11. CHE TU POSSA TORNARE INTERO

"Io – Io lo supererò Io – Io sopravviverò Quando il mondo cadrà a pezzi Quando cadrò e toccherò il fondo Mi tirerò su Non provate a fermarmi Io – Io non piangerò"
/Alice - Avril Lavigne/


Jiggy strinse le mani sulle maniglie del cavallo di ferro e assottigliò gli occhi. In  alto, sopra un punto specifico, Harry stava facendo diversi cerchi come ad indicare che lì c’era il pericolo. Prese così la pistola sparacuore pronto ad usarla ed accelerò l’andatura.
In breve arrivò nel punto designato e vide che effettivamente c’era un enorme gaichu. Quando Jiggy lo vide bene, realizzò che era uno dei più rari e feroci, di cui non si sapeva quasi nulla. Non ricordava nemmeno il nome, ricorda solo d’aver letto qualcosa nel manuale dei gaichu, qualcosa sul fatto che era a forma di scorpione e che non si sapeva nulla a proposito. Pensando a come identificare i punti deboli sconosciuti, fu allora che se ne accorse.
Il gaichu non veniva all’attacco perché stava mangiando.
Sgranò gli occhi sorpreso mentre il proprio cuore accelerava i battiti, conscio della portata del problema.
- Merda, sta succhiando il cuore di qualcuno! -
Così con il cavallo di ferro si spostò il più vicino possibile e cercando i tipici tentacoli con cui i gaichu tenevano avvolte solitamente le vittime, vide che erano due persone.
- Per prima cosa devo liberarli! - Disse alzando la pistola e puntando proprio alla base dei tentacoli che uscivano dalla bocca.
Sparò lì e fortunatamente questi cedettero facendo cadere due persone, non si fermò a testare le loro condizioni.
Una volta che ebbe mollato, Harry si abbassò volando in circolo in direzione della bocca.
- Suggerisci la bocca? Hai ragione, il resto sembra corazzato e quella coda ha tutta l’aria di essere velenoso… - Il falco stridette e Jiggy così si mosse sul mezzo e si spostò in tempo per evitare il colpo di un infuriato gaichu che era stato interrotto mentre mangiava. Jiggy non perse tempo, mirò subito alla bocca e fortunatamente il gaichu si illuminò da dentro, purtroppo non esplose in tanti pezzi e stelle luminose, perse un pezzo dal muso, stridette di dolore ed in quello, prima che Jiggy potesse caricare un altro colpo e finirlo, quello sparì sotto terra e fu impossibile ritrovarlo. Jiggy rimase lì sperando che Harry lo individuasse, ma purtroppo non ci fu verso. Il gaichu era sparito, sarebbe andato a rigenerarsi ed avrebbe fatto altri danni.
Jiggy imprecò fermandosi e rinfoderò la pistola.
- Merda, ha fatto un sacco di danni e non l’ho ucciso! - Esclamò guardando i ricordi che si mostravano a lui grazie all’energia esplosa nella ferita procurata con il colpo della pistola sparacuore.
Ricordi di due genitori ed un piccolo bambino dai capelli neri. Una storia dolorosa e triste nella quale avevano dovuto abbandonare il proprio figlio per il suo bene, per salvargli la vita. E che, proprio quando erano tornati da lui a prenderlo, questi li aveva rifiutati. I genitori se ne erano andati senza potersi spiegare, e proprio lì erano stati attaccati dal Laphroaig.
Jiggy chiuse gli occhi realizzando che probabilmente quel bambino ora non avrebbe più saputo la verità su di loro e lui non aveva nemmeno fatto giustizia.
Voltò il capo in direzione dei corpi inermi, era chino su di loro a controllarli quando una voce lo riscosse alle proprie spalle. 
- Oh merda! - Sentì poco finemente. Si girò sorpreso di quell’esclamazione e appena vide il bambino, lo riconobbe subito. Era il figlio dei due che avevano appena perso completamente il cuore.
Il piccolo non doveva avere più di sei anni, probabilmente, e mano a mano che si avvicinava e vedeva chi era stato colpito dal gaichu, rallentava e si faceva shoccato.
