NOTE: So che sono fuori
periodo, ma è una fic sul Natale. Non proprio natalizia ma ambientata
alla vigilia, quindi sarebbe stata da pubblicare prima ma ormai scrivo
e lascio passare un po’ di giorni prima di correggerla e pubblicarla,
così eccoci qua. Non fatevi ingannare dall’ambientazione perché in
realtà tratta un tema un po’ particolare, non direi macabro però quasi,
non è di certo zucchero e cuoricini, specie considerando i due
soggetti. La considero una specie di seguito delle altre su questa
coppia (Chiamami quando sei sobrio e Stupidamente), quindi i due stanno
già insieme e sono abbastanza grandi da essere indipendenti.
Ecco come me lo
vedo Jun interiormente. Ormai ne avrete le scatole piene, ma lui è
davvero uno dei personaggi più interessanti e complessi di cui abbia
mai scritto e non sono capace di smettere.
Buona lettura.
Baci Akane
“Ho
sempre pensato di essere invincibile.
È
buffo perché in realtà ero il più debole.
Quello
che però è veramente buffo è che ho cominciato a sentirmi invincibile
quando ho scoperto di essere debole.
Quando
mi hanno detto che soffrivo di cuore e che se non stavo attento potevo
morire, ho cominciato paradossalmente a sentirmi invincibile.
Come
sia possibile di preciso lo ignoro, non sono uno psicologo, non posso
dire come mai.
Penso
però che in me abbiano inciso molto le parole che mi rivolgevano gli
adulti con cui sono cresciuto e che sapevano della mia condizione.
Non
so bene in che senso abbiano inciso, se in negativo o positivo, se di
preciso siano state queste a temprarmi e farmi sentire forte quando
invece non lo ero e ad impedire di auto commiserarmi e fare la vittima
fragile ed insopportabile arrabbiata col destino.
Non
so proprio bene, ma le parole con cui sono cresciuto sono…
…non
farlo perché potresti morire…
…Jun,
puoi morire se fai così…
…Jun,
puoi morire…
Penso
che alla fine io mi sia abituato così tanto a quel termine da rendermi
insensibile ad esso.
Alla
morte.
Io
posso morire prima degli altri e più facilmente, quindi mi sono dovuto
abituare ad essa e non solo, ho dovuto imparare a conviverci e
guardarla in faccia. L’ho vista più volte e più volte sono riuscito
quasi a toccarla. L’ho sfiorata, ci sono stato insieme e… cosa posso
dire?
Alla
fine, a forza di sentirmi tanto vicino ad essa, penso di esservi
insensibile.
Questo
è quello che penso.
Ma
la verità è una ed inconfutabile.
Sono
diverso dagli altri.”
Lo sguardo di
Kojiro, Jun non l’avrebbe mai dimenticato ma nemmeno Kojiro avrebbe
dimenticato quello di Jun.
Vuoto.
Privo di
turbamento, espressività, allarme, dispiacere, paura, shock.
Privo di tutto.
Il ragazzo
inginocchiato a terra si tirò su dal corpo esamine ormai privo di vita
e sconvolto tanto dalla completa assenza di reazioni di Jun quanto da
quello che era appena successo, si pulì distrattamente il mento da un
rivoletto di sudore senza accorgersi di essersi così sporcato di sangue.
Una smorfia di
incredulità e sconvolgimento sul suo viso dai tratti selvatici e
perennemente arrabbiati col mondo. Una smorfia d’espressività che
rappresentava tutto l’opposto di quella di Jun di cui invece ne era
totalmente privo.
E parlare
sarebbe stato facile ma poi per dire cosa?
Kojiro esitò,
quello che di solito sapeva cosa dire era Jun, ma ora stava lì e non
dimostrava nulla.
C’era qualcosa
di sbagliato in tutto quello. Enormemente.
***
Le vetrine si
esponevano davanti ai suoi occhi ma era come una tortura per lui
guardarle.
Fece l’ennesimo
sbuffo d’insofferenza e si voltò verso Jun nella speranza che avesse
finito, sbirciò quella sua dannata lista che aveva in mano e grugnì
seccato.
Aveva ancora un
sacco di nomi da cancellare!
- Quanto durerà
ancora la tortura? - Chiese sul piede di guerra ed esasperato.
