CAPITOLO IX:
VOLTANDO
PAGINA
Il
tentativo di uscire coi capelli umidi lo fece ma fu subito fermato
dalla voce tonante e severa di Genzo che lo obbligò ad asciugarseli
per bene.
-
Dì, vuoi ammalarti e finire all’ospedale? - Sebbene lui invece li
tenesse bagnati, era ovvio perché l’avesse detto e non era nemmeno
un’esagerazione. Era vero che ogni volta che Jun si ammalava
rischiava un infarto, dipendeva dalla gravità dell’influenza o
della malattia. Per questo motivo padre e fratello erano molto
apprensivi con lui.
Il
giovane sospirò rassegnato:
-
Volevo sbrigarmi per parlarle prima della colazione e delle lezioni.
- Rispose con calma dopo essersi sistemato. Avevano entrambi già
fatto la doccia solo che il più piccolo era quasi del tutto pronto
mentre Genzo girava ancora in asciugamano e tutto gocciolante. Lui
poteva permetterselo, aveva degli anticorpi incredibili.
Probabilmente era perché anche i virus avevano paura di lui!
-
Non me ne fotte un cazzo, non voglio sentire nemmeno un tuo starnuto!
- Sbottò secco l’altro indicando con un gesto sbrigativo del capo
di tornare al bagno. Ormai si erano rassegnati a condividere la
camera per il resto della notte e della mattina fino all’ora della
colazione, quindi prima uno e poi l’altro si erano fatti la doccia
e sistemati.
Jun
strinse le labbra in segno di disapprovazione, ma alla fine obbedì e
finì di asciugarsi i capelli. Una volta che anche l’ultimo filo fu
perfettamente asciutto e sistemato, passò accanto a Genzo ancora
mezzo nudo e gli diede un amichevole pizzicotto al fianco scoperto.
-
Ci vediamo più tardi. - E sapevano che una volta usciti da quella
porta, tutto sarebbe tornato come prima e non perché nessuno doveva
capire quanto fossero legati, bensì perché il momento del bisogno
era superato ed il resto lo potevano affrontare da soli.
Perché
semplicemente loro erano fatti così.
Non
avevano bisogno di plateali e specifiche dimostrazioni d’affetto
per essere fratelli. Lo erano indipendentemente da come stavano
insieme.
Una
volta fuori Jun sospirò e si fece interiormente coraggio, non era
facile fare quello che stava per fare. A parte i propri sentimenti
per lei, Yayoi era l’unica che non le aveva mai dato fastidio ed
anche solo per quello meritava tutto il rispetto possibile… e
magari anche di soffrire quanto meno fosse necessario.
Eppure
non era un’idiota.
Comunque
ci sarebbe stata male, in ogni modo l’avesse messa.
Avrebbe
ugualmente fatto del suo meglio, lei se lo meritava.
Quando
bussò alla porta della sua camera, lei aprì stupita ma era già
pronta. Si svegliava presto per ripassare le lezioni, solo che
condividendo la camera con altre due ragazze che avevano lo stesso
vizio, sapeva non avrebbero potuto parlare lì.
-
Jun… è successo qualcosa? - Normalmente si incontravano alla
solita ora davanti alla mensa, sempre comunque prima degli altri.
Lo
capì subito ed il ragazzo si stupì anche di questo, sorrise
compiaciuto ed intenerito, quindi consapevole che prenderla per mano
sarebbe stato da ipocrita, le chiese con gentilezza:
-
Devo parlarti, puoi venire? - E perché non potesse aspettare un
orario più accettabile era impensabile chiederlo. Yayoi sorrise
tirata capendo al volo che non le sarebbe piaciuto e con un
batticuore evidente avvertì le sue amiche ed uscì. Avviati l’uno
di fianco all’altra per i corridoi, percorsero tutta la strada in
silenzio mentre lei si lasciava condurre in un luogo tranquillo.
Il
solito dove lui andava per stare in pace col mondo o sé stesso.
L’aula
di musica.
Sapeva
che per Jun era un luogo sacro e quando notò che l’aveva condotta
proprio lì cominciò seriamente a preoccuparsi, capendo che il
momento tanto temuto era arrivato.
Perché
era vero, l’aveva sempre saputo.
Se
lui non aveva mai pensato potesse esserci niente di meglio del loro
rapporto, lei invece sì. Sì che lo sapeva, solo che aveva sperato
se ne accorgesse il più tardi possibile, consapevole che più di
quello non avrebbe potuto dargli né tanto meno avere da lui.
