CAPITOLO TREDICESIMO
Ma ricordati sempre che i mostri non muoiono. Quello che muore è la paura che t'incutono.
-Pavese-
Non appena furono arrivati al bar, si resero conto che i danni erano molto maggiori di quello che immaginavano.
Fabio andò direttamente dai suoi genitori, seduti in mezzo alla stanza distrutta, che si guardavano attorno con aria smarrita.
Abbracciò sua madre posandole un bacio sui capelli e poi si rivolse a suo padre:
-Si sa chi è stato?-
Il padre scosse la testa:
-Non ne ho idea… la polizia dovrebbe arrivare a momenti-
Lui annuì, stava per parlare quando sentì un esclamazione soffocata e capì che doveva essere arrivato Michele.
Lasciò
sua madre e si voltò. Non sapeva bene come comportarsi con Michele,
avevano litigato e si erano pestati; fino alla sera prima era ancora
arrabbiato e confuso, ma adesso onestamente tutto sembrava passare in
secondo piano rispetto al disastro che avevano davanti.
Sebastiano
sorrise mestamente al fratello, ma Michele si limitò a salutarlo e
dirigersi subito verso Fabio, sorprendendo tutti, e abbracciarlo.
Fabio
si morse le labbra, sicuramente non se l’aspettava, non dopo tutto
quello che si erano detti e non dopo il pugno che gli aveva tirato.
Però era bello averlo di nuovo lì, avere di nuovo con sé il suo
migliore amico. Sospirò e fu come se qualcuno gli avesse staccato i
fili, le spalle si abbassarono e gli occhi si chiusero per un
istante.
Era
Michele. Pieno di difetti forse, ossessivo e stupido, ma non riusciva a
smettere di volergli bene, o smettere di volerlo vicino per
questo.
E forse questa era l’unica cosa che contava.
Si
staccarono e si guardarono negli occhi per un istante, le espressioni
di chi vorrebbe dire qualcosa, qualunque cosa, gli occhi sgranati
ancora increduli per il disastro che avevano davanti, ma alla fine
tacquero. Perché non c’era niente da dire, in fondo.
Michele
andò ad abbracciare brevemente anche i genitori di Fabio e loro gli
sorrisero teneramente, per poi salutare anche Sebastiano che non aveva
ancora detto niente ma era lì, una presenza discreta ed essenziale per
i due ragazzi.
Fu in quel momento che arrivarono i poliziotti.
Michele e Sebastiano si spostarono in un angolo, lasciando Fabio e i suoi genitori parlare con loro per esporre i fatti.
-Ma avete delle telecamere di sorveglianza?-
Chiese Sebastiano al fratello, facendogli cenno di uscire per fumare.
Michele scosse la testa:
-Solo a circuito chiuso ma di notte non funzionano. Abbiamo un antifurto, però evidentemente i ladri l’hanno messo fuori uso-
Sebastiano
aggrottò le sopracciglia, c’era qualcosa che non tornava, conosceva suo
fratello e percepiva distintamente che gli stava nascondendo qualcosa.
-Ti sembra che manchi qualcosa?- chiese cauto.
-Non lo so, non ho ancora guardato- rispose l’altro, nettamente a disagio.
-Michele, piantala. So quello che stai pensando e lo sto pensando anche io-
Michele sospirò, guardando Fabio che parlava coi poliziotti, infervorandosi sempre di più.
-Se
Fabio ci arriva è la fine. Enrico è morto- borbottò, con il tono di
voce di una persona a cui non dispiacerebbe affatto, in fondo.
Sebastiano scrollò le spalle:
-Oh
beh, Fabio è tonto ma non fino a questo punto. Prima o poi ci arriverà.
E onestamente la voglia di spaccargli la faccia ce l’ho anche io,
figurati lui. Non so se lo bloccherei nel caso-
Michele ghignò e abbassò la testa per poi rispondere:
-Oh beh, in quel caso lo fermeresti di sicuro, dovrebbe difendere te e non avrebbe modo di attaccare Enrico-
Ignorò
lo sguardo truce che gli rivolse il fratello e si limitò a ridacchiare
della spallata che gli fece discretamente male.
