12. LA RUOTA RIPRENDE A GIRARE
Ormai aveva salutato Silvet
che, fra le lacrime, gli aveva chiesto di non andare, che non le
importava di camminare, perché se lui era con lei, era felice lo stesso.
Ma lui era uscito di casa comunque. Per l’ultima volta, nei panni di Gauche.
Jiggy l’aspettava fuori casa, quella notte era stata l’ultima insieme.
Avevano spedito la richiesta e ricevuto conferma.
Il messo statale stava venendo a prendere il nuovo pretendente al ruolo di Head Bee.
Quel giorno sarebbe partito.
Gauche sorrise e si protese verso
di lui, solitamente Jiggy si scostava e gli diceva di controllarsi. Era
sempre convinto che mostrarsi in rapporto con qualcuno potesse renderlo
debole.
Ma in quel momento Jiggy non si
scostò, gli andò incontro col capo e prese le sue labbra con la
consapevolezza che poteva essere l’ultima volta e la speranza che così
non fosse.
Gauche lo visse con un senso di
tragicità dentro. Quello segnava la preoccupazione di Jiggy che si
stava tanto sforzando di non mostrargli.
In silenzio, serio, salì sul cavallo di ferro e gli cinse la vita con le braccia.
Il petto contro la sua schiena, il
mento sulla sua spalla. Insieme a guardare la strada illuminata dai
fari del mezzo che si muoveva grazie al cuore di Jiggy.
- Tornerò. Tornerò per te e Silvet.
- Mormorò. Jiggy non diceva nulla, solitamente. Ma lì, senza girarsi a
guardarlo, duro come da molto non lo era con lui, disse:
- Promettilo. - Gauche gli baciò il collo in un piccolo pezzettino lasciato libero dalla sciarpa bianca.
- Lo prometto. Tornerò sano e
salvo, intero, da te e Silvet. Farò camminare Silvet e sposerò te! -
Jiggy non aveva mai pregato, sebbene stesse facendo costruire una
cattedrale nella propria città.
Però lì pregò per la prima volta.
“Se esiste un Dio, me lo devi restituire!”
Con questo arrivò all’Alveare, dove
tutti i Bee e gli impiegati erano raccolti per salutare la nuova
leggenda fra loro. Ogni volta che qualcuno stava per diventare Head
Bee, era sempre una grande notizia per loro.
Jiggy si fermò imprecando sul fatto
di essere visti arrivare insieme davanti a tutti quanti, ma Gauche
ridendo scese e gli lasciò la mano sulla spalla un pochino di più, poi
lo lasciò e facendo finta di non essere guardato da una cinquantina di
persone, si voltò verso Jiggy.
- Mi accompagni dentro? Devo fare
un’ultima cosa prima di partire, ma mi serve la tua assistenza. - Disse
tranquillo e misterioso.
Jiggy immaginava di cosa si
trattava. Largo in parte sorrideva soddisfatto, Aria invece era in
lacrime e lui la stava consolando.
Jiggy scese dal cavallo di ferro ed entrò con lui ignorando tutti, Gauche li salutò composto.
Una volta dentro salirono le scale
e raggiunsero l’infermeria, bussarono e lieti che fosse vuota, si
infilarono dentro chiudendo la porta a chiave.
Una volta lì, Gauche si voltò verso Jiggy, gli occhi lucidi, il volto sorridente.
- Ho un po’ paura. - disse. - Ma
sono anche eccitato. - Ammise. Jiggy gli sistemò il cappello sulla
testa e la sciarpa intorno al collo, stessa cosa fece con la giacca
allacciata di cui poi tenne il colletto per tirarlo a sé.
- È normale. Quel che conta è non
fermarsi mai. Devi andare avanti fino in fondo a qualunque costo. Ma
ricordarti sempre di… - Gauche completò per lui più calmo.
- Di tornare da chi amo, da chi mi
ama. Di fare in modo di tornare sempre. - Jiggy, felice che avesse
imparato, annuì e gli regalò un sorriso che nascondeva bene il proprio
stato d’animo.
