CAPITOLO IX:
VOLTANDO PAGINA
 
/Aria sulla IV corda - Bach/
Il tentativo di uscire coi capelli umidi lo fece ma fu subito fermato dalla voce tonante e severa di Genzo che lo obbligò ad asciugarseli per bene.
- Dì, vuoi ammalarti e finire all’ospedale? - Sebbene lui invece li tenesse bagnati, era ovvio perché l’avesse detto e non era nemmeno un’esagerazione. Era vero che ogni volta che Jun si ammalava rischiava un infarto, dipendeva dalla gravità dell’influenza o della malattia. Per questo motivo padre e fratello erano molto apprensivi con lui.
Il giovane sospirò rassegnato:
- Volevo sbrigarmi per parlarle prima della colazione e delle lezioni. - Rispose con calma dopo essersi sistemato. Avevano entrambi già fatto la doccia solo che il più piccolo era quasi del tutto pronto mentre Genzo girava ancora in asciugamano e tutto gocciolante. Lui poteva permetterselo, aveva degli anticorpi incredibili. Probabilmente era perché anche i virus avevano paura di lui!
- Non me ne fotte un cazzo, non voglio sentire nemmeno un tuo starnuto! - Sbottò secco l’altro indicando con un gesto sbrigativo del capo di tornare al bagno. Ormai si erano rassegnati a condividere la camera per il resto della notte e della mattina fino all’ora della colazione, quindi prima uno e poi l’altro si erano fatti la doccia e sistemati.
Jun strinse le labbra in segno di disapprovazione, ma alla fine obbedì e finì di asciugarsi i capelli. Una volta che anche l’ultimo filo fu perfettamente asciutto e sistemato, passò accanto a Genzo ancora mezzo nudo e gli diede un amichevole pizzicotto al fianco scoperto.
- Ci vediamo più tardi. - E sapevano che una volta usciti da quella porta, tutto sarebbe tornato come prima e non perché nessuno doveva capire quanto fossero legati, bensì perché il momento del bisogno era superato ed il resto lo potevano affrontare da soli.
Perché semplicemente loro erano fatti così.
Non avevano bisogno di plateali e specifiche dimostrazioni d’affetto per essere fratelli. Lo erano indipendentemente da come stavano insieme.
Una volta fuori Jun sospirò e si fece interiormente coraggio, non era facile fare quello che stava per fare. A parte i propri sentimenti per lei, Yayoi era l’unica che non le aveva mai dato fastidio ed anche solo per quello meritava tutto il rispetto possibile… e magari anche di soffrire quanto meno fosse necessario.
Eppure non era un’idiota.
Comunque ci sarebbe stata male, in ogni modo l’avesse messa.
Avrebbe ugualmente fatto del suo meglio, lei se lo meritava.
 
Quando bussò alla porta della sua camera, lei aprì stupita ma era già pronta. Si svegliava presto per ripassare le lezioni, solo che condividendo la camera con altre due ragazze che avevano lo stesso vizio, sapeva non avrebbero potuto parlare lì.
- Jun… è successo qualcosa? - Normalmente si incontravano alla solita ora davanti alla mensa, sempre comunque prima degli altri.
Lo capì subito ed il ragazzo si stupì anche di questo, sorrise compiaciuto ed intenerito, quindi consapevole che prenderla per mano sarebbe stato da ipocrita, le chiese con gentilezza:
- Devo parlarti, puoi venire? - E perché non potesse aspettare un orario più accettabile era impensabile chiederlo. Yayoi sorrise tirata capendo al volo che non le sarebbe piaciuto e con un batticuore evidente avvertì le sue amiche ed uscì. Avviati l’uno di fianco all’altra per i corridoi, percorsero tutta la strada in silenzio mentre lei si lasciava condurre in un luogo tranquillo.
Il solito dove lui andava per stare in pace col mondo o sé stesso.
L’aula di musica.
Sapeva che per Jun era un luogo sacro e quando notò che l’aveva condotta proprio lì cominciò seriamente a preoccuparsi, capendo che il momento tanto temuto era arrivato.
Perché era vero, l’aveva sempre saputo.
Se lui non aveva mai pensato potesse esserci niente di meglio del loro rapporto, lei invece sì. Sì che lo sapeva, solo che aveva sperato se ne accorgesse il più tardi possibile, consapevole che più di quello non avrebbe potuto dargli né tanto meno avere da lui.
