CAPITOLO X:
DIMOSTRAZIONI
IN CAMERA
/
Notturno - Chopen /
Kojiro cominciò a
sentirsi come uno scolaro messo sotto torchio dall’insegnante. Lo
scolaro in questione, però, nonostante avesse studiato, non ricordava
un emerito nulla grazie all’ansia che gli metteva addosso il suddetto
insegnante!
Non gli piacque
e come difesa si mise in posa d’attacco con un’espressione aggressiva
ben stampata in faccia, che però non mise per nulla a disagio Jun,
seduto composto davanti a lui.
Siccome aveva
la camera a sua completa disposizione, c’era solo un letto e al posto
degli altri due aveva fatto mettere due poltroncine comode vicine e un
tavolino basso.
Erano seduti lì
e si guardavano. Uno sempre con il suo solito fare gentile ma
enigmatico, l’altro col suo solito fare guardingo ma selvatico.
- Allora, a
cosa alludeva prima mio fratello? - Chiese calmo, quasi con un sorriso
suadente sul viso.
- E che ne so
io, mica gli leggo nella mente! - Rispose acido intenzionato a non
farsi gestire da lui.
Però lo
guardava lo stesso e più lo faceva, più si sentiva come sotto
incantesimo.
Fra tutti i
ragazzi che aveva visto lì dentro, lui era padrone della bellezza che
preferiva di più in assoluto… o forse era semplicemente Jun e basta,
quello che preferiva, a prescindere dalla bellezza!
L’altro sorrise
pacato.
- Ha accennato
ad una frase che mi ha lasciato interdetto… ha detto di aver fatto
ingelosire Karl con una certa tigre… - Cercava di domare il suo
linguaggio solitamente troppo elaborato e Kojiro lo notò dal momento
che finalmente riusciva a capire ciò che diceva. Circa.
- E chi sarà
mai? - Lo chiese con ironia marcata sebbene avesse cercato di essere
definitivo e convincente. Lo scrutò meglio. No, non ci aveva creduto
per nulla.
- L’unico che
mi viene in mente sei tu! - Rispose con un pizzico di altrettanta
ironia. Un’ondata di calore gli salì violenta dal basso, osservandolo
con quell’espressione maliziosa.
Si rendeva
conto dell’effetto che aveva sugli altri, o magari solo su di lui?
Forse sì e,
forse, si comportava in quel modo equivoco -per i suoi gusti- proprio
perché sapeva di piacere.
Era stronzo?
Chi poteva
dirlo, era così criptico e strano!
Nascondeva
tutto di sé talmente bene…
- Perché io?
-Chiese per metterlo alla prova e sondare il terreno. Insomma, cosa
pensava di lui?
Jun non si
perse d’animo e tirando su i piedi e abbracciando le ginocchia in una
posa estremamente non da lui ma con un tocco di eleganza comunque,
rispose senza il minimo problema:
- Perché tu sei
l’unica tigre che conosco. E che lui definirebbe ‘del cazzo’. - Quella
parolaccia sulla sua bocca suonò strana e quasi male, capì perché usava
quel tipo di linguaggio: non gli sarebbe mai stato bene ‘addosso’.
Riprese
lentamente ad incantarsi, compiaciuto di essere visto in quel modo.
- Sono una
tigre? - Voleva farlo parlare ancora. Di sé.
- Sì… - E Jun
parve ben intenzionato a farlo. Mantenendo quell’aria tranquilla e
gentile, a modo, parlò col tono caldo e sfumato di prima anche se senza
quell’inclinazione dolce: - si capisce che hai passato qualcosa di
brutto nella vita che ti ha indurito e reso aggressivo. Attacchi tutti
per primo, per non essere attaccato. La tua non è altro che una difesa.
Sembri un animale feroce, sia nello sguardo, che nei modi di fare, che
nell’essere. La tigre è la più tremenda e indomabile. Secondo me tu le
somigli molto. - Poi rimase un attimo in silenzio, piegò la testa di
lato come se ascoltasse i propri pensieri e assorto continuò: - però un
segreto c’è. -
Questo colse
contropiede Kojiro che si drizzò e si tese verso di lui per ascoltare
il resto, più che con curiosità, con bramosia. Lui aveva capito
qualcosa di sé importante.
- Cos’è? - Jun
si sporse a sua volta e con un espressione intensa, rispose
immergendosi nei suoi occhi neri come la pece, selvaggi come una tigre
e tormentati come un passato doloroso.
- Il segreto
per arrivare a te. -
- Qual è? - Di
parola in parola si trovarono ad avvicinarsi sempre più senza
accorgersene, solo col bisogno di ascoltare e di penetrare. Cancellando
tutto.
Perché volevano
toccarsi dentro e quello era il momento ed il modo.
- Amarti.