-Sei
una bestia. Fabio ti sta rovinando sai- scherzò, e Sebastiano non
riuscì a frenare un espressione sorpresa all’accenno a Fabio. Non si
aspettava che suo fratello fosse già in grado di scherzarci su. Ma
visto che aveva cominciato lui poteva permettersi di approfondire.
-E
come… come sei con questa cosa?- esitò un po’ nel chiederglielo,
conosceva suo fratello, se non era pronto a parlare di qualcosa
qualunque domanda non faceva altro che spingerlo a chiudersi
ulteriormente.
Michele gli rivolse un occhiata esitante, poi sospirò:
-Suppongo che mi serva solo del tempo, sai. È che mi manchi ed è difficile- borbottò.
-Lo
so. Manchi anche a me. Ma, beh, dovevamo rendercene conto prima o poi-
esalò in risposta l’altro, non si guardavano ma non era davvero
necessario. Per la prima volta stavano prendendo atto davvero della
situazione, ed era doloroso e difficile, ma andava fatto. E stavolta
non sarebbe stato solo Michele a tirarli fuori dal caos dov’erano
finiti, questa volta Sebastiano avrebbe fatto la sua parte. Glielo
doveva.
-Che
il nostro rapporto sconfina nell’ossessione ed è una cosa quantomeno
strana?- borbottò di rimando Michele, lanciandogli una breve occhiata
da sotto la frangia castana. Non aveva avuto modo di sistemare i
capelli ed era bello vedere come il sole giocava accendendo riflessi
caldi sulle ciocche disordinate.
Scosse la testa, sorridendo mesto:
-Che
per tornare serve una strada. E qualcuno che la inventi per noi. Penso
che stiamo facendo questo, inventando una strada. Solo che non si
tratta di prendere una matita e disegnarla, e credimi se potessi lo
farei, sai che per te lo farei. Si tratta di prendere un piccone e
scavarla nella roccia, si tratta di ferirsi e farsi male.-
Michele ingoiò a vuoto, cercando di calmarsi.
-Fabio sarebbe il carro armato che la percorre?- ironizzò, alzando appena un angolo delle labbra.
Sebastiano scosse la testa, ridendo:
-No,
lui è la valanga che ti costringe a cambiare direzione, perché quella
che hai preso era sbagliata. Solo che lo fa a cazzotti, quindi quando
lo capisci ormai sei irrimediabilmente incazzato con lui-
Michele
scoppiò a ridere a sua volta e si appoggiò brevemente alla sua spalla.
Suo fratello aveva riassunto alla perfezione la loro situazione,
dandogli una prospettiva totalmente diversa però.
Forse
aveva ragione, forse era quello il loro problema. Erano così
ossessionati dall’idea di perdersi di nuovo che avevano creato un
rapporto morboso, scordandosi che anche se si allontanavano un modo per
tornare esisteva sempre, ma bisognava saperlo creare.
Forse
il suo obbiettivo non era trovare il modo per staccarsi da Sebastiano e
dirottare il loro rapporto in uno più sano, forse il suo obbiettivo era
accettare che Fabio stravolgesse la loro vita e li aiutasse a costruire
quella dannata strada, e il resto sarebbe venuto da sé.
-
Inutile costruire una montagna partendo dalla punta eh?- disse Michele,
una riflessione quasi fra sé e sé, ma Sebastiano non perse il filo del
discorso e rispose ugualmente:
-Partire
dalla base è sempre la cosa migliore. Se ti poni obbiettivi enormi come
cambiare in tre giorni il tipo di rapporto che abbiamo costruito
durante una vita intera, non ce la farai. Datti tempo, e soprattutto…
siamo in due a doverlo fare. Non sei da solo. E abbiamo Gin e Fabio
dalla nostra.-
Michele
rimase in silenzio per un attimo, metabolizzando le parole che gli
aveva rivolto il fratello, poi poggiò la testa sulla sua spalla e
chiuse gli occhi.
-Come
sei riuscito a capire che stavi sbagliando strada?- sussurrò, lasciando
che le dita di Sebastiano si incastrassero fra i suoi capelli,
districandoli delicatamente.
-Sono uscito dal seminterrato- rispose semplicemente.
La voce di Fabio li interruppe, ed era una voce piuttosto arrabbiata.
-Cazzo,
se li becco li prendo a spranghe nei coglioni. Porca puttana!- stava
urlando, evidentemente nemmeno i poliziotti erano riusciti a calmarlo.