Non si poteva recriminare qualcosa a qualcuno, era semplicemente così che certe cose andavano. Da come nascevano uno se ne accorgeva subito, a meno che non avesse qualche serio problema con la propria coscienza, ma a volte si ignorava tutto perché c’era qualcosa di più importante che assecondare il destino.
Crederci e pazientare era stato tutto ciò che le era rimasto, ma ora sapeva che se poteva fare un’ultima cosa per Jun, il primo ragazzo di cui si fosse mai seriamente innamorata, era proprio concludere la loro storia così come l’avevano vissuta.
Senza problemi.
Si accomodarono nelle sedie dell’orchestra spostando dei leggii, avevano acceso solo l’ultimo fascio di luci poiché la sala era davvero molto ampia e spaziosa. Il resto era all’ombra e gli altri strumenti, quelli fissi, si intravedevano appena. Avrebbe volentieri suonato qualcosa per farsi coraggio, Jun, ma decise che l’aveva tirata già troppo per le lunghe.
Alzò lo sguardo sulla ragazza e l’osservò con morbidezza. Carezzò con gli occhi i suoi capelli rossi lisci ed ordinati sulle spalle che arrivavano elegantemente fino a metà schiena, il viso leggermente lentigginoso e delizioso per questo, i grandi occhi neri e quei lineamenti fini ed aggraziati. Era una bella ragazza, a partire dallo stile semplice ma impeccabile e dai movimenti aristocratici. Le venivano naturali.
L’aveva notata subito quando si erano incontrati in istituto e da subito aveva pensato che fosse una principessina mancata e che accanto a lui sarebbe stata perfetta, perché lui doveva diventare a tutti i costi un principe!
Lì però non riuscì a trattenere la mano che finì per carezzarle la guancia. Yayoi fremette ma rimase immobile, dritta e rigida, sorridendo forzatamente con gli occhi lucidi.
Si stava costringendo incredibilmente e solo per lui, sapeva che invece era agitatissima.
Era davvero l’unica ad aver capito come desiderava gli altri si approcciassero a lui.
In modo che non gli creassero problemi.
Rispettò i suoi sforzi, oltre che la sua persona e cosa aveva fatto per lui, e cominciò cercando quella delicatezza e diplomazia in grado di non farle troppo male.
- Non hai fatto niente di male. - Esordì contenuto e malinconico. Dopotutto gli dispiaceva davvero. Lei rimase immobile, respirava il meno possibile. - Sei stata preziosa e sono stato molto bene con te, credo che sia solo colpa mia perché onestamente incontrandoti avevo escluso di pari passo il resto del mondo, convinto che niente potesse esistere oltre te. Che tu potessi essere l’unica in grado di realizzare i miei desideri di pace e serenità. E sai una cosa? È vero. Sei l’unica che ci riesce, perché sai come fare per darmi quelle sensazioni. Il problema è che non ho mai considerato l’idea che invece volessi altro, oltre la pace e la serenità. -
Yayoi prese coraggio e ignorando lo stomaco che si contorceva spasmodicamente riuscì a domare anche la smorfia di dolore.
- Vuoi dire che vuoi altro e che non sono in grado di dartelo? - Per un attimo Jun ponderò l’idea di negare, ma sapeva quanto peggio sarebbe stato perché lei lo capiva e sapeva che avrebbe mentito. Non era una ragazza qualunque.
Il giorno in cui aveva incontrato Kojiro gli aveva chiesto come era andata e non lo faceva mai, sapendo cogliere dalla sua espressione se fosse andata bene o male. Invece glielo aveva chiesto come se avesse captato qualcosa di diverso dal solito.
Ecco perché il modo più giusto e delicato di dirglielo era essere sincero ma senza andare nei dettagli.
