CAPITOLO X:
CE
L’AVREBBE FATTA
“Sai
che non potrei mai lasciarti?e sai che non ti farei mai del
male?e se io, se io non riuscissi mai a trovarti pazienza, non ti
dimenticheròposso vivere per sempre?”
-
Forever – Breaking Benjamin -
Non
avrebbe mai potuto dormire ma il bisogno che sentì durante i propri
rigiri impazienti nel letto, fu di toccare la neve.
Non
se lo spiegò, era strano e stupido, non aveva nemmeno mai avuto una
particolare predilezione per la neve ma comunque in piena notte era
quello ciò di cui aveva voglia.
Toccarla.
Forse
la consapevolezza che non nevicasse da giorni e che si stessero
avvicinando al periodo delle piogge giocava in questo senso; non se
ne curò più di tanto trovando a quel punto più sensato andare
fuori piuttosto che stare lì steso come un idiota a cercare di
prendere sonno.
Forse
semplicemente non riusciva a stare fermo a ripensare a Rufy e alle
parole di Mihawk.
Era
vero dopotutto che non era abbastanza il suo amore, specie per come
era fatto lui. Per tutto quello che voleva dargli, ciò che riusciva
non era sufficiente vista la grande sofferenza che non aveva saputo
evitargli e tutte le volte che avevano rischiato di morire. L’ultima
volta aveva solo potuto dare la vita, con Orso, miracolosamente
salvata alla fine. Sapeva che la volta successiva non avrebbe più
potuto nemmeno quella, che non sarebbe servita. Poteva sopportare
quel pensiero?
Che
il suo amore non bastasse?
E
poteva sopportare quello che aveva vissuto il suo compagno senza di
lui?
Aveva
giurato che ci sarebbe sempre stato per lui, nei momenti difficili,
ma Rufy aveva passato l’inferno da solo, con altre persone, senza
di lui. Rufy era in quel macello e lui no. Come poteva?
Come
poteva sopportare quell’idea?
Aveva
pensato di poter mettere da parte quei pensieri insostenibili, perché
era ora di rafforzarsi per tornare da lui e riuscire laddove non
poteva più, dove non arrivava, ma poteva?
Poteva
semplicemente mettere da parte e accettare?
Ripensarci
gli faceva tornare il magone, quel dannato nodo con cui prima aveva
addirittura pianto.
Era
inaccettabile, come se avesse tradito non solo il suo capitano ma
anche il suo compagno, il suo ragazzo, il suo amore. Come poteva
semplicemente voltare pagina e andare avanti e basta?
Sbuffando
si alzò.
Di
certo dormire non era contemplata come opzione.
Aveva
colpito maledettamente nel segno quell’uomo, come ci fosse riuscito
a capire tutte quelle cose di loro, di lui più che altro, solo in
quel tempo che si erano visti e con quel poco che Zoro stesso gli
aveva dato, non poteva proprio capirlo.
Avvicinatosi
alla finestra, vide il buio della notte interrotto da una distesa
innevata che andava giorno dopo giorno sempre più abbassandosi
rispetto ai molti metri delle settimane passate.
Tutto
quel tempo lì con Mihawk per scoprire che non sapeva superare le
proprie mancanze, che poi finiva anche per considerare dei veri e
propri errori atroci personali.
Doveva
trovare il modo di estirpare da sé anche questo modo sbagliato di
essere perché sapeva che si ancorava da solo al passato, che si
impediva di volare verso il proprio futuro come cercava
disperatamente di fare.
Uscì
dalla camera sentendo più forte il desiderio di toccare la neve,
forse era per raffreddare i propri pensieri eccessivamente pensati
che non gli davano tregua.
Passò
i corridoi che ormai conosceva a memoria, ignorò tutte le molteplici
stanze che dai molti mesi passati lì ancora non aveva visitato e
arrivò al piano terra.