Non
si poteva recriminare qualcosa a qualcuno, era semplicemente così
che certe cose andavano. Da come nascevano uno se ne accorgeva
subito, a meno che non avesse qualche serio problema con la propria
coscienza, ma a volte si ignorava tutto perché c’era qualcosa di
più importante che assecondare il destino.
Crederci
e pazientare era stato tutto ciò che le era rimasto, ma ora sapeva
che se poteva fare un’ultima cosa per Jun, il primo ragazzo di cui
si fosse mai seriamente innamorata, era proprio concludere la loro
storia così come l’avevano vissuta.
Senza
problemi.
Si
accomodarono nelle sedie dell’orchestra spostando dei leggii,
avevano acceso solo l’ultimo fascio di luci poiché la sala era
davvero molto ampia e spaziosa. Il resto era all’ombra e gli altri
strumenti, quelli fissi, si intravedevano appena. Avrebbe volentieri
suonato qualcosa per farsi coraggio, Jun, ma decise che l’aveva
tirata già troppo per le lunghe.
Alzò
lo sguardo sulla ragazza e l’osservò con morbidezza. Carezzò con
gli occhi i suoi capelli rossi lisci ed ordinati sulle spalle che
arrivavano elegantemente fino a metà schiena, il viso leggermente
lentigginoso e delizioso per questo, i grandi occhi neri e quei
lineamenti fini ed aggraziati. Era una bella ragazza, a partire dallo
stile semplice ma impeccabile e dai movimenti aristocratici. Le
venivano naturali.
L’aveva
notata subito quando si erano incontrati in istituto e da subito
aveva pensato che fosse una principessina mancata e che accanto a lui
sarebbe stata perfetta, perché lui doveva diventare a tutti i costi
un principe!
Lì
però non riuscì a trattenere la mano che finì per carezzarle la
guancia. Yayoi fremette ma rimase immobile, dritta e rigida,
sorridendo forzatamente con gli occhi lucidi.
Si
stava costringendo incredibilmente e solo per lui, sapeva che invece
era agitatissima.
Era
davvero l’unica ad aver capito come desiderava gli altri si
approcciassero a lui.
In
modo che non gli creassero problemi.
Rispettò
i suoi sforzi, oltre che la sua persona e cosa aveva fatto per lui, e
cominciò cercando quella delicatezza e diplomazia in grado di non
farle troppo male.
-
Non hai fatto niente di male. - Esordì contenuto e malinconico.
Dopotutto gli dispiaceva davvero. Lei rimase immobile, respirava il
meno possibile. - Sei stata preziosa e sono stato molto bene con te,
credo che sia solo colpa mia perché onestamente incontrandoti avevo
escluso di pari passo il resto del mondo, convinto che niente potesse
esistere oltre te. Che tu potessi essere l’unica in grado di
realizzare i miei desideri di pace e serenità. E sai una cosa? È
vero. Sei l’unica che ci riesce, perché sai come fare per darmi
quelle sensazioni. Il problema è che non ho mai considerato l’idea
che invece volessi altro, oltre la pace e la serenità. -
Yayoi
prese coraggio e ignorando lo stomaco che si contorceva
spasmodicamente riuscì a domare anche la smorfia di dolore.
-
Vuoi dire che vuoi altro e che non sono in grado di dartelo? - Per un
attimo Jun ponderò l’idea di negare, ma sapeva quanto peggio
sarebbe stato perché lei lo capiva e sapeva che avrebbe mentito. Non
era una ragazza qualunque.
Il
giorno in cui aveva incontrato Kojiro gli aveva chiesto come era
andata e non lo faceva mai, sapendo cogliere dalla sua espressione se
fosse andata bene o male. Invece glielo aveva chiesto come se avesse
captato qualcosa di diverso dal solito.
Ecco
perché il modo più giusto e delicato di dirglielo era essere
sincero ma senza andare nei dettagli.