Lo raggiunse senza nemmeno notarlo, concentrato, inorridito sui corpi riversi a terra. Si chinò per toccarli, probabilmente girarli, ma Jiggy lo fece al suo posto e il piccolo strinse i pugni incupendosi.
Jiggy lo guardò stupito. Non stava piangendo e nemmeno facendo scenate. Era immobile, rigido, duro e cupo. Stringeva i pugni come un adulto, ma non si stava piegando, non stava scappando, non stava facendo nulla. Non una lacrima.
Ricordò le memorie appena viste dai genitori e capì che probabilmente si sentiva in colpa, li aveva appena mandati via, li aveva appena rifiutati, comprensibilmente. Come ci si poteva sentire?
- Hanno perso il cuore. Del tutto, temo. Però un medico potrà sapertelo dire meglio. - Disse cauto, piano, senza indorare alcuna pillola.
Jiggy si rivide in lui in qualche modo. Quando il padre era morto attaccato da un gaichu, salvandogli la vita, un Bee era arrivato a strapparlo dal suo corpo inerme e l’aveva portato a sua madre, dopo aver ucciso il gaichu. Sì, quel bambino gli ricordava sé stesso. Troppo. Istintivamente, sentendosi partecipe del suo dolore poiché l’aveva provato a sua volta, caricò i due corpi ridotti allo stato vegetale, li mise riversi sul cavallo di ferro, infine prese il bambino in braccio senza chiedergli nulla. Se lo mise davanti a sé e salì a sua volta accendendo il motore.
- Tieniti. - Mormorò come se non avesse scelta. Il bambino, perso in un mondo cupo a cui non aveva accesso, lo fece come automaticamente e appena l’abbracciò, nascose il viso contro il suo torace. Quell’abbraccio fu strano, lo investì di una strana sensazione. Un tuffo nei ricordi, quelli che gli avevano strappato il padre e si rese conto che stava facendo come quel Bee quel giorno aveva fatto con lui.
Sospirò muovendosi  verso il villaggio vicino, alla ricerca di un ambulatorio medico. La presa aumentò, le sue piccole braccia fecero finalmente forza, reagendo e Jiggy ricordò come quella presa ferrea l’aveva aiutato a ritrovare il coraggio di aprire gli occhi e smettere di piangere.
Non sapeva cosa dire, non c’erano parole che potevano essere di conforto, specie per un bambino così piccolo con una storia come quella.
‘Non piangere’, ‘torneranno’, ‘andrà tutto bene’, ‘è finita’.
“Non è finito proprio niente. È appena iniziata!Moriranno.” Pensò. “Sono ancora vivi, ma moriranno. Sono dei vegetali e lo saranno fino a che non si consumeranno anche nel fisico e moriranno. Non mangeranno più, non faranno più nulla. Sono finiti.”
Il bambino sempre stretto a sé, come se dentro per quanto piccolo fosse avesse capito che non avrebbe più avuto una seconda possibilità, o meglio dire nel suo caso terza, coi suoi genitori.
Una volta arrivato dal medico della zona, lo aiutò a tirare giù i corpi mentre, con aria grave e dispiaciuta, conveniva con quel che aveva già capito da solo.
- Hanno completamente perso il cuore, non gli rimarranno molti mesi di vita, così. -
- Come si chiama questo bambino? Ha qualcuno? - Il medico scosse il capo dispiaciuto.
- Zazie è un gatto selvatico, non ha nessuno. Se questi sono i suoi genitori, li ha appena ritrovati per perderli subito. - Jiggy non fece alcuna espressione particolare davanti ad un fato espresso in modo tanto crudo e realista, ormai non si illudeva più che ci fosse un lieto fine per qualcuno, ma sapeva che lottando e insistendo, i lieti fine potevano essere creati dalle persone stesse che soffrivano.
Sperò che quel piccolo Zazie fosse abbastanza forte da costruirsi da solo un futuro migliore di quello che era ora il presente.
- Li terrete qua? - chiese sentendo che il bambino si era chiuso in sé stesso senza ascoltare e guardare quello che avveniva intorno a lui.
Il medico annuì guardando i due corpi ormai inermi stesi in due letti singoli, uno vicino all’altro, sembrava stessero solo dormendo.