Jun si rivolse
verso di lui sorridendo gentilmente. Inquietantemente gentile.
Era uno di quei
sorrisi falsi che in realtà erano specchi di morte, per lo meno Kojiro
li vedeva tutti così i suoi in quei casi.
- Ho ancora
cinque persone a cui fare il regalo, poi ho finito! - Disse cordiale,
sempre nello stile da killer agghiacciante che lo reputava il ragazzo
accanto in certi momenti.
Sbuffò ancora,
tanto per cambiare, alzando lo sguardo al cielo grigio e nuvoloso.
Aveva nevicato
in abbondanza ma non sembrava avrebbe smesso, quella probabilmente era
solo una piccola tregua. La neve era radunata ai bordi delle strade e
sotto gli edifici che costeggiavano i marciapiedi su cui camminavano,
avevano fatto un ottimo lavoro di pulizia per permettere alla gente di
muoversi in sicurezza. I parchi, i tetti e gli alberi erano invece
tutti bianchi.
I fiati si
condensavano a contatto con l’aria fredda ma Kojiro aveva una gran
voglia di uccidere, ergo i suoi bollenti spiriti non erano calati
d’intensità, anzi.
- Dai, Hyuga, è
Natale, cosa ti aspetti, che i regali che ci si scambia in questo
periodo vengano dal Cielo? Bisogna comprarli! - Poi cercò di cambiare
argomento sempre rimanendo pacato, sapeva quanto detestasse andarsene
in giro a fare spese specie in quel periodo. - A proposito, tu a chi
devi fare? Fin’ora ho comprato solo io! - alzò i sacchetti di carta che
stringeva in mano, non era tipo da rifilare tutto al compagno.
Kojiro con una
smorfia si girò dall’altra parte ma trovando una vetrina
particolarmente natalizia tornò a voltarsi verso la strada oltremodo
schifato e seccato.
- Io non faccio
regali a nessuno! Anzi, mi chiedo a chi tu debba farne, hai solo i tuoi
genitori, mi spieghi a chi diavolo devi comprare cose ancora? - ringhiò
sgarbato incrociando le braccia al petto.
Jun rise, la
sua risata era calma ma divertita, non era la fine del mondo ma non era
nemmeno male. Era diverso da tutte le persone con cui era abituato ad
avere a che fare…
- Ma io faccio
regali mica solo ai miei genitori. Ho molti amici e voglio fare un
pensiero a tutti, nella lista ci sei anche tu ma non posso di certo
prendertelo in tua compagnia, però il resto… - poi realizzò cosa aveva
detto e spostandosi dall’altra parte per guardarlo in viso chiese serio
cercando di capire se lo fosse anche lui o se scherzasse:
- Ma davvero
non fai regali a Natale? - Per lui era inconcepibile una cosa simile.
Kojiro
sentitosi accusare chissà di cosa, borbottò truce accendendosi come un
falò:
- No che non ne
faccio! Non abbiamo soldi, non li sprechiamo in questo modo stupido! E
poi siamo tantissimi, in famiglia, pensa se dovessimo farci regali fra
di noi! Le mie sorelle costruiscono qualcosa di artigianale e quelli
sono i regali, mentre mia madre si occupa di fare un pranzo speciale
per cui spende mezzo stipendio. Questo è il nostro modo di
festeggiarlo! Niente insulsi sprechi di tempo e denaro! - Era oltremodo
sulla difensiva e Jun sebbene fosse rattristato per il suo scarsissimo
spirito natalizio un po’ obbligato dalla sua situazione economica
difficile e volesse fare qualcosa per lui, sapeva perfettamente che non
poteva nemmeno azzardarsi ad invitare lui e la sua famiglia a pranzo a
casa sua il venticinque. L’avrebbe preso come un atroce atto di pietà e
di certo lui odiava quelle cose.
Il peggio del
peggio che avrebbe potuto fargli.
A proposito di
quello gli venne in mente un altro particolare e affrettandosi gliene
parlò subito con un dolce sorriso sul viso sempre composto e contenuto.