Così
liberò il dispiacere in una lieve inclinazione sincera e rispose:
-
Non vorrei ma è così. Io… è come se stessi scoprendo ora il
mondo e mentre lo faccio voglio stare solo perché non so cosa potrei
apprendere. Potrei ferirti ulteriormente più di quanto non lo stia
facendo ora e non voglio. Voglio che tu sia libera, un domani, di
ricostruirti e andare avanti, perché non è con me la tua vita. E
fin qua abbiamo davvero fatto tutto quello che potevamo l’uno per
l’altro. - Poi aggiunse sorridendo malinconico: - O per lo meno
spero di avertelo dato. -
Yayoi
aveva le lacrime agli occhi ma non avrebbe mai pianto, l’avrebbe
fatto stare troppo male e se lui la lasciava per vivere, vivere
davvero, finalmente, allora andava bene. Perché sapeva che sarebbe
stato felice.
Cosa
che fino a quel momento non era ancora stato.
Sorrise
e si allungò posandogli un bacio leggero sulla guancia, quindi lo
accarezzò e mormorò:
-
Va bene così. E’ stato bello. - Dopo di ché, arrivata davvero al
limite, uscì di corsa dall’aula liberando finalmente le lacrime
più dolorose che avesse mai versato fino a quel momento.
Jun
sapendo che era andata a piangere, si coprì il viso come un gesto
contro sé stesso e si appoggiò stanco allo schienale che aveva
davanti.
In
un modo o nell’altro un capitolo importante della sua vita si era
appena concluso.
Non
ci aveva pensato fino a che non aveva messo il naso fuori dalla
camera di Jun.
“Ed
ora?”
Il
problema non era trascurabile visto che da quando viveva in istituto,
ogni sacrosanta mattina mandata da Dio sul mondo Genzo l’aveva
passata andando a prendere Karl alla sua stanza o facendosi venire a
prendere da lui.
Si
fermò prima di incamminarsi in una qualunque direzione e si chiese
cosa mai potesse fare.
Andare
da Karl era fuori discussione, suo fratello era alle prese con la sua
ormai ex principessa… dunque?
La
solitudine sarebbe stato il suo destino?
Ma
diceva davvero?
Cioè
pensava di non avere altri amici?
E
come mai aveva sempre accusato Karl di non averne se poi anche per sé
la storia era identica?
No,
si disse secondariamente.
Era
impazzito.
Non
era possibile non avesse nessuno, lui era il più popolare della
scuola, gli sarebbe bastato uno schiocco di dita e avrebbe avuto
intorno qualcuno.
Per
un momento soppesò l’idea di accodarsi ad un gruppetto qualunque,
ma mentre cominciò ad avviarsi per la mensa ebbe l’illuminazione.
Un’illuminazione portata dalla voce allegra e squillante di una
persona che quando c’era non passava mai inosservata.
Si
girò e con un sorriso che probabilmente più strano non poteva
essere, salutò Tsubasa in compagnia del solito Taro. Il terzo
inquilino, ovvero Hikaru Matsuyama, si era defilato subito dagli
altri suoi amici, Hyuga, Wakashimazu e Sawada. Probabilmente
allergico alle zuccherose compagnie di quei due.
Li
osservò mentre si avvicinavano a lui con passo svelto ed espressioni
allegre. Come facessero di prima mattina ad essere così era di certo
un mistero, ma per il momento potevano andare più che bene.
In
effetti era davvero impossibile non essere amico di Tsubasa anche
perché non faceva pesare mai niente, sia che uno decidesse di
accodarsi a lui improvvisamente e magari per secondi interessi, sia
che sparisse preferendo altre compagnie.
Era
l’amico ideale e rendendosi conto che dopotutto la separazione da
Karl poteva significare scoprire delle nuove persone e farsi nuovi
amici, si ricordò le parole di suo fratello di poche ore prima.
Era
negli amici che doveva trovare la forza di superare quel momento
difficile.
Ricordandolo
il suo sorriso divenne più radioso, seppure non dei massimi livelli,
e affiancati i due ragazzi che lo salutarono entusiasti battendogli
la mano sulla schiena, disse:
-
Che dite, posso unirmi a voi per la colazione? - Si preparò
velocissimo una scusa per Karl ma si accorse che qualunque cosa
avesse potuto dire sarebbe stato sciocco. Non c’era mai stato Santo
a riuscire a separarli... e poi avevano proprio litigato il giorno
prima.
-
Ma certo! Oggi non sei tardi, mi stupisci! - Rispose Tsubasa con
allegria contagiosa.
-
Tsubasa, non dovresti fargli notare certe cose! - Lo corresse Taro
con la sua solita gentilezza.
Il
compagno si rese conto di essere stato inopportuno e con una mano
sulla bocca guardò Genzo che camminava con loro che invece ghignò
divertito dal piccolo siparietto naturale.
