PARTE TERZA
JIGGY COME ZAZIE, GAUCHE COME LAG

21. LA PROMESSA


"I miei occhi sono d'acqua
Lo specchio più fedele
Intrepido nel mio sussurro
Lacrima sul fuoco
di una confessione"
/Teardrop - Civil Twilight/


Era abituato al buio, ma quel giorno era particolarmente pressante, soffocante.
Jiggy era tornato all’Alveare a fare rapporto a Largo Lloyd in persona circa i suoi svariati compiti che faceva per conto suo.
Quel giorno c’era qualcosa di strano, aveva avuto una sensazione durante la strada. Come se quella sera, tornando lì, avrebbe rivisto Gauche. Poi l’aveva scacciata con la razionalità tipica con cui faceva tutto.
Varcata la soglia sentì fermento. Tutti i Bee non facevano che parlottare, ma non capiva cosa poteva essere.
Era arrivato dopo il solito, l’ora di chiusura dei turni era passata da un pezzo, i Bee cominciavano ad andare a casa, così come gli impiegati. Però lo facevano parlando strabiliati di qualcosa che non distingueva.
Jiggy se ne disinteressò, eppure con una piccola parte di sé continuava a sentire, come se sapesse che era importante.
Entrato nello studio di Lloyd, lui era rivolto verso la grande finestra che dava su Central, la città dell’Alveare, la provincia di Yusari.
Jiggy fece rapporto come al solito, freddamente, scostante.
Era stato lui ad individuare un predone sospetto e a comunicarlo al direttore il quale aveva mandato Lag ad indagare a Blue Notes Blues.
Jiggy non l’aveva mai incontrato, più volte ci era andato vicino e l’aveva cercato come a sentire che lui, che quel marauder in particolare, era importante, era diverso.
L’aveva sempre sfiorato, ma Lloyd l’aveva trovato per lui e portato lì.
Anzi.
Riportato.
Per lui, perché glielo aveva promesso.
‘Il tuo cuore è sempre più gelido.’, gli aveva detto un giorno nel corso di quei cinque anni.
‘Parli tu che sembri mister ghiacciolo? Sorridi e fai il gentile, sembri avere a cuore tutti, ma ti importa davvero?’ Aveva risposto acido Jiggy.
Lloyd aveva sorriso come sempre, gentile ed enigmatico. Poi aveva detto:
‘Non so quanto mi ci vorrà, ma prometto che te lo riporterò qua. Perciò non perdere la chiave per aprire di nuovo il tuo cuore.’ Jiggy ormai non ci credeva più, perciò disilluso aveva risposto.
‘Ormai non ci credo più, non serve che ti sforzi. Per il mio cuore è tardi, non c’è una chiava per riaprirlo. Gauche se l’è portata via.’
Solo con lui ne parlava, solo lui sapeva. Lloyd ne sapeva molte di molti.
‘Non so in che condizioni sarà, non so che Gauche Suede sarà. Ma te lo riporterò.’
Jiggy non aveva mai dimenticato quella conversazione. Era una serata simile a quella.
Lloyd rivolto alla finestra, in piedi, ascoltava il suo rapporto con voce gelida.
Come quella volta, si era voltato. Come quella volta gli aveva sorriso gentile, con una luce enigmatica nello sguardo.
Jiggy non aveva mai capito Lloyd, perché aiutava gli altri, che tornaconto avesse. Però l’aveva sempre fatto, apparentemente gratis. Aveva capito che non si poteva ottenere tutte le risposte e che a volte bisognava solo accettare gli altri per quello che erano.
Con lui era sempre stato giusto ed in gamba. L’aveva aiutato molto. Il resto non contava.
- Ho io delle notizie per te. - Disse con quel sorriso strano, la sigaretta spenta all’angolo della bocca.
- Sarebbe? - Chiese Jiggy dritto, i capelli spettinati sparati da tutte le parti, rossi. La cicatrice sotto l’occhio.
- Ti ricordi la promessa che ti feci? Te l’avrei riportato. - Jiggy non l’aveva mai dimenticata, anche se non aveva voluto darci peso, sarebbe stato doloroso crederci.
Jiggy smise di respirare.
- È in infermeria. Il dottore sta cercando di curarlo. È privo di sensi e non capiamo le sue effettive condizioni. Ma troveremo un modo per aiutarlo. - Poi sorrise. - Dopotutto è qua, no? -
Jiggy non sentì più il proprio corpo, la sua bocca si mosse da sola alla ricerca di qualcosa di razionale a cui aggrapparsi.