Uscì di corsa, accendendosi una sigaretta, con le mani che tremavano vistosamente.
Non guardò nessuno dei due, era troppo impegnato a cercare di non esplodere seduta stante.
-Che ha detto la polizia?- chiese Michele, staccandosi dal fratello e facendo qualche passo verso di lui.
Fabio gli lanciò un occhiata torva, ma non ce l’aveva veramente con lui, questo Michele lo capì, quindi non commentò.
-Che
vuoi che abbia detto. Che indagheranno, se abbiamo dei sospetti… ma
anche se li avessimo, senza prove, senza che nessuno li abbia visti in
faccia, è praticamente impossibile incastrarli- sbottò il ragazzo,
passandosi nervosamente una mano nei capelli, mentre aspirava una lunga
boccata per cercare di calmarsi.
Il
lavoro di una vita dei suoi genitori, i risparmi, il tempo, la
pazienza… tutto spazzato via così. Se si fosse trattato solo di lui
sarebbe stato diverso, ma stavolta era stata colpita la sua famiglia e
in misura minore anche Michele, quindi non riusciva in nessun modo a
trattenersi.
-Avete
un assicurazione, vero?- si inserì Sebastiano, posando una mano sulla
schiena di Fabio e sentendo come a quel tocco il ragazzo si rilassò
lievemente.
Annuì.
-Sì
certo, ma sai come vanno queste cose… deve venire il perito e poi fare
la stima dei danni e non è detto che ci diano la somma esatta di cui
noi abbiamo bisogno… e intanto perderemo tempo e il bar resterà
chiuso.- si voltò a guardare Michele, serio.
-Michi,
se vuoi trovare qualcos’altro nel frattempo io capisco. Non posso
chiederti di aspettare chissà quanto tempo. E non possiamo nemmeno
pagarti con il negozio ridotto in questo stato- disse piano, espirando
il fumo, schiudendo appena le labbra.
Michele scosse la testa.
-Non ce n’è bisogno, ho qualcosa da parte, posso aspettare. Tu non preoccuparti di nulla-
Fabio annuì e poi si rivolse a Sebastiano:
-Io devo fare qualcosa, non riesco a stare qui così, scusa-
Il
ragazzo annuì, assumendo un espressione preoccupata. In quelle
condizioni sarebbe stato capacissimo di fare una cazzata. Dovette
pensarlo anche Michele perché gli lanciò uno sguardo eloquente.
-Non preoccuparti. Posso venire con te?- chiese piano, per non irritarlo maggiormente dandogli l’idea di volersi intromettere.
Fabio
lo guardò per attimo, osservando Michele per assicurarsi che vederli
interagire in quel modo non l’avesse disturbato. Non ci aveva pensato
prima, troppo preso da quello che era successo, ma ora si stupiva per
la reazione tranquilla del ragazzo.
Michele
annuì, come a dire che per lui non c’erano problemi, allora Fabio
guardò Sebastiano, estremamente sollevato al pensiero di poterlo avere
vicino senza sensi di colpa.
-Certo- mormorò. Allungò una mano scompigliando i capelli a Michele che gli diede uno scappellotto scherzoso:
-Sto
io con i tuoi, vai tranquillo- Fabio lo guardò ancora, incerto, gli
stava comparendo un livido violaceo sulla guancia, dove lui l’aveva
colpito l’altra sera, e non era sicuro che fra loro fosse tutto a
posto, ma ora non aveva la forza per sincerarsene.
Sebastiano gli prese la mano e lo tirò leggermente:
-Dai, hai bisogno di scaricarti adesso. Se no fai solo danni. Andiamo-
E se lo diceva lui chi era Fabio per contraddirlo?
Michele
non pesava, d’altronde era magrissimo, ma insomma, era alto e
questo rendeva tutto più difficile, visto quanto era basso lui, invece.
Imprecò
il più silenziosamente possibile, mentre cercava di infilare la chiave
nella toppa, la chiave giusta possibilmente.
Michele non era d’aiuto, si reggeva a lui ridendo e dicendo cose senza senso:
-Faaaaaaabio!
Ho visto una cavalletta sulla porta… ma non sono sicuro di averla vista
davvero o di averla immaginata- borbottò, continuando a ridacchiare.
