CAPITOLO
IV:
UN BACIO NELLA
NOTTE
/Swan
Lake - Tchaikovsky/
Non
è che quella notte
fosse magica
o che, anzi... Kojiro si svegliò di soprassalto col cuore in gola
che batteva come un dannato, madido di sudore e ansimante.
Da quando
se ne era andato da quella casa infernale, aveva iniziato ogni
maledetta notte a fare quegli incubi e quando si svegliava di
soprassalto alle due, ancora gli pareva di essere laggiù, con quelle
persone terribili che lo maltrattavano.
Nel periodo in cui era stato là, al
contrario, si era ritrovato a sognare di andarsene ed ora che ci era
riuscito non poteva smettere di rivivere quei giorni da panico con
incubi persistenti. Lo trovava fastidiosamente ironico, come se qualche
idiota si prendesse beffe di lui, cosa insopportabile!
Quando succedeva, non riusciva più a dormire e
per lui era una tortura rimanere sveglio cinque ore, poiché riviveva
anche ad occhi aperti i suoi tragici quattordici anni di vita.
Si
alzò a sedere, gli altri due dormivano della grossa e maledì sé
stesso per non avere mai acquistato la passione per la lettura.
Pensando scocciato a cosa potesse fare per insonnolirsi e tornare a
dormire, fu allora che sentì qualcosa.
Inizialmente era confuso e
lontano, ma drizzando le orecchie si rese conto che non lo era poi
molto. Guardò il pavimento. Veniva dal basso. Dopo un paio di minuti
si rese conto di cosa si trattava: un pianoforte che suonava.
Quasi
sospirò sollevato costatando che era SOLO un pianoforte che alle due
della notte emetteva melodie!
Ora, una persona normale avrebbe come
minimo pensato a qualche fantasma o giù di lì, rimanendo nel letto
a tremare come una foglia. Kojiro naturalmente non era normale visto
che vide quella come l'occasione perfetta per fare qualcosa contro
l'insonnia. Senza pensarci un istante di più si infilò le ciabatte
e silenzioso sgusciò fuori dalla stanza. Non era un tipo curioso,
tendeva a farsi i fatti propri, ma giacché non riusciva a dormire e
che quel suono arrivava proprio da sotto la sua camera, gli sembrava
legittimo andare a vedere chi fosse quell'idiota che gli rompeva le
palle, come se i suoi incubi fossero generati da ciò!
Sceso al piano
di sotto sentì la melodia sempre più forte e seguendola non si
accorse di cadere via via come in trance. Le note si delineavano
sempre meglio e la malinconia struggente di quella composizione gli
penetrava il cuore.
Giunse davanti all'aula di musica. La sua camera
era esattamente sopra. In tutto il resto del piano c'erano le aule
ricreative composte da quella di musica
e artistica, sullo stesso piano c'era la biblioteca e la sala video.
Entrò quasi trattenendo il fiato e si fermò, vide che a suonare
nella penombra di quell'enorme aula c'era Jun Misugi e staccò i
contatti.
Quella canzone era la più triste che avesse mai sentito -non che ne
avesse sentite molte in effetti-,
ripeteva il motivetto all'infinito, come non ne avesse mai
abbastanza, e lo faceva con un tale trasporto da catturare lui stesso,
analfabeta di musica di qualunque genere, specie quello classico, e
catapultarlo di nuovo indietro nel tempo, a qualche giorno prima, in
quel postaccio con persone che lo maltrattavano,
lo punivano duramente per ogni cosa, lo picchiavano come se fosse l
unica ragione per cui fosse venuto al mondo. Rivisse con dolore i
momenti peggiori della sua breve vita, ricordandosi perché conosceva
solo l'odio e la violenza, perché non si era mai concesso nemmeno
un piacere, perché non conoscesse i propri gusti, non avesse amici,
non facesse le cose che fanno i suoi coetanei...
Che colpa si
poteva avere a nascere?
I suoi genitori non l'avevano voluto mentre
quelli che l'avevano adottato l'avevano trattato come uno schiavo o
peggio.
Fu quando urtò qualcosa che si rese conto di aver camminato
fino al pianoforte, rimase in quella specie di catalessi, come
ipnotizzato dalla musica lenta, triste ed intensa. Sembrava proprio
la morte di qualcosa di meraviglioso. Da lì lo vide bene. J
un
vestiva con una maglia nera dalla stoffa leggerissima che scivolava
morbida e liscia sul suo corpo, i pantaloni erano dello stesso tipo.
I capelli anche in quell'occasione erano perfetti, come non fosse
nemmeno andato a dormire. Suonava con gli occhi chiusi ma le sue
guance erano bagnate, calde lacrime trasparenti brillavano alla
flebile luce che c'era, finivano sui tasti bianchi e neri.
A cosa
pensava mentre suonava a quel modo, piangendo?
Cosa stava rivivendo?
Magari la morte di sua madre, il suo infarto, la notizia della
malattia al cuore, quella di non essere il vero figlio di Mikami
Wakabayashi... cosa aveva dentro, quel giovane che all'apparenza
sembrava perfetto ed il più fortunato del mondo? Certo peggio di lui
non poteva averla avuta, ma sicuramente non era stata una
passeggiata.