- Come… -
- Lag Seeing. - Rispose calmo. - Gli ha sparato il proiettile lettera. Deve aver provocato qualcosa in lui. Adesso vediamo se è possibile recuperare il suo cuore coi suoi ricordi. Non voglio creare false illusioni, conosci meglio di me i rischi e le possibilità, però è qua. Dopo cinque anni, è di nuovo qua. - Con questo gli fece il cenno di andare a vederlo.
Jiggy non sapeva come muoversi, si ritrovò a camminare come in un sogno, dimenticandosi del mondo esterno, delle persone che scivolavano via intorno a lui.
Dimenticandosi di pensare.
Gauche era lì, Gauche era di nuovo lì. Il suo Gauche era lì.
Se lo ripeteva come un forsennato, la sola cosa che ripeteva.
I suoi piedi raggiunsero l’infermeria dove il dottor Thunderland Jr stava prendendo le funzioni vitali di un Gauche steso nel letto, privo di sensi, con un casco carica cuore sul capo.
La pelle diafana, i capelli candidi sparsi sul cuscino, un lenzuolo che mostrava solo il suo petto in una canottiera bianca.
Il cuore cominciò a scoppiargli e per un momento guardò se aveva in mano la pistola.
Non si stava controllando tanto bene, come sempre.
Respirava? Camminava? Cosa stava facendo?
Jiggy raggiunse il letto, il dottore lo vide e si sorprese. Non l’aveva mai visto interessarsi a nulla, vederlo lì lo shoccò.
Gli disse qualcosa, ma la sua voce rimase lontana.
Poco dopo il silenzio, il vuoto intorno a lui.
Jiggy realizzò che li aveva lasciati soli.
Lo sguardo focalizzato sul suo viso addormentato, la cicatrice piccola sotto l’occhio che gli aveva fatto proprio Lag, si ricordava di quella volta. Quando era tornato a casa e gli aveva parlato di quel bambino particolare. Quando l’aveva visto anche lui, gli era sembrato di essere lì con Gauche di nuovo.
Aveva provato un enorme desiderio di far parte della vita di quel bambino, al contrario di come invece era uscito da quella di Silvet per far sì che crescesse forte. O forse per non sentire troppo la mancanza di Gauche. Vederla, essere in quella casa… non sarebbe andato avanti, non ce l’avrebbe fatta. Si sarebbe indebolito e lui aveva bisogno di essere forte, per trovarlo e realizzare i suoi obiettivi.
Ed invece con Lag Seeing aveva voluto rivederlo, anche se poi non l’aveva mai fatto.
Era sciupato, ma era lui.
Inconfondibilmente lui. Lo sfiorò sul petto scostandogli il lenzuolo dove vide le molte cicatrici che aveva in più spuntare dall’indumento sottile che indossava.
Erano aumentate, come le proprie.
La vita era andata avanti, ma a che prezzo?
La sensazione della sua pelle ruvida e fredda sotto le dita lo scosse di nuovo, gli occhi gli si offuscarono.
Cosa stava facendo? Cosa stava provando?
Cosa stava vivendo?
Vide delle gocce scendere sulla pelle di Gauche, le toccò, alzò le mani e se le guardò.
Lacrime.
- Sto piangendo? - Si chiese roco. Si toccò le guance. Bagnate. Stava piangendo. Dio, stava piangendo ora dopo una vita passata ad ingoiare dolore e difficoltà? Quando era scomparso Gauche non una lacrima, quando aveva dimenticato la madre non una lacrima, quando Jiggy stesso aveva perso il padre non una lacrima.
Ed ora che Gauche era di nuovo lì, piangeva.
Sentì le proprie forze venirgli a meno, così si sedette sul bordo del letto e appoggiando i gomiti ai lati di Gauche, strinse i pugni vicino alla sua testa, gli prese i capelli lunghi, bianchi, strinse e si chinò su di lui poggiando la fronte alla sua. Le lacrime non gli permettevano più di vedere. Ma le labbra si posarono sulle sue inanimate, fredde, immobili.
Respirava, il cuore batteva, flebile. Era vivo. Non aveva idea in quali condizioni, ma era lui. Era lui ed era vivo.