Così liberò il dispiacere in una lieve inclinazione sincera e rispose:
- Non vorrei ma è così. Io… è come se stessi scoprendo ora il mondo e mentre lo faccio voglio stare solo perché non so cosa potrei apprendere. Potrei ferirti ulteriormente più di quanto non lo stia facendo ora e non voglio. Voglio che tu sia libera, un domani, di ricostruirti e andare avanti, perché non è con me la tua vita. E fin qua abbiamo davvero fatto tutto quello che potevamo l’uno per l’altro. - Poi aggiunse sorridendo malinconico: - O per lo meno spero di avertelo dato. -
Yayoi aveva le lacrime agli occhi ma non avrebbe mai pianto, l’avrebbe fatto stare troppo male e se lui la lasciava per vivere, vivere davvero, finalmente, allora andava bene. Perché sapeva che sarebbe stato felice.
Cosa che fino a quel momento non era ancora stato.
Sorrise e si allungò posandogli un bacio leggero sulla guancia, quindi lo accarezzò e mormorò:
- Va bene così. E’ stato bello. - Dopo di ché, arrivata davvero al limite, uscì di corsa dall’aula liberando finalmente le lacrime più dolorose che avesse mai versato fino a quel momento.
Jun sapendo che era andata a piangere, si coprì il viso come un gesto contro sé stesso e si appoggiò stanco allo schienale che aveva davanti.
In un modo o nell’altro un capitolo importante della sua vita si era appena concluso.
 
/No roads left - Linkin Park/
Non ci aveva pensato fino a che non aveva messo il naso fuori dalla camera di Jun.
Ed ora?”
Il problema non era trascurabile visto che da quando viveva in istituto, ogni sacrosanta mattina mandata da Dio sul mondo Genzo l’aveva passata andando a prendere Karl alla sua stanza o facendosi venire a prendere da lui.
Si fermò prima di incamminarsi in una qualunque direzione e si chiese cosa mai potesse fare.
Andare da Karl era fuori discussione, suo fratello era alle prese con la sua ormai ex principessa… dunque?
La solitudine sarebbe stato il suo destino?
Ma diceva davvero?
Cioè pensava di non avere altri amici?
E come mai aveva sempre accusato Karl di non averne se poi anche per sé la storia era identica?
No, si disse secondariamente.
Era impazzito.
Non era possibile non avesse nessuno, lui era il più popolare della scuola, gli sarebbe bastato uno schiocco di dita e avrebbe avuto intorno qualcuno.
Per un momento soppesò l’idea di accodarsi ad un gruppetto qualunque, ma mentre cominciò ad avviarsi per la mensa ebbe l’illuminazione. Un’illuminazione portata dalla voce allegra e squillante di una persona che quando c’era non passava mai inosservata.
Si girò e con un sorriso che probabilmente più strano non poteva essere, salutò Tsubasa in compagnia del solito Taro. Il terzo inquilino, ovvero Hikaru Matsuyama, si era defilato subito dagli altri suoi amici, Hyuga, Wakashimazu e Sawada. Probabilmente allergico alle zuccherose compagnie di quei due.
Li osservò mentre si avvicinavano a lui con passo svelto ed espressioni allegre. Come facessero di prima mattina ad essere così era di certo un mistero, ma per il momento potevano andare più che bene.
In effetti era davvero impossibile non essere amico di Tsubasa anche perché non faceva pesare mai niente, sia che uno decidesse di accodarsi a lui improvvisamente e magari per secondi interessi, sia che sparisse preferendo altre compagnie.
Era l’amico ideale e rendendosi conto che dopotutto la separazione da Karl poteva significare scoprire delle nuove persone e farsi nuovi amici, si ricordò le parole di suo fratello di poche ore prima.
Era negli amici che doveva trovare la forza di superare quel momento difficile.
Ricordandolo il suo sorriso divenne più radioso, seppure non dei massimi livelli, e affiancati i due ragazzi che lo salutarono entusiasti battendogli la mano sulla schiena, disse:
- Che dite, posso unirmi a voi per la colazione? - Si preparò velocissimo una scusa per Karl ma si accorse che qualunque cosa avesse potuto dire sarebbe stato sciocco. Non c’era mai stato Santo a riuscire a separarli... e poi avevano proprio litigato il giorno prima.
- Ma certo! Oggi non sei tardi, mi stupisci! - Rispose Tsubasa con allegria contagiosa.
- Tsubasa, non dovresti fargli notare certe cose! - Lo corresse Taro con la sua solita gentilezza.
Il compagno si rese conto di essere stato inopportuno e con una mano sulla bocca guardò Genzo che camminava con loro che invece ghignò divertito dal piccolo siparietto naturale.