- Non serve che
ricambi il mio regalo. Io li faccio per tradizione, perché mi piace
donare al di là di un compleanno, perché mi fa sentire bene. Però non
voglio essere ricambiato, eh? Non sentirti in obbligo ora che sai che
te ne farò uno. -
Kojiro si sentì
effettivamente con un enorme peso in meno ma pur sentendoglielo dire
sapeva perfettamente che comunque quando l’avrebbe ricevuto si sarebbe
sentito in dovere di fargliene uno a sua volta.
Era matematico.
Seccato da
tutta la situazione, dal Natale e da Jun, si avviò per attraversare la
strada.
Fu esattamente
lì, estremamente veloce, molto più del suo stesso pensiero.
Non avrebbe mai
potuto fare nulla, però non per questo si sarebbe sentito meglio, poi.
Nonostante
fossero sulle strisce e fosse verde per i pedoni, quando un ragazzo
prima di lui mise piede sulla strada per attraversare, la macchina poco
più in là non riuscì a frenare in tempo e purtroppo colpa molto della
strada ghiacciata, questi venne investito.
L’impatto fu
tremendo e per poco non toccò anche a Kojiro stesso, fu una frazione di
secondo, una folata di vento e il botto. La frenata si sentì così come
il rumore dell’accelerata e della fuga del veicolo.
Jun rimase a
fissare senza parole la macchina che fuggiva mentre Kojiro l’ignorò per
buttarsi in ginocchio sul povero ragazzo investito.
Riversava a
terra ed era già in condizioni pessime, aveva sbattuto malissimo la
testa e la posizione del corpo era talmente innaturale da fare
impressione.
Forse non aveva
nemmeno qualcosa di intero.
Il sangue
cominciò ad uscire subito copioso dalle ferite più visibili, tutta la
parte sinistra del corpo. Il viso una maschera sconvolgente.
Kojiro vide il
sangue che usciva anche dalle orecchie e capì cosa significava, suo
malgrado urlò a Jun di chiamare un’ambulanza e tentò di fare qualcosa,
ma poi cosa nemmeno lui aveva idea.
Non era un
medico, un infermiere o uno pratico di quel genere di cose ed anche se
lo fosse stato non avrebbe comunque avuto i mezzi.
Però mise le
mani su una ferita sul torace, quella che gli sembrava più grave.
Il ragazzo dopo
essere stato preso in pieno dalla macchina era sbalzato a terra
scivolando con la parte sinistra del corpo sull’asfalto ghiacciato, poi
come se non era bastato si era ritrovato la macchina di prima passargli
sopra incapace di controllarsi.
Dopo aver
capito cosa aveva fatto, il guidatore era scappato.
Di conseguenza
lo stato in cui si trovava quel poveraccio non era disperato ma molto
peggio.
Kojiro si
sporcò subito del suo sangue e nonostante gli facesse impressione, la
frenesia del momento e la priorità di cercare di fare qualcosa per lui
surclassò tutto.
Ci provò e
quando vide la luce dei suoi occhi accendersi per un secondo credette
che forse potesse farcela.
Chino su di lui
lo chiamò mentre una cupola di gente si radunava tutt’intorno curiosa.
Lo chiamò senza
nemmeno sapere il suo nome, gli disse di resistere che sarebbero
arrivati a salvarlo, gli disse che a Natale non si poteva morire, si
trovò ad inventare un paio di stronzate pur di farlo sorridere.
Quando questo
accennò ad una specie di smorfia positiva, la luce si spense davanti a
lui. Una luce che Kojiro non avrebbe mai dimenticato.
Mai.
***
Ci misero molto
a finire.
Prima
l’ambulanza e poco dopo la polizia, le deposizioni, le testimonianze e
tutto ciò che poteva servire.
Poi finalmente
furono liberi.
Prima di
proferire di nuovo parola Kojiro dovette grattarsi rabbiosamente via il
sangue dalle mani, poi dopo essersi quasi scorticato ed aver ricevuto
un avvertimento in merito da Jun, gli si rivoltò contro nel bagno
pubblico fortunatamente vuoto.
Era tanto
furioso quanto incredulo, forse era un dannato incubo:
- Ma cosa
diavolo hai che non va? - Cominciò spiazzando Jun. Sbatté le palpebre
un paio di volte cercando di capire cosa intendesse, quindi lo fissò
cercando di rimanere calmo e non turbarsi.