Vide
la giacca che Mihawk gli aveva messo a disposizione e notò che
mancava la sua. Corrugando la fronte uscì chiedendosi se nemmeno di
notte poteva essere lasciato in pace, poi si rese conto che comunque
stava andando lui ad invadere un suo momento solitario e si disse che
si sarebbe controllato, ormai ne era capace.
Il
freddo pungente era meno intenso del clou dei giorni passati ed ormai
cominciava ad essere possibile stare fuori per più tempo.
Il
cielo era talmente stellato che credette di vederlo per la prima
volta, erano mesi che non si schiariva dalle nuvole. Non avrebbe più
nevicato.
Il
fiato si condensò immediatamente a contatto con l’aria fredda e
raggiunto uno spiazzo innevato, si accovacciò e la prese in mano.
La
sensazione di gelo gli bloccò istantaneamente ogni funzionamento
interiore ma soprattutto i pensieri e finalmente sospirò
rasserenato.
Come
poteva superare quello scoglio?
Si
sentiva come se avesse tradito Rufy ed anche se poi obiettivamente
non era veramente così, per lui lo era.
Proprio
mentre si stava facendo questa domanda per l’ennesima volta, lo
sguardo fu attirato da una figura seduta a gambe incrociate sulla
neve, era su un rialzamento. La neve copriva una roccia dalla forma
strana dove Mihawk si metteva sempre ad osservarlo durante gli
allenamenti all’esterno, doveva essere il suo posto preferito.
In
quel momento, sul bivio se lasciarlo da solo o se disturbarlo, si
disse che in quanto suo maestro gli aveva tirato fuori fin troppe
tempeste e che come minimo era suo dovere placarne un paio, fu così
che decise ed alzandosi lo raggiunse piano.
Quando
gli fu accanto poté vederlo meglio vista la praticamente assente
illuminazione rappresentata… bè, solo dalla neve bianca, in
realtà!
Quando
lo vide rimase persino lui senza parole.
Era
senza la giacca che era appoggiata accanto e non aveva con sé
nemmeno le spade.
Era
in posa meditativa e sembrava molto concentrato, si chiese da quanto
fosse lì e quando vide i suoi capelli corti e neri cristallizzati,
capì che doveva essere da troppo. Sfiorò istintivamente la sua
pelle non potendone vedere bene il colore e lo sentì gelido, quindi
senza pensarci un istante di più gli prese la giacca e gliela adagiò
sulla schiena. Sapeva che era un’invasione gratuita ma non voleva
che gli morisse il maestro, poi chi gli avrebbe insegnato?
Doveva
mettere a posto un paio di mattoni che aveva scaraventato brutalmente
giù dal suo muro perfetto ed inscalfibile.
Beh,
inscalfibile fino a che non era arrivato lui!
Si
chiese se fosse il caso di aspettarlo, non l’avrebbe comunque mai
interrotto ma alla fine decise per rientrare e non per il freddo ma
solo perché si sentiva d’averlo brutalmente invaso e non poté
assolutamente capire come mai, però voleva veramente tornare a
lasciare tutto come l’aveva trovato.
Quando
fece per allontanarsi, la voce ferma e scostante di Mihawk lo
raggiunse fermandolo.
-
Puoi restare, non mi infastidisci. - Questo fu il primo vero e
proprio passo in avanti per loro. I contatti fisici avvenuti prima
non erano considerati poiché erano solo dei bassi tentativi di
forzatura da parte del più grande.
Mihawk
di fatto non aveva mai dimostrato di non essere infastidito da
qualcosa o qualcuno, dava di sé sempre l’aria di uno seccato da
ogni cosa, quando non ne era proprio annoiato.
Che
gli dicesse di rimanere perché non lo infastidiva era un vero e
proprio passo in avanti fra loro. Il primo completo, cioè, poiché
il mezzo l’avevano fatto nelle conversazioni passate.
Quando
Zoro tornò si sedette ai piedi della collinetta di neve, abbastanza
vicino da vederlo bene in viso e parlare piano ma non troppo da darsi
a vicenda ancora più confidenza. Era come se mantenessero entrambi i
rispettivi ruoli e stava bene così.