- Zazie se l’è cavata da solo fino ad ora, non so come… se la caverà ancora. Solo che un po’ mi dispiace che lì ha ritrovati e persi lo stesso giorno. - Disse il medico come se fosse pratico. Probabilmente in tutta Yodaka lo erano tutti, chissà quante storie così, chissà quante tragedie.
Jiggy annuì e cercò di staccarsi da Zazie, il bambino aumentò la presa e gli venne un nodo allo stomaco. Era come stringere sé stesso, era come tornare indietro nel tempo, quando il Bee aveva cercato di lasciarlo alla madre. Come si affrontavano certi tragici eventi?
Con la verità.
Il medico cercò di aiutarlo, ma Zazie non volle saperne, così Jiggy annuì dicendo che se ne occupava lui. Il medico allora si congedò e lo lasciò solo in quella stanza d’ospedale fin troppo grande per un bambino solo così piccolo.
Si sedette con lui e ancora abbracciato e carezzandolo come ricordava gli era piaciuto a lui quel giorno di tanti anni fa, parlò con calma ma chiarezza, senza indorare alcuna pillola.
- I tuoi genitori sembrano vivi e staranno così per un po’ di tempo, purtroppo si spegneranno senza che nessuno possa farci nulla. Quel mostro, il gaichu, ha divorato tutto il loro cuore. Non reagiranno più a nulla, non mangeranno, non berranno, non parleranno. Non sarà facile, non sarà bello. Devi prepararti. Ti aspetta la cosa più brutta della tua vita, ma se sarai così forte da superare questo, supererai tutto. Niente nella tua vita sarà peggio di questo. Per cui devi resistere perché loro hanno dato la vita per te e non vorrebbero che ti spegnessi come loro. Hai capito? - Il bambino respirava piano cercando di capire bene quello che diceva. Gelato, fra le sue braccia. - Devi diventare forte anche per loro, devi trovare un motivo per vivere, uno scopo. Vivranno in te se tu sarai così forte da sopravvivere. Trova uno scopo e vivi per quello. Hai capito? Non devi arrenderti. La vita è orribile, è la cosa più brutta del mondo. Ma un giorno, se stringerai i denti e lotterai sempre con tutto te stesso, scoprirai che ci possono essere anche cose belle. Te lo prometto. Che le cose belle ci sono. Voglio che lotti per cercarle. Hai capito? - Parlando pensò a Gauche ed una voglia immensa di vederlo e stringerlo lo invase. Ingoiò il magone e sospirò, infine lo prese per le spalle e lo staccò. Finalmente lo guardava in viso.
Il piccolo Zazie non piangeva più. Forse gli aveva spezzato il cuore, forse non ce l’avrebbe fatta.
Ma in quei begli occhi da gatto, Jiggy sperò ardentemente un giorno di rivederli vivi e sorridenti.
“Se dovessi pregare, pregherei che questo bambino ce la facesse!”
Pensò baciandogli la fronte.
- Tieni duro, me lo prometti? - Zazie annuì col broncio e gli occhi incupiti, arrabbiati. Gli occhi di un bambino che aveva sapeva già quanto brutta era la vita e che probabilmente non ci poteva fare nulla.
L’innocenza oscurata.
- Sono Jiggy Pepper. - Disse infine. Dirgli il proprio nome poteva essere come donargli una piccola speranza, un piccolo unico ricordo decente. Qualcuno l’aveva aiutato e si chiamava Jiggy Pepper.


Stesi sul letto, nudi, la pelle candida imperlata di sudore, quella di Jiggy coperta anche di cicatrici, una nuova sulla guancia di Gauche. La sua testa sulla sua spalla. Ascoltare i respiri.
- Sai, ho conosciuto un bambino, oggi. Si chiama Lag Seeng. Era la lettera che dovevo consegnare. Un pacco, in realtà. -
Disse Gauche con voce sfumata.
- È stato difficile? - Chiese Jiggy. Gauche sorrise.