-L’hai
solo immaginata, Michi, non ci sono cavallette qui. Ora stai zitto che
se ci sente Seba ci uccide entrambi. Te perché sei ubriaco e me perché
non te l’ho impedito-
Michele
aggrottò le sopracciglia, mentre borbottava una protesta che si perse
nel verso esultante di Fabio che era riuscito finalmente ad aprire la
porta di casa. Si guardò attorno, stringendo un po’ di più Michele che
stava sfuggendo alla sua presa scivolando sempre di più verso il
pavimento.
-Michi,
ti prego. Ora ci sono le scale… pensi di farcela?- chiese sottovoce. La
casa era buia e silenziosa, segno che Sebastiano era in camera sua. Nel
seminterrato insomma. Se a lavorare o a dormire non era dato
saperlo.
-Certo che ce la faccio! Non sono ubriaco io!- protestò Michele, tentando di fare uno scalino e mancandolo clamorosamente.
Fabio sospirò alzando gli occhi al cielo:
-No certo che no, ma come mi è venuto in mente- rispose, agguantandolo nuovamente per impedirgli di schiantarsi al suolo.
-Vorrei
tanto sapere perché cazzo hai bevuto così tanto se sai che non lo
reggi- mormorò, non ottenne risposta, evidentemente Michele era troppo
impegnato nel compito non tanto facile di fare tutti gli scalini.
-Questa
scala si muove- sentenziò l’amico, ignorando il commento di Fabio -
Come le scale di Harry Potter- precisò poi, ridacchiando nuovamente.
Fabio
gemette, ma perché doveva rischiare la vita in questo modo per Michele?
Se Sebastiano li avrebbe beccati lo avrebbe ucciso. Prima lui e poi
Michele, senza dubbio.
Era estremamente protettivo verso il fratello.
Aprì
la porta della camera dell’amico con una spallata, imprecando contro il
rumore che fece aprendosi, avanzò di poco e ribaltò Michele sul letto,
sospirando soddisfatto.
La prima parte della sua missione aveva avuto buon fine.
-Sarebbe
meglio che tu vomitassi sai. Domani staseresti meglio- disse mentre gli
sfilava le scarpe. Michele aprì a fatica gli occhi, cercando di
metterlo a fuoco anche senza occhiali, visto che erano scivolati chissà
dove.
-Non mi piace vomitare.- bofonchiò. Fabio si strinse nelle spalle. Affari suoi.
Finì
con le scarpe e attaccò i jeans. Non poteva dormire con quelli,
l’indomani si sarebbe ritrovato con dei segni assurdi e si sarebbe
sicuramente lamentato con lui.
-Comunque
l’ho fatto perché volevo capire- disse poi Michele, senza nessun
collegamento apparente con la frase di prima. Fabio lo guardò confuso.
-Capire cosa?- chiese, sfilando i jeans dalla prima gamba.
-Cosa
provava Sese- borbottò lui, facendosi prendere poi da una risatina
irrefrenabile a chissà che pensiero gli era passato in mente.
-Tu
sei totalmente fuori sai. E vedi cavallette inesistenti.- precisò Fabio
per supportare la sua teoria. Era quasi tenero però, non capitava mai
che Michele si lasciasse andare in questo modo, e ora, con i capelli
sconvolti e il viso rosso e contratto da una smorfia divertita e un po’
triste, era decisamente una visione diversa dal normale.
-C’era.
La cavalletta dico. Solo che è saltata via- rispose Michele, muovendo
la mano come se dovesse fingere di saltare su Fabio.
Fabio annuì, sfilando anche l’altra gamba e valutando velocemente se togliergli anche la felpa o lasciarlo così.
-Ma certo che c’era- disse condiscendente.
Michele aggrottò la fronte:
-Non
mi credi? Nemmeno Sese mi crede quando gli dico che sto bene. Dice che
non ho…- boccheggiò, evidentemente in cerca delle parole giuste:
-Rielaborato la morte di mamma, perché ero troppo impegnato a badare a
lui. Ma non è vero- borbottò, evidentemente contrariato.
Fabio
si strinse nelle spalle, carezzandogli piano i capelli e decidendo di
lasciargli la felpa. Togliergliela sarebbe stato troppo
complicato.