-
Ma figurati, ha ragione… se i miracoli succedono bisogna farlo
notare! - Disse infatti come niente fosse. Era molto bravo anche lui
a domare certi stati d’animo… del resto lui e Jun erano fratelli,
anche se solo da parte di madre.
-
E’ vero, lo vedi? Anche lui lo dice! Se i miracoli succedono
bisogna evidenziarli! - Fece con voce sempre più acuta che penetrava
via via il cervello come avesse degli amplificatori incorporati sulle
corde vocali. Taro rise e Genzo si interessò al discorso:
-
Di cosa parli? - Ma prima che l’amico rispondesse si rese conto che
non gli avevano chiesto niente di Karl e non solo… si stava
finalmente davvero distraendo e con una tale facilità che non
avrebbe mai pensato possibile. Sicuro di passare una pessima giornata
piena di ripensamenti, invece le cose come primo impatto non
sembravano andare poi mai. Bisognava vedere cosa sarebbe successo
quando avrebbe incontrato Karl…
Ma
la risposta sempre squillante e felicissima di Tsubasa lo distrasse
anche da questo pensiero incombente:
-
Che finalmente mi sono deciso a gareggiare! - Questo ebbe il potere
di fargli dimenticare di botto ogni cosa e fermandosi lo guardò
sinceramente stupito, convinto che scherzasse:
-
Cosa?! - Gli altri due risero mentre Tsubasa si mise addirittura a
saltellare sul posto al settimo cielo.
-
Sì sì, ho deciso di buttarmi. La prima volta è stata traumatica ma
il coach mi ha convinto a riprovarci… ha avuto un’idea a dir poco
strepitosa. Sono convinto che questa funzioni. - Questa poi Genzo non
se la sarebbe mai aspettata, conoscendo la sua idiosincrasia per fare
male agli altri con la sua incredibile forza e bravura nelle arti da
combattimento.
-
E cosa mai potrebbe essere questa idea del secolo? - Chiese con un
pizzico di ironia convinto che non ci potesse essere niente di tanto
portentoso da convincerlo ad iscriversi ad una gara vera.
-
Gareggerò con i più grandi, la categoria più su della mia. -
Questo fece calare il gelo per un secondo nel pugile che non capì
quanto effettivamente geniale fosse questa trovata. Naturalmente fece
sapere subito il suo pensiero agli altri.
-
Ma sei matto? Così ti farai massacrare tu! - E certamente il tatto e
la diplomazia non sapevano cosa fossero. Vide subito Taro fare una
faccia strana mentre invece Tsubasa riprendere i saltellamenti.
-
Questo è proprio l’obiettivo! - A questo Genzo si fermò una
seconda volta, avevano appena varcato la soglia della mensa e molti
altri ragazzi erano già in fila per la colazione. Non ne calcolò
nemmeno uno anche se tutti questi invece calcolarono lui in compagnia
di altri che non erano Karl Hainz Schneider.
-
Ripeto. Sei fuori di cervello! - Questa volta davvero convinto.
Tsubasa
si mise a ridere come un matto mentre Taro più indietro di proposito
fece un cenno strano, come per dirgli di non mettere il dito nella
piaga. Genzo capì l’antifona ma non la seguì per niente. Doveva
capire chi fosse più matto fra di loro e quando notò l’allenatore,
il signor Roberto Hongo, colse al volo l’occasione per capire se
potesse allenarsi con lui oppure dovesse cominciare a stare alla
larga da un macellaio serial killer in incognito.
Lo
fermò per il braccio e con presa ferrea su dei muscoli d’acciaio,
chiese al volo e deciso:
-
Scusi, coach! - Roberto si fermò e si girò. Indossava già i suoi
inseparabili occhiali scuri. Genzo non notò il guizzo di sorpresa
che ebbe Tsubasa che smetteva improvvisamente di ridere, quindi andò
avanti come un treno: - E’ vero che ha iscritto Tsubasa ad una
competizione con gente più grande di lui? -
-
Certamente. - Come se fosse ovvio.
-
E perché di grazia? Lo odia così tanto da spedirlo al macello? -
Genzo aveva la convinzione di poter dire qualunque cosa gli passasse
per la testolina viziata a chiunque, anche a degli adulti suoi
insegnanti. La sua fortuna, in quel caso, fu di trovarsi davanti ad
una persona particolarmente strana. Roberto era imprevedibile, poteva
seccarsi per una cavolata e lasciar correre le cose più gravi.