- Prego? - Fece
piano e cauto.
- Cazzo,
Misugi, è morto un ragazzo davanti ai nostri occhi e tu non hai battuto
ciglio! Non dico che dovevi sporcarti le mani e cercare di fare
qualcosa di pratico come me, non tutti se la sentono o ci riescono, ma
dannazione… eri lì a fissarlo vuoto come se… come se si fosse solo
sbucciato il ginocchio, non so! Non hai fatto nulla! Non sei turbato,
non sei… - Ma finendo le parole perché inferiori rispetto
all’indignazione che provava, si voltò dall’altra parte per dare un
calcio al cestino dei fazzoletti accanto alla porta.
Si rovesciò con
un gran fracasso e il contenuto si sparse per terra.
Jun rimase
immobile, gelido.
Sentendo il suo
ancor più assurdo silenzio, Kojiro tornò a voltarsi verso di lui ancora
furioso e inorridito.
Non poteva
credere che lui fosse così, sperava di aver frainteso, che in realtà
fosse shockato, ma quando lo tornò a guardare vide che era
semplicemente normale e allora il turbamento crebbe a dismisura.
- Misugi, si
può sapere che diavolo c’è che non va in te? Sei così? Freddo? Un robot
insensibile? Io ti credevo diverso… sapevo che avevi problemi ad
aprirti come si deve ma questo non è essere molto chiusi… questo è non
avere cuore! Una persona è morta davanti a te e non ti ha toccato
assolutamente! - Ora gli parlava concitato a pochi centimetri dal viso
e Jun continuava a rimanere una maschera di serietà. Come ghiaccio
levigato su cui tutto scivolava sopra senza raggiungerlo e toccarlo
veramente.
Sempre in
silenzio.
- MA NON HAI UN
CAZZO DA DIRE?! - Urlò infine.
Ma le sue
labbra rimasero serrate in una maniera impressionante e per non
alzargli le mani contro, Kojiro si girò di scatto calciando la porta
d’uscita per andarsene.
Rimasto solo
Jun fissò l’uscio da cui se ne era andato come una furia e si chiese se
dopotutto qualcosa da dire avrebbe potuto trovarla.
Peccato che la
sua mente era mortalmente vuota.
Nemmeno ad
essere un tipo che parlava e si confidava, sapeva comunque da chi
andare.
Non aveva anima
viva per aprirsi riguardo quanto accaduto, l’unico possibile era
arrabbiato con lui.
Si erano messi
insieme con difficoltà e con altrettanta difficoltà cercavano di andare
avanti ma di volta in volta, mano a mano che si conoscevano meglio, si
rendevano conto di quanto questo fosse impossibile.
Forse non erano
fatti per stare insieme.
Forse avevano
sbagliato tutto.
O forse aveva
ragione lui.
Aveva veramente
qualcosa di profondamente sbagliato dentro.
Prima di
quell’istante non se ne era accorto e non era nemmeno corretto dire che
ora invece ne era cosciente perché non era così. Non lo sapeva, ci
stava pensando perché Kojiro glielo aveva urlato addosso.
Poi se ne rese
conto.
“Se
me l’avesse detto chiunque altro non ci avrei dato il minimo peso, ci
sto pensando, sto cercando di capire se abbia ragione, solo perché era
lui. Allora forse siamo fatti per stare insieme. Ha capito qualcosa di
me che nemmeno io sapevo. Anche se di preciso non so di cosa si tratti.
Sono così? Sono un mostro insensibile e senza cuore? Vorrei proprio
sapere come fare per capirlo…”
Non ne aveva la
minima idea.
Non sapeva
scavare in sé stesso ed auto analizzarsi, non sapeva trovare inizi e
definizioni, non sapeva dare un senso a sé stesso. Si era sempre andato
bene così com’era, era andato avanti fra tutte le sue difficoltà e
l’aveva fatto a testa alta, a modo suo, sfidando il mondo a fermarlo
solo perché aveva una malformazione cardiaca.
Jun sospirò
insofferente evitando con cura lo specchio. In quel momento un mostro
se lo sentiva veramente ma non perché ci credesse, solo perché Kojiro
l’aveva accusato di esserlo ed improvvisamente gli interessava solo
quello che pensava lui.
