CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Ovunque andiamo ci attende sempre un campo di battaglia
(Berserk)
Quando
si incontrarono in un locale tranquillo, quella sera stessa, a Fabio fu
subito chiaro che quello che aveva pensato era corretto.
Michele
era pallido e aveva un’espressione tirata, tanto che il livido spiccava
piuttosto bene. Era chiaro che stare lontano dal fratello in questo
modo, per di più sapendo che Sebastiano era con lui, era molto
difficile. Poteva capire come si sentisse escluso, quanta paura aveva,
e non era d’accordo con il suo andarsene da casa. Per quanto Sebastiano
facesse finta di nulla anche a lui la situazione pesava.
Marco
e Roberto, nel frattempo, stavano ascoltando increduli il racconto di
quella mattina, delle condizioni in cui versava il bar e di come non
avessero idea di chi fosse stato.
Ginevra,
che sapeva già tutto, osservava Michele sempre più preoccupata. Era
tornato a casa con un espressione distrutta, l’aveva abbracciata e non
aveva detto nulla. Era chiaro che la situazione non stava migliorando,
sebbene almeno il rapporto fra Fabio e Michele fosse nettamente in
ripresa. Ora Fabio scherzava con l’amico, parlottavano fra loro e
Sebastiano li guardava sorridendo.
-Ma
allora non sapete proprio chi potrebbe essere stato?- stava chiedendo
nel frattempo Roberto, prendendo poi un sorso di birra.
Tutti
loro avevano accolto con entusiasmo il suo rapporto con Marco,
scusandosi per il periodo in cui erano stati dei pessimi amici e
pretendendo tutta la descrizione dettagliata dell’evento.
Era stata una serata piacevole fino a quel momento.
Il
momento in cui avevano cominciato a parlare del bar e Fabio si era
irrigidito, assieme a Michele, cominciando a mordersi le labbra
convulsamente. Era un argomento estremamente delicato, nonostante la
corsa in moto e la mattinata con Sebastiano avesse decisamente giovato
al suo umore.
Sebastiano e Michele si affrettarono a scuotere la testa, così velocemente da lasciare perplesso Fabio.
-Beh
insomma, se non è stato rubato nulla magari è stata una cosa
personale…- disse Marco, guadagnandosi le occhiatacce dei due fratelli.
Ciò diede la conferma a Roberto che invece i ragazzi avevano un’idea abbastanza precisa di come si fossero svolte le cose.
-Penso siano stati dei vandali qualunque, ce ne sono in quel quartiere- si affrettò a rispondere Michele.
-Dici?-
ribatté Marco, per nulla convinto -Eppure mi pareva fosse una zona
tranquilla… infatti non avete nemmeno telecamere esterne. Strano-
concluse, per poi lanciare un urlo stringendosi la gamba.
-Ma cazzo Michi! Che male!- sbottò, guardando poi Roberto con due occhioni spalancati:
-Mi
tratta male!- spiegò, stringendosi al suo ragazzo che passò un braccio
attorno alle sue spalle, guardando Michele stupito. Non era certo
manesco il loro amico. Non poteva nemmeno dire che fosse teso per via
di Sebastiano e Fabio, i due ragazzi stavano attenti a non sfiorarsi
nemmeno, parlavano il meno possibile e si limitavano a stare vicini.
Sicuramente tutto questo per non turbare Michele, che in effetti non
aveva un aspetto rassicurante.
Fabio si voltò verso l’amico:
-Ma che hai?- chiese, perplesso -Non ha detto nulla di…- si bloccò, guardando prima Michele e poi Sebastiano con occhi sgranati.
-Qualcosa
di personale…- sussurrò -Lo sapevate… voi l’avevate capito- sbottò,
alzandosi in piedi, ignorando lo sguardo stupito di tutti gli altri.
-Enrico!-
lo urlò uscendo dal locale di corsa, i fratelli lo seguirono di corsa,
mentre Ginevra rimaneva seduta sui divanetti guardando Roberto e Marco.
-Mi dispiace- sussurrò Marco - Non sapevo che non volevate dirlo a Fabio-
La
ragazza scosse la testa. Lei non era stata d’accordo fin da subito nel
nasconderglielo, sapeva che sarebbe andata a finire così.
-Tranquillo. Prima o poi ci sarebbe arrivato anche lui-
Nel
frattempo fuori dal locale Sebastiano aveva afferrato la maglietta di
Fabio e la strattonava, per costringerlo a fermarsi.
