CAPITOLO
XIII:
PER
UN MOMENTO
“I
giorni passano per sempre
Ma
non ti ho lasciato
Possiamo
scacciare l’oscurità assieme
Se
vai, allora anche io andrò
Non
è rimasto niente di te
Riesco
a vederlo nei tuoi occhi
Canta
l'inno degli angeli
E
pronuncia l’ultimo addio “
-
Anthem of the angels – Breaking Benjamin -
http://www.youtube.com/watch?v=QB3pxBDZvf4
Dopo
i giramenti ci si misero i mal di testa.
Zoro
avrebbe voluto avere il potere di andare avanti nel tempo per
superare subito il periodo di assestamento, non riuscire nemmeno a
dormire e meditare dall’emicrania non era normale, per lui.
Girovagando
al buio di notte finì nella sala dei duelli, un intero piano
dedicato alla spada.
Volendo
fare meno luce possibile perché lo infastidiva, prese una candela ad
olio ed abbassò di proposito la fiammella. Era un castello gotico ed
usava quel genere di illuminazione -torce e candele-.
Magari
ammirare con calma un po’ di quelle meravigliose spade da
collezione poteva rilassarlo.
Non
c’erano quadri in nessuna ala del castello, non c’era verso di
trovare una foto od un’immagine che gli indicasse che volti
avessero avuto gli avi di Mihawk. Ne era incuriosito, non poteva
negarlo, ma non era un impiccione come la maggior parte dei suoi
altri compagni.
Portando
la sua attenzione su un gruppo di spade esposte sulla parete,
riconobbe solo la fattura pregiata. Nonostante le amasse e fosse uno
spadaccino non era un vero esperto come quella ragazza della marina.
Lei sì che ne capiva!
Gli
aveva detto che la spada di Kuina era un capolavoro e gli aveva
indicato altre due molto buone che per lui erano state spade come
tante.
A
lui piacevano ma perché le sentiva vive, non perché le conoscesse o
se ne intendesse.
Ne
prese una, quella che gli sembrava emanasse il maggior potere. Era un
potere particolarmente nero, in effetti, ma non la sentì come
maledetta come in molti avrebbero detto. Per lui non esistevano spade
maledette, esistevano solo spade vive che aspettavano che qualcuno le
capisse.
Appoggiò
la candela su un ripiano e nella penombra quasi completa si sentì a
suo agio, specie per la katana che teneva in mano.
Alzandola
davanti al viso strinse l’occhio per vederla bene ma si infastidì
nel non riuscirci come una volta. Aveva una visuale limitata, per
guardarla bene doveva muovere la testa in modo che l’unico rimasto
gli permettesse di vederla.
Grugnì
da solo e chiudendo anche l’altro occhio decise di usare il tatto.
Era la stessa cosa, con le spade funzionava così. Le sentiva senza
bisogno degli occhi.
Sotto
le dita si delineò in breve la lama, la sentì affilata come venisse
usata costantemente, era lunga e nonostante a vista dovesse sembrare
pesante, era leggera.
L’aura
giganteggiava, era molto forte e potente. Cominciò a muoverla
tenendola per l’impugnatura, sempre ad occhi chiusi.
Se
li teneva così non aveva mal di testa e se ne accorse dopo un paio
di fendenti rotatori.
Il
rumore nell’aria era un sibilo dolce, musica rilassante. Aumentò
la velocità di proposito per farla cantare un po’ di più e nel
farlo mosse dei passi con sicurezza, lenti e precisi. Diede così
vita ad una specie di balletto elegante che nella penombra della sala
fu estremamente bello, chiunque si sarebbe incantato a vederlo e
Mihawk, in un angolo buio dell’ampio salone, non fu da meno.
Non
l’avrebbe mai ammesso e non si sarebbe mai fatto vedere, ma non
poteva che capire una cosa fondamentale, a quel punto.
