CAPITOLO XIII:
PER UN MOMENTO


 
I giorni passano per sempre
Ma non ti ho lasciato
Possiamo scacciare l’oscurità assieme
Se vai, allora anche io andrò
Non è rimasto niente di te
Riesco a vederlo nei tuoi occhi
Canta l'inno degli angeli
E pronuncia l’ultimo addio “

- Anthem of the angels – Breaking Benjamin -
http://www.youtube.com/watch?v=QB3pxBDZvf4

Dopo i giramenti ci si misero i mal di testa.
Zoro avrebbe voluto avere il potere di andare avanti nel tempo per superare subito il periodo di assestamento, non riuscire nemmeno a dormire e meditare dall’emicrania non era normale, per lui.
Girovagando al buio di notte finì nella sala dei duelli, un intero piano dedicato alla spada.
Volendo fare meno luce possibile perché lo infastidiva, prese una candela ad olio ed abbassò di proposito la fiammella. Era un castello gotico ed usava quel genere di illuminazione -torce e candele-.
Magari ammirare con calma un po’ di quelle meravigliose spade da collezione poteva rilassarlo.
Non c’erano quadri in nessuna ala del castello, non c’era verso di trovare una foto od un’immagine che gli indicasse che volti avessero avuto gli avi di Mihawk. Ne era incuriosito, non poteva negarlo, ma non era un impiccione come la maggior parte dei suoi altri compagni.
Portando la sua attenzione su un gruppo di spade esposte sulla parete, riconobbe solo la fattura pregiata. Nonostante le amasse e fosse uno spadaccino non era un vero esperto come quella ragazza della marina. Lei sì che ne capiva!
Gli aveva detto che la spada di Kuina era un capolavoro e gli aveva indicato altre due molto buone che per lui erano state spade come tante.
A lui piacevano ma perché le sentiva vive, non perché le conoscesse o se ne intendesse.
Ne prese una, quella che gli sembrava emanasse il maggior potere. Era un potere particolarmente nero, in effetti, ma non la sentì come maledetta come in molti avrebbero detto. Per lui non esistevano spade maledette, esistevano solo spade vive che aspettavano che qualcuno le capisse.
Appoggiò la candela su un ripiano e nella penombra quasi completa si sentì a suo agio, specie per la katana che teneva in mano.
Alzandola davanti al viso strinse l’occhio per vederla bene ma si infastidì nel non riuscirci come una volta. Aveva una visuale limitata, per guardarla bene doveva muovere la testa in modo che l’unico rimasto gli permettesse di vederla.
Grugnì da solo e chiudendo anche l’altro occhio decise di usare il tatto. Era la stessa cosa, con le spade funzionava così. Le sentiva senza bisogno degli occhi.
Sotto le dita si delineò in breve la lama, la sentì affilata come venisse usata costantemente, era lunga e nonostante a vista dovesse sembrare pesante, era leggera.
L’aura giganteggiava, era molto forte e potente. Cominciò a muoverla tenendola per l’impugnatura, sempre ad occhi chiusi.
Se li teneva così non aveva mal di testa e se ne accorse dopo un paio di fendenti rotatori.
Il rumore nell’aria era un sibilo dolce, musica rilassante. Aumentò la velocità di proposito per farla cantare un po’ di più e nel farlo mosse dei passi con sicurezza, lenti e precisi. Diede così vita ad una specie di balletto elegante che nella penombra della sala fu estremamente bello, chiunque si sarebbe incantato a vederlo e Mihawk, in un angolo buio dell’ampio salone, non fu da meno.
Non l’avrebbe mai ammesso e non si sarebbe mai fatto vedere, ma non poteva che capire una cosa fondamentale, a quel punto.
Zoro era pronto per ricominciare un altro capitolo della sua vita.
Riusciva a muoversi perfettamente ad occhi chiusi e le rotazioni della spada erano pulite, quel che comunque impressionava di più erano i passi. Non esitava, non barcollava, non cadeva nemmeno.
Un sorriso finemente fiero si dipinse agli angoli delle sue labbra.
Sarebbe stato anche più interessante di prima.
- Cosa ne pensi? - Chiese di punto in bianco Zoro. Mihawk un po’ si stupì di essere stato percepito, sapeva di essere estremamente invisibile se lo voleva, lui l’aveva captato, invece. Significava che i suoi sensi erano davvero a buon punto.