-Forse ha ragione se ti sei ridotto così- mormorò, sussultando quando una voce fredda li interruppe:
-Così da schifo cioè?-
Voltò la testa, già prevedendo la sua morte molto lenta e dolorosa, trovando conferma alla sua teoria.
C’era
Sebastiano sulla soglia della camera, una felpa enorme lo copriva fino
a metà coscia, sempre troppo poco a giudizio di Fabio, i capelli
andavano da tutte le parti, ancora più sconvolti del solito.
L’espressione era tesa e cupa.
Decisamente era incazzato.
-Ehm… ciao- sussurrò Fabio, mentre Michele cercava di alzarsi a sedere senza riuscirci.
-Sese!- ridacchiò, rinunciando al tentativo e lasciandosi ricadere giù.
-Fabio
dice che sono ubriaco- declamò solenne, cercando a tentoni le coperte,
Fabio sospirò e lo coprì, senza avere il coraggio di guardare
Sebastiano.
-Fabio
ha ragione e mi piacerebbe sapere il perché- sibilò il fratello,
avvicinandosi a lui e armeggiando per togliergli anche la felpa, con
movimenti rabbiosi.
-Tu
dovresti saperlo- rispose velenoso Michele. Non c’era traccia di risate
adesso sulle sue labbra. Sebastiano fece per rispondere, strappandogli
via la felpa dalla testa con un movimento brusco, quando Fabio lo
interruppe cautamente:
-Forse è meglio se ne parlate domani- suggerì.
-Forse
è meglio se vai. Hai già fatto abbastanza danni- rispose seccamente
Sebastiano. Fabio non ebbe il tempo di pensare a una risposta, che
Michele si alzò di scattò a sedere, riprendendo suo fratello:
-Non azzardarti a parlargli così!-
Poi impallidì, si premette una mano sulla bocca e sussurrò:
-Mi viene da vomitare.-
Mentre
i due fratelli erano in bagno, Michele piegato sulla tazza del water e
Sebastiano che gli tirava indietro i capelli, sostenendolo,
Fabio
li guardava dalla porta. Lui non conosceva bene la situazione, ma da
quello che sapeva quella era un inversione di ruoli piuttosto
strana.
E capiva anche Sebastiano e perché vedere suo fratello ridotto così lo turbasse tanto.
-Scusa per prima- mormorò quest’ultimo, mentre passava una salvietta bagnata sul viso del fratello.
Fabio scosse la testa:
-Non
importa, tranquillo, capisco. Ora però andrei- rispose, aiutando
Sebastiano a rimettere a letto Michele, che si addormentò all’istante.
Era
chiaro che quei due avevano ancora molto da risolvere, nonostante ora
Sebastiano non bevesse più. Gli venne spontaneo chiedersi se ce la
stavano facendo. Perché da quello che aveva visto e sentito questa sera
non sembrava.
-No per favore. Resta- sussurrò Sebastiano mentre accarezzava la fronte di Michele, sospirando.
-Mi
dispiace davvero. Non volevo risponderti in quel modo, ma vederlo così…
non so, penso di aver capito cosa provava lui, quando ero io che mi
presentavo a casa in queste condizioni. Devo essermi sentito in colpa.-
abbassò la testa, finché i capelli non coprirono il viso nascondendolo
alla vista di Fabio. Michele russava lievemente, andando inconsciamente
incontro alla mano di Sebastiano, che non smetteva di accarezzarlo.
-Non penso che lui la veda così- disse Fabio dopo un po’, avvicinandosi cautamente per sedersi sul letto a sua volta.
-Sicuramente
non l’ha fatto per farti sentire in colpa o per ferirti. Forse voleva
solo capire se davvero era un buon modo per non pensare. O forse è solo
successo. Capita sai… hai idea di quante volte io abbia dormito in
macchina perché se entravo in casa ubriaco mia madre mi avrebbe
ucciso?-
Sorrise
sollevato sentendo la risata lieve di Sebastiano, gli accarezzò
delicatamente il braccio e rabbrividì leggermente alle sensazioni che
lo investirono. Oh se era fottuto.
-Grazie-
sussurrò Sebastiano, appoggiandosi a lui e chiudendo per un attimo gli
occhi. Fabio ebbe l’impressione che fosse rabbrividito anche lui ma
sicuramente era per il freddo. Dopotutto aveva solo una felpa
addosso.