Per tutta la
sua vita era stato l’opposto. Era contato solo quello che pensava lui
stesso e basta tanto che era andato avanti a giocare contro ogni
divieto e solo quando aveva visto veramente la morte in faccia si era
dato una regolata.
Guardò fuori
dalla finestra.
Nevicava di
nuovo e non riusciva a turbarsi per l’immagine di quel ragazzo morente
davanti ai suoi occhi.
Ci pensava ma
non lo angosciava, sapeva che avrebbe dovuto ma non era così. Era più
preoccupato di perdere Kojiro.
A quel punto si
strofinò il viso con le mani in un gesto d’aristocratica preoccupazione.
“Qualcosa
che non va ce l’ho eccome!”
Ci avrebbe
benissimo potuto convivere, fino a prima di mettersi con Kojiro non gli
sarebbe importato niente.
Ora non poteva,
non poteva far finta di nulla… non poteva perché a Kojiro non piaceva
così, lo inorridiva, quindi qualcosa doveva fare, qualcosa di sé doveva
cambiarla, qualcosa doveva… ma cosa? Come?
L’angoscia salì
solo nel momento in cui capì che da solo non ce l’avrebbe fatta e che
l’unica conseguenza di quel suo non farcela da solo sarebbe stato
perdere Kojiro.
Solo allora si
rese precisamente conto di quanto tenesse a quel ragazzo ed ignorandone
il motivo si aggrappò alla lucida e razionale consapevolezza che se
teneva tanto a qualcuno significava che comunque un cuore e dei
sentimenti li aveva.
Ma allora
perché davanti alla morte non si era dato pena nemmeno un istante?
Incapace di
accettare l’inevitabile fine di una relazione a cui teneva troppo, come
aveva sempre fatto per tutta la vita, Jun si ribellò e lo fece a modo
suo.
Con compostezza
e senza fare scenate. Non sarebbe stato nel suo stile e forse proprio
per questo lo si notò molto di più.
Quando lui
sfidava il mondo e poi in realtà solo sé stesso, nessuno poi se lo
dimenticava. Mai.
Era un centro
per sfollati ai limiti estremi di Tokyo. Scese dal taxi e guardò
l’enorme caseggiato.
Doveva
affrontare sé stesso in qualche modo e quello era stato l’unico che gli
era venuto in mente.
Di risposte non
ne aveva ma per mettersi alla prova sapeva come fare.
Mettere il dito
nella piaga.
Quando gli
avevano detto che non poteva più giocare a calcio perché soffriva di
cuore e poteva morire a fare una partita intera, lui in risposta aveva
continuato per vedere quanti minuti poteva resistere prima di un
attacco di cuore ed anche dopo aveva cronometrato quanto tempo ci
metteva a riprendersi.
Di conseguenza
se aveva problemi con una certa situazione invece di evitarla ci si
metteva dentro di proposito per vedere fin dove poteva spingersi per
ottenere le sue risposte.
Nel centro
c’erano casi molto estremi, era una specie di rifugio dove in ogni
angolo c’erano persone malridotte senza un tetto. Molte talmente
affamate o ammalate da non resistere.
Camminò fra le
persone magre, infreddolite ed affamate.
Erano tutte
segnate dalla sofferenza e dalla tristezza, erano segnate dalle tenebre
che li avvolgevano e si chiese quale speranza potesse portare a loro il
Natale, quale gioia, quale differenza.
Col cuore
stretto in una morsa diversa da quella a cui era solitamente abituato
si sentì male alla vista di tutta quella miseria e quella sofferenza.
Erano in una
civiltà avanzata e si vedevano situazioni simili, com’era possibile?
Molte le
considerazioni che fece e l’angoscia mano a mano che procedeva in quel
posto saliva a dismisura.
Lo stomaco
chiuso in una morsa d’acciaio, la voglia di vomitare e il fiato
tagliato di netto.
Un dispiacere
senza precedenti, pulito e sincero.
Era pietà,
pietà buona quella che lo coglieva.
Capì di non
essere veramente un mostro, quella realtà atroce lo colpiva come a
molti altri.
“Cosa
c’è di sbagliato? Cosa?”