- Che quell’occhio in meno ti ha giovato! - Rispose senza esitazione facendo qualche passo in avanti dal punto cieco e buio in cui si era sistemato per spiarlo.
Zoro smise di muovere la spada e si girò verso di lui guardandolo col solo occhio che gli rimaneva.
- Hai un senso dell’umorismo tutto tuo! - Replicò seccato il ragazzo che ancora non era convinto di trovarci qualcosa di positivo in quel maledetto occhio mancante.
Mihawk sogghignò con quel suo tipico modo fastidioso e prendendogli la spada di mano come se fosse comunque uno dei suoi tesori che nessuno poteva toccare, lo ripose al suo posto. Sembrava non gliene importasse niente di quella collezione e nemmeno di qualunque altra cosa, invece probabilmente non era proprio così.
- Vedrai se non mi darai ragione. - L’uomo ed i suoi occhi di falco vedevano decisamente molto in là nel tempo, l’aveva sempre fatto, era uno dei suoi talenti. Prevedere con precisione fatti e situazioni che poi puntualmente si avveravano e non per qualche capacità divinatoria ma solo semplicemente perché aveva una visione piuttosto ampia e approfondita del tutto che lo circondava. Lui riteneva che era poiché vedeva ogni cosa dall’alto, ritenendosi infatti un falco.
- Intanto ho un mal di testa assurdo! - Non era un medico e tanto meno vagamente pratico con quel genere di cose, era solo un ragazzo impaziente ed il maestro sogghignò di nuovo in quel suo modo di scherno che infastidì l’allievo sentendosi preso in giro. 
- Tirare di spada ti rilassava? - Zoro annuì. Era vero, gli era andato via il mal di testa ed era stato finalmente bene solo in quel momento.
- Non credevo ti importasse qualcosa di tutte queste spade. - Fece poi cercando di introdurre un argomento intuito al volo per un secondo.
Mihawk era molto riservato riguardo sé stesso ma non si faceva veri problemi a dire le cose come stavano. Per lo meno non con lui.
- Non me ne importa infatti. Sono solo possessivo con le mie cose. - Zoro si chiese se ormai lo considerasse una cosa sua anche lui, ma si tenne per sé quella domanda limitandosi a prendersi la candela con cui era venuto per tornare a scendere le scale.
- Vuoi fare qualche altro tiro? - Chiese alla fine il maestro sorprendendo l’allievo che per un momento credette di aver capito male. Si fermò e si girò fissandolo con quel suo unico occhio che esprimeva scetticismo in abbondanza anche per l’altro che mancava.
- Perché no, questo maledetto mal di testa è tornato di nuovo. - Disse senza rifletterci molto. Non era per stare ancora con quell’uomo di cui gli importava relativamente e solo quando si decideva ad insegnargli qualcosa. Era solo per avere veramente un po’ di tregua nella mente, niente di più.
Mihawk non si chiese nemmeno perché accettò, non era importante.
Tornò a prendere una spada ma questa volta una che a suo parere gli si associava meglio.
Quando gliela porse, gliene parlò.
- Questa spada si chiama Eclipse. Rappresenta l’eclissi sia di luna che di sole. L’eclissi totale. Quando nel mondo cala un buio pressoché assoluto ed è semplicemente un attimo perdersi, il momento in cui tutti gli incubi si realizzano ed i mostri escono. Le maledizioni si realizzano ed ogni cosa ha fine… è stata fatta in un’eclissi notturna da un uomo cieco. Voleva riversare in essa il suo animo ottenebrato dal suo buio perenne. Prendila e dimmi cosa senti. - Era consapevole che Zoro sentiva le anime di tutte le spade che toccava ed era una dote che non tutti gli spadaccini alla fin fine avevano.
Quando il ragazzo la prese sentì subito una forte influenza oscura. Non era proprio negativa, non per lui, riteneva infatti che le spade avessero un’anima ma che non potessero essere né buone né cattive.
Erano semplicemente vive ed al servizio di chi le impugnava avendone cura.
Però era vero, il buio aumentò vertiginosamente fino a fargli distinguere solo le forme ed i contorni tutt’intorno.
Mihawk divenne quasi indistinto e quando si sforzò di guardarlo bene, vide la sua aura.
Come si poteva vedere un’eclissi di sole o di luna dove l’astro veniva oscurato e si vedeva solo l’alone luminoso intorno.