- Mi ha fatto un segno alla guancia con la pistola… è particolare… ha un ambra spirituale sull’occhio sinistro, è albino come me. All’inizio ha opposto resistenza, voleva la mamma. È stato separato da lei e pare non abbia un padre. L’ho portato da questa zia. - Spiegò Gauche come se sentisse che in qualche modo era un evento importante di cui parlare. L’aveva fatto anche con Silvet prima di uscire con Jiggy, i quali poi erano finiti a casa di quest’ultimo.
Da quando lei era grande Jiggy si era rifiutato di passare tutte le sere lì, come se lo inibisse. Come se volesse limitarsi ad essere il mondo di Gauche e basta, una sorta di esclusiva.
- Alla fine si è calmato ed è diventato un bimbo dolcissimo! Aveva solo molta paura e voleva la mamma. È triste perché forse non la vedrà mai più, ma gli ho promesso che se fossi diventato Head Bee e sarei andato alla capitale, avrei provato a cercarla. È stata portata là. - Jiggy ascoltava, parlava dell’andarsene alla capitale Akatsuki come se fosse semplice. Jiggy non voleva immaginare cosa poteva significare lasciare casa, Silvet, lui, per andare a ricoprire una carica prestigiosa e molto ben retribuita lontano da lì.
Avrebbe potuto tentare anche lui quella strada, ma il ruolo di Corriere Espresso gli permetteva di lavorare tanto ed essere al tempo stesso vicino alle persone che per lui contavano.
Ora però quella cosa stava per cambiare.
Perché Gauche stava andando in un luogo dove lui non poteva raggiungerlo con un giro sul cavallo di ferro. Ma non glielo avrebbe mai detto o fatto pesare, perché era felice che inseguisse i suoi obiettivi ad ogni costo.
- Siamo diventati amici, l’ho potuto abbracciare e lui piangeva! Piange un sacco, ma è un bambino, penso che crescendo maturerà e diventerà forte! - Jiggy l’ascoltò e gli venne in mente il bambino che invece aveva incontrato lui un po’ di tempo prima.
- Anche io ho incontrato un bambino. I suoi genitori hanno perso il cuore per colpa di un gaichu. Sono diventati dei vegetali e moriranno. E lui è solo e così piccolo. - Silenzio. Un silenzio pesante per quel che aveva detto. - A volte mi chiedo chi diavolo ha costruito questo mondo di merda. - La finezza di Jiggy rese l’idea e Gauche si mise a pancia in giù alzando il capo, lo guardò da vicino giocando con le sue ciocche rossicce spettinate sul cuscino, percorse la cicatrice sulla guancia.
- Non mi hai mai raccontato delle tue avventure. Ti ha colpito questo bambino? - Chiese Gauche non sapendo cosa rispondere.
Jiggy lo guardò sentendosi meglio per quelle dita dolci sulla propria pelle ruvida.
- Mi sono rivisto in lui. Mi è successa una cosa simile. Un Bee mi ha salvato da un gaichu, ma purtroppo mio padre non ce l’ha fatta. Ma io non ero completamente solo, avevo mia madre. - Gauche l’ascoltò attento, era bello ogni volta che si apriva con lui.
- Quel Bee era Largo Lloyd. - Gauche lo guardò meravigliato. - Mi ha ispirato lui a prendere quella strada. Lui… è tornato anche altre volte a vedere come stavo, mi ha proposto di diventare Bee perché ero portato e… mi ha dato il manuale da studiare, le domande di iscrizione… mi è stato tanto dietro. Se lo sono, è merito suo. - Gauche sorpreso sorrise.
- È il candidato al ruolo di direttore, sapere che gli importa tanto degli altri lo rende un candidato perfetto, non trovi? - Jiggy annuì senza sorridere a sproposito, mentre una mano carezzava la curva lombare della sua schiena.
- È un ficcanaso insistente che vuole sapere i fatti di tutti, mi ha tormentato più volte per sapere cosa succedeva fra noi, ha macchinato un sacco per farci mettere insieme… forse solo perché punta ad Aria, in realtà… - Gauche rise.
- Però ci ha aiutato! - Jiggy allora accennò ad un sorriso e alzò la testa baciandolo per imprimersi quella bella visione.