Comunque aveva una sua filosofia personale per trattare con gente
così sfacciata. Ovvero lasciarli fare. Anche perché poi era
l’unica!
-
No, ma siccome ha paura di fare male agli altri, se finisce per farsi
male lui magari trova un suo equilibrio. - Non sarebbe stato chiaro a
tutti, soprattutto non di prima mattina e così su due piedi. A
spiegarla in parole talmente povere sembrava la cazzata più grossa
del secolo, eppure Genzo fece quello che sapeva fare meglio.
Stupì
tutti.
-
Bè, effettivamente ha una sua logica! - Al che chiunque avrebbe
detto proprio l’opposto, ovvero che anche se non aveva una logica
magari poteva fidarsi dell’allenatore. Poi aggiunse concorde: -
Magari un paio di neuroni spappolati gli ridimensionano quel cervello
bacato che si ritrova e torna normale! - Come se lo fosse mai stato…
a quello Tsubasa non poté non ridere di nuovo esuberante, sembrava
aver dimenticato il motivo per cui appena aveva visto Roberto si era
incupito repentinamente. Taro di conseguenza sorrise scacciando le
sue evidenti preoccupazioni riguardo il piccolo particolare che il
suo ragazzo si facesse picchiare di proposito e, cosa più strana di
tutte, perfino Roberto accennò ad un piccolo sorriso, cosa rara per
lui a meno che non fosse col suo pupillo Tsubasa.
Genzo
non notò nessuno degli strani atteggiamenti, troppo preso dal capire
chi fosse più matto senza poi accorgersi che quello più spostato
era proprio lui, quindi battendo una mano sulla spalla del coach per
complimentarsi sfacciatamente dell’idea, andò avanti facendosi
seguire dagli altri due amici che gli andarono dietro a ruota, ancora
fra le risa -alcune isteriche altre forzate-.
Quando
riuscirono a sedersi i bisbigli non erano ancora cessati. Oltre che
al fatto di Genzo non più appiccicato a Karl, nell’occhio del
ciclone c’era anche il fratello Jun Misugi non più fidanzato con
Yayoi Aoba. La notizia aveva fatto subito il giro della scuola ancora
prima che i due si mostrassero separati in pubblico, quindi per
giorni non si sarebbe parlato d’altro.
“Ce
l’ha fatta!”
Pensò
Genzo compiaciuto di suo fratello. Per quanto quella ragazza fosse a
posto non l’aveva mai vista bene per lui, troppo tranquilla. La sua
teoria era che per uno pacato come Jun ci volesse una più
movimentata. Od uno.
Si
ripromise comunque di andare a cercarlo più tardi per vedere come
stava, quindi tornò a parlare coi due suoi compagni di colazione,
distraendosi il più possibile dal resto delle voci sul proprio
conto.
Non
voleva nemmeno vedere se Karl c’era, anche se probabilmente non si
era presentato a colazione di proposito proprio per evitarlo almeno a
quell’ora.
Tanto
prima o poi si sarebbero dovuti parlare.
Il
loro ultimo confronto era sicuramente d’obbligo e sarebbe stato il
più freddo possibile, in puro stile Schneider.
Proprio
come voleva lui!
-
Ma a te va bene? - Chiese a bruciapelo Genzo a Taro riferendosi al
discorso di prima.
Taro
si strinse nelle spalle vago, era un ragazzo contro la violenza in
ogni sua forma e più gay di lui era probabilmente solo Takeshi
Sawada, ma sopra ogni cosa era evidente amasse Tsubasa, infatti
l’aveva sempre incoraggiato a migliorarsi e a continuare sulla
strada che gli piaceva, ovvero le arti da combattimento. Anche la
prima volta era stato lui a convincerlo a fare una gara, la prima ed
unica.
Per
capire che tipo fosse bastava dire che era nel club di arte.
-
Io voglio che lui si realizzi e se si mette certi freni non lo sarà
mai del tutto. - Con questo ebbe ufficiale conferma che lui e Tsubasa
erano davvero una coppia.
E
mentre lui otteneva trionfante quel dato essenziale, dall’altra
parte della sala, seduto ad un tavolo solitario c’era proprio
Roberto che da dietro le sue lenti scure osservava serio e pensieroso
un viso preciso.
Quello
sorridente e contento di Tsubasa.