Alla luce di queste affermazioni, si ritrovò
addirittura seduto accanto a lui, davanti al pianoforte a coda. Con
una remota parte di cervello si diceva se non fosse impazzito, ma con
tutto il resto, la gran parte in effetti, faceva quel che voleva
senza ragionarci minimamente.
Solo perché voleva e sentiva e
provava.
Ed era libero, dannazione!
Finalmente lo era, poteva fare
veramente tutto quel che gli passava per la testa senza nemmeno
ragionare, non c'erano conseguenze come la cintura data sulle gambe
o sulla schiena, nemmeno la cantina buia, puzzolente e piena di
ratti. Non c erano nemmeno dei calci che gli massacravano gli organi
e la ragione!
Fu allora che Jun finalmente si accorse di avere un
ospite e alzò le dita dalla tastiera, facendo calare un improvviso
silenzio che presto divenne pesante.
Kojiro lo guardò con rimprovero
istintivo, come aveva osato smettere? Era così bravo...
Come la
musica cessò, i suoi ricordi orrendi vennero annullati tornando ben
chiusi dentro di sé. Fino alla prossima notte non li avrebbe
rivissuti.
Però anche se la musica e il passato non c erano più,
non per il momento, lui restava come ipnotizzato dall'atmosfera o
forse da quegli occhi castano autunno non molto lontani che lo
fissavano lucidi, seri e quasi confusi. Se ci fosse stata più luce
avrebbe notato che il colore caldo delle iridi, quando lui piangeva,
diventava quasi rosso ma in quel momento si limitò a realizzare
che era semplicemente il più bel tipo che avesse mai visto, fino ad
ora. Non che ne avesse visti molti, in effetti... ma non si poteva
negare che lui lo fosse.
Non gli era mai capitata una cosa simile,
nella sua breve vita burrascosa non aveva avuto tempo di vivere la
propria sessualità o notare il bello o il brutto. Tante cose gli
erano state negate, cose che viveva ora per la prima volta e spesso
bruscamente, improvvisamente e assai intensamente.
- Ciao... -
Mormorò Jun educato. La sua voce era roca ma gentile, talmente
sfumata e debole.
Stava male?
- Cosa fai? - Gli fece una domanda
stupida, ma se ne rese conto solo dopo averla fatta, eppure si sentì
ebbro per non dover temere le conseguenze.
- Suonavo... - Jun
avrebbe sorriso ironico in condizioni normali, però lì si capiva
che non lo era quindi rimase serio e aggiunse con un notevole sforzo,
solo perché era stato cresciuto in un certo modo: - Non volevo
disturbarti, ma in questa notte io suono sempre fino all'alba. -
Perché? Avrebbe voluto chiedergli, invece con sua grande sorpresa
si limitò a: - Cos era? -
Come se gliene importasse davvero.
- Il
lago dei cigni di Tchaikovsky. - Si guardavano senza essere capaci di
smettere, le spalle si toccavano e Kojiro indossava solo una
canottiera intima con dei pantaloncini, era anche tutto spettinato
con alcune ciocche lunghe che gli coprivano un po il viso dai
lineamenti selvatici e stupiti. Non era imbronciato, arrabbiato o
seccato, sembrava un altro.
- Perché? - Ma la sensazione di riguardo
svanì, voleva saperlo e basta. Vide Jun soppesare la sua risposta,
esitare e poi -chissà perché vista la sua riservatezza- rispondere
piano: - E' l'anniversario della morte di mia madre. Adorava questa
opera, ce la suonava sempre. - E poi, anche se per caso avesse voluto
-cosa improbabile- non avrebbe avuto più il tempo di aggiungere
altro. Le labbra di Kojiro calarono veloci e impulsive sulle sue
premendosi e impedendogli di muoversi.
Stette fermo immobile così,
senza toccarlo né violare la sua bocca oltre, gli rimase la
curiosità di assaggiare il suo sapore così come quella di provare
che sensazione gli avrebbe dato la lingua sulla sua.
Dopo aver agito
d'impulso come ormai aveva preso gusto a fare, era andato in tilt
dimenticandosi di ogni cosa, specie di pensare.
Quelle labbra ben
disegnate erano morbide ma fredde, chissà se almeno un po gliele
stava scaldando...
Fu una domanda fugace che ebbe prima di avere l'impressione di essere
nel posto più bello dell'universo.
Non aveva
mai baciato nessuno e nessuno aveva baciato lui. Gli era capitato di
vedere una volta un paio di pubblicità alla televisione dove due lo
facevano e pensava di aver capito più o meno come funzionava, ma non
aveva mai avuto ben chiaro tutti i passaggi. aveva pensato che una
volta iniziato il resto sarebbe nato spontaneo, ma lì di spontaneo
fu solo il blocco più totale, il panico e lo scioglimento di ogni
argine, un fiume in piena che straripava, la scoperta di un mondo
intero che prima aveva immaginato, certo, ma non così grande, vario
ed incredibile.
Kojiro, con sorpresa, shock e meraviglia, aveva
appena scoperto la propria sessualità.