-Ma ti pare… quando vuoi- ribatté scherzoso Fabio, senza decidersi ad andarsene.
Fabio
aveva optato per un giro in moto. Sebastiano non aveva detto nulla,
limitandosi a impallidire un po’. Sapeva che Fabio amava l’adrenalina
data dal sentirsi costantemente in bilico, non avrebbe fatto tutti
quegli sport estremi altrimenti.
Fabio gli lanciò un occhiata, porgendogli il casco:
-Te
la senti?- chiese cautamente. Avrebbe voluto averlo vicino, sentire
come stringeva la sua vita durante la corsa, sentirlo piegarsi con lui
e con la moto, sentire come si fondeva assieme a loro, ma non poteva
certo obbligarlo.
Sebastiano annuì, deciso.
-Certo. Hai già prenotato un loculo nel cimitero? No perché sarà utile mi sa- scherzò, afferrando il casco.
Fabio rise, scuotendo la testa:
-Scemo. Sono bravo io a guidare-
Poi
si avvicinò a lui e gli posò le mani sui fianchi, sospirandogli sulle
labbra tutte le parole che al momento non riusciva a dire. Tutta la
gratitudine per non averlo lasciato solo, per essere disposto a fare
quella cosa con lui anche se ne aveva paura, tutto l’amore, tutto.
Gli
mordicchiò le labbra, piano, e quando la mano di Sebastiano si infilò
nelle ciocche disordinate che lottavano contro la forza di gravità per
puntare in mille direzioni diverse, lasciò andare un piccolo gemito
riconoscente.
-Sono con te. Mi fido, lo sai- mormorò il suo compagno.
Fabio
annuì e si staccò appena, per guardarlo negl’occhi, quegli occhi verdi
e brillanti, così chiari da dargli l’impressione che fosse un lago
stesso a guardarlo.
-Devi
seguire i miei movimenti. Quando mi piego con la moto devi farlo anche
tu, non avere paura anche se ti sembra che stiamo per cadere. Non
irrigidirti, non contrastarmi, fidati. E tieniti stretto- sussurrò,
prima di staccarsi per infilargli il casco e allacciarglielo.
Poi
ci fu solamente velocità e vento che si insinuava sotto i vestiti per
frustare la pelle. Fabio pensò distrattamente che avrebbe dovuto far
indossare una giacca a Sebastiano; nonostante facesse decisamente
caldo, a quella velocità il vento lo sentivi, eccome.
Poi
le sue braccia lo strinsero ancora di più, sentì la testa posarsi sulla
sua schiena e capì che per l’altro andava bene. Che si fidava davvero.
Allora si lasciò andare e si godette semplicemente la velocità, finché
questa non riuscì a spazzargli via tutti i pensieri dalla testa.
Quando
arrivarono e Fabio fermò la moto, Sebastiano rimase fermo per un lungo
attimo, immobile con le braccia che ancora lo stringevano. Fabio
ridacchiò, si tolse il casco e si voltò verso di lui.
-Hei… tutto bene?- chiese, lievemente preoccupato dalla mancanza di reazioni.
L’altro
sembrò riscuotersi, alzò la testa perché Fabio gli slacciasse il casco,
quando fu libero si passò una mano sui capelli che si erano appiccicati
alla fronte.
Sembrava ancora più pallido del solito e questo era decisamente preoccupante.
-Oddio
lo sapevo che non era il caso… ti ho spaventato? Sono andato troppo
veloce?Vuoi dire qualcosa prima che io dia di matto, per favore?-
chiese Fabio, sparando le parole a una velocità assurda.
Sebastiano aprì la bocca, poi la richiuse e poi tentò di riaprirla nuovamente:
-No va… bene. È solo che non avevo mai… insomma… oddio non so-
Dopo la frase più caotica che il ragazzo potesse dire, Fabio lo guardò ancora più preoccupato.
Lo aiutò a scendere dalla moto e gli posò le mani sulle braccia gelate.
-Dio,
sono stato un’idiota. Sei gelato, non dovevo darti retta- borbottò,
strofinando con vigore le braccia per scaldarle un po’.