-Fabio fermati cazzo! Che pensi di fare?- sbottò Sebastiano, vedendo che i suoi tentativi non andavano a buon fine.
-Andare
là e distruggerlo!- urlò il ragazzo di rimando. Michele sospirò. Che
altra risposta poteva aspettarsi Sebastiano? Non aveva nemmeno capito
perché aveva fatto una domanda così idiota.
-Ragioniamo
un attimo, vuoi?- supplicò il compagno, circondandogli le spalle con le
braccia. Poteva contare su un’altezza e una massa corporea maggiore, ma
Fabio dalla sua aveva una forza non da poco.
Se lo scrollò di dosso sibilando un:
-No! Non voglio!-
Michele decise che finalmente era ora di intervenire e parlò:
-Ma
si Sese, lascia che vada là, lo pesti per bene e poi si becchi la
denuncia di ritorno. Enrico non aspetta altro, dopotutto. Sono convinto
che i suoi genitori saranno felicissimi di avere il bar da pagare e in
più il risarcimento a Enrico. Sempre che Fabio se la cavi con la
condizionale.-
A
quello Fabio si fermò e Sebastiano dovette ammettere che suo fratello
aveva usato un metodo decisamente convincente per bloccare il suo
ragazzo.
-Non ci avevo pensato- borbottò Fabio, quietandosi fra le braccia di Sebastiano che l’aveva riafferrato.
-Eh.
Perché credi che non te l’abbiamo detto? Innanzitutto non abbiamo prove
ma solo teorie. E poi che pensi di ottenere cosi? Tu lo pesti e quello
ti pesta di rimando e via così fino alla fine dei tempi.- sibilò
Michele, era arrabbiato tanto quanto Fabio ma capiva che non era
sicuramente questa la strada da percorrere.
-E
cosa vorresti fare allora? Lasciare che la passi liscia così?! Mi
rifiuto!- sbottò Fabio, assestandosi nella stretta di Sebastiano, senza
tuttavia staccarsene. Ora che si era calmato la trovava decisamente
confortante.
-Voglio andare da lui e parlargli- rispose Michele. Sebastiano lo guardò incredulo, Fabio si mise a ridere, sarcastico.
-Ma
certo. Magari davanti a una tazza di te. Michele? Sveglia! Quello è
tutto suonato! E poi tu sei l’ultima persona al mondo che dovrebbe
andare a parlargli. Sembra che abbia lasciato stare Ginevra e si sia
concentrato su di me, non vorrai mica fargli tornare in mente che ha un
ex ragazza da reclamare da qualche parte, nel mondo?-
Michele abbassò la testa. Effettivamente non sembrava essere la soluzione migliore.
Fu Sebastiano che si intromise e che sembrò mettere d’accordo tutti:
-Faremo
così. Andremo io e Fabio, Michele ci seguirà di nascosto. Gli
parleremo, lo minacceremo, lo spaventeremo a morte. Così Fabio si sfoga
ma non lo sfiora nemmeno con un dito e se abbiamo fortuna lui si
spaventa abbastanza da lasciar perdere ulteriori vendette- propose,
ragionevole.
Fabio
si morse un labbro, insoddisfatto. Lui voleva pestarlo a morte, dargli
fuoco alla macchina, ucciderlo. Non certo parlare, però doveva
ammettere che era l’unica soluzione. Enrico avrebbe colto qualunque
occasione per tornargli pan per focaccia, denunciandolo a sua volta.
Era convinto che fosse questo che gli bruciava, più di tutto. Il fatto
che Fabio non fosse stato zitto, nel suo angolino di terrore, ma avesse
reagito e l’avesse denunciato, per nulla spaventato da lui. Era finito
sul giornale perché la sua famiglia era abbastanza in vista,
sicuramente i suoi genitori non l’avevano presa bene e la sua
reputazione era irrimediabilmente compromessa. Prima di quel momento
nessuno avrebbe mai creduto che Enrico avrebbe potuto fare una cosa del
genere, era universalmente considerato un ragazzo d’oro, di buona
famiglia, posato, uno sportivo che avrebbe avuto un futuro. Quella
brutta storia l’aveva messo su un piano molto più sfavorevole.
