissuto la loro tragedia in modo diverso…
però l’aveva sempre accettato perché era suo fratello.
Ed
ora aveva bisogno a sua volta d’aiuto.
Dopo
averlo ascoltato ed essersi preso ciò di cui aveva bisogno, indurì
la propria espressione ed incupendosi per un altro motivo, gli chiese
diretto ed accusatore:
-
Che diavolo ti è successo? - Jun preso in contropiede non seppe cosa
rispondere e si sentì confuso. Cosa doveva dire a quel punto?
Fissò
gli occhi neri e tenebrosi di suo fratello, così magnetici anche se
sofferenti e allucinati. Era estremamente concentrato e sapeva che
avrebbe capito da solo ogni cosa, che glielo avesse detto o no. Non
avevano molti momenti intimi e fraterni, ma quando ne avevano
entravano subito in sintonia e a costo di essere estremamente diversi
dal loro solito, si arrivavano subito in profondità. Sapevano come
prendersi e non riuscivamo a mentirsi o nascondersi le cose
importanti.
Alla
fine, pur con un enorme imbarazzo, decise di dirgli tutto.
-
Ti ha portato qua Hyuga… - Esordì arrossendo pronunciando il suo
nome. Genzo capì subito che dovesse essere poi successo qualcosa fra
loro due e come un cane da caccia partì in quarta senza farlo
finire:
-
Cosa ti ha fatto? - Chiese accusatore nei confronti del suo compagno
di pugilato.
Lo
conosceva abbastanza da sapere che aveva modi dell’altro mondo…
poteva anche aver tentato di violentarlo, per quel che ne sapeva!
L’avrebbe
ucciso!
Jun
rispose subito proprio per evitare che l’intenzione omicida si
trasformasse in fatto:
-
Niente di male! Mi ha aiutato con te e quando ti sei addormentato gli
ho chiesto cosa fosse successo… abbiamo parlato un po’ e poi… -
si morse il labbro e vide un secondo scatto nel fratello che fece per
alzarsi sicuramente per andare dall’altro a prenderlo a pugni. Jun
lo prese per le spalle e lo spinse giù, poi con fatica proseguì
pieno di imbarazzo, abbassando lo sguardo: - l’ho baciato. - Genzo
si fermò andando totalmente in confusione.
Certo
di aver sentito male, disse:
-
Lui ti ha baciato. -
-
No… - Fece allora come se venisse torturato e provando di nuovo
l’istinto di rannicchiarsi su sé stesso per nascondersi, ma da suo
fratello a cosa serviva? - Sono stato io. Non so perché. Si parlava
di amore e lui non sapeva cos’era perché non l’aveva mai
provato, così non sapendo come spiegarglielo… l’ho baciato…
non ho idea di che collegamento mentale io abbia fatto, mi sembrava
ovvio stanotte… - Sospirò passandosi le mani fra i capelli
leggermente scompigliati, poi continuando a fissarsi le gambe su cui
era appoggiato il fratello che invece lo fissava sconvolto senza
credere a quel che sentiva, andò avanti: - Lui ha ricambiato subito
e ha preso il sopravvento, nulla di che, ha solo gestito il bacio.
Solo che mi ha sconvolto, mi sono accorto di quello che stavo facendo
e l’ho mandato via. Non mi sono comportato bene e poi ho tradito
Yayoi di mia iniziativa e consapevolmente. Cioè, mi sono comportato
male in ogni campo! -
Genzo
non poté frenarsi ed esclamò sincero:
-
Tutto qua? Sapessi io quante cose ho fatto decisamente più
discutibili in vita mia! - Non era un modo per tirarlo su, lo pensava
davvero e questo Jun lo capì, infatti lo sollevò un po’. Però
continuava a pensare che avesse sbagliato tutto e che comunque fosse
da biasimare.
-
Per te non è grave ma per me sì. Chi sono è una cosa, chi faccio è
un’altra. Cioè… ci tengo ad essere corretto, lo sai, e stanotte…
bè, ho baciato un altro ragazzo, un ragazzo, capisci? Mentre io sono
fidanzato con un’altra! E poi ho mandato via questo poveretto che
non c’entrava… - Per lui era strano parlare tanto di sé e di ciò
che provava, ma poteva farlo solo con Genzo ed in certi momenti,
quando proprio non ce la faceva più.
A
quel punto anche il resto venne spontaneo all’altro che lo guardava
ancora come fosse un alieno:
-
Allora, intanto sul fatto che quello sia un poveretto avrei qualcosa
da ridire, anche perché quello ha approfittato spudoratamente di te
e della tua confusione… e credimi che ne è stato contento! - Jun
arrossì di nuovo. - E poi non capisco… tu non hai pianto per
questo. Certo ti secca esserti comportato in modo scorretto, però
non hai pianto per questo. - senza discutere sul fatto che così
fosse, aveva capito subito che aveva pianto e soprattutto che non era
per ciò che aveva detto.
Il
fratello strinse le labbra e sospirò in difficoltà, così distolse
di nuovo lo sguardo dal suo penetrante e capì che doveva solo
togliere il proprio freno e lasciarsi andare. Con lui andava bene. Ne
aveva bisogno.
Così
con liberazione parlò senza rifletterci, ascoltandosi per la prima
volta, con profondo stupore. Sentendosi più strano che mai, ma via
via che parlava andava sempre meglio.
-
Io… credo di aver sbagliato tutto fin’ora… - Genzo si sorprese
di nuovo ascoltandolo ma capì subito perché lo disse e a cosa si
riferiva.