- Tornerai da me e Silvet. -
Concluse per lui. Poi gli prese i viso fra le mani e lo baciò. Le
labbra e le lingue divennero una cosa sola. Il mondo sparì per un
momento e rimasero solo loro, aggrappati a quelle emozioni, a quei
sentimenti che nessuno poteva sapere se avrebbero potuto provare
ancora.
“Fa che non sia l’ultimo bacio!”
Pensarono entrambi.
Il bacio si protese per qualche
istante di più, poi sospirarono, si separarono, gli occhi di entrambi
lucidi. Jiggy toccò il mento di Gauche con l’indice ed infine gli fece
l’occhiolino.
- Te la caverai alla grande. - Ma quello poteva solo sperarlo.
Gauche si riprese e più tranquillo di come era entrato, gli strinse la mano, poi guardandolo negli occhi disse che l’amava.
- Non dimenticarlo mai. Qualunque
cosa possa succedermi, anche se non dovessi più tornare, tu sai che ti
amo e il sentimento non muore anche se muore la persona che lo prova.
Possono succhiare via il cuore, ma una volta che si prova l’amore, con
o senza cuore… rimarrà per sempre. - Con queste parole Gauche baciò
ancora Jiggy, infine se ne andò.
Mentre saliva nella carrozza col
funzionario statale che lo doveva portare ad Akatsuki, una capitale
inaccessibile se non a chi aveva un permesso speciale come quello di
Gauche, Jiggy sospirò con la sensazione più brutta della sua intera
esistenza.
La sensazione che sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto.
Largo gli mise una mano sulla spalla dopo aver consolato Aria che era infine corsa via. Jiggy non fece nulla.
- Tornerà? - Chiese a Largo, il quale rispose con sincerità.
- La vera domanda è come. - E con questo i due rientrarono, come se sapessero che qualcosa in tutto quello stonava.
Avrebbero capito di cosa si trattava solo cinque anni dopo.
Come uno sparo nel buio, lo sparo nel buio non sai chi colpisce e se colpisce qualcosa e non sai l’entità del danno.
Quel proiettile colpì nel buio e lo abbatté inesorabilmente.
Jiggy non avrebbe mai dimenticato quel momento.
Il momento in cui la notizia della nuova carica di direttore era arrivata insieme a quella della scomparsa di Gauche.
Jiggy era così in piedi, rigido, silenzioso, accanto ad Aria, davanti al novo direttore.
Largo, seduto dietro una ‘scomoda’
scrivania, guardò Aria con gli occhi gonfi di lacrime e sospirando
cercò di essere più umano e comprensivo possibile.
- Le circostanze sono le peggiori
che si potevano immaginare. - Disse Largo, mani giunte sotto il mento,
aria composta, tono dispiaciuto.
Le sciolse e allungò sul tavolo di legno elaborato, due buste.
- Aria Rink, la tua richiesta di
impiego nell’Alveare con compiti diversi dal Bee è stata accolta. Sarai
la mia assistente personale, la mia segretaria. - Jiggy avrebbe pensato
malizioso che aveva ottenuto il suo scopo, alla fine. Ma in quel
momento si era decisamente dimenticato delle mire presunte di Largo su
Aria. Lei prese la busta con l’incarico ufficiale ed annuì.
Dopo le tracce perse di Gauche,
Aria aveva iniziato a lavorare sempre peggio e rischiando la vita
ripetutamente, aveva capito che non poteva più fare quel lavoro.
Largo poi guardò Jiggy.
- Il tuo ruolo non cambierà, sei
confermato come Corriere Espresso. Però avrai un compito in più oltre
alle consegne speciali. - Disse serio e professionale senza lasciar
trapelare nulla.
Jiggy prese la busta, l’aprì freddo e lesse.
- Voglio che cerchi Gauche Suede.
Sei l’unico che può continuare a svolgere i tuoi compiti di Bee e
contemporaneamente cercare Suede. - Disse sempre composto.
- Pensavo fosse stato dato per disperso. - Disse gelido, duro. Un muro innalzato fra lui e loro. Largo sospirò.