Sicuramente
era per questo che si era vendicato in quel modo. Solo non capiva
perché far passare tutto quel tempo dalla denuncia alla distruzione del
bar. Probabilmente sperava che non l’avrebbero capito, o si era dovuto
organizzare per non farlo di persona. In effetti tornava. Lui era un
codardo, quando aveva affrontato Fabio l’aveva fatto spalleggiato da
tre amici che poi erano spariti, visto che Fabio non era riuscito ad
identificarli. Sicuramente non era stato lui direttamente a sfasciare
in quel modo il locale.
-Penso sia l’unica cosa da fare- ammise Fabio a denti stretti.
-Ora scusate ma è stata una giornata pesante. Vado a casa- concluse, entrando nel locale per salutare gli altri.
Quando
ne uscì i due fratelli erano ancora lì, non si parlavano ma Michele si
era appoggiato leggermente a Sebastiano, che lo circondava con un
braccio.
Alzò la testa in un saluto veloce e si avviò.
-Ma Fabio! Vai a piedi?- lo raggiunse la voce di Sebastiano, evidentemente si aspettava di tornare assieme a lui.
-Sì, devo scaricarmi. Ci vediamo a casa- tagliò corto Fabio, senza più voltarsi.
-Cazzo,
mi sento come quando ho nascosto l’erba nelle mutande, poi me ne sono
dimenticato e sono andato a pisciare facendola cadere nel cesso-
proruppe Fabio, lanciando un occhiataccia a Sebastiano che si era messo
a ridere.
-Un completo idiota?- chiese Michele, con evidente sarcasmo nella voce.
-No, con la voglia di spaccare tutto ma la consapevolezza di non poterlo fare- borbottò, guardando male anche l’altro fratello.
Erano
seduti al tavolino di un bar poco lontano da casa Lesizza, nel
tentativo di buttare giù un piano di battaglia per affrontare Enrico.
-Ma
davvero hai fatto una cosa del genere? Quanti soldi hai sputtanato?-
chiese Sebastiano, asciugandosi una lacrima che era caduta dal troppo
ridere.
-Lascia perdere-
-Lasciamo
perdere questo discorso in generale e concentriamoci su Enrico,
volete?- li riprese Michele, massaggiandosi le tempie con due dita. Era
esasperante avere a che fare con quei due, il loro livello di idiozia
combinato raggiungeva livelli assurdi.
-Ma
era appunto perché stavo pensando ad Enrico che mi era venuta in mente
questa similitudine!- si difese Fabio, incrociando le braccia al
petto.
-Ok, ma adesso davvero… dobbiamo decidere cosa devi dirgli- sospirò Michele, per l’ennesima volta.
-Che cazzo Michi, cosa vuoi che gli dica! Vado là e improvviso!-
-Bene, siamo tutti fottuti allora- commentò Sebastiano, ignorando l’ennesima occhiataccia di Fabio.
-Amore, ti vengono le rughe se continui ad aggrottare la fronte in questo modo- disse poi, sfoggiando una voce zuccherina.
-Vi
prego…- esalò Michele, posando la testa sulle braccia che aveva
incrociato sopra al tavolino. Non ce la poteva fare, proprio no.
-Dai
Michi, non ti agitare. Fidati ok? L’importante è che non lo pesti e non
lo minacci di morte troppo apertamente no? Ci sarà Sese se per caso
esagero, non farti problemi-
Michele alzò la testa, guardò i due ragazzi senza dire nulla, un’espressione imperturbabile in viso.
-Michele!- sbottò Sebastiano, offeso.
-Non ho detto nulla- si difese il ragazzo, alzando le mani in un attestato di innocenza.
-Non ce n’è bisogno- borbottò Sebastiano, prendendo il suo frappé e tirando dalla cannuccia un risucchio fortissimo.
-Comunque
sì, basta che non lo uccidi. A parole o fisicamente. Sai che potrebbe
denunciarti per minacce, non aspetta altro. Devi fare insinuazioni
velate e…-
Sebastiano scoppiò a ridere:
-Fabio insinuazioni velate? Allora sì che avrà bisogno del mio aiuto!-
-Grazie della considerazione tesoro. Sono commosso-
Rispose velenoso Fabio, accendendosi una sigaretta.
-Sapete
che non stiamo andando da nessuna parte vero? E se uno di vuoi due si
azzarda a dire che per farlo dovremmo almeno alzarci vi ammazzo!- si
affrettò ad aggiungere Michele.