-
Ti è piaciuto? - Jun si morse il labbro e annuì colpevole e
mortificato, la pelle del viso non era mai stata tanto viva e
colorata ed era delizioso da guardare. Sapeva che non sarebbe stato
così per molto. - Non è mica una brutta cosa… è un bacio e poi
lo sai come la penso sull’omosessualità. Succede, non puoi andare
contro la tua natura. C’è chi lo è e chi non lo è, alcuni non lo
scoprono per tutta la vita, altri lo scoprono subito ed altri ancora
lo scoprono solo ad un certo punto. Non è giusto o sbagliato.
Semplicemente succede. - Semplicistico più che mai. Non era colpa
della scarsità di movimento neuronale a quell’ora del mattino e
con le conseguenze di una sbornia, ormai era attivo. Quello era
semplicemente lui. Uno dei suoi pregi era di saper semplificare anche
le cose più complicate!
Per
Jun però non era così facile. Si strinse nelle spalle e si strofinò
le braccia incrociandole sul petto. Genzo interpretò quel gesto come
un moto di freddo e lo fece al suo posto sostituendosi alle sue mani,
fu così il suo turno di essere stranamente affettuoso come poche
volte lo era. Sia in quel modo che con Jun.
Il
fratello si lasciò fare rigenerandosi in quel gesto premuroso, così
riuscì a dire meno appesantito:
-
Non lo so, immagino tu abbia ragione. Non è forse tanto un problema
di omosessualità. Forse. Non so. È che… non pensavo che potesse
esistere qualcosa di così forte e sconvolgente. Qualcosa di così
caldo, passionale, devastante. Io ho sempre pensato che il meglio che
potessi pretendere da un rapporto interpersonale, fosse quello con
Yayoi. Sopportazione. Lei semplicemente è una delle poche che non mi
dà sui nervi. Cioè che accetto, con cui riesco a stare perché non
è invadente e soprattutto non oppressiva. Non so se mi vede come una
divinità, come gli altri, però anche se è così non me lo dà a
vedere e non mi pesa. Io pensavo che di meglio non ci fosse. Ed era
tutto molto contenuto e freddo, spesso. Però con lei avevo la pace,
non era una cosa da poco. È solo che… che ho scoperto che c’è
altro. Ci sono dei sentimenti, l’amore, la passione…
l’eccitazione… il desiderio… il calore… ho sempre sbagliato
tutto. -
Ascoltandolo
Genzo non si stupì molto, lui quelle cose già le sapeva ma aveva
dovuto aspettare che fosse l’altro ad accorgersene. Sapeva di
quella sua convinzione che l’amore fosse pace e rispetto reciproco
e non passione e desiderio, ma sapeva anche che prima o poi qualcuno
gli avrebbe fatto scoprire tutto il resto. Solo gli stava sulle palle
che fosse stato proprio quell’idiota!
-
Jun… stai parlando al passato. - Lo fermò focalizzando
l’attenzione su un punto nodale del discorso.
L’altro
lo guardò stupito senza capire.
-
Eh? -
-
Tu pensavi che di meglio non ci fosse. Era tutto molto contenuto e
freddo. Con lei avevi la pace… tu l’hai già lasciata. - Con
questo lo demolì, ma non sapeva essere più delicato, lo era stato
abbastanza, per i suoi canoni. Smise di carezzarlo sulle braccia ma
lo tenne lo stesso come per fare la sua ancora sul mondo reale.
Lo
vide sconvolgersi nel realizzare che era davvero così e alzò gli
occhi nei propri con smarrimento. Stava pensando che era vero, lo
sapeva.
Sorrise
con sicurezza facendogli forza ed incoraggiandolo, non serviva
aggiungere altro, infatti dopo un po’ di lungo silenzio, Jun con un
ultimo sospiro lasciò cadere la testa all’indietro a guardare il
soffitto con dispiacere:
-
Non è quello che ho con lei, ciò che voglio. Prima che pensavo che
non ci potesse essere di meglio sì, ma ora che so che c’è altro…
voglio questo altro… credo… però mi serve del tempo per
rifletterci meglio, non so bene ancora, non è un passo facile. Ma è
vero, non la posso prendere in giro ora che so che non è con lei che
voglio stare. -
Certamente
non si era comportato bene, quella notte, ma non avrebbe continuato
così.
Se
non altro con lei le cose le doveva sistemare e poi avrebbe chiarito
anche con Kojiro perché anche a lui doveva delle spiegazioni. Doveva
scusarsi per averlo mandato via in quel modo dopo averlo baciato.
Genzo
lo vide confuso e dispiaciuto ma comunque più sereno e sollevato,
così lui stesso si sentì meglio rendendosi conto di non aver più
pensato a Karl e alla propria colossale delusione amorosa, così capì
cosa aveva inteso Jun prima.
A
volte non poteva fare tutto da solo, doveva lasciare che qualcuno
desse un pugno al posto suo. Le persone che per lui contavano e che
lo conoscevano per quello che era… erano loro che l’avrebbero
aiutato.
Sorridendo
confuso appoggiò la testa sulle cosce del fratello e si accomodò
meglio di prima continuando a cullarsi in quella sensazione piacevole
che lo stava facendo andare avanti.
Certe
cose semplicemente non le si poteva avere, combattere per esse era
giusto ma poi dopo aver fallito con ogni mezzo, si doveva saper
guardare in faccia la realtà ed andare avanti.
Qualcosa
avrebbe fatto, anche se doveva chiudere un capitolo.
La
mano di Jun che si immerse fra i propri capelli fu quanto di più
rigenerante potesse sentire in quel momento, di nuovo, come prima, e
rimase immobile a bearsi di quel raro ed insolito momento fra
fratelli che probabilmente non si sarebbe più ripresentato per altri
cinque anni!
Però
era bello sapere che entrambi c’erano sempre nel momento del vero
bisogno e che solo loro due sapevano come aiutarsi e come capirsi.
Era
davvero bello.