CAPITOLO XI:
LA
TECNICA DELLA PIOGGIA
“Torna
alla fineIl pastore dei dannatiPosso sentirti cadere viaNon
è più la perditaNon è più lo stessoE riesco a vedereche
inizi a rompertiposso tenerti in vitase mi mostri la
stradaper sempre e semprele cicatrici resterannocado a
pezzilasciami quiper sempre nel buiola luce del giorno
muoreil cielo va in blackoutC'è qualcuno che se ne cura?C’è
qualcuno lì?Prendi questa vitaVuota all’internoSono
già mortoMi solleverò per cadere ancoraPosso sentirti
cadere viaNon è più la perditaNon è più lo stessoE
posso vedereche inizi a romperti “
-
Give me a sings – Breaking Benjamin - http://www.youtube.com/watch?v=97S66xee0U8
Lo
fece con l’unico obiettivo di demoralizzarlo, ma alla fine risultò
la dimostrazione di un passo in avanti.
Nonostante
tutto lo fu.
L’inverno
era finito e la stagione delle piogge era ricominciata.
Per
tutta la primavera Zoro tornò ad occuparsi delle gocce, la tecnica
di spada acquisita tramite un esercizio particolarmente difficile, lo
spadaccino l’avrebbe chiamata Tecnica della Pioggia.
Mihawk
si era posto una specie di obiettivo che esulava dal far di Zoro un
valido spadaccino.
Si
era posto l’obiettivo di impedirgli di diventarlo ma non per
cattiveria o antipatia verso di lui. Era né più né meno uno dei
suoi metodi. Il migliore, lo riteneva invero.
Se
Zoro avrebbe superato quell’addestramento, sarebbe stato pronto per
tutto e avrebbe anche potuto considerarlo una specie di capolavoro
personale.
Imparata
la Tecnica della Pioggia, Mihawk provvide a buttarlo giù
dall’esaltazione in cui il ragazzo era salito affidandogli un nuovo
esercizio.
La
Tecnica del Mare.
Come
precedentemente annunciato, dopo la pioggia il suo nemico sarebbe
stato il mare e proprio come da lui previsto non gli sarebbero
bastate due stagioni, autunno e primavera, per padroneggiarla.
Gli
ci sarebbe voluto molto di più.
Lo
stato d’animo in cui visse l’estate fu pessimo e terribile poiché
Mihawk non gli fece fare niente altro che quello potendo concentrare
il resto degli esercizi in inverno.
L’obiettivo
di Zoro, ovvero l’obiettivo nell’obiettivo, era oltre che di
impadronirsi di tutte le tecniche che gli voleva insegnare,
soprattutto di riuscire a battersi con il suo maestro. Fin’ora
l’aveva fatto solo una volta, all’inizio dell’addestramento, e
sperava di poterlo rifare. Doveva riuscire a farlo scendere in campo
e a fargli sfoderare quella dannata spada enorme, voleva battersi con
lui veramente fino allo stremo.
Purtroppo
il mare gli diede davvero molto filo da torcere e la prima estate fu
praticamente inutile, servì solo ad innervosire Zoro fino a
raggiungere livelli storici.
Mihawk
si sarebbe ritenuto abbastanza soddisfatto così se non fosse stato
che lui e solo lui era riuscito a vedere il miglioramento del suo
allievo.
L’allievo
no, l’allievo si era visto sempre fermo per colpa del mare che ad
ogni suo perentorio tentativo di separarlo come aveva fatto con le
gocce, tornava poi come prima e proprio non capiva come fosse
possibile quello che voleva il maestro. Soprattutto non si capacitava
di come potesse pretendere che ci riuscisse senza indicazioni.
Glielo
aveva fatto vedere una volta per dimostrargli che era possibile
dividere le acque come voleva senza farle riunire, poi gli aveva
fatto freddamente gli auguri.
Vederlo
così scostante ed insopportabilmente lontano dal ruolo di maestro,
l’aveva fatto infuriare e sfogare sugli esercizi; non l’aveva
aiutato davvero, l’aveva deconcentrato e destabilizzato.
