CAPITOLO VIII:
AIUTO NELLO
SPOGLIATOIO
/Moment
of surrander - U2/
- Allora, come è andata
la prima prova? - Chiese Hikaru a bruciapelo appena vide Kojiro. Questi
venne immediatamente e bruscamente catapultato nel pomeriggio del
giorno prima, all’allenamento di pugilato che aveva fatto. E arrossì
violentemente, seccandosi per questo!
- Bene. Faccio
boxe. -
- Come
Wakabayashi! - Esclamò entusiasta Takeshi.
- E’ vero… come
va con lui? - Incalzò allora incuriosito l’altro amico.
Kojiro fece una
grande fatica a non soffocarsi con la propria saliva, suo malgrado
riuscì a rimanere serio e rispose:
- Lo prenderei
a pugni dalla mattina alla sera, ma ha un lato interessante… - Non ci
aveva pensato poi molto alla risposta, gli era venuta spontanea ma alla
conseguente domanda di Hikaru: - Sei gay? - si rese conto di aver detto
qualcosa di troppo e accendendosi attaccò non sapendo quanto in effetti
potesse fidarsi di quei tre che aveva conosciuto da poco:
- Che c’entra!
Apprezzare un lato di un ragazzo non significa essere gay! -
- Ah si? E qual
è questo lato che ti piace di Genzo? - Chiese con malizia il giovane
dai capelli castani. Kojiro ci pensò: non poteva certo dire che era il
sesso!
- Bè, è forte…
- Fece allora vago, insicuro se fosse una risposta adeguata. Quando
sentì Takeshi dire a sua volta con l’aria più sognante di questo mondo:
- Già… - capì che aveva proprio detto qualcosa di sbagliato.
Ken guardò il
proprio compagno più male che mai, mentre Hikaru lanciava vittorioso
un’occhiata eloquente all’amico che si rassegnò e seccato esclamò
esasperato:
- Ok, sono gay,
e allora? Problemi? - Tanto valeva ammetterlo a quel punto, ormai.
L’avevano già capito da soli!
Non era ancora
certo che fosse un male rivelarsi agli altri per quello che era, vedeva
che all’incirca tutti quelli come lui cercavano almeno un po’ di
mascherarlo e non ne capiva il motivo, che male c’era ad essere gay?
Però dedusse che un motivo ci doveva essere e istintivamente si era
trovato a fare altrettanto. O per lo meno a tentare.
Hikaru rise di
gusto mentre Takeshi non si era minimamente accorto dell’accaduto e si
chiedeva come mai Ken lo fissasse come per ucciderlo.
- Dev’essere la
camera… la diciassette ha la fama di essere stata solo di gay! Anche
adesso tre su tre, è anormale! Credo che sia maledetta… - Rincarò
divertito l’unico che stava capendo cosa accadeva.
Kojiro sospirò
spazientito:
- Ma che cagate
dici? E poi che male c’è ad essere gay? - Lui davvero non lo sapeva e
sperava che qualcuno finalmente lo illuminasse.
- Niente. Per
me niente. Sono amico loro… - Indicò i due al loro fianco che cercavano
di comunicare, o per lo meno uno cercava di farlo e l’altro di non
farlo. - Ma purtroppo in molti lo considerano anormale, strano, brutto,
contro natura e tutte queste palle qua! -
- Oh… - Rimase
senza parole la tigre che non si era minimamente aspettato una cosa
simile. Aveva avuto il vago sospetto che potesse essere come diceva
Hikaru, ma averne la conferma gli fece capire che era meglio tenersi i
fatti propri per sé, come aveva sempre fatto in vita sua.
Non chiese come
mai la gente fosse così indietro, era sicuro non ci fossero risposte a
quello.