-Quanto erano vicini, ora?
Tanto da avere
i rispettivi respiri sulla pelle.
- Io non so
cosa vuol dire. - Lo disse per la prima volta come lo dicesse a sé
stesso, come chiedesse cosa fosse, come pregasse di amarlo.
Quando Jun si
trovò a dover spiegare, sospesi in quell’atmosfera emotiva e
confidenziale, cosa fosse amare, non trovò nessuna parola adatta. Gli
venne spontaneo solo un modo e quella fu la prima volta che il giovane
agì senza riflettere, solo col puro istinto del momento.
Si sporse
ulteriormente e gli posò le labbra sulle sue. L’accarezzò per un
po’fino ad inumidirgliele con la punta della lingua, dopo di ché gliele
schiuse e si infilò cercandolo. Dopo averlo trovato si intrecciò con
dolcezza e delicatezza, toccandolo solo così, con la sua bocca e la sua
lingua, senza muoversi in nessun altro modo.
Kojiro si trovò
sorpreso a ricevere un bacio proprio da lui quando quella sera glielo
aveva praticamente rifiutato.
Si trovò
sorpreso soprattutto a sentire come lo approfondiva di sua iniziativa.
Ma la sorpresa
durò poco poiché si trovò a rispondere con un certo trasporto, creando
un contatto maggiore lui stesso, proprio come quella notte aveva
desiderato fare ma non aveva osato.
Deciso e
prepotente si alzò dalla poltrona e senza staccarsi dalla sua bocca,
gli tirò giù le gambe, gli prese i polsi, gli aprì le braccia, si
sistemò su di lui a cavalcioni, senza sedersi di peso, e prendendogli
il viso fra le mani con fermezza se lo premette con più trasporto
trasformando un bacio casto in uno più audace e profondo.
Non immaginò
minimamente cosa Jun dovesse provare, cosa volesse, cosa sentisse.
Sapeva quello che provava, voleva e sentiva lui e gli bastava. Non era
stato un abbaglio o una stupida cotta e sebbene fino a quel momento non
avesse saputo dargli un nome, ora che Jun glielo stava ‘spiegando’, gli
appariva tutto chiaro.
Erano quelli i
sentimenti.
Allora, forse,
la vita dopotutto valeva veramente la pena di essere vissuta.
Il momento
magico ebbe fine con le mani di Jun che sospingevano Kojiro posate sul
suo petto fremente coperto solo da una canottiera intima, come quella
notte. Il tocco lo fece sussultare e trapelò il brivido fino all’altro
che, sebbene fosse stralunato e contrariato dell’interruzione, si
accorse di averlo finalmente turbato.
Aveva una
reazione, aveva un’espressione diversa sul suo viso. La confusione era
enorme ed era ancora più bello con quell’aria sperduta.
Provò il
fortissimo desiderio di stringerlo e dirgli che andava tutto bene ma
non sapendo come si facesse una cosa simile, trovandosi idiota a farlo,
si limitò ad alzarsi e ad aspettare che volesse riprendere. Perché per
lui era ovvio che, Genzo o non Genzo ronfante nel letto, avrebbero
ripreso!
Jun non fu
dello stesso avviso, infatti si limitò a rimettere le ginocchia al
petto e ad appoggiarvi il viso sopra, circondando la testa con le
braccia per coprirsi meglio.
Come se si
vergognasse a farsi vedere così o forse per ciò che aveva fatto.
Fu vicino ad
entrargli dentro, aveva iniziato a scoprirsi eppure faceva ancora di
tutto per impedirlo, aveva paura.
Bè, si disse
Kojiro guardandolo in quello stato, in perfetto silenzi ed in chiusura
totale, se Jun ne aveva paura figurarsi lui!
Non era proprio
il più indicato per aiutarlo, su questo ne era certo.
Sospirò
incerto, insofferente e combattuto, quindi udì appena un flebile:
- Devo
pensare…- Che non era un maleducato ‘vattene’, ma sempre quello il
concetto era.
Nessun’altra
spiegazione, nessun’altra parola, nessun’altra delucidazione.
Lui lo baciava
e poi lo invitava gentilmente ad andarsene!
Ma aveva senso?
Per lui no,
quindi ringhiando un qualcosa di incomprensibile persino a sé stesso-in
realtà non sapeva proprio cosa dire poiché non l’avrebbe mai insultato
anche se avrebbe voluto tanto- uscì a passo di carica sbattendo la
porta nel bel mezzo della notte.
Una cosa era
certa.
Dopo che
l’aveva assaggiato, Jun, il sentimento, l’amore o qualunque nome
avesse, dopo che aveva assaggiato quello che poteva chiamare Paradiso,
avrebbe lottato per averlo. E quella volta lottato come si doveva. A
tutti i costi.