Il suo era molto strano ma grande. Non dorato, non chiaro ma nemmeno nero. C’era ed era di un colore indefinito. Sapeva solo che era della potenza di un uragano.
- Mostra gli aloni. È la vista interiore? Quello che vede un cieco? - Chiese piano ma non ottenne risposta.
- Tira i fendenti tutt’intorno a me. - La trovò una richiesta anomala ma ovviamente interessante, quindi spostandosi entrambi in mezzo, sempre con quella scarsa illuminazione, Zoro eseguì e nel trovarsi quasi male a tenere aperto l’occhio che ci vedeva, non si accorse di chiuderlo. Mihawk non se ne preoccupò nemmeno un istante e sorridendo sornione ed indecifrabile lo lasciò fare.
Zoro si mosse leggero e sicuro con eleganza tirando fendenti ad una media velocità e potenza tutt’intorno a lui, come se definisse la sua aura nella sua totalità.
Lo sfiorò molte volte ma non lo toccò mai ed alla fine capì il senso di quella richiesta.
Voleva dimostrargli perché una vista esteriore imperfetta era meglio di una perfetta e l’aveva appena capito.
Certe cose solo con lo sguardo interiore le si poteva vedere e lui ci stava riuscendo. Certo ora era grazie a quella spada ma probabilmente Mihawk voleva dirgli -a modo suo, sempre così contorto- che ci sarebbe riuscito anche da solo, senza nessun mezzo.
Soddisfatto e sereno, dopo di quello Zoro andò a dormire e riuscì ad immergersi finalmente in un sonno tranquillo e ristoratore senza più l’ombra di un solo mal di testa.
 
Il giorno dopo ricominciarono con gli esercizi, riguardavano la ripresa dei riflessi, doveva rafforzare il suo punto debole, la parte sinistra. Non poteva farsi sopraffare solo perché non vedeva con un occhio.
Ci mise comunque poco a recuperare e a mettersi in sesto, era decisamente portato per quel genere di cose, notò il maestro. I suoi riflessi ed i suoi sensi godevano di ottima salute. Ovvio, ad eccezione della vista.
Non gli avrebbe mai detto che il suo punto forte era la quella interiore, dote essenziale per uno spadaccino.
Dopo aver appreso facilmente quelle lezioni ed essersi rimesso oltremodo in forma e aver rafforzato ciò che gli mancava, Mihawk impiegò del tempo per esercitarlo completamente alla cieca.
Voleva ampliargli ancora la vista interiore in modo che non potesse mai trovarsi in difficoltà, quindi ciò con cui si scontrò Zoro all’arrivo dell’inverno, superato tutto l’autunno, fu la cecità completa.
Messa una bendo grossa sugli occhi, gli aveva semplicemente ordinato di fare tutto, ma proprio tutto, senza vedere fino a che non gli avrebbe detto lui.
Zoro non si oppose nemmeno allora, aveva capito dopo oltre un anno di convivenza con lui, che tutte quelle assurdità che gli faceva fare avevano sempre un senso preciso, per cui il tempo delle repliche e delle lamentele era stato ampiamente superato.
Si sarebbe adattato anche a quello.
Agire senza vedere non poteva essere una tragedia, specie se non era veramente cieco.
Non aveva idea di quante cose avrebbe imparato da quel apparentemente semplice e sciocco esercizio. Non ne aveva nemmeno la più lontana idea.
Mihawk invece sì che lo sapeva.
 
All’inizio fu comico come previsto, sembrò essere tornati indietro di qualche mese, quando si era appena ferito.
Imprecando ed innervosendosi, non fece che andare a sbattere fino a che non si era rassegnato a rendersi ancora più ridicolo nel camminare con le mani avanti. Dopo essersi abituato così, Mihawk pensò bene di legargli anche le mani dietro alla schiena e di ordinargli di continuare a fare i giri del castello poiché ormai fuori era troppo freddo e la neve era di nuovo alta.
Zoro trovava quel genere di esercizio semplicemente assurdo e dopo essere tornato a riempirsi di botte e ferite sul viso e sulle ginocchia per tutte le svariate cadute, era riuscito di nuovo ad abituarsi più o meno decentemente. Se non altro a memorizzare ogni angolo pericoloso del castello.