- Ma figurati, ha ragione… se i miracoli succedono bisogna farlo notare! - Disse infatti come niente fosse. Era molto bravo anche lui a domare certi stati d’animo… del resto lui e Jun erano fratelli, anche se solo da parte di madre.
- E’ vero, lo vedi? Anche lui lo dice! Se i miracoli succedono bisogna evidenziarli! - Fece con voce sempre più acuta che penetrava via via il cervello come avesse degli amplificatori incorporati sulle corde vocali. Taro rise e Genzo si interessò al discorso:
- Di cosa parli? - Ma prima che l’amico rispondesse si rese conto che non gli avevano chiesto niente di Karl e non solo… si stava finalmente davvero distraendo e con una tale facilità che non avrebbe mai pensato possibile. Sicuro di passare una pessima giornata piena di ripensamenti, invece le cose come primo impatto non sembravano andare poi mai. Bisognava vedere cosa sarebbe successo quando avrebbe incontrato Karl…
Ma la risposta sempre squillante e felicissima di Tsubasa lo distrasse anche da questo pensiero incombente:
- Che finalmente mi sono deciso a gareggiare! - Questo ebbe il potere di fargli dimenticare di botto ogni cosa e fermandosi lo guardò sinceramente stupito, convinto che scherzasse:
- Cosa?! - Gli altri due risero mentre Tsubasa si mise addirittura a saltellare sul posto al settimo cielo.
- Sì sì, ho deciso di buttarmi. La prima volta è stata traumatica ma il coach mi ha convinto a riprovarci… ha avuto un’idea a dir poco strepitosa. Sono convinto che questa funzioni. - Questa poi Genzo non se la sarebbe mai aspettata, conoscendo la sua idiosincrasia per fare male agli altri con la sua incredibile forza e bravura nelle arti da combattimento.
- E cosa mai potrebbe essere questa idea del secolo? - Chiese con un pizzico di ironia convinto che non ci potesse essere niente di tanto portentoso da convincerlo ad iscriversi ad una gara vera.
- Gareggerò con i più grandi, la categoria più su della mia. - Questo fece calare il gelo per un secondo nel pugile che non capì quanto effettivamente geniale fosse questa trovata. Naturalmente fece sapere subito il suo pensiero agli altri.
- Ma sei matto? Così ti farai massacrare tu! - E certamente il tatto e la diplomazia non sapevano cosa fossero. Vide subito Taro fare una faccia strana mentre invece Tsubasa riprendere i saltellamenti.
- Questo è proprio l’obiettivo! - A questo Genzo si fermò una seconda volta, avevano appena varcato la soglia della mensa e molti altri ragazzi erano già in fila per la colazione. Non ne calcolò nemmeno uno anche se tutti questi invece calcolarono lui in compagnia di altri che non erano Karl Hainz Schneider.
- Ripeto. Sei fuori di cervello! - Questa volta davvero convinto.
Tsubasa si mise a ridere come un matto mentre Taro più indietro di proposito fece un cenno strano, come per dirgli di non mettere il dito nella piaga. Genzo capì l’antifona ma non la seguì per niente. Doveva capire chi fosse più matto fra di loro e quando notò l’allenatore, il signor Roberto Hongo, colse al volo l’occasione per capire se potesse allenarsi con lui oppure dovesse cominciare a stare alla larga da un macellaio serial killer in incognito.
Lo fermò per il braccio e con presa ferrea su dei muscoli d’acciaio, chiese al volo e deciso:
- Scusi, coach! - Roberto si fermò e si girò. Indossava già i suoi inseparabili occhiali scuri. Genzo non notò il guizzo di sorpresa che ebbe Tsubasa che smetteva improvvisamente di ridere, quindi andò avanti come un treno: - E’ vero che ha iscritto Tsubasa ad una competizione con gente più grande di lui? -
- Certamente. - Come se fosse ovvio.
- E perché di grazia? Lo odia così tanto da spedirlo al macello? - Genzo aveva la convinzione di poter dire qualunque cosa gli passasse per la testolina viziata a chiunque, anche a degli adulti suoi insegnanti. La sua fortuna, in quel caso, fu di trovarsi davanti ad una persona particolarmente strana. Roberto era imprevedibile, poteva seccarsi per una cavolata e lasciar correre le cose più gravi. Comunque aveva una sua filosofia personale per trattare con gente così sfacciata. Ovvero lasciarli fare. Anche perché poi era l’unica!