Esaurito
l’argomento poté sentire Takeshi chiedere preoccupato al proprio
compagno:
- Perché sei
così silenzioso? - Non si era realmente accorto della gelosia del suo
ragazzo che ora guardava a braccia conserte da tutt’altra parte. - E’
per via del club di lotta? Ti manca il karate? - Lo disse probabilmente
così convinto da dimenticarsi che quello era un argomento tabù, infatti
come pronunciò quel nome Ken scattò con lo sguardo verso il piccoletto
e visibilmente irato urlò incontrollato:
- COSA DIAVOLO
C’ENTRA IL KARATE? QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE CHE NON DEVI PIU’
PARLARNE? - Così sbraitando in una scenata che non era assolutamente da
lui visto quanto calmo, riservato e controllato fosse sempre, se ne
andò via spedito lasciando un dispiaciuto Takeshi a sospirare
contrariato insieme ad uno stranamente serio Hikaru e un annichilito
Kojiro.
Poco dopo il
primo dei tre seguì il proprio compagno sparendo fuori dalla mensa in
cui si trovavano per la colazione.
Gli ultimi due
rimasti soli si guardarono e non servirono le parole per capire che il
moretto voleva capirci qualcosa. Allora l’amico l’illuminò scontento:
- Ken era un
campione di karate, nella sua categoria, ma per un brutto infortunio ha
dovuto mollare. Ora è guarito ma non ha voluto riprendere per paura di
non essere più alla forma di un tempo. Naturalmente questo è il mio
parere, ufficialmente dice di non essersi mai ripreso. - Un’altra
storia, quella, sicuramente interessante che per un momento fece
dimenticare tutto a Kojiro mentre si chiedeva come mai non ci volesse
nemmeno riprovare se ci teneva così tanto da scattare in quel modo.
I suoi pensieri
curiosi furono richiamati da un’altra storia ancora che si stava
sviluppando a qualche tavolo di distanza… anche Genzo stava alzando la
voce insofferente verso Karl che, tanto per cambiare, non reagiva e non
diceva assolutamente nulla.
- QUANDO LO
CAPIRAI CHE E’ COME DICO IO? - Tutti quelli che prima avevano fissato
curiosi Ken e Takeshi, ora si misero a fissare Genzo e Karl. Agli
sguardi di tutti puntati addosso, il biondo si alzò e gelando il moro
in un silenzio perfetto, se ne andò lasciandolo solo. Un istante e
Kojiro vide tutti i muscoli ben formati di Genzo tendersi e gonfiarsi,
vide addirittura le vene pulsare sottopelle e il colorito diventare
pericolosamente rosso. Quindi notò che si mordeva il labbro fino a
farselo sanguinare, contraeva la mascella facendola tremare e
tratteneva il respiro dalla rabbia.
“Ora
spacca tutto!”
Pensarono i
presenti impalliditi davanti a quella scena.
Senza
deluderli, evidentemente avevano già assistito a piazzate simili, Genzo
esplose dopo essersi trattenuto un po’ e con un pugno incrinò di netto
il tavolo che colpì, quindi sgusciò via veloce come un vento furioso.
- Ma che
succede a tutti, oggi? - Fece allora Hikaru costatando che
effettivamente nell’aria sembrava esserci qualcosa di strano.
L’attività di
club quel pomeriggio fu dettata dal malumore di Genzo che limitandosi a
sbraitare a Kojiro di usare gli attrezzi e -testuali parole- ‘non
rompergli i coglioni’, si era occupato del sacco da boxe tutto il tempo
ininterrottamente, furioso, letale, senza un attimo di respiro,
riducendosi ad un fiume di sudore e muscoli tremanti che non ce la
facevano più per lo sforzo immane a cui erano sottoposti.
Nessuno osò
contraddirlo, avvicinarsi o dirgli mezza parola, l’osservavano dal
posto più lontano possibile un po’ ammirati per lo spettacolo
affascinante a modo suo, un po’ allarmati di poter finire al posto del
sacco.
L’unico che non
lo fissava minimamente era Karl che continuava la sua attività di judo
come niente fosse.