Si guardò
ancora intorno con ossessione e turbamento alla ricerca di qualcosa,
qualcosa di diverso da tutta la sofferenza che vedeva, dalla
disillusione degli occhi di molte persone.
Qualcosa che lo
colpisse perché non lo toccava.
Qualcosa che
gli scivolasse addosso come niente.
Qualcosa che
trovò in un angolo quasi nascosto del centro.
Jun si avvicinò
piano e raggiunto l’uomo steso su una lettiga, si chinò ad osservarlo.
Era sul punto
di andarsene, gli ci volle uno sguardo per capirlo così come gli ci
volle un istante per capire che era malato e che probabilmente le
persone che lavoravano in quel centro non potevano fare nulla per lui
se non tenerlo lì al caldo nell’ultimo dei suoi giorni.
Piegò il capo
di lato e si sentì i muscoli del viso rilassarsi. Non aveva
un’espressione serena ma non era più angoscia quella che solcava il suo
volto.
Si sentì
sciogliersi di netto ed allungò la mano verso il vecchio steso.
Prese la sua ed
egli parve sentirlo, quindi spostò lo sguardo stanco su di lui, la
malattia l’aveva divorato al punto da percepire vagamente il mondo che
lo circondava ma al suo tocco sembrò tornare per un istante.
Jun riuscì a
sorridere ma non di circostanza.
Non fu un
sorriso falso o tirato quello che l’uomo morente lesse.
Fu un sorriso
sincero e pacato.
Nessuno
l’avrebbe capito e Kojiro stesso forse l’avrebbe accusato di chissà
cosa, ma nel momento in cui lo fece Jun ci riuscì e fu possibile perché
l’uomo stesso comprese il senso del suo sorriso a ciò che gli accadeva.
- Io l’ho vista
tante volte. Vedrai che non è così brutta. - Nel momento in cui lo
disse, lo sconosciuto parve trovare quel piccolo scintillio che aveva
perso da molto tempo. Breve e flebile e forse l’avrebbe dimenticato
subito, ma ci si tenne per ricambiare almeno di un po’ lo stesso
sorriso con uno di gratitudine.
Trovato le sue
risposte dopo una violenza auto inflitta non indifferente tipica sua,
Jun se ne andò.
Kojiro viveva
per conto suo, ormai, ma la vigilia la passava in famiglia.
Casa loro era
un delizioso casino ed ogni volta che ci veniva era allegria assicurata.
Tutte le donne
di casa, dalle grandi alle piccole, erano in fermento per i preparativi
del giorno dopo.
Quando suonò
gli venne ad aprire una delle sorelline di Kojiro. Ormai stavano
crescendo tutte bene e lo conoscevano.
Lo salutarono
entusiaste finendo per chiamare a squarciagola il fratello.
Dopo aver
rifiutato le varie mille offerte di cordialità, Kojiro arrivò e quando
vide Jun per poco non cadde dalle scale.
- Che diavolo
ci fai qua? - Grugnì brutalmente.
Jun si strinse
nelle spalle e con semplicità rispose elegante:
- Ho bisogno di
parlarti, ti vanno due passi? -
- Ora? - Chiese
incredulo.
- Sì, perché?
Sei occupato? - Fece nella speranza che non lo fosse.
- Ma nevica!
-Esclamò esterrefatto, come poteva chiederglielo? Era ovvio!
- Per quattro
fiocchi di neve cosa vuoi che sia… è bella, mi piace. Non ti va di
uscire? Ci metterò un attimo. - si sprecò per convincerlo e capendo che
ci teneva, Kojiro si mise la giacca dandogli una sciarpa notando che
non l’aveva. Il gesto non sfuggì a Jun che sorrise teneramente
avvolgendosi: aveva solo paura che prendesse freddo e si ammalasse.
Aveva praticamente vinto la sua malattia ma erano ancora tutti convinti
che potesse tornargli di punto in bianco.
Quando furono
in una zona più tranquilla del quartiere e la neve cominciò ad
infreddolirli abbondantemente, Jun entrò in un parco e ringraziò la
penombra della sera. I fari illuminavano solo parzialmente, quindi
potevano passare inosservati e parlare senza problemi.
Kojiro rimase
in silenzio tutto il tempo, era ancora arrabbiato ma più che quello era
scosso.