- Ha detto che domani spediranno il modulo per l’accettazione del nuovo Head Bee. - Disse poi Gauche. Jiggy tornò serio, ma non cupo, solo pensieroso.
- Per cui in poco tempo dovremmo sapere se ti accettano. - Guche annuì.
- E se così fosse, partirò per la capitale per un tempo indefinito. Non so quando potrò avere la libertà di tornare a casa, spero in un po’ di giorni di congedo ogni tanto. Così torno a vedere te e la mia Silvet. - Jiggy scosse il capo e gli mise la mano sulla faccia spostandoselo da sopra.
- Tu sei così sicuro di essere accettato, sì? - Disse acido, alzandosi a sedere. Gauche rimase steso a braccia larghe, divertito.
- Certo! Ho lavorato tanto! Ormai è fatta! Hanno detto che se portavo a termine questo compito difficile, il posto sarebbe stato praticamente mio! E ci sono riuscito! - Poi ci rifletté.  - Lag Seeng è stato il mio biglietto per diventare Head Bee. Non lo dimenticherò mai quel bambino! -
Jiggy pensò a Zazie e si chiese se ce la stava facendo.
“Se tornassi si aggrapperebbe a me, invece deve farcela da solo. Come Silvet. Se stessi da lei e continuassi a frequentare casa sua anche dopo, quando Gauche non ci sarà, poi si aggrapperebbe troppo a me e non diventerebbe mai forte. Anche Gauche. È diventato forte perché ha camminato con i suoi piedi. Mia sorella deve farcela da sola, è forte perché ce la fa da sola. Io sono forte perché ce l’ho fatta da solo.”
Jiggy aveva quell’ideologia che l’aveva portato a traguardi importanti, perciò non si sarebbe piegato facilmente.
Gauche scivolò sul bordo del letto dove Jiggy era seduto, dandogli le spalle. Gli circondò la vita nuda con le braccia e fece capolino col volto appoggiando il mento sulla sua coscia. Alzò gli occhi viola e l’osservò dal basso. Lui aveva un’espressione pensierosa, impenetrabile come sempre.
- A cosa pensi? - Chiese Gauche. Jiggy a quel punto, dopo averci riflettuto, abbassò il capo e lo guardò.
- Che mi mancherai. E spero che tu possa tornare ogni tanto. - Il resto non lo disse.
“E che tu non ti dimentichi più di niente altro. Specie di me.”
Era inevitabile pensare che andava più vicino alla causa che gli aveva tolto la madre dalla memoria.
Quando quel giorno il sole artificiale aveva balenato, in qualche modo gli aveva strappato un pezzo di cuore. La madre dai suoi ricordi.
Ora andava proprio lì dove quel sole poteva completare l’opera.
Come non pensarci?
“Che sciocchezze. Tanti ci vanno e tanti tornano! Ci sono funzionari statali di continuo che rompono le palle. Perché dovrebbe succedere sempre qualcosa a Gauche?”
E così non disse nulla delle proprie preoccupazioni, né ne diede cenno.
Gauche gli baciò il fianco e rimase così, mentre Jiggy faceva scendere la mano sulla sua nuca e l’accarezzava sui capelli bianchi e spettinati.
- Tornerò di sicuro. Potrò curare Silvet e quando la vedremo correre saremo così felici da sposarci! - Disse felice, entusiasta e sicuro di sé.
Jiggy ridacchiò scuotendo il capo.
- Sposarmi io? Sei pazzo? - La risata di Gauche non l’avrebbe dimenticata. Lui no.
- Ci amiamo, perché no? - Jiggy scivolò giù dal letto e si sedette per terra, affacciato sul bordo dove stava lui a pancia in su. Gli prese il viso fra le mani e lo baciò al contrario.
- Intanto parti e vedi di tornare intero. Poi ci pensiamo a queste sciocchezze! -
Qualcosa a cui si sarebbe sempre aggrappato, negli anni a venire.
In quei lunghi cinque anni di assenza.
- Tornerò con un anello enorme! - Gauche continuò a parlare di un ipotetico matrimonio fra loro e Jiggy a tentare di farlo desistere, solo per puro divertimento. Mentre, in cuor suo, sperava di poterlo fare davvero, un giorno.
Un giorno.