Sebastiano e Fabio richiusero la bocca, sorridendo.
E lui avrebbe dovuto fidarsi di quei due dementi?
Li
osservò, osservò come si guardavano e poi scoppiavano a ridere per un
pensiero che avevano avuto in comune, guardò la complicità che in un
solo mese erano riusciti ad instaurare fra loro; il fare tranquillo che
aveva ora Fabio, al contrario di poche sere prima, quando se n’era
andato dal locale mollando lì Sebastiano. Evidentemente il fratello era
riuscito a calmarlo. E anche Sebastiano sembrava stare bene, sapeva che
la sua lontananza da casa gli pesava, sapeva che lo stava vivendo male
quanto lui, ma la presenza di Fabio rendeva tutto più sopportabile. Si
erano sostenuti a vicenda in un modo che non avrebbe creduto possibile,
e non poteva fare a meno di pensare che erano davvero belli
insieme.
Anche
il fatto che fossero assieme, tutti e tre, a parlare e scherzare come
se nulla fosse successo, lo reputava un piccolo miracolo.
Certo
la tensione c’era ancora, così come il pungolo che faceva male quando
li vedeva così affiatati e felici, però poteva sopportarlo.
Se almeno Sebastiano era felice poteva sopportarlo.
Il
problema era che non sapeva quanto a lungo. Si trattava di poche ore
saltuariamente, e comunque non era affatto facile anche se non lo dava
a vedere. Ma averli davanti tutto il giorno, tutti i giorni?
-Dai
Michi, abbiamo aspettato abbastanza. Stasera andiamo da Enrico, a casa
sua, in modo che lui non possa chiamare rinforzi o fare nulla perché ci
saranno i suoi in un’altra stanza, e parleremo. Tranquillamente, lo
giuro-
Cercò di convincerlo Fabio.
A
lui non rimase altro da fare che sospirare e annuire. Avevano
trattenuto Fabio già abbastanza, non sapeva nemmeno come Sebastiano ci
fosse riuscito. Anche se una mezza idea l’aveva, ma per amore della sua
sanità mentale preferiva non approfondirla.
-Stasera
allora. Sese verrà con te. Io sarò poco lontano. Ti prego non fare
altri casini- implorò, osservando come Sebastiano cercava di trattenere
le risa e come Fabio gli tirava un calcio da sotto il tavolo, facendolo
boccheggiare. Non poté fare a meno di sorridere.
Stavano bene assieme, sapeva che era la cosa migliore che potesse capitare ad entrambi, doveva solo accettarlo.
Quella
sera, nonostante il pomeriggio passato a pianificare, Fabio pregustava
già l’incontro ed era incazzato a morte, Sebastiano era nervoso e aveva
l’aria da lunatico folle che lo contraddistingueva, Michele era ansioso.
Si
fermarono davanti al cancello e tirarono un lungo sospiro. Senza dire
nulla Michele si allontanò di poco, per essere nei dintorni ma non
farsi vedere, Sebastiano invece strinse brevemente la mano di Fabio.
Avrebbe voluto baciarlo, ma c’era suo fratello e per quanto sembrasse
aver accettato la cosa, non voleva certo sbattergliela in faccia
così.
-
Se senti che stai per spaccargli la faccia pensa a me che ti faccio un
pompino. Vedi che ti spegni- gli sussurrò all’orecchio, in tono
scherzoso. Voleva allentare la tensione e a quanto pareva doveva
esserci riuscito perché Fabio ridacchiò un attimo e gli baciò una
guancia.
Per
un attimo il riguardo che aveva avuto per Michele lo colpì. Sapeva che
ormai Fabio aveva capito e in effetti si stavano avvicinando di nuovo,
ma vedere le piccole attenzioni che comunque aveva verso il fratello
gli diede l’esatta consapevolezza di quanto anche Fabio ci
tenesse.
-Le
cose belle si dimenticano facilmente… una giornata fantastica è
cancellata immediatamente dalla memoria, alla prima sofferenza che
riceviamo. È un peccato. Certe sensazioni sarebbe bello ricordarle per
sempre- mormorò Sebastiano, soprapensiero.
Erano
usciti a fumare durante una delle rare uscite che Sebastiano faceva con
loro. Era stata una bella serata, si vedeva che Michele era felicissimo
di averli tutti e due lì, e anche se entrambi facevano di tutto per
vedersi il meno possibile, per lo stesso identico motivo fra l’altro,
anche loro non riuscivano ad impedirsi di essere felici della vicinanza
dell’altro.