Mihawk
dopo quel dialogo si era allontanato molto ed era una cosa
praticamente incomprensibile visto che avrebbe dovuto succedere
l’opposto, invece come se si fosse scottato era tornato a volarsene
nel cielo e a guardarlo come fosse una formica.
Zoro
ingoiò, non si espresse né si espose ulteriormente, piuttosto
sarebbe morto. Se voleva mantenere quella strada, l’avrebbe
assecondato ma se non sarebbe migliorato come doveva poi se la
sarebbe presa con lui seriamente.
Non
capiva a che gioco stesse giocando, non era tipo da strategie e
nemmeno le capiva, si limitava a vivere il momento come gli veniva,
istintivamente. Non pretendeva che Mihawk stesse lì a dirgli passo
per passo tutto quello che doveva fare, però anche per la Tecnica
della Pioggia gli aveva dato delle dritte e gli aveva mostrato più
di una volta come fare.
Era
invece come se fossero arrabbiati l’uno con l’altro, come se
avessero litigato.
Zoro
non aveva mai capito Mihawk, non gli era importato riuscirci, non
aveva voluto darsi pena per avvicinarsi a lui, pretendeva solo che
gli facesse da maestro come si doveva.
Quando
il vento si levò e le foglie cominciarono a cadere, Zoro aveva
ancora qualche mese per allenarsi sul mare, ma Mihawk notando che
nonostante il nervoso macroscopico e l’apparente punto fermo in cui
sembrava essersi arenato, aveva invece cominciato a fare dei minimi
passi in avanti, decise di correre ai ‘ripari’ per dare l’affondo
decisivo.
Se
avrebbe superato quello allora sarebbe stato degno delle sue
attenzioni di maestro.
Attenzioni
vere, cioè, non solo antipasti quali erano stati ora.
Zoro
lo vide per l’ombra che si stagliava sulla riva del mare dov’era
lui immerso coi piedi nudi.
Si
girò, Mihawk era più indietro, sulla spiaggia, ma si era tolto a
sua volta le scarpe per essere più a suo agio. Significava che
intendeva rimanere e per un momento Zoro pensò che si sarebbe
degnato di insegnargli qualcosa riguardo quell’esercizio maledetto.
Non
fu così ma lo stupore non morì comunque, visto ciò che gli disse.
-
E’ ora di tornare ad affrontarci in duello. - Zoro la preferì di
gran lunga alle sue dritte da insegnante e vedendo anzi la sua aria
particolarmente seria e risoluta che lo fissava come se fosse un
inetto, uscì dall’acqua e lo raggiunse sulla sabbia.
La
temperatura non era asfissiante ma nonostante il leggero vento fresco
che si era alzato, non faceva nemmeno freddo.
Il
sole cominciava a calare sull’orizzonte del mare ed il rumore delle
onde che si infrangevano sulla riva era l’unico suono pacato e
ripetitivo che si sentiva. Non era invadente o fastidioso e a Zoro
piaceva così come l’odore di salsedine. Gli era mancato tutto
quello e per lui l’allenamento nel mare sarebbe stato peggiore se
non fosse stato il suo elemento preferito.
A
mancargli era comunque molto di più un galeone su cui attraversare
tutta quell’immensità azzurra con dei compagni fidati.
-
Come mai ora? - Era chiaro che glielo chiedesse.
Zoro
era solo coi pantaloni tirati su fino al ginocchio, comunque erano
quasi completamente bagnati come il resto di sé. La spada gocciolava
mentre le altre due erano adagiate sulla sabbia a pochi metri da
loro.
Si
fissarono ancora un po’ coi loro tipici sguardi, uno enigmatico e
saccente e l’altro cupo e truce. Era ancora altamente seccato da
lui, ma se finalmente l’avrebbe affrontato in duello poteva
soprassedere a tutto.
-
E’ un anno che sei arrivato da me, voglio vedere a che punto sei. -
Fece con quel tono di chi era convinto che non fosse migliorato
molto.