Aveva passato gli anni senza avere sue notizie, poi improvvisamente aveva avvistato e sentito di un marauder di Reverse su al nord. Aveva cercato di incontrarlo, con la sensazione che fosse importante trovarlo di persona. Non ci era mai riuscito.
Ma forse l’unico in grado di fare qualcosa era stato proprio Lag, per il suo particolare potere di rivelare il cuore degli oggetti, delle persone.
Forse in qualche modo le loro vite erano intrecciate ed indissolubili, ognuno col proprio ruolo, ognuno col proprio scopo.
Forse, in qualche modo, andava bene così.
Non avrebbe più separato le sue labbra, sarebbe rimasto lì su di lui per sempre.
Ma un rumore alla porta lo riportò alla realtà, bruscamente.
Sobbalzò e si alzò, si asciugò in fretta gli occhi, sfiorò di nuovo la mano di Gauche e prendendo respiro, andò verso la porta aprendola lui stesso.
In viso di nuovo l’espressione indifferente, i modi sicuri.
Il dottore lo guardava curioso:
- Lag sta venendo con Silvet. - Avvertì come se intuisse che non volesse farsi trovare lì mentre c’erano altri.
Jiggy annuì.
- Ci sono speranze? - Chiese freddamente, sperando non si capisse quanto contava quella risposta. Il dottore sospirò e si strinse nelle spalle.
- Non lo so, Jiggy. Il fatto che sia qua vivo in qualche modo è già molto più di quello che per anni abbiamo osato sperare. Però non ti nascondo che è difficilissimo che recuperi la memoria. Quella volta non c’è stato verso di restituirgliela, no? Ricordo che i dottori fecero di tutto, ma sua madre la perse per sempre. Non voglio creare illusioni per nessuno. Finché non si sveglia, non posso azzardare ipotesi. Potrebbe recuperare qualcosa, potrebbe usare i ricordi immessi da Lag per interpretare Gauche… potrebbe non cambiare niente… io non lo so. Finché non si sveglia… - Jiggy annuì, strinse i pugni, indurì il respiro e lo sguardo, poi andò via dritto per la sua strada, uscendo da lì, sperando, pregando dentro di sé che l’universo gli regalasse un secondo miracolo.
Scendendo le scale incrociò Lag che aiutava Silvet a salire con la carrozzina, aiutato da altre persone. Lo salutò, Jiggy sorrise fugace, grato per la sua piccola grande impresa.
Stava parlando a Silvet spiegando che senza Zazie non ce l’avrebbe mai fatta, che lui era stato essenziale, perché ad un certo punto aveva perso il proiettile e la speranza e lui glielo aveva riportato dicendo che ce l’avrebbe fatta, e l’aveva aiutato anche contro il cabernet mentre gli permetteva di recuperare Gauche privo di sensi.
Jiggy si sentì più leggero.
Quel Lag poteva fare miracoli, evidentemente. Forse gli riuscivano perché non era solo a tentarli.
“Zazie, eh? Vuoi vedere che è QUEL Zazie?”
Pensandolo, uscì e tornò a casa.
Per una sera sarebbe riuscito a dormire abbastanza bene. Per una notte, la campana della speranza avrebbe suonato per lui.


Zazie era tornato senza successo.
Fatto rapporto al direttore Lloyd, aveva parlato delle sue impressioni e delle varie possibilità, poi era uscito congedandosi.
Stava andando da Lag quando lo incontrò che usciva dall’infermeria.
- Hai finito le consegne? - Chiese avendo saputo che aveva fatto consegne anche lui nonostante Gauche non si fosse ancora svegliato. Lag quando lo vide sorrise.
- Sì. Sono passato a vedere come sta Gauche, ma non ci sono cambiamenti. - Disse poi.
- Bisogna avere pazienza, eh? - Cercava di essere tranquillo anche Zazie anche se si sentiva strano all’idea che ora Gauche fosse lì, l’idolo di Lag.
Anche se poi bisognava vedere come si svegliava.
- Senti, devo andare a casa a lavare la divisa e mangiare qualcosa, ti va di farmi compagnia? Lavo anche la tua! - Chiese Lag con un’aria imbarazzata e quasi di scuse. Zazie si ravvivò subito e con un’espressione maliziosa annuì.
- E me la togli tu, bella gattina? - Chiese ironico.
Lag avvampò e roteò gli occhi in alto dandogli un pugno sul braccio.