Dopo aver concluso, a suo dire, l’esercizio, si sedette nel suo studio per aspettare di essere liberato e di poter fare qualcosa di più sensato che imparare ad evitare gli ostacoli con l’istinto, i riflessi e la vista interiore. Era una cosa sicuramente importante ma che non richiedeva davvero molto tempo. Non si rendeva conto che era così perché aveva fatto dei miglioramenti ad una velocità considerevole.
Lo sentì subito entrare nonostante il silenzio con cui si era mosso. Sapeva anche abbassare la sua forza interiore con la giusta concentrazione, ma Zoro lo sentì lo stesso.
Mihawk non se ne stupì.
- Liberami, ho imparato a non andare a sbattere senza usare le mani. - Disse seccato.
L’uomo ridacchiò e Zoro percepì anche questo nel suo respiro silenzioso.
Senza rispondere, gli si sedette davanti, nella poltrona. Ce ne erano due sistemate accanto al fuoco, solitamente Zoro si sedeva per terra perché a quanto pareva lo preferiva, poi parlavano di spadaccini e di spade.
Era la prima volta che si sedeva sulla poltrona.
Rimase ad osservarlo, aveva delle belle botte, gli sanguinava il naso, il labbro e perfino il sopracciglio; non si diede pena nemmeno a guardare le ginocchia!
- Ma tu quando cammini alla cieca vai veloce e spedito invece che piano cercando di limitare i danni fino a che non ti senti sicuro di evitare gli spigoli? - Disse ironico, era chiaro che questo diceva tantissimo di Zoro e sebbene reputasse la cosa altamente stupida, non gli dispiaceva in realtà.
- Certo! Non perdo tempo a studiarmi la zona, a che diavolo servirebbe? -
Rispose l’allievo dimostrando enorme scarsità logica.
- Ad evitare le botte inutili? - Fece allora sempre ironico prendendo un fazzoletto di stoffa ed imbevendolo in un po’ di scotch.
- Sciocchezze! - Rispose Zoro che non aveva mai dato peso a quelle cose, non importava quanto male si faceva, le ferite guarivano. Quello che contava era il risultato!
Quando però Mihawk cominciò a passargli il fazzoletto d’alcool sulle ferite al viso capì cosa intendeva. Per essere sicuro lo capisse, glielo spiegò addirittura a voce, sempre come se parlasse con un inetto:
- Questo avresti potuto evitarlo se ti saresti dato la pena di andare piano per i primi giri… -
- Avrei tardato a raggiungere l’obiettivo! - A quel punto Zoro cominciava a capire che stavano parlando per metafore, un po’ tardi come sempre ma l’importante era arrivarci. Il maestro sorrise fra sé e sé preoccupandosi di pulirgli bene il viso con una certa delicatezza insolita, ma non certo di liberarlo. Zoro glielo ricordò: - Se mi liberi mi medico da solo! Per qualche graffio! - Voleva sminuire la sua stupidità che gli appariva come tale solo in quel momento, ma soprattutto voleva andarsene. Aveva una pessima sensazione riguardo il dopo. Quel tipo di tanto in tanto decideva di smettere di fare il maestro e ci provava con lui!
Possibile che non potesse capirlo?
Oltretutto come diavolo ci era riuscito a ficcarsi in quella maledetta situazione? Non era mica normale…
Mihawk non rispose e mise giù il fazzoletto dopo aver finito. Non erano botte serie, però i lividi li aveva ed era estremamente buffo.
Non è vero, gli donano…” Pensò invece consapevole che l’altro non poteva sentire i suoi pensieri.
Zoro rimase in attesa, ora aveva finito, cosa diavolo stava facendo?
Sentiva il suo sguardo magnetico su di sé e lo sentiva anche estremamente vicino, doveva aver avvicinato la poltrona per stargli più vicino, poteva immaginare la sua posizione dritta e fiera, il suo sguardo altero e… e le mani? Dove le stava mettendo?
Era legato, poteva minacciarlo per farsi liberare.
O sperare che non facesse nulla, per una maledetta volta.
- Mihawk… - Mormorò piano Zoro, aveva un tono fermo e laconico ma non proseguendo con un’ammonizione vera e propria fu come non dire nulla.
C’era un’atmosfera diversa, era sempre colpa di quel fuoco ed anche se non lo vedeva lo percepiva caldo sulla pelle. Però forse erano i brividi provocati da quei tocchi ora leggeri e lenti.