Zoro
era pronto per ricominciare un altro capitolo della sua vita.
Riusciva
a muoversi perfettamente ad occhi chiusi e le rotazioni della spada
erano pulite, quel che comunque impressionava di più erano i passi.
Non esitava, non barcollava, non cadeva nemmeno.
Un
sorriso finemente fiero si dipinse agli angoli delle sue labbra.
Sarebbe
stato anche più interessante di prima.
-
Cosa ne pensi? - Chiese di punto in bianco Zoro. Mihawk un po’ si
stupì di essere stato percepito, sapeva di essere estremamente
invisibile se lo voleva, lui l’aveva captato, invece. Significava
che i suoi sensi erano davvero a buon punto.
-
Che quell’occhio in meno ti ha giovato! - Rispose senza esitazione
facendo qualche passo in avanti dal punto cieco e buio in cui si era
sistemato per spiarlo.
Zoro
smise di muovere la spada e si girò verso di lui guardandolo col
solo occhio che gli rimaneva.
-
Hai un senso dell’umorismo tutto tuo! - Replicò seccato il ragazzo
che ancora non era convinto di trovarci qualcosa di positivo in quel
maledetto occhio mancante.
Mihawk
sogghignò con quel suo tipico modo fastidioso e prendendogli la
spada di mano come se fosse comunque uno dei suoi tesori che nessuno
poteva toccare, lo ripose al suo posto. Sembrava non gliene
importasse niente di quella collezione e nemmeno di qualunque altra
cosa, invece probabilmente non era proprio così.
-
Vedrai se non mi darai ragione. - L’uomo ed i suoi occhi di falco
vedevano decisamente molto in là nel tempo, l’aveva sempre fatto,
era uno dei suoi talenti. Prevedere con precisione fatti e situazioni
che poi puntualmente si avveravano e non per qualche capacità
divinatoria ma solo semplicemente perché aveva una visione piuttosto
ampia e approfondita del tutto che lo circondava. Lui riteneva che
era poiché vedeva ogni cosa dall’alto, ritenendosi infatti un
falco.
-
Intanto ho un mal di testa assurdo! - Non era un medico e tanto meno
vagamente pratico con quel genere di cose, era solo un ragazzo
impaziente ed il maestro sogghignò di nuovo in quel suo modo di
scherno che infastidì l’allievo sentendosi preso in giro.
-
Tirare di spada ti rilassava? - Zoro annuì. Era vero, gli era andato
via il mal di testa ed era stato finalmente bene solo in quel
momento.
-
Non credevo ti importasse qualcosa di tutte queste spade. - Fece poi
cercando di introdurre un argomento intuito al volo per un secondo.
Mihawk
era molto riservato riguardo sé stesso ma non si faceva veri
problemi a dire le cose come stavano. Per lo meno non con lui.
-
Non me ne importa infatti. Sono solo possessivo con le mie cose. -
Zoro si chiese se ormai lo considerasse una cosa sua anche lui, ma si
tenne per sé quella domanda limitandosi a prendersi la candela con
cui era venuto per tornare a scendere le scale.
-
Vuoi fare qualche altro tiro? - Chiese alla fine il maestro
sorprendendo l’allievo che per un momento credette di aver capito
male. Si fermò e si girò fissandolo con quel suo unico occhio che
esprimeva scetticismo in abbondanza anche per l’altro che mancava.
-
Perché no, questo maledetto mal di testa è tornato di nuovo. -
Disse senza rifletterci molto. Non era per stare ancora con
quell’uomo di cui gli importava relativamente e solo quando si
decideva ad insegnargli qualcosa. Era solo per avere veramente un po’
di tregua nella mente, niente di più.
Mihawk
non si chiese nemmeno perché accettò, non era importante.
Tornò
a prendere una spada ma questa volta una che a suo parere gli si
associava meglio.
Quando
gliela porse, gliene parlò.