Zoro
lo colse e sentendosi punto sul vivo, permaloso disse:
-
Come sempre devo riuscire a farti fare sul serio? - Era già sul
piede di guerra.
Mihawk
estrasse il pugnale a forma di croce che aveva al collo e
indietreggiando si tolse il giacchino leggero e senza maniche che
indossava; sotto non aveva niente.
Rimasto
a torso nudo e pronto per il duello, vide Zoro prepararsi a sua volta
prendendo anche le altre spade, poi dopo uno scambio di sguardi
risoluti e seri, cominciarono.
Zoro
non perse tempo ed attaccò subito con una tecnica semplice per
testare il proprio livello, aspettandosi un nulla di fatto si stupì
nel veder volare via la sabbia tutt’intorno. Una volta per un colpo
simile non si sarebbe alzato nemmeno un granello.
A
quel punto realizzò che forse, anche se non se ne era reso conto
fino a quel momento, qualcosa era invece cambiato in lui; il proprio
livello di combattimento doveva essersi necessariamente alzato, non
c’erano dubbi.
Quando
tentò con un altro colpo cominciò ad esaltarsi, poteva farcela. Non
certo a ferirlo ma almeno a fargli fare sul serio.
In
seguito a questo pensiero risoluto che gli fece guadagnare forza e
certezza, attaccò con una serie di fendenti velocissimi che Mihawk
riuscì a parare col pugnale ma il fatto stesso che non si fosse
limitato a schivare come nel primo duello del loro addestramento, era
buon segno. Ora doveva parare: andava bene, molto bene.
Andando
via via sempre più veloce vide che il maestro si era spostato dalla
sua postazione, le orme sulla sabbia gli stavano tutt’intorno ma in
realtà non avanzava, era lui che dettava un po’ i tempi e le
direzioni. Ancor più esaltato da ciò provò a muoverlo più
indietro e quando Mihawk vide che stava tentando qualche esperimento
con una mossa secca lo fece saltare all’indietro e fermare
l’attacco.
Zoro
ghignò in quella pausa, aveva un po’ il fiatone ma non era
veramente stanco, gli esercizi di rinforzo gli avevano fatto molto
bene, poteva reggere ancora molto e forte di questo impugnò tutte e
tre le spade per un attacco fra i suoi più forti.
Vide
con piacere che anche questo era salito di livello, Mihawk non aveva
potuto limitarsi a schivarlo con un agile salto ma aveva dovuto
pararlo con il pugnale. Il modo in cui ci riusciva aveva
dell’incredibile e se non fosse stato lui, l’avrebbe ammirato a
bocca aperta. Non perse la concentrazione e mettendo da parte
l’incredibile bravura del suo maestro, non si perse d’animo e
ricominciò con un’altra breve serie di fendenti ravvicinati,
questa volta con tutte e tre le spade. L’altro li parò uno ad uno
ma questa volta dovette metterci un po’ più di impegno e fu chiaro
dalla serietà del suo sguardo. Zoro si illuminò con sadismo tipico
suo, questo l’esaltava ma l’avrebbe aiutato vederlo estrarre la
sua spada enorme. Era quello il suo obiettivo, ora. Farlo combattere
con quella.
Doveva
riuscirci, doveva riuscirci assolutamente, si diceva.
Quando
sfoderò il suo attacco più forte di un tempo tornò a notare da
solo quanto fosse migliorato e per un pelo questa volta non sfiorò
veramente l’uomo che aveva davanti, questa volta ce l’aveva fatta
grazie ad un gran salto e all’impugnatura di entrambe le mani, ma
usava ancora testardamente il pugnale. Odiava quel suo metodo, si
prendeva gioco di lui e non poteva sopportarlo.
Era
ancora così lontano?
Però
era migliorato, doveva concentrarsi su quello senza innervosirsi.
Doveva mantenere il proprio sangue freddo, le parole di Mihawk gli
tornarono alla mente. Doveva imparare ad essere un falco che sorvola
il cielo e vede tutti come formiche e non una rana che non conosce
nemmeno la forza di un avversario e tanto meno la propria.