- Ma la smetti di chiamarmi così? -
- No, stavi così bene vestito da donna… - Lag sbuffò sentendosi svirilizzato, cosa che di solito non gli faceva problemi ma lì con lui sì.
Zazie lo circondò col braccio stringendoselo a sé.
- E va bene, ti faccio compagnia. Ma solo se ti tolgo io i vestiti! - Commentò sempre malizioso, in pieno suo stile. Lag era sempre un po’ imbarazzato, ma gli piaceva quando faceva così. Sdrammatizzava. Alleggeriva una situazione potenzialmente pesante e strana.
Cosa erano? Una coppia?
Era difficile da dire… comunque stavano insieme, questo era tutto quel che contava.
- E Silvet? - Chiese poi Zazie uscendo dall’Alveare.
- È lì, non si stacca da suo fratello. Ha detto che è tornata un attimo a casa e mi ha preparato la cena. - Zazie sorrise.
- Anche se c’è suo fratello, pensa sempre a te, eh? - Lag si strinse nelle spalle con aria un po’ generica.
- Mi vede come suo fratello, l’ho sostituito per molto tempo… - Lag piegò la testa e si rivolse a lui. - Sei geloso? - Fece poi improvviso. Era un’impressione che aveva avuto da molto, non aveva mai avuto il coraggio di esprimerlo, poi sentendolo irrigidirsi perché lui non glielo chiedeva scherzando, ma serio, aggiunse ridacchiando rosso in viso: - Ammetto che io un po’ lo sono quando parti in quarta per il signor Jiggy. Diventi di mille colori, gli occhi ti brillano! -
Spiegò col cuore in gola, spaventato dal fatto che Zazie potesse prendersela.
- Ti secca se andiamo a casa mia? Ho i gatti da dar da mangiare. - Gatti che magicamente apparivano anche all’Alveare durante le riunioni coi Bee. Non quelli di casa sua, ma probabilmente tutti i gatti del vicinato. Si arrampicavano su Zazie e stavano con lui.
- Ma la cena di Silvet… - Disse Lag incerto.
- La zuppa super schifosa? La vuoi proprio? - Lag rise.
- No, in effetti salterei volentieri… è solo che non vorrei che ci rimanesse male… - Zazie alzò le spalle.
- Passerai a buttarla via di nascosto! - Disse con la sua tipica cattiveria.
- Oh andiamo, non potrei mai! -
- Allora lo farò io al tuo posto! -
I due continuarono a scherzare, alleggerendo ulteriormente un’atmosfera sempre sul filo, da quando la questione di Gauche era diventata così gigantesca.
Gauche, Reverse, la rivoluzione, il Cabernet…
E poi i sentimenti…
Zazie aprì la porta di casa e i quattro piccoli gatti l’attaccarono affamati, miagolando a lungo ed incessantemente, si arrampicarono su di lui e gli rimasero addosso mentre lui faceva finta di niente, con Lag che rideva.
Una volta in casa si diedero da fare, Lag per le divise e Zazie per le cene di tutti, animali compresi.
Niche e Wasiolka mangiarono poi si accoccolarono insieme per terra, le due erano molto legate e si adoravano, specie perché Niche capiva gli animali e parlava il loro linguaggio.
Ben presto Lag e Zazie rimasero soli, con le pance piene. Lag si mise a sistemare la cucina in pantaloncini e canottiera, lo stesso vestiario di Zazie in quel momento.
- Dormi qua? - Lag lo guardò sorpreso, ricordandosi improvvisamente di quello strano rapporto nato non da molto fra loro e di cosa significava passare la notte insieme.
Avvampò.
- Devi mica andare dal signor Gauche? Tanto se si sveglia ti chiamano! - Disse brusco Zazie col broncio, vedendo che se la stava prendendo, Lag si affrettò ad accettare.
- Va bene, dormo qua per stanotte. Devo riprendere le forze… -
Zazie sorrise vittorioso illuminandosi tutto, poi lo prese per la canottiera e se lo tirò poco gentilmente in camera dove si buttò con lui sul letto e chiudendo la luce lo abbracciò da dietro, come fosse il suo peluche.
Lag si lasciò fare, rimase lì fra le sue braccia, contro il suo petto, a guardare il buio davanti a sé prendere forma. Si concentrò sul suono del suo cuore che sentiva contro la schiena, mentre il calore della loro pelle e del loro abbraccio lo riscaldava facendolo stare bene.