-
Questa spada si chiama Eclipse. Rappresenta l’eclissi sia di luna
che di sole. L’eclissi totale. Quando nel mondo cala un buio
pressoché assoluto ed è semplicemente un attimo perdersi, il
momento in cui tutti gli incubi si realizzano ed i mostri escono. Le
maledizioni si realizzano ed ogni cosa ha fine… è stata fatta in
un’eclissi notturna da un uomo cieco. Voleva riversare in essa il
suo animo ottenebrato dal suo buio perenne. Prendila e dimmi cosa
senti. - Era consapevole che Zoro sentiva le anime di tutte le spade
che toccava ed era una dote che non tutti gli spadaccini alla fin
fine avevano.
Quando
il ragazzo la prese sentì subito una forte influenza oscura. Non era
proprio negativa, non per lui, riteneva infatti che le spade avessero
un’anima ma che non potessero essere né buone né cattive.
Erano
semplicemente vive ed al servizio di chi le impugnava avendone cura.
Però
era vero, il buio aumentò vertiginosamente fino a fargli distinguere
solo le forme ed i contorni tutt’intorno.
Mihawk
divenne quasi indistinto e quando si sforzò di guardarlo bene, vide
la sua aura.
Come
si poteva vedere un’eclissi di sole o di luna dove l’astro veniva
oscurato e si vedeva solo l’alone luminoso intorno.
Il
suo era molto strano ma grande. Non dorato, non chiaro ma nemmeno
nero. C’era ed era di un colore indefinito. Sapeva solo che era
della potenza di un uragano.
-
Mostra gli aloni. È la vista interiore? Quello che vede un cieco? -
Chiese piano ma non ottenne risposta.
-
Tira i fendenti tutt’intorno a me. - La trovò una richiesta
anomala ma ovviamente interessante, quindi spostandosi entrambi in
mezzo, sempre con quella scarsa illuminazione, Zoro eseguì e nel
trovarsi quasi male a tenere aperto l’occhio che ci vedeva, non si
accorse di chiuderlo. Mihawk non se ne preoccupò nemmeno un istante
e sorridendo sornione ed indecifrabile lo lasciò fare.
Zoro
si mosse leggero e sicuro con eleganza tirando fendenti ad una media
velocità e potenza tutt’intorno a lui, come se definisse la sua
aura nella sua totalità.
Lo
sfiorò molte volte ma non lo toccò mai ed alla fine capì il senso
di quella richiesta.
Voleva
dimostrargli perché una vista esteriore imperfetta era meglio di una
perfetta e l’aveva appena capito.
Certe
cose solo con lo sguardo interiore le si poteva vedere e lui ci stava
riuscendo. Certo ora era grazie a quella spada ma probabilmente
Mihawk voleva dirgli -a modo suo, sempre così contorto- che ci
sarebbe riuscito anche da solo, senza nessun mezzo.
Soddisfatto
e sereno, dopo di quello Zoro andò a dormire e riuscì ad immergersi
finalmente in un sonno tranquillo e ristoratore senza più l’ombra
di un solo mal di testa.
Il
giorno dopo ricominciarono con gli esercizi, riguardavano la ripresa
dei riflessi, doveva rafforzare il suo punto debole, la parte
sinistra. Non poteva farsi sopraffare solo perché non vedeva con un
occhio.
Ci
mise comunque poco a recuperare e a mettersi in sesto, era
decisamente portato per quel genere di cose, notò il maestro. I suoi
riflessi ed i suoi sensi godevano di ottima salute. Ovvio, ad
eccezione della vista.
Non
gli avrebbe mai detto che il suo punto forte era la quella interiore,
dote essenziale per uno spadaccino.
Dopo
aver appreso facilmente quelle lezioni ed essersi rimesso oltremodo
in forma e aver rafforzato ciò che gli mancava, Mihawk impiegò del
tempo per esercitarlo completamente alla cieca.