-
Cosa volevi chiedermi? - Disse l’altro consapevole che era lì per
quello. Zoro non se ne stupì molto e quando finalmente aprì i suoi
occhi dorati che distinse nella notte come fossero veramente quelli
di un falco, si decise a parlare. Non sapeva bene cosa dirgli ma
sentendosi come un allievo disperatamente bisognoso del suo maestro,
cominciò.
Aveva
un tono basso e penetrante ma al tempo stesso quasi teso.
-
Come lo controllo il mio cuore? Come posso rafforzarlo? - Era la cosa
che al momento gli premeva di più, l’autentico ostacolo per poter
raggiungere il livello che voleva.
Mihawk
non se ne stupì, sapeva che gli avrebbe fatto quella domanda e con
semplicità e compostezza, risposte logico:
-
Uscendo dal pozzo. - Di nuovo il paragone con la rana nel pozzo. Zoro
capì che doveva essere un’ossessione per lui e si calò allo
stesso livello comunicativo. Se Mihawk voleva parlare in quel modo,
avrebbero parlato in quel modo. Bastava farlo.
-
Come ne esco? -
Il
maestro fece un cenno di divertimento che non arrivò agli occhi e al
resto del viso ma si fermò sulle labbra:
-
Sei troppo impaziente. In questo modo no di certo. -
Zoro
sospirò insofferente a conferma di quanto appena detto, si appoggiò
con le mani nella neve fredda e la prese in modo da ritrovare la
calma che per un momento aveva quasi perso.
-
Hai detto che il mio pozzo è Rufy, significa che per uscire devo
lasciare andare Rufy? Abbandonarlo? Ma tutto quello che faccio ora è
per lui. Mi sto dando tanta pena per rafforzarmi in fretta per
aiutarlo e riunirmi a lui, altrimenti non lo farei così, con te.
Troverei un altro modo. Non posso lasciarlo. E poi lo amo,
indipendentemente dal motivo per cui sto facendo tutto questo, non lo
lascerei mai. - Erano più riflessioni a ruota libera e Mihawk capì
che quella notte avrebbero fatto alcuni progressi.
Non
poteva sapere, il suo allievo, che per rafforzare il cuore non
serviva un esercizio speciale, né tanto meno fisico ma solo
un’apertura a trecentosessanta gradi.
Con
pacatezza scostante proseguì, non voleva dargli l’idea che gli
interessasse troppo quel discorso altrimenti per come era fatto quel
ragazzo non avrebbe continuato:
-
Un pozzo è composto da mattoni. Ogni mattone rappresenta un motivo,
un problema, un qualcosa che ti ancora e ti impedisce di andare
avanti. Ci sono due modi per uscire da un pozzo. Buttarlo giù oppure
saltare più in alto delle sue mura. Se decidi di buttarlo giù devi
prendere un mattone per uno e affrontarli fino a buttarli via, se
decidi di saltare fuori allora devi diventare insensibile a tutto
quello che è stato prima, che è ora, che ti circonda, che sei, che
hai passato e che passerai. Devi fartelo scivolare addosso e così
vedrai tutto da un’altra prospettiva. Quella che ti serve per
uscire da quel pozzo. -
Zoro
era molto preso da quel discorso che riusciva a capire solo perché
Mihawk era estremamente chiaro nei suoi paragoni, quindi teso col
busto verso di lui, chiese con un filo d’ansia nella voce:
-
Quale prospettiva? -
L’uomo
rispose con supponenza tipica sua ed un che d’amaro nella voce
profonda e controllata:
-
Quella di un falco che vola alto nel cielo e sorvola il mondo. Cosa
vedrà un falco dall’alto? -
Zoro
in quel momento capì perfettamente.
-
Uomini come formiche. - Mihawk sorrise con un ghigno di soddisfazione
inquietante mentre agganciava ammaliante il suo sguardo. Zoro lo vide
immancabilmente come quel falco e capì che ora lo stava vedendo come
una formica.