Quando si
sedette su un’altalena dopo averla ripulita dalla neve, l’altro gli
rimase in piedi davanti, non era tipo da mettersi in uno di quei
giochi, non era per niente romantico.
La neve
continuava a cadere piano rendendo tutto magico e silenzioso, dava
veramente l’idea della notte di Natale.
Jun prese
respiro e non sapendo bene cosa dire, si decise guardando assorto e
sereno il cielo. Gettò la testa all’indietro tenendosi alle catene
dell’altalena su cui era seduto, quindi chiuse gli occhi per i fiocchi
che gli arrivavano in viso e parlò piano con enorme tranquillità, come
se avesse vinto una gran brutta battaglia. Una delle tante che
affrontava sempre da solo.
- Non capivo
cosa dicevi ma mi angosciava il fatto che ti inorridissi tanto, quindi
ho cercato di capire. Sai, quando cerco risposte o sfido me stesso, mi
butto proprio nel punto debole. Quando alle elementari giocavo a calcio
e mi dicevano di non farlo perché soffrivo di cuore io ci giocavo lo
stesso per vedere quanto resistevo prima di avere un infarto. È il mio
modo di fare. Sono andato in un centro per senza tetto. Là c’è una
realtà atroce che si sa ma finchè non la si vede non ti tocca. Pensavo
di rimanerne indifferente dopo quanto mi avevi detto. Io non mi sono
mai accorto di essere insensibile ma volevo vedere se era vero. Mi sono
fatto violenza ed ho capito. Il dolore, la miseria, la povertà… tutto
quello che ho visto mi ha turbato, mi ha fatto star male, non mi è
passato addosso come niente. Poi mi sono avvicinato ad un senzatetto
che stava per morire, era visibilmente malato e probabilmente gli
assistenti non potevano fare niente per lui. Ho visto la luce che si
stava spegnendo e invece di raggelarmi, angosciarmi, spaventarmi o
anche solo rimanerne indifferente, gli ho preso la mano e gli ho
sorriso. Sai cosa ho capito, Kojiro? - Lo chiamò per nome di proposito
e si fermò sapendo che lui lo stava fissando trattenendo il respiro per
quel che stava dicendo. Cose apparentemente incredibili con la più
completa serenità. Anche in questo non sembrava normale eppure…
- Cosa? -chiese
dandogli involontaria dimostrazione che gli interessava enormemente.
Jun si sentì
meglio e proseguì ma senza raddrizzare la testa ed aprire gli occhi. La
neve lo baciava facendolo sentire vivo.
- Ho capito che
non sono insensibile e senza cuore, le cose che turbano tutti turbano
anche me e forse ho un modo diverso di dimostrarlo e di viverle. Però è
a parte il discorso della morte. Sai, io sono cresciuto con gente che
mi diceva di non fare le cose perché potevo morire. Con gente che usava
quel termine di continuo. Ho capito che potevo morire prima degli altri
e per non uscirne matto devo aver inconsciamente assimilato quel fatto.
Potevo morire. Va bene. Non è brutto. Ci sono andato vicino tante
volte, l’ho vista nel corso di diversi infarti e ogni volta non era mai
brutta come si crede. Erano i momenti in cui stavo meglio. Sai perché
non sono angosciato, impressionato, turbato o quant’altro dalla morte?
Perché non ne ho paura e so che non è orribile. Non si soffre più.
-Alla fine concluse con altrettanta semplicità e si stupì della
facilità con cui aveva parlato, non era normale di certo. Non gli era
mai successo di aprirsi a qualcuno e parlare tanto di sé in quel modo.
Kojiro stesso
ne rimase stupito e Jun capì solo quello perché rimase in quella
posizione a dondolarsi distrattamente coi piedi. Si sentiva quasi del
tutto ricoperto di neve ma non gli importava, era piacevole quel freddo
bagnato a modo suo, non sapeva dirlo. Poi gli sarebbe venuto di sicuro
un malanno ma era bello.
Voleva aprire
gli occhi per vedere la reazione di Kojiro, gli interessava davvero ma
non aveva nemmeno tutta quella fretta.
Il cigolio
sommesso della catena dell’altalena fu fermato da una forza a lui
esterna e quando capì di non poter più dondolarsi sentì allo stesso
momento calore.