Voleva
ampliargli ancora la vista interiore in modo che non potesse mai
trovarsi in difficoltà, quindi ciò con cui si scontrò Zoro
all’arrivo dell’inverno, superato tutto l’autunno, fu la cecità
completa.
Messa
una bendo grossa sugli occhi, gli aveva semplicemente ordinato di
fare tutto, ma proprio tutto, senza vedere fino a che non gli avrebbe
detto lui.
Zoro
non si oppose nemmeno allora, aveva capito dopo oltre un anno di
convivenza con lui, che tutte quelle assurdità che gli faceva fare
avevano sempre un senso preciso, per cui il tempo delle repliche e
delle lamentele era stato ampiamente superato.
Si
sarebbe adattato anche a quello.
Agire
senza vedere non poteva essere una tragedia, specie se non era
veramente cieco.
Non
aveva idea di quante cose avrebbe imparato da quel apparentemente
semplice e sciocco esercizio. Non ne aveva nemmeno la più lontana
idea.
Mihawk
invece sì che lo sapeva.
All’inizio
fu comico come previsto, sembrò essere tornati indietro di qualche
mese, quando si era appena ferito.
Imprecando
ed innervosendosi, non fece che andare a sbattere fino a che non si
era rassegnato a rendersi ancora più ridicolo nel camminare con le
mani avanti. Dopo essersi abituato così, Mihawk pensò bene di
legargli anche le mani dietro alla schiena e di ordinargli di
continuare a fare i giri del castello poiché ormai fuori era troppo
freddo e la neve era di nuovo alta.
Zoro
trovava quel genere di esercizio semplicemente assurdo e dopo essere
tornato a riempirsi di botte e ferite sul viso e sulle ginocchia per
tutte le svariate cadute, era riuscito di nuovo ad abituarsi più o
meno decentemente. Se non altro a memorizzare ogni angolo pericoloso
del castello.
Dopo
aver concluso, a suo dire, l’esercizio, si sedette nel suo studio
per aspettare di essere liberato e di poter fare qualcosa di più
sensato che imparare ad evitare gli ostacoli con l’istinto, i
riflessi e la vista interiore. Era una cosa sicuramente importante ma
che non richiedeva davvero molto tempo. Non si rendeva conto che era
così perché aveva fatto dei miglioramenti ad una velocità
considerevole.
Lo
sentì subito entrare nonostante il silenzio con cui si era mosso.
Sapeva anche abbassare la sua forza interiore con la giusta
concentrazione, ma Zoro lo sentì lo stesso.
Mihawk
non se ne stupì.
-
Liberami, ho imparato a non andare a sbattere senza usare le mani. -
Disse seccato.
L’uomo
ridacchiò e Zoro percepì anche questo nel suo respiro silenzioso.
Senza
rispondere, gli si sedette davanti, nella poltrona. Ce ne erano due
sistemate accanto al fuoco, solitamente Zoro si sedeva per terra
perché a quanto pareva lo preferiva, poi parlavano di spadaccini e
di spade.
Era
la prima volta che si sedeva sulla poltrona.
Rimase
ad osservarlo, aveva delle belle botte, gli sanguinava il naso, il
labbro e perfino il sopracciglio; non si diede pena nemmeno a
guardare le ginocchia!
-
Ma tu quando cammini alla cieca vai veloce e spedito invece che piano
cercando di limitare i danni fino a che non ti senti sicuro di
evitare gli spigoli? - Disse ironico, era chiaro che questo diceva
tantissimo di Zoro e sebbene reputasse la cosa altamente stupida, non
gli dispiaceva in realtà.
-
Certo! Non perdo tempo a studiarmi la zona, a che diavolo servirebbe?
-
Rispose
l’allievo dimostrando enorme scarsità logica.
-
Ad evitare le botte inutili? - Fece allora sempre ironico prendendo
un fazzoletto di stoffa ed imbevendolo in un po’ di scotch.