Fabio annuì, rattristandosi un po’.
-Già…
mentre le batoste invece restano impresse e non c’è verso di
sostituirle con sensazioni piacevoli. Per quanto ci provi la sofferenza
torna sempre. Chissà perché-
Sebastiano
gli sorrise, dolce. Era strano vedere Fabio così pensieroso e triste,
chissà a cosa stava pensando… l’idea di non poter fare nulla per
togliergli quell’espressione dal viso lo faceva star male in modi che
non voleva davvero capire del tutto.
L’impulso
di stringerlo finché non l’avesse sentito rilassarsi fra le sue braccia
per un momento aveva invaso prepotente la sua testa.
Chissà come sarebbe stato sentirlo contro di sé, piccolo ma compatto, forte.
Chissà se sarebbe riuscito a togliergli via quell’espressione triste dalla faccia.
-Forse
perché le cose tristi dobbiamo ricordarle meglio. Dobbiamo imprimercele
bene nella memoria e non lasciare che la sensazione sgradevole che
proviamo venga dimenticata.-
Si
fermò un attimo, come a cercare le parole giuste. Le mani bruciavano
dalla voglia di vedere se davvero Fabio si sarebbe abbandonato in quel
modo nel suo abbraccio, se l’espressione fiduciosa con cui lo stava
guardando significasse qualcosa di più.
Serrò forte i pugni, non doveva. Era il migliore amico di Michele.
-E perché?- chiese a bassa voce Fabio, guardando il profilo nitido di Sebastiano.
-Se
ricordiamo bene un dato dolore questo poi potrà ferirci molto più
difficilmente e lo eviteremo con tutti noi stessi. Mentre se
dimentichiamo presto cosa vuol dire essere felici quella sarà una
sensazione che rincorreremo per tutta la vita. Penso sia un modo per
farci tenere bene a mente che siamo fatti per quello. Anche quando ci
sembra impossibile anche solo pensarlo. Siamo fatti per essere felici e
dimenticando cosa vuol dire resterà per sempre vivo in noi il desiderio
di scoprilo ogni singolo giorno della nostra vita.-
Fabio
lo guardò, incapace di trovare parole adeguate per rispondergli. Era la
prima volta che lo sentiva parlare in quel modo, era la prima volta che
gli lasciava intuire il mondo che si portava dentro e l’infinità che
riusciva ad abbracciare anche solo con un sospiro.
Avrebbe voluto immergercisi dentro e scoprirne ogni anfratto, avrebbe voluto non smetterla mai di ascoltarlo.
Ecco,
anche solo questo. Per un momento tutto il resto gli parve passare in
secondo piano, anche il poterlo toccare liberamente e tutti i pensieri
che aveva prima di dormire, quando si sfiorava da solo immaginando
lui.
Se
solo avesse potuto restare ad ascoltarlo così non gli sarebbe importato
di nulla, gli sarebbe parso di poter essere soddisfatto, colmo in un
certo senso, colmo di una sensazione calda e piacevole, così luminosa
da lasciarlo stordito.
Per
un attimo pensò che potesse essere quella la felicità di cui tutti
parlavano, e si rattristò all’idea di non poter portare con sé tutte le
sensazioni che stava provando in quel momento. Anche se si fosse messo
d’impegno sapeva che ne sarebbe rimasto un ricordo sbiadito, privo
della vivezza che possedeva ora.
Poi
rifletté sul fatto che forse Sebastiano aveva ragione, forse
quell’attimo non sarebbe tornato ma avrebbe potuto mettersi d’impegno
per crearne altri cento, ogni volta che il ricordo gli sembrava
svanire.
Sebastiano
era oltre la sua portata, non amava farsi illusioni e sapeva che non
avrebbe mai potuto averlo, era molto schietto e sincero con se stesso,
per cui non amava tormentarsi per qualcosa che non avrebbe mai potuto
cambiare. Però pensava di potersi concedere almeno questo. Un po’ di
ricordi felici, e un ricambio continuo quando avrebbe cominciato a
dimenticare come ci si sentiva accanto a lui.