Calore
piacevole e meravigliosamente morbido sulle labbra.
Sorrise nel
sentire le sue accompagnate poi dalle mani che dopo aver fermato
l’altalena l’avevano preso per il viso.
Era freddo ma
caldo al tempo stesso e schiuse le labbra per farlo entrare con la sua
solita irruenza.
Lo sentiva
turbato anche di quel discorso e sapeva che a lui invece la morte
spaventava e che quel ragazzo l’aveva angosciato, ma se aveva raggiunto
la pace almeno con lui, tutto il resto tornava ad assumere un’altra
dimensione.
Era di nuovo
sopportabile, di nuovo normale.
Quando si
separarono, Jun aprì gli occhi e lo vide chino su di sé, lo guardava a
sua volta con un’espressione intensa e strana che non seppe decifrare
ma gli piacque e sorrise ancora con calma ed eleganza tipica sua.
Con le mani gli
circondò la vita fino a scivolare nelle sue tasche posteriori, si
infilò e cominciò a scaldarsi tenendolo a sé.
All’altro
piacque quel gesto intimo ma non invadente e l’accettò rimanendo ad
osservarlo con attenzione. Gli tolse della neve dai capelli e gli
asciugò il viso bagnato con i polpastrelli.
Dopo di che,
ripensando alle sue parole e a quella che doveva essere stata la sua
vita, sospirò un po’ sconfitto ed un po’ sollevato.
- Ti preferisco
così. Che mi spieghi le cose. - Jun sorrise sapendo che lui era un tipo
del genere, al suo contrario che tendeva a tenersi tutto dentro,
bastava pensare che fino ad una certa età e per molti anni aveva tenuto
segreto a quasi tutti la sua malattia. Però riconosceva che c’erano
volte in cui serviva aprirsi.
- E’ brutto che
io non sia spaventato e turbato dalla morte? - Chiese ben sapendo la
risposta. Per lui no ma voleva essere sicuro che non lo fosse per
Kojiro. Questi fece un ghigno dei suoi e con sicurezza rispose subito
senza bisogno di pensarci:
- Non me ne
frega, basta che ci sia un motivo. Mi interessa che tu abbia un cuore.
E devo dire che il tuo è parecchio interessante! - Dopo di questo,
vedendolo anche arrossire per quella specie di dichiarazione, tornò a
baciarlo.
Jun non aveva
avuto modo di prendergli un regalo né tanto meno di prepararsi bene al
Natale come faceva sempre, ma sentendo in lontananza delle campane che
scoccavano la mezzanotte si disse che anche così andava bene.
Trovare delle
risposte tanto importanti poteva essere un gran bel regalo.
- Buon Natale
Kojiro. - Mormorò sulle sue labbra con quella serenità tipica sua.
- Buon Natale,
Jun . Rispose l’altro con meno romanticismo ma comunque soddisfazione
per aver concluso bene quel capitolo della loro relazione.
- Ti va bene se
per quest’anno il mio regalo di Natale per te sono io? - Non l’aveva
detto nel senso in cui poi risultò, Jun si rese conto subito di ciò che
sembrò ma non si corresse. Arrossì e arrossì pure Kojiro e mentre
questo poi sorrideva malizioso apprezzando di gran lunga la sua uscita
ed il suo regalo, l’altro si compiaceva.
Lo sapeva che
preferiva molto di più lui ad un regalo vero.
- Non potevo
che chiedere di meglio! - Rispose infatti pensando già a come fare per
prenderselo.
La risata di
Jun non fu più contenuta né tanto elegante e a Kojiro parve davvero il
regalo migliore.
Non poteva
desiderare di meglio.
Conoscerlo
giorno dopo giorno e comprenderlo ma soprattutto averlo, averlo ancora
e sempre più.
Andava bene
così.
“Non
sono insensibile alla morte.
È
solo che non ne ho paura.
La
conosco.
Semplicemente
la vivo bene, meglio di chiunque altro.
Questo
forse è essere diversi e strani, ma sono io e se c’è anche solo una
persona a cui vado bene e finché quella persona è l’unica che mi
interessi veramente, allora ve bene.
Va
semplicemente bene così.”
FINE