-
Sciocchezze! - Rispose Zoro che non aveva mai dato peso a quelle
cose, non importava quanto male si faceva, le ferite guarivano.
Quello che contava era il risultato!
Quando
però Mihawk cominciò a passargli il fazzoletto d’alcool sulle
ferite al viso capì cosa intendeva. Per essere sicuro lo capisse,
glielo spiegò addirittura a voce, sempre come se parlasse con un
inetto:
-
Questo avresti potuto evitarlo se ti saresti dato la pena di andare
piano per i primi giri… -
-
Avrei tardato a raggiungere l’obiettivo! - A quel punto Zoro
cominciava a capire che stavano parlando per metafore, un po’ tardi
come sempre ma l’importante era arrivarci. Il maestro sorrise fra
sé e sé preoccupandosi di pulirgli bene il viso con una certa
delicatezza insolita, ma non certo di liberarlo. Zoro glielo ricordò:
- Se mi liberi mi medico da solo! Per qualche graffio! - Voleva
sminuire la sua stupidità che gli appariva come tale solo in quel
momento, ma soprattutto voleva andarsene. Aveva una pessima
sensazione riguardo il dopo. Quel tipo di tanto in tanto decideva di
smettere di fare il maestro e ci provava con lui!
Possibile
che non potesse capirlo?
Oltretutto
come diavolo ci era riuscito a ficcarsi in quella maledetta
situazione? Non era mica normale…
Mihawk
non rispose e mise giù il fazzoletto dopo aver finito. Non erano
botte serie, però i lividi li aveva ed era estremamente buffo.
“Non
è vero, gli donano…” Pensò
invece consapevole che l’altro non poteva sentire i suoi pensieri.
Zoro
rimase in attesa, ora aveva finito, cosa diavolo stava facendo?
Sentiva
il suo sguardo magnetico su di sé e lo sentiva anche estremamente
vicino, doveva aver avvicinato la poltrona per stargli più vicino,
poteva immaginare la sua posizione dritta e fiera, il suo sguardo
altero e… e le mani? Dove le stava mettendo?
Era
legato, poteva minacciarlo per farsi liberare.
O
sperare che non facesse nulla, per una maledetta volta.
-
Mihawk… - Mormorò piano Zoro, aveva un tono fermo e laconico ma
non proseguendo con un’ammonizione vera e propria fu come non dire
nulla.
C’era
un’atmosfera diversa, era sempre colpa di quel fuoco ed anche se
non lo vedeva lo percepiva caldo sulla pelle. Però forse erano i
brividi provocati da quei tocchi ora leggeri e lenti.
Come
faceva ad essere così sensuale e delicato quando poteva essere tanto
letale e spietato con una spada in mano?
Non
era idiota, sapeva che lo era, però dirselo non cambiava niente.
Poteva
tranquillamente dire che era un bell’uomo affascinante e che se
voleva ci sapeva fare. Non sapeva bene di preciso a cosa ma ci sapeva
fare sicuramente.
Qualunque
cosa voleva riusciva a prendersela ma lui non sarebbe stato fra le
sue ‘cose’, come quelle spade.
Lui
era una persona ed aveva una volontà.
Però
sentì il respiro sulla sua pelle ed era calmo e regolare, aveva una
padronanza di sé mai vista ed ora che era arrivato a sfiorargli il
collo e le clavicole, sentì la maglia che indossava strapparsi.
Dedusse dal tipo di rumore che doveva avergliela tagliata col suo
coltello. Non fece in tempo a dire di non azzardarsi che le sue mani
si infilarono sotto l’indumento strappato fino a farglielo
scivolare lungo le braccia muscolose e tese, erano legate dietro la
schiena ed ora che tirava si rendeva conto di quanto buoni erano
stati quei nodi.
Non
poteva crederci di esserci cascato così come un idiota.