Eppure era
chiaro che l’ira di Genzo fosse per lui, dopo che tutti li avevano
visti in mensa. Quali che fossero i loro affari specifici, perché
avessero litigato e cosa ci fosse dietro a quei comportamenti, nessuno
lo sapeva ma tutti avrebbero fatto carte false per venirne a
conoscenza, cosa che non sarebbe mai successa. Il fatto che Genzo si
era vantato con Karl della sua ennesima ‘conquista sessuale’, cioè di
Kojiro, e che il biondo gli aveva detto glaciale che non gliene
importava nulla, nessuno l‘avrebbe saputo. Come nessuno avrebbe mai
saputo che Genzo allora l’aveva accusato per l’ennesima volta di fare
solo finta di fregarsene, per ripicca del fatto che lui si portava a
letto tutti, in realtà era geloso poiché innamorato.
Karl da quel
lato non ci aveva mai sentito, aveva sempre negato con freddezza senza
mai dimostrargli nulla.
Genzo non lo
poteva sopportare.
A Kojiro era
bastato pochissimo per farsi un’idea della situazione fra i due, ma non
si era addentrato più di lì. Era impossibile dire chi dei due avesse
ragione, Karl era impenetrabile.
Affascinato
dalla furia di Genzo e dall’ardore con cui si imponeva sulla persona di
cui era evidentemente perso, vivendo i propri sentimenti a pieno senza
vergognarsi o nasconderli, immaginò che dopo tutto non sarebbe stato
male fare altrettanto.
E gli venne di
nuovo in mente Jun.
Un’idiota ed
infantile cotta per il ragazzo all’apparenza perfetto, in realtà solo
uno stronzo che giocava coi sentimenti degli altri: perché non riusciva
a liberarsene? Non riusciva proprio a capirlo.
Per tutto
l’allenamento pomeridiano Genzo non aveva avuto pietà di sé ed aveva
colpito sempre più forte il sacco. Alla fine delle ore era dovuto
intervenire Roberto a fermarlo e dirgli che aveva concluso e che doveva
andare a lavarsi e a riposare. Non gli aveva detto altro ma aveva
parlato togliendosi gli occhiali scuri, cosa che non faceva mai.
Guardarlo
diretto coi suoi occhi verdi penetranti forse era bastato a scuotere
Genzo e a farlo obbedire, poiché sconfitto si era diretto rabbioso
negli spogliatoi insieme a tutti gli altri ragazzi.
Karl era stato
il primo ad andarsene.
Quando il
giovane dai corti capelli neri tutti sconvolti e appiccicati alla testa
e sulla fronte l’aveva notato, si era fatto cadere stancamente e
pesantemente su una panca, si era preso il viso fra le mani
nascondendolo e aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia. Fermo
immobile, senza quasi respirare, come dormisse o cercasse di passare a
miglior vita.
Nessuno lo
toccò, nessuno gli parlò, tutti lo guardavano curiosi e pieni di timore
di diventare il suo sfogo.
Kojiro
osservava catturato cominciando a capire come si vivesse i propri
sentimenti e le delusioni amorose. Guardandolo stava giungendo alla
conclusione che lui non amava Jun anche se ne era ancora ossessionato
visto che finiva costantemente per pensarci in un modo o nell’altro.
Cosa fosse,
però, ancora non ne aveva proprio idea, ma certo non la stessa cosa che
Genzo provava per Karl.
Quel tipo così
sbruffone, odioso che solitamente trattava male tutti solo per
evidenziare quanto migliore fosse, solo perché viziato, solo perché
gonfio di sé, vederlo così abbattuto e cupo era sconvolgente ed
affascinante.
Kojiro fece
passare di proposito molti minuti al termine dei quali si ritrovò
unicamente con Genzo ancora seduto in quella posa. Non sapeva cosa
voleva fare, semplicemente aveva voluto stare da solo con lui.
Ora poteva, era
libero, niente lo obbligava più a non fare qualcosa!
- Rimarrai qui
tutta la notte? - Disse la prima cosa che gli venne in mente senza che
gli interessasse davvero. Poteva anche farci le radici, negli
spogliatoi.