- No, ma siccome ha paura di fare male agli altri, se finisce per farsi male lui magari trova un suo equilibrio. - Non sarebbe stato chiaro a tutti, soprattutto non di prima mattina e così su due piedi. A spiegarla in parole talmente povere sembrava la cazzata più grossa del secolo, eppure Genzo fece quello che sapeva fare meglio.
Stupì tutti.
- Bè, effettivamente ha una sua logica! - Al che chiunque avrebbe detto proprio l’opposto, ovvero che anche se non aveva una logica magari poteva fidarsi dell’allenatore. Poi aggiunse concorde: - Magari un paio di neuroni spappolati gli ridimensionano quel cervello bacato che si ritrova e torna normale! - Come se lo fosse mai stato… a quello Tsubasa non poté non ridere di nuovo esuberante, sembrava aver dimenticato il motivo per cui appena aveva visto Roberto si era incupito repentinamente. Taro di conseguenza sorrise scacciando le sue evidenti preoccupazioni riguardo il piccolo particolare che il suo ragazzo si facesse picchiare di proposito e, cosa più strana di tutte, perfino Roberto accennò ad un piccolo sorriso, cosa rara per lui a meno che non fosse col suo pupillo Tsubasa.
Genzo non notò nessuno degli strani atteggiamenti, troppo preso dal capire chi fosse più matto senza poi accorgersi che quello più spostato era proprio lui, quindi battendo una mano sulla spalla del coach per complimentarsi sfacciatamente dell’idea, andò avanti facendosi seguire dagli altri due amici che gli andarono dietro a ruota, ancora fra le risa -alcune isteriche altre forzate-.
Quando riuscirono a sedersi i bisbigli non erano ancora cessati. Oltre che al fatto di Genzo non più appiccicato a Karl, nell’occhio del ciclone c’era anche il fratello Jun Misugi non più fidanzato con Yayoi Aoba. La notizia aveva fatto subito il giro della scuola ancora prima che i due si mostrassero separati in pubblico, quindi per giorni non si sarebbe parlato d’altro.
Ce l’ha fatta!”
Pensò Genzo compiaciuto di suo fratello. Per quanto quella ragazza fosse a posto non l’aveva mai vista bene per lui, troppo tranquilla. La sua teoria era che per uno pacato come Jun ci volesse una più movimentata. Od uno.
Si ripromise comunque di andare a cercarlo più tardi per vedere come stava, quindi tornò a parlare coi due suoi compagni di colazione, distraendosi il più possibile dal resto delle voci sul proprio conto.
Non voleva nemmeno vedere se Karl c’era, anche se probabilmente non si era presentato a colazione di proposito proprio per evitarlo almeno a quell’ora.
Tanto prima o poi si sarebbero dovuti parlare.
Il loro ultimo confronto era sicuramente d’obbligo e sarebbe stato il più freddo possibile, in puro stile Schneider.
Proprio come voleva lui!
- Ma a te va bene? - Chiese a bruciapelo Genzo a Taro riferendosi al discorso di prima.
Taro si strinse nelle spalle vago, era un ragazzo contro la violenza in ogni sua forma e più gay di lui era probabilmente solo Takeshi  Sawada, ma sopra ogni cosa era evidente amasse Tsubasa, infatti l’aveva sempre incoraggiato a migliorarsi e a continuare sulla strada che gli piaceva, ovvero le arti da combattimento. Anche la prima volta era stato lui a convincerlo a fare una gara, la prima ed unica.
Per capire che tipo fosse bastava dire che era nel club di arte.
- Io voglio che lui si realizzi e se si mette certi freni non lo sarà mai del tutto. - Con questo ebbe ufficiale conferma che lui e Tsubasa erano davvero una coppia.
E mentre lui otteneva trionfante quel dato essenziale, dall’altra parte della sala, seduto ad un tavolo solitario c’era proprio Roberto che da dietro le sue lenti scure osservava serio e pensieroso un viso preciso.
Quello sorridente e contento di Tsubasa.