Enrico
li stava guardando minaccioso. Evidentemente era furioso per questa
improvvisata, dato che i suoi genitori erano in casa, come avevano
previsto i fratelli, e avevano guardato perplessi i ragazzi,
riconoscendo poi Fabio e sperticandosi in scuse assolutamente ridicole.
Sebastiano aveva sorriso gentile, o almeno il suo intento era quello ma
il risultato era stato una smorfia inquietante, mentre Fabio si era
limitato a sbuffare, chiedendo poi se potevano parlare col figlio.
Non aveva nessun interesse nell’avere un interazione coi genitori di Enrico.
E ora erano lì, a guardarsi malissimo tutti e tre, cercando di capire uno le intenzioni dell’altro.
-Che volete?- chiese aggressivo, incrociando le braccia e fissandoli storto.
-Noi?
Solo parlare. Vero?- rispose Fabio ironicamente, lanciando un occhiata
veloce a Sebastiano. Averlo vicino in effetti aiutava. Lo calmava.
Sebastiano sorrise. Ma non un sorriso normale, o uno di quelli che al massimo provocavano brividi moderati.
Quello
fu un sorriso cattivo, tagliava in due il viso e non raggiungeva
minimamente gli occhi, gelidi. Il sorriso di una persona che avrebbe
potuto ucciderti e nel frattempo continuare a contrarre le labbra in
quel modo folle. Enrico rabbrividì e distolse lo sguardo. Evidentemente
lo spaventava più il sorriso di Sebastiano che lui.
Beh gli avrebbe dimostrato che si sbagliava.
-Non
abbiamo nulla da dirci a meno che tu non abbia intenzione di ritirare
la denuncia. Magari dicendo che quella notte era buio e che ti sei
sbagliato-
Fabio spalancò gli occhi, non pensava avrebbe avuto il coraggio di chiedergli una cosa del genere.
Contò fino a centoquattordici per calmarsi.
-Quindi tutto questo casino tu l’hai fatto per quella dannata denuncia-
Enrico ghignò e Fabio fremette. Dio la voglia di spaccargli quella faccia da coglione!
-Non
capisco di cosa tu stia parlando. Non ho fatto nulla io. Da quando mi
hai denunciato i miei genitori mi tengono chiuso in casa. Vedi che non
avrei potuto fare nulla?-
Fabio non ci vide più.
Avanzò velocemente, Enrico si ritrasse, segno che in effetti non voleva affrontarlo da solo e ad armi pari.
Lo schiacciò al muro, sibilandogli a pochi centimetri di distanza:
-Bravo,
vedi di continuare a non fare niente. Perché se io ho anche solo il
sospetto che tu abbia torto un capello a chiunque, o rotto anche solo
una tazzina in un bar… beh non mi tratterrò. E ‘fanculo a tutto.-
Non vedeva nient’altro che gli occhi castani di Enrico allargarsi, presi alla sprovvista.
-Non puoi fare assolutamente nulla. Se non mi molli subito ti distruggo e poi ti denuncio-
Fabio
lo sbatté al muro, forte, aveva desiderato farlo fin dal primo momento,
e ora che finalmente l’aveva fra le mani trattenersi era davvero
difficile.
-Non
hai capito una cosa. La differenza fra noi due è che a me non frega
nulla se mi arrestano o mi sbattono in cella. Io non ho nessuna cazzo
di reputazione da difendere, i miei genitori non ci tengono come i tuoi
a non creare scandali. Per cui evita di rompermi il cazzo, vuoi? Perché
non ci metto niente a spaccarti la faccia e poi sputtanarti per tutta
la città.- sibilò Fabio. E la furia che sentiva crescere dentro era
secondaria solo alla soddisfazione di vedere Enrico ridotto al
silenzio.
Sebastiano
si era avvicinato, sentiva la sua presenza al suo fianco, sentiva lo
sguardo preoccupato che gli lanciava. Non doveva esagerare, se lo
ripeteva come un mantra, ma non stava funzionando più di tanto. O forse
sì, visto che alla fin fine non l’aveva ancora pestato come meritava.
-Non
riusciresti nemmeno a sfiorarmi- borbottò Enrico, in un tentativo di
mantenere saldo il suo ruolo da spaccone e la reputazione da duro.
-E anche se lo facessi avrebbe conseguenze che non ti piacerebbero- ruggì poi.
Fabio non ebbe modo di fare nulla, se non spingere il braccio che premeva la gola di Enrico per tenerlo fermo.