Come faceva ad essere così sensuale e delicato quando poteva essere tanto letale e spietato con una spada in mano?
Non era idiota, sapeva che lo era, però dirselo non cambiava niente.
Poteva tranquillamente dire che era un bell’uomo affascinante e che se voleva ci sapeva fare. Non sapeva bene di preciso a cosa ma ci sapeva fare sicuramente.
Qualunque cosa voleva riusciva a prendersela ma lui non sarebbe stato fra le sue ‘cose’, come quelle spade.
Lui era una persona ed aveva una volontà.
Però sentì il respiro sulla sua pelle ed era calmo e regolare, aveva una padronanza di sé mai vista ed ora che era arrivato a sfiorargli il collo e le clavicole, sentì la maglia che indossava strapparsi. Dedusse dal tipo di rumore che doveva avergliela tagliata col suo coltello. Non fece in tempo a dire di non azzardarsi che le sue mani si infilarono sotto l’indumento strappato fino a farglielo scivolare lungo le braccia muscolose e tese, erano legate dietro la schiena ed ora che tirava si rendeva conto di quanto buoni erano stati quei nodi.
Non poteva crederci di esserci cascato così come un idiota.
Sanji e Nami avrebbero detto che fregarlo quando si usava l’astuzia era anche troppo facile, ma lui non l’avrebbe ammesso.
Però glielo aveva fatto fare perché nel momento in cui l’aveva legato era stato il suo maestro e quando lo faceva gli piaceva. Peccato che quando poi tornava sé stesso lo odiasse.
Contraendo la mascella ed ogni muscolo, sussultò al toccò carezzevole e lento delle sue dita sulla pelle, dalle spalle scese sui pettorali e quando lo spinse con fermezza e decisione fino a farlo appoggiare allo schienale, lo sentì alzarsi e chinarsi su di sé.
Era alla sua praticamente totale mercede. Certo, poteva tirargli un calcio e fare l’animale indiavolato oppure…
- Smettila, non voglio… - Farglielo capire una volta per tutte in modo che non lo rifacesse.
Se lui diceva una cosa doveva essere quella, dannazione. Perché doveva crederlo una sua proprietà e fare quello che gli pareva? Doveva bastare la sua parola.
- Sicuro? - Chiese basso e accattivante Mihawk con le labbra al suo orecchio. Zoro istintivamente girò la testa per togliergli l’accesso, i brividi erano stati tremendi e se l’avesse rifatto il proprio corpo avrebbe reagito come non avrebbe voluto.
Era da troppo in astinenza, dopotutto come di tanto in tanto quel tipo provvedeva a ricordargli, era un uomo anche lui come tutti.
- Sì che ne sono sicuro. Lasciami e liberami. - Per un momento gli sfiorò l’idea di chiamare Perona ma l’idea di farsi aiutare da una ragazza lo nauseava. Non era così debole, se voleva poteva toglierselo di torno usando la forza bruta, il punto era che poi probabilmente quello stronzo non gli avrebbe più insegnato e lui non voleva.
Le sue mani intanto continuavano ad accarezzarlo sul torace, gli tormentavano i capezzoli e poi, in completa libertà, dopo aver frugato a piacere gli addominali ed i fianchi era sceso in basso ad abbassargli quel tanto che gli era sufficiente per massaggiare sempre più sensuale il suo inguine.
A quello Zoro si morse il labbro. A quel punto trattenersi era davvero difficile, ma la sua volontà non poteva valere così poco.
Non poteva proprio.
Non voleva dargli una scusa per cacciarlo ma non poteva nemmeno lasciarlo andare oltre, nonostante fosse estremamente piacevole.
Stringeva convulsamente le mani dietro la schiena e tirava sempre nella speranza di rompere le corde, non sapeva che tirando i nodi si stringevano o per lo meno non ci pensava.
Al momento cercava di non lasciarsi andare a quel piacere crescente e devastante, o alla sua lingua che disegnava sulla sua pelle sensibile facendolo sussultare.
Era così diverso da Rufy che il confronto era inevitabile… Rufy era impetuoso, irruente ed inesperto. L’esplorava curioso preso dalla passione e dalla foga, il più delle volte gli faceva male o combinava qualcosa di sbagliato, però poi gli bastava prendere lui il sopravvento per indirizzarlo nella giusta direzione.