-
E cosa vede una rana da un pozzo? - Chiese il maestro all’allievo
vedendolo vicino alla comprensione di quello che era un mistero
importante da snodare per superarsi di livello.
-
Una visione limitata del mondo che non è nemmeno un centesimo di
quella reale. Ma soprattutto, quel poco che vede, gli appare come
enorme ed irraggiungibile. -
Mihawk
si sentì oltremodo orgoglioso di lui, non gli era mai successo con
niente e nessuno.
Quel
ragazzo stava prendendo sempre più piede. Da essere interessante e
degno di nota ad allievo vero e proprio. Quasi che fosse importante.
Non
diede a vedere il proprio turbamento e portando alla fine la sua
lezione si alzò, scese da quel piccolo rialzo innevato, si chinò
accucciato davanti a Zoro seduto a terra scomposto e con grazia ed
alterità nello sguardo fiero quanto nella voce, disse:
-
Tu puoi decidere di uscire da quel pozzo nel modo che preferisci,
spetta solo a te. Però il tempo corre. Cosa sceglierai? Salterai
fuori e comincerai a volare o abbatterai il pozzo? - Era anche una
sua effettiva curiosità sebbene sapesse cosa avrebbe scelto.
Zoro
si raddrizzò per rispondergli, capendo il significato profondo di
quel dialogo e di quella domanda. Appariva tutto talmente chiaro da
sembrare un quadro davanti ai suoi occhi. Avvicinò dunque il viso al
suo fin quasi a sfiorarlo e mantenendosi serio e concentrato, senza
turbarsi minimamente o tendersi, rispose basso e penetrante:
-
Due cose le so. Non sono né una rana, né un falco. -
-
Ma ti comporti da rana rimanendo sul fondo di quel pozzo. - lo
provocò con uno strano sorrisino irritante e al tempo stesso
sensuale. Zoro lo trovò stimolante ma in quel momento gli mancò
incredibilmente il caldo, solare e contagioso di Rufy. Pensando
ancora a lui, rispose senza esitazioni.
-
L’altra cosa che so è che quando ne uscirò tornerò da Rufy e lo
farò a qualunque costo. -
-
Qualunque davvero? - Fece l’altro ancor provocando.
-
Qualunque. -
Il
costo l'avrebbe avuto.
Non
vi fu esitazione nelle parole di Zoro e quando Mihawk compiaciuto di
quel discorso che non concludeva con soluzioni e decisioni effettive,
ma solo con due certezze granitiche, mormorò piano avvicinandosi
languido a lui ancora immobile e fisso su di sé:
-
Non vedo l’ora di vedere come intendi riuscirci. -
Dopo
di questo gli sfiorò le labbra. Non fece altro e Zoro non lo rifiutò
capendo che non era altri che una delle sue prove, un tentativo di
impedirgli di uscire da quel dannato pozzo.
Mihawk
dopo di questo si alzò e se ne tornò dentro al castello lasciandolo
solo.
Zoro
rimase ad osservare la neve immacolata davanti a sé portando lo
sguardo sulla distesa non calpestata e ritrovò un senso di pace
aggiunta anche dal poterla toccare. Le mani ormai erano insensibili
per quanto vi era stato a contatto e completamente indifferente al
tocco lieve delle sue labbra, capì che forse per Mihawk stava
diventando tutto molto più vero di quel che avrebbero mai potuto
immaginare.
Per
lui era tutta una prova costante per il suo personale rafforzamento,
né più né meno.
Quell’uomo
stesso rappresentava una tentazione incredibilmente alta e forte,
resistere a lui anche sotto quell’aspetto era un modo per
rafforzare la propria volontà ed era giusto continuare a lottare, ma
doveva farlo nel modo corretto per ottenere una vittoria definitiva.
Ripensando
a Rufy con l’assoluta certezza che anche lui al momento stava
passando delle prove durissime, Zoro si alzò e si scrollò la neve
dalle gambe, dopo di che rientrò risoluto e calmo.
Ce
l’avrebbe fatta.