Ora
non si credeva fortissimo come un tempo, sapeva di avere limiti, li
conosceva fin troppo bene, ma stava cominciando a conoscere anche i
punti forti ed i miglioramenti ed era positivo, ne era sicuro. Non
doveva comunque credere di essere già uscito da quel pozzo.
Quando
pensò a tutto quello che aveva passato in quell’anno lì con lui,
si ricordò della cosa principale che aveva imparato, fra le altre.
La
Tecnica della Pioggia.
Era
l’ideale per vedere se in duello funzionava e fu allora che ne ebbe
conferma.
Mihawk
non gli avrebbe mai insegnato qualcosa di inutile, ma avere conferma
al lato pratico era sempre positivo.
Quando
si concentrò e chiuse gli occhi placando ogni funzione vitale ed
ogni agitazione, annullandosi totalmente per sintonizzarsi con una ed
una cosa nello specifico e non con il tutto come faceva prima, Mihawk
capì che stava per usare la sua nuova tecnica e curioso di vederla
si preparò interiormente ad usare la propria spada. Per quanto gli
bruciasse ormai era inevitabile. Era proprio a quel punto, ma non
voleva dare tanta soddisfazione al suo allievo, doveva assolutamente
ridimensionarlo.
Era
questo il suo sistema.
Doveva
buttarlo a terra, farlo a pezzi, farlo desistere, farlo sentire un
fallito. Doveva testare la sua tempra, la sua tenacia, il suo
carattere d’acciaio. Era facile in situazioni normali, ma quando
serviva, era lì che doveva tirare fuori quelle sue famose qualità,
non quando era circondato dai suoi compagni e a pochi metri aveva il
ragazzo che amava.
La
nuova tecnica sarebbe stata ovviamente più utile in mezzo ad un
esercito numeroso ed era più efficace se gli elementi da abbattere
erano tanti e tutti in movimento, però volle usarla lo stesso anche
solo per uno.
Zoro
annullò così ogni parte del proprio essere e dell’universo
circostante per sintonizzarsi solo su un’unica goccia, lo spirito
di Mihawk. Tutto il resto era distrazione.
In
breve non sentì più il venticello fresco e piacevole sulla pelle,
niente più rumore di onde sulla riva, niente più sabbia fastidiosa
e appiccicaticcia sulla pelle, niente profumo di salsedine, niente
luce calda del tramonto tutt’intorno.
Niente.
Solo
Mihawk e il suo spirito di falco. Uno spirito meraviglioso e maestoso
che enorme voleva su nel cielo, sembrava irraggiungibile, come
arrivare a lui?
Anche
la pioggia lo sembrava, ogni singola goccia inizialmente appariva
irraggiungibile, lassù nel cielo scuro, ma poi cadeva a picco e
allora diventava prendibile. Era comunque difficile farla veramente
fuori, ma almeno diventava prendibile.
Quando
aprì gli occhi si incatenò ai suoi di falco e con tale penetrazione
impressionante, lo prese e non lo lasciò più andare. Quella
connessione era più che sufficiente.
Poteva
arrivare a lui, forse non ferirlo come voleva ma poteva arrivare a
lui.
Quando
si mosse non ci fu nemmeno il tempo di un battito di ciglia e Mihawk
non riuscì assolutamente a ragionare e a pensare ad una contromossa
che seguisse la sua volontà di non usare la spada. Prima di capirlo
la stava già usando per puro istinto di spadaccino, solo allora fu
chiaro che anche lui, il grande Drakul Mihawk considerava Roronoa
Zoro un vero spadaccino e come se non fosse abbastanza chiaro, sempre
senza seria intenzione di farlo ma con puro istinto animale, l’uomo
feroce e letale affondò la lama nell’occhio sinistro.
L’ultima
cosa che Zoro vide con quell’occhio furono quelli dorati e
magnetici ma anche feroci del suo maestro.