Non
ne ebbe il tempo perché Sebastiano si avvicinò ulteriormente, gli occhi
verdi ridotti a una fessura minacciosa e sulle labbra un sorriso
tagliente che avrebbe fatto venire i brividi a Jack lo squartatore.
Sembrava un folle uscito dal manicomio per sbaglio, roba che se
Basaglia l’avesse conosciuto avrebbe cambiato idea sui manicomi.
Si
avvicinò al suo orecchio e prima che Fabio avesse il tempo di chiedersi
cosa volesse fare, tirò fuori la lingua e lo leccò, sensuale.
Enrico
rabbrividì e lo guardò con gli occhi spalancati, si era immobilizzato
adesso, non riusciva nemmeno a respirare bene. Evidentemente l’aria da
serial killer di Sebastiano lo colpiva più delle minacce di Fabio.
-Forse
non ci siamo capiti bene- sussurrò al suo orecchio, dopo averci
soffiato sopra, il tono era quasi dolce, un dolce veleno che si
riversava su di lui -Siamo qui per assicurarci che tutti usciamo bene
da questa storia. Tu non toccherai Fabio, né nessun altro. Non farai
assolutamente niente se non sparire dalle nostre vite. E magari
risarcire Fabio per i danni al bar.-
Alla
smorfia schifata di Enrico, che scosse la testa freneticamente,
Sebastiano abbassò la mano, lentamente, fino a posarla contro i suoi
testicoli e premere.
All’urlo di Enrico Sebastiano reagì allargando il sorriso.
-Bene,
vedo che ora sei disposto ad ascoltare. Perché vedi, se non lo fai tu
magari saranno disposti a farlo i tuoi genitori. E se tenterai ancora
qualcosa magari sarà disposto ad ascoltarci il giornale.-
Fabio
si era ammutolito e guardava Sebastiano allibito. Non si era aspettato
che intervenisse in questo modo, né si era aspettato che potesse
diventare così terrorizzante se lo desiderava.
Ora aveva smesso di sorridere in quel modo, ma la sua espressione seria forse era ancora più spaventosa.
-Sparisci
dalle nostre vite Enrico. Questo è solo un avvertimento. Hai messo in
moto una catena di eventi che ti potranno solo far rimpiangere il
momento in cui ci hai incontrato, credimi.-
E, incredibilmente, Enrico annuì.
Sebastiano sorrise soddisfatto e Fabio si allontanò, mollando la presa.
Non
avrebbe mai immaginato che potesse finire così, che Enrico sarebbe
rimasto impressionato dal suo ragazzo fino a questo punto. Anche lui
d’altro canto ne era rimasto impressionato.
Uscirono
dalla stanza seguiti dallo sguardo di Enrico, seguiva Sebastiano con
sacro terrore, probabilmente chiedendosi se era uscito da qualche film
dell’orrore o che altro. In effetti vestito di nero, con quella
carnagione pallida e quell’espressione allucinata poteva essere
scambiato tranquillamente per un serial killer o un fantasma assassino.
Michele
li assalì non appena misero il piede fuori dal vialetto, non ebbe
nemmeno modo di voltarsi verso Sebastiano che il ragazzo li aveva già
presi per un braccio e li stava trascinando via.
-Allora com’è andata? Che è successo?-
Fabio scosse la testa, ancora incredulo:
-Credo che abbia accettato di risarcirci per il bar e di sparire dalle nostre vite- rispose incerto.
Michele aggrottò la fronte:
-Come credi? Che è successo lì dentro? Non l’avrai mica pestato a morte?- chiese, preoccupato.
-No,
ma tu dovevi avvertirmi che il vero pericolo era Sebastiano. Dovevi
vederlo!- rispose Fabio, stavolta il tono era entusiastico, aveva
afferrato la mano del compagno e registrato che Sebastiano stava
sorridendo, imbarazzato, ma non importava.
Era stato grande e Michele doveva sapere.
Si
lanciò nella descrizione dettagliata dello scambio con Enrico, mentre
si avviavano verso la macchina e le mani dei due ragazzi non
accennavano a slacciarsi.
Era
stato difficile trattenersi, era stato difficile accettare di non poter
fare altro che spaventarlo e minacciarlo, ma se questo valeva a
garantirgli la sicurezza di vederlo fuori dalle loro vite, allora ne
valeva la pena.