Sanji
e Nami avrebbero detto che fregarlo quando si usava l’astuzia era
anche troppo facile, ma lui non l’avrebbe ammesso.
Però
glielo aveva fatto fare perché nel momento in cui l’aveva legato
era stato il suo maestro e quando lo faceva gli piaceva. Peccato che
quando poi tornava sé stesso lo odiasse.
Contraendo
la mascella ed ogni muscolo, sussultò al toccò carezzevole e lento
delle sue dita sulla pelle, dalle spalle scese sui pettorali e quando
lo spinse con fermezza e decisione fino a farlo appoggiare allo
schienale, lo sentì alzarsi e chinarsi su di sé.
Era
alla sua praticamente totale mercede. Certo, poteva tirargli un
calcio e fare l’animale indiavolato oppure…
-
Smettila, non voglio… - Farglielo capire una volta per tutte in
modo che non lo rifacesse.
Se
lui diceva una cosa doveva essere quella, dannazione. Perché doveva
crederlo una sua proprietà e fare quello che gli pareva? Doveva
bastare la sua parola.
-
Sicuro? - Chiese basso e accattivante Mihawk con le labbra al suo
orecchio. Zoro istintivamente girò la testa per togliergli
l’accesso, i brividi erano stati tremendi e se l’avesse rifatto
il proprio corpo avrebbe reagito come non avrebbe voluto.
Era
da troppo in astinenza, dopotutto come di tanto in tanto quel tipo
provvedeva a ricordargli, era un uomo anche lui come tutti.
-
Sì che ne sono sicuro. Lasciami e liberami. - Per un momento gli
sfiorò l’idea di chiamare Perona ma l’idea di farsi aiutare da
una ragazza lo nauseava. Non era così debole, se voleva poteva
toglierselo di torno usando la forza bruta, il punto era che poi
probabilmente quello stronzo non gli avrebbe più insegnato e lui non
voleva.
Le
sue mani intanto continuavano ad accarezzarlo sul torace, gli
tormentavano i capezzoli e poi, in completa libertà, dopo aver
frugato a piacere gli addominali ed i fianchi era sceso in basso ad
abbassargli quel tanto che gli era sufficiente per massaggiare sempre
più sensuale il suo inguine.
A
quello Zoro si morse il labbro. A quel punto trattenersi era davvero
difficile, ma la sua volontà non poteva valere così poco.
Non
poteva proprio.
Non
voleva dargli una scusa per cacciarlo ma non poteva nemmeno lasciarlo
andare oltre, nonostante fosse estremamente piacevole.
Stringeva
convulsamente le mani dietro la schiena e tirava sempre nella
speranza di rompere le corde, non sapeva che tirando i nodi si
stringevano o per lo meno non ci pensava.
Al
momento cercava di non lasciarsi andare a quel piacere crescente e
devastante, o alla sua lingua che disegnava sulla sua pelle sensibile
facendolo sussultare.
Era
così diverso da Rufy che il confronto era inevitabile… Rufy era
impetuoso, irruente ed inesperto. L’esplorava curioso preso dalla
passione e dalla foga, il più delle volte gli faceva male o
combinava qualcosa di sbagliato, però poi gli bastava prendere lui
il sopravvento per indirizzarlo nella giusta direzione.
Era
malleabile e al tempo stesso un uragano, Rufy, e poteva averlo ormai
solo nei suoi sogni.
La
sua lingua lo bruciava quando lo assaggiava, lo mordeva per farsi
sentire, per dirgli che lo desiderava come nessuno. Mihawk era
piacevole ma non a quei livelli. Non ai livelli di uscire di testa e
gridare.
Quando
si trovò a fare ulteriori confronti, la lingua di Mihawk cominciò a
tormentare la punta della sua erezione e quando successe il caos lo
invase. Per un momento, così, ad occhi chiusi e mani legate, senza
poter vedere e toccarlo, subendo e basta, pensò quasi di essere
tornato indietro nel tempo o di essere in un sogno. In ogni caso si
illuse di avere Rufy.