Colui
che ora l’aveva accettato a pieni voti e senza più riserve sotto
le sue ali.
Vedendolo
crollare ai suoi piedi e mollare le spade, capì che sarebbe
diventato il suo capolavoro.
L’urlo
non fu straziante, non fu niente di umiliante e vergognoso. Zoro
urlò, certamente, ed imprecò, ma dopo il primo momento riprese
almeno una delle sue spade, quella bianca, e rialzatosi con metà
viso completamente invaso dal sangue ed ormai cieco da un occhio,
cercò di attaccarlo ancora.
Era
solo la forza della disperazione, non c’era più tecnica ma solo
tenacia e forza di volontà, lo vide solido come l’acciaio più
resistente ed anche se in un attimo parve tornare l’ombra di sé
stesso, Mihawk fu orgoglioso di lui perché pur senza niente di ciò
che aveva imparato, non aveva mollato nemmeno con una ferita simile.
Purtroppo
vedendoci con un occhio solo e con il dolore a distrarlo, la sua
capacità calò nettamente e senza nemmeno la lucidità per impostare
un attacco utile, Mihawk con una mossa agile e veloce lo buttò a
terra e gli si inginocchiò sopra immobilizzandolo. Il pugnale a
tenerlo inchiodato sulla sabbia tramite i pantaloni. Il viso a pochi
centimetri dal suo, il respiro sulla sua pelle sporca e sudata, lo
sguardo a contemplare la ferita già infettata dal sudore e da
qualche granello di sabbia.
Entrambi
avevano il respiro irregolare ma quello di Zoro era molto affaticato,
il cuore impazziva nel petto e più di mordersi il labbro per non
lamentarsi pietosamente dal dolore, non poteva fare. Continuava a
vedere solo i suoi occhi di falco.
Ne
aveva superate tante, di ferite, anche più grandi di quella… ma
l’occhio… l’occhio lo stava facendo quasi impazzire. Suo
malgrado non gliel’avrebbe data vinta. Non avrebbe pianto, non si
sarebbe lamentato, non avrebbe urlato di nuovo.
Mihawk
capì che si stava solo sforzando quindi decidendo che era più che
sufficiente così com’era, disse basso e penetrante, apparentemente
freddo e scostante:
-
Bella prova. - Che detto da lui fu il complimento migliore che avesse
mai ricevuto in vita sua.
Questo
gli fece mollare di schianto la tensione e aiutato da un colpo
traditore alla tempia sinistra da parte dell’uomo chino sopra di
lui, perse i sensi in breve.
Era
inutile farlo soffrire, non avrebbe urlato per orgoglio e di questo
ne era contento, ma non significava che fosse un dolore sopportabile.
Per
quell’addestramento quel ragazzino aveva appena perso un occhio,
poteva dargli atto della forza che aveva conquistato in un anno e
solo per il suo cuore. Un cuore che avrebbe donato unicamente ad una
sola persona, il suo capitano.
“Proprio
fortunato quel Cappello di Paglia…” Pensò
con scherno. Lo pensava veramente.
Alzandosi
prese Zoro sotto braccio e caricandoselo sulla spalla come un sacco
di patate, prese le spade lasciando il resto lì.
Era
ora di coccolarlo un po’, se lo meritava altrimenti la rana non
avrebbe avuto più forze per lo sprint finale. Doveva assolutamente
saltare fuori da quel dannato pozzo ridicolo.
Non
poteva dire di essersi lasciato scivolare via quello scontro come
tutti gli altri, aveva avuto qualcosa di diverso a partire dal fatto
che le sue intenzioni erano state altre e precise e che poi era
finita in tutt’altra maniera.
Non
gli interessava seriamente averlo ferito gravemente e averlo reso
cieco da un occhio, gli interessava che non aveva avuto l’intenzione
di usare la sua spada e soprattutto nessuna tecnica letale o metodo
da spadaccino. Aveva voluto usare il pugnale, il minimo
indispensabile, ma non ci era riuscito, quando aveva usato quella
nuova tecnica, quella della pioggia che aveva imparato nel corso
dell’anno passato, aveva agito istintivamente da spadaccino senza
una minima riserva. Più seriamente di così forse non aveva mai
fatto, per un momento aveva creduto di dover usare uno dei suoi colpi
speciali.