Era malleabile e al tempo stesso un uragano, Rufy, e poteva averlo ormai solo nei suoi sogni.
La sua lingua lo bruciava quando lo assaggiava, lo mordeva per farsi sentire, per dirgli che lo desiderava come nessuno. Mihawk era piacevole ma non a quei livelli. Non ai livelli di uscire di testa e gridare.
Quando si trovò a fare ulteriori confronti, la lingua di Mihawk cominciò a tormentare la punta della sua erezione e quando successe il caos lo invase. Per un momento, così, ad occhi chiusi e mani legate, senza poter vedere e toccarlo, subendo e basta, pensò quasi di essere tornato indietro nel tempo o di essere in un sogno. In ogni caso si illuse di avere Rufy.
Per un momento.
Fino a che non cominciò a succhiarlo dimostrando una padronanza ed un’esperienza che il suo compagno non aveva mai dimostrato.
A quel punto Zoro solitamente bruciava e gridava accompagnandogli brutalmente la testa contro il proprio inguine, tirandogli anche i capelli, dall’intensità del suo piacere.
Questo era bello, reagiva comunque perché era impossibile che così non fosse, ma non era la stessa cosa, non era lui… poteva avere anche un orgasmo e darsi a lui per togliersi lo sfizio e sfogare gli ormoni, ma non era ciò che voleva. Non era farlo veramente, per lui.
Mihawk lo capì in quel momento, quando lo sentì teso contorcersi nella poltrona, non gemeva ma cercava ancora, nonostante tutto, di trattenersi.
- Non sono Cappello di Paglia? - Chiese con scherno quasi avesse percepito i suoi pensieri, era tornato su ed ora gli parlava sulle sue labbra. Solo così, senza violarlo.
Zoro con durezza, seppure il suo fisico fosse visibilmente eccitato, rispose:
- No che non lo sei. E puoi avere il mio corpo con tutti i trucchi e le astuzie che vuoi, io ti porterò rispetto finchè sei il mio maestro ed hai da insegnarmi, ma allo scadere dei due anni tutto tornerà come prima, ma soprattutto una cosa non sarà mai cambiata. Farlo col mio corpo, prenderti il mio corpo, non è farlo con me. Non ti prenderesti me. Non hai la minima possibilità di prendermi. E magari a te non fotte un cazzo, non te ne importa perché non conosci la differenza fra corpo e cuore, visto che non combatti col cuore ma solo con il corpo, però credimi che c’è. C’è una differenza abissale. Quindi fa pure, se ti piace tanto il mio corpo. Prenditelo. Non mi interessa. Non mi interessa proprio. Io amo Rufy e sarò solo suo, sempre. Questo niente, niente potrà cambiarlo. Ora fa quello che ti pare, dannazione! -
Concluse secco e rabbioso.
A Mihawk quella risposta bastò per capire che aveva ragione e che non ci sarebbe mai stato verso.
Era vero, poteva obbligarlo in qualche modo e prenderselo comunque ma non era divertente, non era veramente bello e non perché voleva il suo cuore, era solo una stupidaggine. Non era veramente bello perché doveva volerlo anche lui, alla fine. Voleva sentire il suo bacino spingere contro la propria bocca, la sua voce gemere impaziente e chiedere di più, voleva che riuscisse a liberarsi per premersi contro di sé. Voleva che lo volesse anche lui e non per una questione di cuore, solo perché così era meglio.
Semplicemente.
Non avrebbe mai ammesso altro.
Mai.
Nemmeno con Shanks aveva mai ammesso di provare qualcosa anche se di tanto in tanto andava lui stesso a cercarlo.
E Shanks era Shanks.
Che voleva da quel ragazzino?
Qualcosa che non aveva.
Parlare di cuore con lui era come parlare del diavolo ad un prete.
Però fece uno strano sorrisino, non seccato od infastidito, tanto meno offeso. Quasi che si aspettasse quella risposta o che la volesse. Come, quasi, che fosse un’altra delle sue prove.
Zoro non l’avrebbe mai saputo ma quando si sentì liberare le mani e dire con fermezza di non togliersi la benda che l’addestramento alla vista interiore non era ancora finito, si sentì come di aver superato un’altra delle sue dure prove.
Leggerezza fu quello che provò.
Ed orgoglio.
Non poteva capire bene come e perché ma sapeva d’avercela fatta.