A tutti sarebbe comunque parso strano questo capovolgimento di piani, ovvero il guerriero pacifista che si metteva a combattere. Aveva sempre negato fermamente questa opzione ed ora così, come niente fosse, sembrava convintissimo, seppure a patto di farsi massacrare.
Solo lui e Roberto potevano sapere come davvero si era convinto.
Qualcosa che sarebbe dovuta rimanere unicamente ed assolutamente solo fra loro due e basta.
 
/Frozen - Madonna/
Karl aveva evitato come la peste i luoghi di comune ritrovo, per lo meno quelli che aveva potuto.
La mensa prima fra tutte. Sapeva bene che era un tipo estremamente ritardatario e per tutta la giornata non aveva fatto altro che anticipare ampiamente i tempi, in questo modo era riuscito a non incontrare Genzo.
Peccato che così, però, era sempre stato insieme ad una certa persona estremamente acuta.
Jun.
Jun aveva ponderato per tutto l’arco della giornata su ciò che fosse più indicato fare, normalmente non era uno che si intrometteva mai su niente, se lo faceva significava che era davvero un caso eccezionale e tutti si stupivano se non altro per quello. Infatti quando si era messo in mezzo alla rissa fra Kojiro e Genzo la folla si era sorpresa più per la sua presenza che per la litigata dei due ragazzi.
Alla fine, incontrandolo per l’ennesima volta in un luogo dove di solito non frequentava proprio perché non era consono ai gusti di Genzo, Jun si era deciso.
Non tanto perché era come se se la fosse cercata finendo così tante volte nei suoi luoghi coi suoi orari, quanto perché aveva capito che per suo fratello questo lo poteva fare.
Genzo in fondo gli aveva chiesto aiuto.
Eppure non era nemmeno solo per quello.
Jun l’aveva capito quando l’aveva incontrato a pranzo esageratamente prima del solito con l’ennesimo evidente intento di evitare il suo ormai ex amico.
C’era qualcosa che sembrava sfuggire a tutti e che lui invece era riuscito a cogliere.
Ecco perché fece una cosa che comunque per Genzo non aveva mai fatto.
Decise di intromettersi nei suoi affari personali.
Intromettersi direttamente e personalmente.
Così con il suo portamento fiero ed elegante, dopo averlo incontrato in biblioteca chino sui libri, subito dopo il pranzo, Jun si sedette al suo stesso tavolo e appoggiandosi sui gomiti sistemò finemente il mento sul dorso della mano, la posa sommaria unita a quell’espressione indecifrabile era davvero molto aristocratica.
Non fece alcun rumore, rimase ad osservare il ragazzo dai capelli biondi leggere un libro davvero grosso come se non capisse un accidente, capì che cercava solo di impegnare la propria mente con qualcosa che probabilmente era un mattone atroce.
Senza successo evidente.
Non lo interruppe comunque e quando Karl notò la sua presenza erano passati alcuni minuti. Jun non si era mosso e non si mosse nemmeno quando lo straniero alzò gli occhi azzurro ghiaccio dal libro per posarli sui suoi. Nel momento in cui si allacciarono, non poté non nascondere lo stupore.
- Oh… non ti avevo sentito… - Disse sorpreso raddrizzandosi sulla sedia, davanti al compagno di istituto.
Solo in un secondo momento Karl capì cosa la sua presenza significasse.
Lui era Jun Misugi, il fratello di Genzo. Una persona che gli era sempre stata ampiamente alla larga per il semplice fatto che non si immischiava mai in nessun modo ed in nessun caso nella vita del fratello, nemmeno se gli veniva espressamente richiesto.
Da lui apprezzato proprio per quello.
Cosa ci faceva seduto davanti a lui?
Quando capì cosa voleva, un nodo gli contrasse lo stomaco. Una sensazione che nascose a stento e che non fu sicuro fosse sfuggita a Jun.
Quel ragazzo era lì per un faccia a faccia con lui.
Il disagio di Karl crebbe a dismisura quando si rese conto che non riusciva minimamente ad immaginare il motivo di tale gesto ma soprattutto l’esito.
Perché voleva quel confronto proprio ora?
Rimanendo senza parole più del suo solito, rimase inebetito a guardare il sorriso enigmatico -tanto simile a quelli di Genzo- ed estremamente inquietante.
Cosa gli passava per la testa?