Il
punto a suo favore era stato che Zoro stesso non aveva pensato di
avere successo con quella nuova tecnica… l’aveva fatta per
provarla e niente di più, peccato che era molto più buona di quello
che entrambi si erano aspettati. Proprio un gran bel colpo. Dopo che
avrebbe fatto sua la Tecnica del Mare, sarebbe stato letale.
Rientrato
nel castello la voce penetrante e fastidiosa di Perona lo perforò e
per difendersi l’escluse senza pensarci. Nel vedere che non le dava
retta si eclissò offesa e di questo gliene fu grato, non gli
importava dover occuparsi da solo di quel ragazzo se in compenso
quella gli dava tregua.
Quando
lo guardò, aveva perso già molto sangue da quella ferita ed aveva
finito per imbrattarlo lungo la schiena visto il modo in cui se l’era
portato in spalla.
Guardandosi
seccato allo specchio decise di lasciar perdere e chinandosi su Zoro
gli toccò lieve la ferita verticale, era molto profonda, non avrebbe
più recuperato la vista, doveva solo lasciare che si rimarginasse e
basta. Non sapeva mettere punti e non intendeva portarlo in un’altra
isola per farlo curare, Perona non voleva saperne di rendersi utile
-ed andava anche bene- per cui si limitò a ripulirlo dal sangue e a
cambiargli bende su bende fino a che, vedendo che l’emorragia si
era un po’ calmata, aveva accostato i due lembi di pelle tagliata
con dei pezzetti di scotch in modo da agevolare la rimarginazione
naturale della carne. In questo modo l’occhio sarebbe rimasto
chiuso a vita ma non aveva importanza perché comunque non ci avrebbe
più visto lo stesso.
Dopo
di che riprendendolo di nuovo su di sé come aveva fatto prima, lo
condusse al bagno termale del castello e dopo averlo spogliato e
pulito alla meglio con dei secchi e aver fatto altrettanto con sé
stesso, si immerse insieme al corpo ancora privo di sensi di Zoro.
Le
terme erano rigeneranti e gli ci voleva ad entrambi un bel bagno
bollente curativo, anche lui si sentiva vagamente stanco ed anche se
così non fosse stato non vedeva perché non approfittare delle sue
meravigliose terme.
Quando
ebbe finito tutto e si fu assicurato che Zoro non scendesse sotto la
superficie dell’acqua poiché privo di sensi -tenendolo per questo
fermo con un piede che premeva sul basso ventre- si rilassò lui
stesso con un sospiro.
Nel
complesso era anche piuttosto piacevole, doveva ammetterlo.
Stare
lì nell’acqua calda a crogiolarsi senza dover pensare a nulla, con
la sola piacevole soddisfazione di essere riuscito a tirare fuori ciò
che voleva dal suo allievo.
Sapeva
d’avere dei metodi discutibili come maestro, ma non gliene
importava se i risultati erano quelli.
L’inverno
sarebbe stato oltremodo interessante, si disse. Altre prove da
superare per Zoro ed altri divertimenti con cui allietarsi per
Mihawk.
Si
perse ad osservarlo dimenticandosi della sua maschera
d’imperturbabilità saccente, semplicemente come un maestro
osservava il suo allievo dopo una bella prova.
L’occhio
ferito era chiuso e medicato con una benda, per il resto dormiva
ancora, sembrava rilassato e soddisfatto nel suo sonno. Doveva essere
perfettamente cosciente di sé. La rana si stava trasformando.
Dopo
questa considerazione si trovò a pensare a Shanks ed al suo braccio
tagliato e non capì perchè pensare a lui proprio in quel momento,
mentre osservava Zoro ed il suo occhio ormai mancante.
Che
similitudine poteva mai esserci?
Non
ne aveva proprio idea...