Sebastiano
scosse la testa e sorrise leggermente, non voleva davvero far
preoccupare Fabio, ma la corsa in moto era stata sicuramente un
esperienza strana. Non era sicuro di volerla rifare. O magari sì, ma a
una velocità più umana e con una felpa addosso.
-Ti
ci vorrebbe un po’ di vodka adesso. Ti riprenderesti benissimo- stava
dicendo Fabio nel frattempo, senza smettere di passare le mani sulla
pelle.
Sebastiano scosse la testa:
-Sai
che non bevo- rispose, la voce era più stabile adesso e la testa aveva
smesso di fischiare. Supponeva fosse un buon passo avanti.
Fabio annuì, mordendosi il labbro:
-Lo
so, Michele mi ha accennato qualcosa.- non disse nient’altro, non
voleva sembrare invadente e non voleva far raccontare al suo ragazzo
cose che non era ancora pronto ad affrontare.
-Beh
suppongo sia il momento che ti racconti io qualcosa di più- sospirò
Sebastiano, cominciando a guardarsi attorno per osservare il luogo dove
Fabio l’aveva portato.
E
rimase a bocca aperta perché lui non aveva avuto un infanzia
esattamente felice, non era uscito molto di casa e non aveva avuto
l’occasione di vedere molti posti, e quando poi avrebbe potuto c’era
stata l’università e la morte di sua madre con tutto quello che ne era
seguito.
Quindi lui quel posto non sapeva nemmeno esistesse.
Il fiato gli si mozzò e lui rimase incantato a guardare.
-Dio
Fabio… è bellissimo- mormorò, osservando le acque del lago più
smeraldino che avesse mai visto, circondato da alberi che sembrava lo
proteggessero dal mondo esterno. Piccoli fiori gialli e viola
punteggiavano il prato che si stendeva sotto di loro, le montagne
facevano da riparo a quella conca, specchiandosi nel lago.
Fabio sorrise e si strinse nelle spalle.
-Lo so- rispose - Vengo sempre qui quando ho bisogno di scaricarmi un po’. Mi rilassa.-
Tese
una mano verso di lui e lo guidò con attenzione verso un pontile di
legno che si protendeva sul lago. Vi sedettero sopra e fu questione di
attimi prima che la testa di Fabio si adagiasse sulle gambe
dell’altro.
-In
effetti sembra di stare in un altro mondo. Ti aspetti quasi che un
folletto venga a tirarti una pietra in testa- commentò Sebastiano,
ascoltando con piacere la risata dell’altro. Anche se la corsa in moto
l’aveva terrorizzato, era evidente che invece aveva fatto bene a Fabio,
unito al posto da favola in cui erano.
-Non
c’eri mai stato?- chiese Fabio dopo un po’, aveva chiuso gli occhi
quando le dita del compagno avevano cominciato ad accarezzargli i
capelli, e ora sembrava che non esistesse null’altro al mondo tranne il
silenzio che li circondava. Poteva quasi sentire il suono delle
montagne pervaderli, con i suoi silenzi assordanti e i suoi paesaggi
infiniti.
-No… non ho girato molto, ho avuto una vita piuttosto… ritirata.-
Rispose
a bassa voce, quasi non volesse turbare la quiete del posto. Alzò gli
occhi al cielo, fissando quell’azzurro abbagliante, quel cielo che
sembrava dipinto con la tonalità più accesa proprio per turbare e
mettere pace allo stesso tempo. Strabordava da ogni dove, come non
riuscisse ad essere contenuto dalla cornice delle montagne.
-Di
notte è fantastico. Vedi le stelle come se le avessi a un passo da te,
e così tante da stordirti. In città te lo sogni un paesaggio
così.-
La
voce di Fabio accompagnava la scoperta di quel luogo e avrebbe voluto
tuffarsi nel lago, arrampicarsi su un albero, addentrarsi nel bosco,
stendersi sul prato; tutte queste cose assieme. Era un posto che
risvegliava l’energia vitale.
-Ci
sei venuto spesso di notte?- chiese poi, solleticandogli una guancia e
osservando rapito il modo in cui l’angolo delle sue labbra si sollevava
in un sorriso.
-Abbastanza,
sì. Ci ho anche campeggiato, in tenda. E bellissimo.- si interruppe un
attimo e Sebastiano non intervenne, intuiva dovesse dire ancora
qualcosa.