Genzo non
rispose e ormai Kojiro aveva finito tutto, gli mancava solo di
andarsene e doveva ammettere che provava anche un certo languore allo
stomaco…
- Dovresti
rassegnarti. - Non aveva fatto chiaramente capire la situazione che
stava vivendo con Karl, eppure a Kojiro, uno nemmeno molto sveglio per
certi lati visto come aveva vissuto fino a quel momento, era apparso
chiaro. Forse perché anche lui stava vivendo una delusione, una presa
in giro o quel che poteva essere.
Non era da lui
dire di arrendersi, lui che nella vita non l’aveva mai fatto e che
proprio per quello ora era capace di andare avanti nel modo che voleva,
costruendosi giorno dopo giorno il suo mondo, suo e solo suo.
Non lo era,
però lo disse e forse lo fece solo perché lo trovò patetico in quello
stato, distrutto per uno che non lo calcolava e che non ci pensava
minimamente piantandolo in asso così.
- Io sono al
limite. - Mormorò Genzo lugubre come se Kojiro non avesse detto nulla e
magari non fosse nemmeno lì. La voce bassa e cavernosa giunse roca
all’altro che rabbrividì zittendosi.
Conosceva
quella sensazione. Forse non sapeva esattamente cosa significava amare
come amava Genzo, fino a ridursi in quello stato, però sapeva
perfettamente cosa significava essere al limite. Al vero limite.
E lo vide che
era vero e che non era una frase tanto per dire.
Lui ci era
arrivato per motivi diversi, più gravi, magari, ma non poteva giudicare
se quelli di Genzo fossero cazzate. Come poteva dire se disperarsi per
amore era una stupidaggine confronto al disperarsi per sopravvivere?
Probabilmente
dipendeva da quell’amore. Da quanto grande, vero, sincero, profondo e
totale fosse.
Se diventava
l’unica ragione di vita, magari, si poteva arrivare al fondo.
Kojiro era più
serio che mai e nella mente rivisse tutte le volte che anche lui
l’aveva creduto, l’aveva creduto così fortemente che aveva solo cercato
un modo per farla finita.
Un bambino che
cerca il suicidio.
Oh, se si era
trovato a quel punto… ma se ce l’aveva fatta lui, potevano farcela
tutti.
- Lo credi tu
di esserlo. In realtà ti rimane ancora una forza. Quella di risalire. E
credimi che io sono l’unico che può dirtelo. - Ci fu un attimo di
silenzio durante il quale le sue parole serie echeggiarono fra le
pareti penetrando Genzo che non respirava più. - Ce la farai. -
Concluse così, senza dargli risposte specifiche o soluzioni di alcun
tipo. In fondo non ne aveva.
Sapeva solo
quello.
Che ce
l’avrebbe fatta.
E non era un
augurio o uno sprone.
Era la realtà.
Genzo lo capì
che lo disse non perché lo sperava ma perché lui lo sapeva.
SAPEVA che ce
l’avrebbe fatta.
Quando per una
frazione di secondo la sua mente gli mise da parte Karl e i suoi
problemi, realizzò che quel ragazzino antipatico doveva aver vissuto un
bel po’ di cose terribili per essere così e poi parlare in quel modo.
Alzata la testa
di scatto per vedere la sua espressione -perché improvvisamente ci
teneva mostruosamente a vedere che faccia avesse- lui già se ne era
andato silenzioso, senza nemmeno farsi sentire, veloce, come fosse
stato tutto un sogno.
Eppure la porta
dondolava ancora, il suo profumo era presente, i passi risuonavano nel
corridoio fuori.
Però una volta
solo, Karl tornò prepotente nella sua mente.
Ce l’avrebbe
fatta, ma come?
Non sapeva
davvero più dove sbattere la testa, le aveva provate tutte.
Forse rimaneva
davvero solo arrendersi.
Forse era
arrivato il momento di farlo veramente.
Ma come?