Per
un momento.
Fino
a che non cominciò a succhiarlo dimostrando una padronanza ed
un’esperienza che il suo compagno non aveva mai dimostrato.
A
quel punto Zoro solitamente bruciava e gridava accompagnandogli
brutalmente la testa contro il proprio inguine, tirandogli anche i
capelli, dall’intensità del suo piacere.
Questo
era bello, reagiva comunque perché era impossibile che così non
fosse, ma non era la stessa cosa, non era lui… poteva avere anche
un orgasmo e darsi a lui per togliersi lo sfizio e sfogare gli
ormoni, ma non era ciò che voleva. Non era farlo veramente, per lui.
Mihawk
lo capì in quel momento, quando lo sentì teso contorcersi nella
poltrona, non gemeva ma cercava ancora, nonostante tutto, di
trattenersi.
-
Non sono Cappello di Paglia? - Chiese con scherno quasi avesse
percepito i suoi pensieri, era tornato su ed ora gli parlava sulle
sue labbra. Solo così, senza violarlo.
Zoro
con durezza, seppure il suo fisico fosse visibilmente eccitato,
rispose:
-
No che non lo sei. E puoi avere il mio corpo con tutti i trucchi e le
astuzie che vuoi, io ti porterò rispetto finchè sei il mio maestro
ed hai da insegnarmi, ma allo scadere dei due anni tutto tornerà
come prima, ma soprattutto una cosa non sarà mai cambiata. Farlo col
mio corpo, prenderti il mio corpo, non è farlo con me. Non ti
prenderesti me. Non hai la minima possibilità di prendermi. E magari
a te non fotte un cazzo, non te ne importa perché non conosci la
differenza fra corpo e cuore, visto che non combatti col cuore ma
solo con il corpo, però credimi che c’è. C’è una differenza
abissale. Quindi fa pure, se ti piace tanto il mio corpo. Prenditelo.
Non mi interessa. Non mi interessa proprio. Io amo Rufy e sarò solo
suo, sempre. Questo niente, niente potrà cambiarlo. Ora fa quello
che ti pare, dannazione! -
Concluse
secco e rabbioso.
A
Mihawk quella risposta bastò per capire che aveva ragione e che non
ci sarebbe mai stato verso.
Era
vero, poteva obbligarlo in qualche modo e prenderselo comunque ma non
era divertente, non era veramente bello e non perché voleva il suo
cuore, era solo una stupidaggine. Non era veramente bello perché
doveva volerlo anche lui, alla fine. Voleva sentire il suo bacino
spingere contro la propria bocca, la sua voce gemere impaziente e
chiedere di più, voleva che riuscisse a liberarsi per premersi
contro di sé. Voleva che lo volesse anche lui e non per una
questione di cuore, solo perché così era meglio.
Semplicemente.
Non
avrebbe mai ammesso altro.
Mai.
Nemmeno
con Shanks aveva mai ammesso di provare qualcosa anche se di tanto in
tanto andava lui stesso a cercarlo.
E
Shanks era Shanks.
Che
voleva da quel ragazzino?
Qualcosa
che non aveva.
Parlare
di cuore con lui era come parlare del diavolo ad un prete.
Però
fece uno strano sorrisino, non seccato od infastidito, tanto meno
offeso. Quasi che si aspettasse quella risposta o che la volesse.
Come, quasi, che fosse un’altra delle sue prove.
Zoro
non l’avrebbe mai saputo ma quando si sentì liberare le mani e
dire con fermezza di non togliersi la benda che l’addestramento
alla vista interiore non era ancora finito, si sentì come di aver
superato un’altra delle sue dure prove.
Leggerezza
fu quello che provò.
Ed
orgoglio.
Non
poteva capire bene come e perché ma sapeva d’avercela fatta.