- In via ufficiosa… - Jiggy e Aria
lo guardarono. - È un disertore. È andato via e non è più tornato. Ma
siccome non si è fatto vivo nemmeno qua, con Silvet, penso che gli sia
successo qualcosa. Voglio che lo cerchi, mentre porti avanti i tuoi
soliti incarichi. Che indaghi, cerchi di capire cosa può essere
successo. Sei l’unico in grado. Sei il più discreto. -
Aria rimase colpita da quel dialogo
e ancor di più dal sapere che Gauche era effettivamente scappato dalla
capitale abbandonando il suo ruolo di Head Bee.
- Non avrebbe mai lasciato il suo ruolo dopo averlo faticosamente conquistato. - Disse lei.
- Per questo voglio capire cosa è
successo. Deve rimanere fra noi, ma penso che la capitale ci stia
nascondendo qualcosa. Cercheremo di capirlo senza farci notare. - Jiggy
provò un po’ di calore nel sentire quelle parole, quella confidenza,
quella verità da scoprire.
Come se avere uno scopo per Gauche,
potesse dargli la forza di andare avanti, qualcosa a cui aggrapparsi
per non crollare, per rimanere in sé.
Jiggy annuì senza fare una piega,
infine si congedò silenzioso. Aria rimase lì con lui, ancora persa
nelle rivelazioni scoperte, ignara di quel che Jiggy stava passando,
cosa di cui invece era consapevole Largo.
- Pensi che ci sono speranze? -
Mormorò.
- Penso che quello che è successo è
ben lontano dal normale e se possiamo fare qualcosa, Jiggy Pepper è
l’unico che ci può aiutare a farlo. - Aria allora sospirò, si sistemò
gli occhiali da vista che aveva iniziato a mettere da un po’, infine lo
guardò con più risolutezza.
- Fino ad allora, c’è un lavoro da svolgere, vero? - Largo sorrise appoggiandosi allo schienale.
- Direi proprio di sì! -
- Congratulazioni per la carica di nuovo direttore. - Fece Aria. Largo annuì.
- Grazie signorina Rink.
Congratulazione anche a lei. Come prima cosa le chiedo di accogliere i
nuovi aspiranti Bee. Si chiamano Zazie e Connor. - E così stava per
cominciare di nuovo.
Jiggy stava percorrendo il
corridoio con la lettera d’incarico in mano, stretta nel pugno. L’aria
dura che fissava davanti a sé, intransigente, inaccessibile.
L’aria di chi stava giurando a sé
stesso che non sarebbe mai crollato, che sarebbe andato avanti per
sempre ad ogni costo senza mai dimenticare i propri obiettivi e le
promesse.
Ricordandosi che non si pensa al futuro ma solo al presente.
E che qualunque cosa sarebbe
successa od era già accaduta a Gauche, niente avrebbe tolto loro quel
che avevano vissuto e che erano stati.
“Forse è finita davvero o forse c’è
ancora qualcosa che si può fare, una piccola speranza. Non lo so. Ma
non mi fermerò. Perché niente mi toglierà quel che ho vissuto, la
felicità di quei giorni, la pienezza di quei sentimenti. Niente.”
Niente l’avrebbe fermato, perché l’aveva sempre promesso a Gauche.
Era all’accettazione a prendere le consegne, quando notò la presenza di due nuovi bambini probabilmente coetanei.
Uno dei due aveva un’aria familiare, rallentò e l’osservò senza fare una piega.
Il piccolo non lo vide.
Aveva un’aria da gatto, in qualche modo glielo ricordava.
Un flash, un ricordo. Infine si voltò in fretta e andò oltre, mentre sotto la sciarpa nascondeva un sorrisino felice.
“Il piccoletto ce l’ha fatta. Come si chiamava? Zazie?” Lo sentì esclamare, proprio mentre usciva.
- Lui è il grande Jiggy Pepper?! Ma è il mio idolo! Io sono qua per lui! -
Jiggy si affrettò a chiudere la
porta e ad arrivare al cavallo di ferro, mentre un po’ di calore,
almeno un pochino, gli permetteva di trovare la forza di riaccendere il
proprio mezzo e salirci sopra.
“Ecco che la ruota riprende a girare.”