-Non ci ho mai portato nessuno, nemmeno gli amici. Era un posto solo mio, mi sembrava di… profanarlo, non so.-
Sebastiano trattenne il fiato un istante, rilasciandolo poi quando Fabio si sollevò sulle braccia per guardarlo.
-Non dovresti sorprenderti così quando ti dico che ci tengo a te- disse dolcemente, accarezzandogli lieve il viso.
-È
difficile non sorprendersi con te. Uno pensa di poterti prevedere e poi
invece…- mormorò Sebastiano, avvicinando il viso al suo per sfiorargli
le labbra in un bacio leggero, quasi accennato.
-Ci tengo anche io- sussurrò poi, ancora sulle sue labbra.
Quando
si staccarono Fabio riprese il suo posto sulle gambe dell’altro, mentre
Sebastiano riprese ad accarezzargli i capelli. Era come se stessero
aspettando qualcosa, forse il coraggio di parlare, finalmente.
Fabio
sentiva tutta la tensione del compagno sulla pelle, scorrergli addosso
come un getto d’acqua fredda; rabbrividì leggermente e si sentì in
dovere di dire:
-Non voglio sapere nulla se tu non vuoi.-
Sebastiano sospirò:
-Lo
so. Però è una cosa che voglio che tu sappia… è difficile parlarne con
qualcuno che non sia Michi, ma proprio per questo lo voglio fare. E poi
in questo modo puoi capire meglio. Te lo devo. Ti ho infilato in questa
storia ed è tuo diritto saperne i dettagli- rispose il ragazzo.
Guardava il lago, le acque verdi così apparentemente calme, senza poter
fare a meno di chiedersi quando esattamente la sua vita fosse cambiata
fino a questo punto. Quando aveva permesso a Fabio di stravolgerla,
quando esattamente ne aveva perso il controllo.
Quando
iniziò a parlare si stupì di come gli venisse naturale raccontare
tutto. Come le parole fluissero da sole, quasi volessero farsi
raccogliere dal compagno.
Il
rapporto con sua madre, la simbiosi esclusiva che aveva avuto con
Michele fin dai primissimi anni, poi l’università, Laura, la morte di
sua madre, l’acool, la disperazione nella quale aveva gettato suo
fratello e se stesso. Poi la lenta ripresa, nella quale Fabio aveva
avuto la sua parte inconsapevole.
Parlò così tanto che si rammaricò di non avere una bottiglietta d’acqua con sé.
Quando
finì, per un lungo momento fu solo il silenzio a fare da eco alle sue
parole. Finché finalmente Fabio si mosse, si tirò su dalle sue
ginocchia, dove aveva ascoltato l’intera storia senza muoversi, e si
sedette a cavalcioni su di lui, per guardarlo in faccia.
-Non…- cominciò con voce roca, si schiarì la gola, era difficile trovare qualcosa da dire, perfino per lui.
-Non
sapevo che ci fosse tutto questo, dietro- mormorò, si sentiva un po’ un
intruso a guardare il sorriso triste di Sebastiano, il suo sguardo
velato e la sua espressione stanca.
Sapeva cosa si stava chiedendo, ormai aveva imparato a conoscerlo.
-Non pensare a cosa avresti potuto fare di diverso. So che lo stai facendo- aggiunse in risposta alla sua espressione stupita.
-Beh
non farlo. Tu stesso mi hai detto che c’è più di un occasione per
essere felici e che ci sarà sempre qualcuno in grado di scrivere dritto
sulle nostre righe storte. Penso che questa sia la nostra occasione e
mi piacerebbe essere io la persona in grado di scrivere sulle tue righe
sbilenche.- Quando gli occhi di Sebastiano divennero lucidi e la sua
espressione si contrasse, sopraffatta dall’emozione, si affrettò a
posargli una mano sulla nuca, per tirarlo con decisione verso di sé e
permettergli di nascondere il viso nell’incavo del suo collo.
Ora che aveva ascoltato tutta la storia sapeva cosa doveva fare.
Forse
non sarebbe piaciuto a Sebastiano, e non piaceva nemmeno a lui, ma dopo
il primo momento avrebbe convenuto che era l’unica soluzione adottabile.