A
tutti sarebbe comunque parso strano questo capovolgimento di piani,
ovvero il guerriero pacifista che si metteva a combattere. Aveva
sempre negato fermamente questa opzione ed ora così, come niente
fosse, sembrava convintissimo, seppure a patto di farsi massacrare.
Solo
lui e Roberto potevano sapere come davvero si era convinto.
Qualcosa
che sarebbe dovuta rimanere unicamente ed assolutamente solo fra loro
due e basta.
Karl
aveva evitato come la peste i luoghi di comune ritrovo, per lo meno
quelli che aveva potuto.
La
mensa prima fra tutte. Sapeva bene che era un tipo estremamente
ritardatario e per tutta la giornata non aveva fatto altro che
anticipare ampiamente i tempi, in questo modo era riuscito a non
incontrare Genzo.
Peccato
che così, però, era sempre stato insieme ad una certa persona
estremamente acuta.
Jun.
Jun
aveva ponderato per tutto l’arco della giornata su ciò che fosse
più indicato fare, normalmente non era uno che si intrometteva mai
su niente, se lo faceva significava che era davvero un caso
eccezionale e tutti si stupivano se non altro per quello. Infatti
quando si era messo in mezzo alla rissa fra Kojiro e Genzo la folla
si era sorpresa più per la sua presenza che per la litigata dei due
ragazzi.
Alla
fine, incontrandolo per l’ennesima volta in un luogo dove di solito
non frequentava proprio perché non era consono ai gusti di Genzo,
Jun si era deciso.
Non
tanto perché era come se se la fosse cercata finendo così tante
volte nei suoi luoghi coi suoi orari, quanto perché aveva capito che
per suo fratello questo lo poteva fare.
Genzo
in fondo gli aveva chiesto aiuto.
Eppure
non era nemmeno solo per quello.
Jun
l’aveva capito quando l’aveva incontrato a pranzo esageratamente
prima del solito con l’ennesimo evidente intento di evitare il suo
ormai ex amico.
C’era
qualcosa che sembrava sfuggire a tutti e che lui invece era riuscito
a cogliere.
Ecco
perché fece una cosa che comunque per Genzo non aveva mai fatto.
Decise
di intromettersi nei suoi affari personali.
Intromettersi
direttamente e personalmente.
Così
con il suo portamento fiero ed elegante, dopo averlo incontrato in
biblioteca chino sui libri, subito dopo il pranzo, Jun si sedette al
suo stesso tavolo e appoggiandosi sui gomiti sistemò finemente il
mento sul dorso della mano, la posa sommaria unita a
quell’espressione indecifrabile era davvero molto aristocratica.
Non
fece alcun rumore, rimase ad osservare il ragazzo dai capelli biondi
leggere un libro davvero grosso come se non capisse un accidente,
capì che cercava solo di impegnare la propria mente con qualcosa che
probabilmente era un mattone atroce.
Senza
successo evidente.
Non
lo interruppe comunque e quando Karl notò la sua presenza erano
passati alcuni minuti. Jun non si era mosso e non si mosse nemmeno
quando lo straniero alzò gli occhi azzurro ghiaccio dal libro per
posarli sui suoi. Nel momento in cui si allacciarono, non poté non
nascondere lo stupore.
-
Oh… non ti avevo sentito… - Disse sorpreso raddrizzandosi sulla
sedia, davanti al compagno di istituto.
Solo
in un secondo momento Karl capì cosa la sua presenza significasse.
Lui
era Jun Misugi, il fratello di Genzo. Una persona che gli era sempre
stata ampiamente alla larga per il semplice fatto che non si
immischiava mai in nessun modo ed in nessun caso nella vita del
fratello, nemmeno se gli veniva espressamente richiesto.
Da
lui apprezzato proprio per quello.
Cosa
ci faceva seduto davanti a lui?
Quando
capì cosa voleva, un nodo gli contrasse lo stomaco. Una sensazione
che nascose a stento e che non fu sicuro fosse sfuggita a Jun.
Quel
ragazzo era lì per un faccia a faccia con lui.
Il
disagio di Karl crebbe a dismisura quando si rese conto che non
riusciva minimamente ad immaginare il motivo di tale gesto ma
soprattutto l’esito.
Perché
voleva quel confronto proprio ora?
Rimanendo
senza parole più del suo solito, rimase inebetito a guardare il
sorriso enigmatico -tanto simile a quelli di Genzo- ed estremamente
inquietante.
Cosa
gli passava per la testa?